Il trattamento delle sanzioni amministrative nella determinazione del reddito d'impresa: le diverse posizioni a confronto
di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 36 - 1 ottobre 2012
La mancanza di una disciplina tributaria specifica in merito al trattamento da riservare alle sanzioni amministrative, in sede di determinazione del reddito d'impresa, ha comportato la prassi costante degli Uffici finanziari di considerare tali oneri sempre e comunque estranei all'attività aziendale, in quanto conseguenza di comportamenti illeciti dell'imprenditore, e perciò interamente indeducibili. Anche la giurisprudenza, specie quella di legittimità, è ormai prevalentemente orientata nel senso di negare la sussistenza di qualsiasi nesso di inerenza fra le sanzioni pecuniarie e la produzione del reddito d'impresa, mentre la dottrina, al contrario, è spesso pervenuta a conclusioni favorevoli alla deducibilità di tale tipologia di costi.
1. Premessa
Capita sovente che l'impresa sia chiamata a corrispondere delle somme di danaro a titolo di sanzione amministrativa, ovvero somme dovute non a fronte dell'acquisto di fattori produttivi (beni o servizi), bensì a causa di infrazioni commesse nello svolgimento dell'attività aziendale, quali, ad esempio, trasgressioni di norme tributarie, illeciti valutari o di tipo finanziario, violazioni del codice della strada, inosservanza delle norme in materia di tutela della concorrenza, eccetera.
Tali penalità assolvono evidentemente la funzione di punire l'autore dell'illecito amministrativo, rappresentando la reazione dell'ordinamento giuridico alla violazione di norme poste a tutela di interessi pubblici affidati alle cure della Pubblica Amministrazione. Anche le sanzioni amministrative, dunque, al pari di quelle penali, hanno una valenza essenzialmente afflittiva, oltre che di deterrenza; peraltro da quest'ultime si distinguono per molteplici aspetti: non sono sottoposte al regime costituzionale e non sono reputate diminutive della dignità della persona e quindi socialmente squalificanti; inoltre, non incidono sul godimento dei diritti politici del trasgressore, possono colpire anche le persone giuridiche e non vengono registrate nel casellario giudiziario.
Tanto premesso, con il presente articolo si intende fare il punto sulla annosa, ma mai assopita, questione del corretto trattamento fiscale applicabile alle sanzioni amministrative pecuniarie ai fini della determinazione del reddito d'impresa. Il tema è alquanto complesso, anche perché il panorama delle sanzioni che possono essere irrogate al contribuente/imprenditore è piuttosto variegato.
Come vedremo, mentre nella giurisprudenza di merito, così come in dottrina, si ravvisano opinioni discordanti sulla suscettibilità delle sanzioni pecuniarie a concorrere (come componenti negativi) alla determinazione del reddito imponibile, fra i Giudici di legittimità e l'Amministrazione finanziaria esiste invece, ormai da tempo, una tendenziale unità di vedute: qualsiasi tipo di sanzione amministrativa, a prescindere dalla natura e dalla causa generatrice della stessa, è indeducibile dal reddito d'impresa, principalmente in considerazione della finalità punitiva che ne caratterizza l'irrogazione.
