La preclusione antielusiva del riporto delle perdite
di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 44 - 26 novembre 2012
Con l’obiettivo di frenare la pratica elusiva del cosiddetto “commercio di bare fiscali”, l’art. 84, comma 3, del Tuir inibisce, in linea di principio, il riporto a nuovo delle perdite fiscali pregresse laddove la maggioranza delle azioni o quote della società titolare delle perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo, e inoltre risulti modificata, in uno spazio temporale compreso fra il secondo esercizio anteriore al trasferimento e il secondo esercizio successivo, l’attività principale effettivamente esercitata dalla medesima società nei periodi di formazione delle perdite. L’operatività di tale divieto è in ogni caso esclusa se l’impresa che riporta le perdite soddisfa taluni indici (di carattere contabile ed extra-contabile) ritenuti sintomatici della sua persistente vitalità economica.
1. Premessa
La disciplina delle perdite fiscali in ambito Ires è stata oggetto di rilevanti modifiche ad opera dell’art. 23, comma 9, del D.L. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 111/2011. In particolare, attraverso la riformulazione dei commi 1 e 2 dell’art. 84 del Tuir, è stato eliminato il previgente vincolo quinquennale alla riportabilità in avanti delle perdite pregresse e, contestualmente, è stato stabilito che le medesime perdite possono essere utilizzate in compensazione del reddito dei periodi d’imposta successivi nei limiti dell’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare.[1] Il citato intervento normativo non ha invece apportato alcuna modifica alla disposizione, contenuta nel successivo comma 3 dello stesso art. 84 del Tuir, che disciplina il trattamento delle perdite fiscali nell’ambito delle riorganizzazioni aziendali attuate tramite operazioni diverse da quelle di fusione e scissione societaria (conferimenti, cessioni).
Detta disposizione prende in considerazione il fenomeno dell’uso improprio della compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali inibendo il loro riporto a nuovo quando si verificano congiuntamente i seguenti due presupposti:
• la maggioranza delle partecipazioni con diritto di voto nelle assemblee ordinarie della società che ha conseguito le perdite viene trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo;
• nel periodo compreso fra i due esercizi antecedenti e i due esercizi successivi a quello nel corso del quale si verifica il suddetto trasferimento, viene modificata l’attività principale in fatto esercitata nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state realizzate.
In effetti, è di tutta evidenza che, in presenza di un cambiamento sia della titolarità del pacchetto di controllo (indice della circolazione della società), sia dell’attività da quest’ultima esercitata (segnale del passaggio delle perdite dall’attività che le ha prodotte a un’altra appartenente ab origine ad altro soggetto), si determina, sotto altra veste giuridica, un utilizzo intersoggettivo delle perdite fiscali non diverso da quello che avviene nelle operazioni di fusione e scissione, utilizzo che l’ordinamento tributario non ammette quando la scarsa vitalità economica della società cui le perdite si riferiscono lascia presumere che la circolazione delle perdite medesime rappresenta il fine esclusivo dell’operazione di aggregazione aziendale posta in essere.
In proposito, nella relazione ministeriale di accompagnamento al D.Lgs. 8 ottobre 1997, n 358 - che ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina in commento - è esplicitato come l’obiettivo della stessa sia quello di impedire un utilizzo patologico dell’istituto del riporto delle perdite fiscali, ciò che si verifica allorquando l’azionista di una società profittevole acquisisce il controllo di una società carica solo di perdite (cosiddetta “bara fiscale”) per “spostare” su di essa attività redditizie, al solo scopo di abbattere gli utili prodotti da quest’ultime con le perdite fiscali pregresse della società decotta.
Peraltro, come vedremo meglio più avanti, il legislatore si è anche preoccupato di prevedere che, pur in presenza di entrambe le condizioni sopra descritte, la preclusione antielusiva del diritto di riporto delle perdite non si applica se la società che le ha conseguite è operativa e vitale, ovvero quando:
• nei due esercizi precedenti a quello di trasferimento delle partecipazioni, ha avuto un numero di lavoratori dipendenti che non è mai sceso sotto le dieci unità;
• nel Conto economico dell’esercizio precedente a quello del predetto trasferimento, ha iscritto un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, e un ammontare di spese per prestazioni del personale dipendente e relativi oneri sociali, superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.[2]
Tanto premesso, occorre evidenziare che, sebbene richiami nozioni giuridiche ed economiche di immediata percezione, la trascritta norma pone varie questioni di natura interpretativa che saranno esaminate nel seguente contributo.
2. Presupposti applicativi della disciplina antielusiva
2.1. Trasferimento della maggioranza delle partecipazioni
Come accennato in premessa, affinché non sia riconosciuto il diritto al riporto in avanti delle perdite fiscali, è anzitutto necessario che la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo Sulla base di un’interpretazione strettamente letterale del dato normativo, si potrebbe sostenere che l’ambito di applicazione della presunzione di elusività in rassegna non includa l’ipotesi di trasferimento del controllo indiretto della società dotata delle perdite, ossia il caso in cui ad essere trasferita non sia la maggioranza delle azioni o quote di detta società, bensì la partecipazione di maggioranza della sua controllante Tuttavia ragioni di ordine logico-sistematico inducono ad accordare preferenza alla tesi opposta Infatti anche nell’ipotesi testé descritta si può agevolmente attuare quella circolazione patologica delle perdite fiscali che la norma intende impedire. [3] La compensazione delle perdite della società controllata con gli utili di aziende redditizie ad essa eventualmente conferite dalla società controllante è, invece, pienamente legittima allorché il rapporto partecipativo (di controllo) sia stabile, ovvero qualora, nel periodo preso in considerazione dalla norma, non vi sia stato alcun trasferimento del pacchetto di maggioranza della società controllata.
Con riguardo, poi, alle modalità con cui può avvenire 1 acquisizione del controllo della società che riporta le perdite, si ricorda che, secondo quanto precisato dall’Amministrazione finanziaria nella circolare 19 dicembre 1997, n. 320/E,[4] fanno scattare l’esclusione della riportabilità delle perdite sia le ipotesi di trasferimento di un pacchetto di azioni o quote di per sé di controllo sia quelle in cui l’acquisizione del controllo avvenga a mezzo integrazione di una partecipazione già posseduta.
Si evidenzia, inoltre, come la condizione che ci occupa possa realizzarsi non soltanto mediante il trasferimento della proprietà delle azioni o quote della società portatrice delle perdite, ma anche attraverso altri tipi di negozi giuridici, quali, per esempio, il trasferimento o la costituzione del diritto di usufrutto sulle stesse azioni o quote (sempreché, naturalmente, vi sia l’attribuzione all’usufruttuario del diritto di voto), il contratto di riporto e* art. 1548 del codice civile, la costituzione in pegno delle azioni o quote, se effettuata senza derogare alla disciplina legale del diritto di voto ed infine, la sottoscrizione di Un aumento di capitale sociale a seguito della quale il pacchetto di controllo della società che riporta le perdite risulti posseduto da un soggetto diverso rispetto a Quello che lo deteneva prima della predetta sottoscrizione.
2.2. Cambiamento dell’attività principale
Come sopra rilevato, per escludere il diritto di riporto a nuovo delle perdite, non basta il mero trasferimento del controllo della società, ma occorre altresì che, in un periodo sufficientemente contiguo a quello del predetto trasferimento, venga modificata l’attività principale effetti vamente esercitata negli esercizi in cui le perdite sono maturate. Il periodo “sospetto” è rappresentato dallo stesso periodo d’imposta in cui si verifica il trasferimento delle partecipazioni, dai due periodi d’imposta precedenti e dai due successivi. In sostanza, è necessario monitorare un lasso temporale di cinque periodi d’imposta consecutivi.[5]
Si deve peraltro osservare come il comma 3 del citato art. 84 non chiarisca il concetto di modificazione dell’attività principale in fatto esercitata. Nella summenzionata circolare ministeriale n. 320/E del 1997, si afferma che per attività principale si deve intendere quella che “sulla base di riscontri fattuali, risulti quantitativamente superiore, con riferimento ai ricavi, ad altre comunque svolte dalla società ceduta o trasferita”. Da tale affermazione si ricava che deve considerarsi priva di rilevanza, ai fini de quo, un’eventuale modifica dell’oggetto sociale cui non corri sponda, in concreto, un effettivo cambiamento dell’attività economica esercitata. Rimane però l’incertezza su quanto debba essere radicale questo cambiamento affinché lo stesso possa essere considerato sintomo di elusività dell’operazione e rilevare, quindi, come condizione ostativa al riporto delle perdite. Non è chiaro, cioè, se la preclusione antielusiva scatti soltanto laddove vi sia il passaggio della società da un comparto merceologico ad un altro, o se invece sia sufficiente, ad esempio, anche la sola espansione della principale attività esercitata.