2. Aspetti contabili
Prima di esaminare la questione inerente alla deducibilità fiscale dei costi affrontati dall'impresa a titolo sanzionatorio, appare opportuno svolgere qualche breve considerazione in merito alla loro corretta esposizione in bilancio. Al riguardo, si osserva come sia sempre necessario verificare se gli oneri in commento siano riconducibili all'alveo della gestione ordinaria oppure straordinaria dell'impresa. La questione non è affatto irrilevante sotto il profilo tributario. Infatti, considerato che, in generale, i componenti straordinari del reddito d'impresa non concorrono a formare la base imponibile Irap1, laddove si reputasse corretto dedurre una sanzione amministrativa ai fini delle impòste sui redditi (in ragione della sussistenza del requisito di inerenza all'attività imprenditoriale), la medesima sanzione, ove allocata nella sezione straordinaria del Conto economico (macroclasse E), anziché fra gli oneri diversi di gestione (voce B14), resterebbe comunque indeducibile ai fini dell'anzidetta imposta regionale. Poiché la normativa civilistica in materia di bilancio tace sul contenuto della voce "proventi e oneri straordinari" del Conto economico, ai fini della identificazione di tali elementi reddituali occorre fare riferimento ai principi contabili nazionali, i quali precisano che l'aggettivo "straordinario" deve intendersi non riferito all'eccezionalità o anormalità dell'evento, bensì all'estraneità della fonte del provento o dell'onere all'attività ordinaria dell'impresa. Più precisamente, il Principio contabile n. 29 individua le seguènti caratteristiche che devono contemporaneamente sussistere per poter qualificare come "straordinario" un fatto economico inerente l'attività aziendale:
a) casualità, accidentalità e sporadicità dell'evento;
b) estraneità della fonte dell'onere rispetto all'attività ordinaria.
Pertanto, un costo, ancorché non ricorrente, ossia accidentale e insolito, ha comunque natura ordinaria se connesso alla normale attività dell'impresa. Per questo motivo, ad esempio, parte della dottrina2 ha sostenuto che le sanzioni antitrust trovano corretta collocazione nell'area ordinaria dello schema di Conto economico, trattandosi di oneri sorti dallo svolgimento dell'attività tipica dell'impresa. Trovano, invece, allocazione nella voce E21 del Conto economico le sanzioni connesse a imposte di esercizi precedenti nonché gli oneri sostenuti per multe, ammende e penalità caratterizzate dalla non ricorrenza nel tempo, dalla imprevedibilità e dall'estraneità alla ordinaria attività d'impresa3.
Va altresì aggiunto che, in caso di sanzioni non ancora comminate, ma di probabile o certa irrogazione e delle quali, alla chiusura dell'esercizio, non si conosca ancora l'esatto ammontare, l'impresa, in sede di redazione delle scritture di assestamento, è tenuta ad accantonare in un apposito fondo rischi le somme presumibilmente dovute a titolo sanzionatorio, per poi utilizzare tale fondo al momento dell'effettiva corresponsione della sanzione.
3. La posizione dell'Amministrazione finanziaria
Il tema della deducibilità delle sanzioni amministrative è stato ufficialmente affrontato, per la prima volta, dall'Amministrazione finanziaria 4 con riferimento al caso specifico delle sanzioni antitrust, ossia le sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza (sulle quali torneremo diffusamente più avanti). In particolare, dopo aver rilevato come il problema del trattamento fiscale di tale tipologia di sanzioni si ponga negli stessi termini delle altre sanzioni amministrative pecuniarie riferibili all'impresa, l'Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, in generale, la rilevanza tributaria degli oneri san-zionatori nell'ambito della determinazione del reddito d'impresa deve essere risolutamente e. schisa, in quanto il rapporto di correlazione fra costo e produzione del reddito - che costituisce il presupposto fondamentale per poter operare la deduzione dei costi e delle spese - non sarebbe mai riscontrabile con riguardo a quegli oneri costituiti dal pagamento di sanzioni comminate per punire comportamenti illeciti del contribuente. Dunque, pur trattando di un problema specifico (quello delle sanzioni irrogate dall'Antitrust), i tecnici del Fisco hanno affermato un principio di portata ben più generale, in base al quale gli oneri sanzionatori aventi natura afflittiva sono da considerarsi non inerenti all'attività d'impresa in ragione delle loro caratteristiche intrinseche.
Allo stesso modo, nella circ. 20 giugno 2002, n. 55/E5, anche se con riferimento al reddito di lavoro autonomo (ma la conclusione è evidentemente estensibile, per analogia, al reddito d'impresa), l'Agenzia delle Entrate ha sostenuto l'indeducibilità dei costi in questione, in quanto si tratterebbe di esborsi che non possono essere considerati funzionali alla produzione del reddito.