Ferma restando la necessità di procedere ad una indagine caso per caso, che può risultare anche molto complessa, specie quando la società opera in più settori produttivi, si è dell’avviso che il conferimento, nella società dotata delle perdite, di un’attività imprenditoriale avente le stesse caratteristiche, per tipologia di prodotti e di servizi, di quella esercitata dalla società conferitaria, non dovrebbe rilevare ai fini dell’applicazione della norma antielusiva specifica in esame, e ciò anche laddove il complesso aziendale oggetto del conferimento incorpori in sé canali commerciali e finanziari ulteriori e diversi rispetto a quelli della società conferitaria. In altri termini, la norma sembrerebbe riferirsi essenzialmente a quei casi in cui il cambiamento dell’attività economica comporti una sostanziale riconversione del ciclo produttivo e del core business della società alienata.[6] La questione, tuttavia, non è affatto pacifica e, laddove ci siano obiettive incertezze circa la sussistenza della condizione in argomento, appare opportuno fare ricorso all’interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973, che - come noto - costituisce una forma di salvaguardia dei diritti del contribuente applicabile a ogni disposizione tributaria di matrice antielusiva. In particolare, il citato comma 8 consente al contribuente di ottenere la disapplicazione delle norme tributarie che, allo scopo di impedire comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive ammesse dall’ordinamento tributario, qualora venga dimostrato che, con riferimento alla particolare fattispecie, non possono in alcun modo prodursi quegli effetti elusivi che la norma stessa intende contrastare. Da ultimo, occorre rilevare che la disposizione in esame non indica quali sono le perdite fiscali che, per effetto della sua applicazione, devono essere azzerate in quanto non più utilizzabili a scomputo dei redditi imponibili degli esercizi successivi a quello della loro formazione. Sul punto, in accordo con la descritta ratio antielusiva della norma, appare corretto ritenere che:
• se il mutamento dell’attività principale in fatto esercitata interviene successivamente al trasferimento della maggioranza delle partecipazioni, le perdite fiscali non più utilizzabili in compensazione sono tutte quelle anteriori all’esercizio in cui è avvenuto il suddetto cambiamento di attività;
• se, invece, la modifica dell’attività principale precede il trasferimento della maggioranza delle partecipazioni, il riporto delle perdite utilizzate in compensazione entro l’esercizio anteriore al predetto trasferimento non può essere revocato, non risultando ancora verificato l’ulteriore (e complementare) presupposto per l’applicazione della preclusione antielusiva.[7]
Presupposti di applicazione della norma antielusiva specifica
Trasferimento della maggioranza delle partecipazioni |
Ai fini della presunzione di elusività, rileva la circostanza che la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite sia stata trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo. |
Modifica dell’attività principale |
La seconda condizione che, unitamente al trasferimento della maggioranza delle azioni o quote, fa scattare la preclusione antielusiva al riporto delle perdite, consiste nel mutamento dell’attività principale svolta dalla società nei periodi di formazione delle perdite, sempreché tale mutamento intervenga fra il secondo esercizio precedente e il secondo esercizio successivo a quello del predetto trasferimento. |
3. Test di vitalità aziendale
Dal momento che, come più volte sottolineato, la ratio ispiratrice della norma in commento è quella di scongiurare il non commendevole fenomeno del commercio di “bare fiscali”, ossia di enti societari ridotti a meri contenitori di perdite, spesso di ammontare superiore persino al loro patrimonio netto, il legislatore si è giustamente preoccupato di prevedere che la compensazione intersoggettiva fra utili e perdite non sia preclusa laddove il soggetto che ha in dote le perdite fiscali risponda a determinati requisiti considerati idonei ad escludere un uso patologico dell’istituto del riporto come strumento di elusione fiscale.[8] Più precisamente, come anticipato in premessa, in base alla lettera b) dello stesso comma 3 dell’art. 84 del Tuir, il divieto di riporto delle perdite non si applica ai trasferimenti di partecipazioni in società operative ed economicamente vitali, cioè in società:
• il cui numero di lavoratori dipendenti non sia mai sceso sotto le dieci unità nei due esercizi precedenti a quello del trasferimento delle azioni o quote;
• per le quali, dal Conto economico relativo all’esercizio precedente a quello del trasferimento, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, e un ammontare di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 del codice civile, superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.[9]
Circostanze esimenti
Indice di natura extra-contabile |
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Indici di natura contabile |
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Per quanto riguarda la prima delle condizioni di vitalità aziendale sopra richiamate, si evidenzia come essa possa considerarsi soddisfatta soltanto qualora, per tutti i giorni compresi nell’arco temporale previsto dalla norma, il numero dei dipendenti non sia mai stato inferiore alle dieci unità. Pertanto, nessuna rilevanza assume la media dei lavoratori dipendenti.[10] Inoltre il personale distaccato dovrebbe rilevare per l’impresa distaccataria, ossia per quella in cui esso opera, e non per l’impresa distaccante.
Con riferimento, invece, alla seconda condizione esimente, deve ritenersi che, data la sua analogia con quella prevista dall’art. 172, comma 7 del Tuir per il riporto delle perdite nelle fusioni possano senz’altro valere, ai fini de quo, le precisazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate con riguardo a tale ultima disposizione.[11]
Si può pertanto affermare che, ai fini che qui interessano, i ricavi da prendere in considerazione sono tutti quelli aventi natura ricorrente di modo che il loro ammontare sia indicativo della continuità e della vitalità aziendale. Rilevano perciò, i ricavi delle vendite e delle prestazioni di servizi iscritti alla voce Al) del Conto economico ex art. 2425 del codice civile, nonché gli altri proventi di cui alla voce A5) e i componenti finanziari di cui alle voci CI5) e C16, soltanto se riconducibili all’attività caratteristica dell’impresa, mentre debbono essere sempre escluse le voci di bilancio aventi natura straordinaria.
Per quanto riguarda, poi, il secondo indicatore contabile di vitalità economica, cioè il costo del personale dipendente, si devono considerare i salari e gli stipendi nonché gli oneri sociali di cui, rispettivamente, alle voci B9a) e B9b) del Conto economico di bilancio.
Merita altresì evidenziare come l’Amministrazione finanziaria abbia sostenuto, sempre con riguardo alla riportabilità delle perdite nelle fusioni - ma la precisazione vale, per quanto sopra detto, anche per la condizione esimente in esame - che l’eventuale mancanza in bilancio di spese per il personale “non è, da sola, sintomo di scarsa vitalità aziendale”, lasciando così intendere che il riporto delle perdite non è precluso laddove l’operatività della società portatrice delle perdite si possa comunque desumere da altri fattori.
In tal caso, tuttavia, sempre secondo quanto affermato dai tecnici del Fisco, si renderà necessario presentare un’istanza di interpello alla Direzione Regionale competente, ai sensi del già richiamato art. 31-bis, comma 8, del D P R 29 settembre 1973, n. 600, per ottenere la disapplicazione della norma antielusiva. L’affermazione dell’Agenzia delle Entrate è di particolare interesse per le società di gestione immobiliare e per le società holding, spesso caratterizzate dalla mancanza di costi del personale nei propri bilanci, ma non per questo necessariamente prive di quella vitalità economica minima richiesta dalla normativa in commento.
4. Esame di due casi concreti
Caso 1Beta S.r.l., operante nel settore immobiliare ha realizzato negli anni 2010 e 2011 consistenti perdite fiscali. Nel 2012 la maggioranza delle quote di Beta viene acquisita da Alfa S.p.A. la quale, a fronte di un aumento di capitale sociale deliberato dalla controllata Beta conferisce in quest’ultima un complesso aziendale preordinato all’attività di produzione di macchinari per l’industria, attività che diviene il core business di Beta.
I conti economici di Beta relativi agli esercizi 2009, 2010 e 2011 mostrano, fra gli altri i seguenti valori:
Esercizio 2009 |
Esercizio 2010 |
Esercizio 2011 |
|
Ricavi caratteristici |
20.000 |
12.000 |
5.000 |
Costi del personale |
8.000 |
4.800 |
2.000 |
Nel caso rappresentato, le perdite fiscali pregresse realizzate da Beta devono essere annullate. Infatti, da un lato risultano soddisfatte entrambe le condizioni cui si riconnette la penalizzazione in esame; dall’altro Beta non supera il test di vitalità aziendale, dato che:
• ricavi caratteristici dell’esercizio 2011 = 5.000 < (20.000 + 12.000) / 2 x 40%;
• costi del personale dell’esercizio 2011 = 2.000 < (8.000 + 4.800) / 2 x 40%.
Caso 2
A parere di chi scrive, si deve propendere per la soluzione positiva, ovvero per la libera riportabilità delle perdite pregresse. Infatti, sebbene nella fattispecie in esame risultino soddisfatte entrambe le condizioni previste per l’applicazione della richiamata norma antielusiva (trasferimento della maggioranza delle partecipazioni e modifica dell’attività principale in fatto esercitata), è da rilevare nondimeno come su Alfa non sia stata “spostata”, dal socio acquirente, alcuna nuova attività redditizia: non c’è stato alcun conferimento di profittevoli rami d’azienda, né di marchi d’impresa o di brevetti da sfruttare per nuovi business. Alfa prosegue soltanto nell’attività di locazione degli immobili, attività che da marginale diventa quella principale, ma soltanto per via della cessazione dell’attività di produzione di macchine per oreficeria.
Nel caso specifico non si ravvisano, perciò, quei profili di elusività che il ripetuto comma 3 dell’art. 84 del Tuir intende contrastare. Non si verifica, cioè, alcun utilizzo delle perdite intrasoggettivo nella forma ma intersoggettivo nella sostanza. La compensazione delle perdite fiscali pregresse con il reddito derivante dalla cessione dell’immobile non può rappresentare un comportamento elusivo, poiché trattasi di un reddito già latente nella società prima e indipendentemente dalle vicende del trasferimento del pacchetto di controllo e della variazione dell’attività principale, vicende che, ove ci si limitasse al senso meramente letterale della norma, farebbero invece scattare l’esclusione della riportabilità delle perdite.
[1] Tale limitazione quantitativa non si applica alle perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione, a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva. Per un approfondimento si veda D Liburdi, Circolare n. 53/E del 6 dicembre 2011- modifiche alla disciplina, del riporto a nuovo delle perdite da parte dei soggetti Ires in “il fìsco” n 48/2011 fascicolo n 2 pag.7883.
[2] Vale la pena di ricordare che, prima delle modifiche apportate alla norma in esame dal D.L. n..223/2006, la preclusione antielusiva del riporto delle perdite non operava anche qualora, pur sussistendone i relativi presupposti, il trasferimento della maggioranza delle azioni o quote fosse avvenuto fra soggetti appartenenti al medesimo gruppo. Tale causa esimente è; stata soppressa dal suddetto decreto legge, sicché l’unica esimente rimasta in vigore è quella della vitalità economica della società che riporta le perdite fiscali.
[3] È stato anche osservato come la tale fattispecie sarebbe comunque soggetta ad una censura di elusività ai sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. Così T. Fumagalli, Le limitazioni al riporto delle perdite nella disciplina dell’art. 102 del testo unico delle imposte sui redditi, in “il fisco” n. 24/2001, pag. 8541.
[4] In banca dati “fisconline”.
[5] È evidente come la scelta di attribuire rilevanza anche ai mutamenti dell’attività principale che si verificano nei due esercizi anteriori a quello del trasferimento delle partecipazioni sia volta a neutralizzare facili aggiramenti della disciplina antielusiva in esame.
[6] Sul punto si veda M. Andriola, Limiti al “commercio delle perdite” nel passaggio dall’Irpeg all’Ires: stabilità e mutamento delle strategie di pianificazione fiscale, in “Rassegna tributaria” n. 3/2005, pag. 792. In particolare, l’Autore osserva che la condizione del mutamento dell’attività principale potrebbe non considerarsi soddisfatta qualora il soggetto acquirente, operante nel medesimo settore merceologico della società dotata delle perdite si limiti ad un potenziamento della vecchia attività d’impresa, apportando esclusivamente risorse finanziarie, senza modificare il core business di detta società.
[7] In tal senso cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffré Editore, ed. 2010, tomo I, pag. 1449.
[8] Nella succitata relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 358/1997, si legge che “non vale la pena di penalizzare il trasferimento di partecipazioni ove il contenuto della società ceduta feslimoni la sua persistente vivacità e che, quindi, non di bara si tratta bensì di attività economica momentaneamente operante in ciclo negativo”.
[9] Va detto che la dottrina maggioritaria ha sostenuto la inidoneità di tali parametri economici a segnalare lo stato di decozione della società che riporta le perdite. Cfr., ad esempio, R. Michelutti, Riflessioni a margine della nuova disciplina in tema di riporto delle perdite, in “Riv. Dir. Trib.”, 1998,1, pag. 659.
[10] In tal senso l’Amministrazione finanziaria, nella già citata circolare n. 320/E del 19 dicembre 1997.
[11] Si vedano, in particolare, le risoluzioni 29 ottobre 2002 n 337/E e 10 aprile 2008, n. 143/E, entrambe in banca dati “fisconline”