Infine, l'Amministrazione finanziaria è tornata sull'argomento de quo con la successiva circ. 26 settembre 2005, n. 42/E6, rimarcando che, in generale, le sanzioni mancano di qualunque nesso funzionale con l'attività aziendale, rispondendo per definizione ad una finalità extraimprenditoriale che è quella repressiva e preventiva del comportamento illecito.
4. Gli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina
Occorre dire che la giurisprudenza non ha mai manifestato un atteggiamento granché favorevole rispetto alla possibilità di considerare le sanzioni amministrative come oneri inerenti alla produzione del reddito e quindi deducibili.
Anzi, secondo un filone giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato, la deducibilità degli oneri in questione deve essere sempre esclusa per carenza del requisito dell'inerenza, a nulla rilevando la mancata previsione normativa di uno specifico regime di indeducibilità fiscale. In particolare, nella sentenza della Cassazione 3 marzo 2010, n. 50507 (emessa, come si vedrà fra breve, con specifico riferimento al caso delle citate sanzioni antitrust), viene rilevato come la deducibilità delle sanzioni non possa, in generale, essere ammessa in quanto le stesse, essendo irrogate in relazione ad un esercizio non corretto dell'attività d'impresa, hanno - come già evidenziato - una funzione punitivo-re-pressiva ed affermare la loro deducibilità significherebbe, ad avviso dei Supremi Giudici, sminuire significativamente tale funzione.
Per contro, certa parte della dottrina8, in assenza di un divieto normativo espresso, propende per la deducibilità delle sanzioni amministrative dal reddito d'impresa, sottolineando, peraltro, la necessità di verificare, caso per caso, la sussistenza de] requisito dell'inerenza all'attività imprenditoriale e, più specificamente, alla produzione dell'utile, ed escludendo, comunque, la possibilità di dedurre le sanzioni per violazioni tributarie, rappresentando quest'ultime la conseguenza di illeciti compiuti dall'imprenditore in veste di contribuente e non nello svolgimento dell'attività aziendale. Sintetizzando, si può dire che la tesi della deducibilità fiscale delle sanzioni amministrative poggia sostanzialmente sulle seguenti argomentazioni:
• nessuna norma fiscale prevede espressamente l'indeducibilità delle sanzioni dal reddito d'impresa;
• in mancanza di una disciplina specifica, il trattamento fiscale delle sanzioni deve essere valutato alla luce dei principi generali sui
componenti del reddito d'impresa ex art. 109 del Tuir, primo fra tutti quello di inerenza, cosicché le sanzioni dovute dall'imprenditore per illeciti amministrativi commessi nell'esercizio dell'impresa rappresentano oneri deducibili se riferibili, anche indirettamente, ai ricavi d'esercizio; • la pretesa irrilevanza fiscale delle sanzioni comporterebbe un aggravio delle stesse, da momento che l'impresa verrebbe colpita due volte: una prima volta, direttamente, mediante la comminazione dalla sanzione amministrativa prevista per l'illecito compiuto; una seconda volta, in modo indiretto, per via della asserita indeducibilità della sanzione stessa.
Per contro, i sostenitori della indeducibilità
delle sanzioni amministrative9 fondano la propria tesi sulla natura afflittiva delle sanzioni in genere e sulla circostanza che trattasi di oneri non inerenti all'attività d'impresa, in virtù della considerazione che gli stessi sono l'effetto del comportamento illecito dell'imprenditore e non la causa, donde l'impossibilità di configurare un rapporto di causa/effetto fra il pagamento della sanzione e i ricavi conseguiti e tassati.
5. Analisi di alcune fattispecie
5.1. Sanzioni antitrust
Negli ultimi anni, il dibattito sulla deducibilità dal reddito d'impresa delle sanzioni amministrative si è concentrato soprattutto sulle cosiddette sanzioni antitrust di cui alla L. 10 ottobre 1990,^ n. 287, ovvero sulle sanzioni pecuniarie che l'Autorità garante del mercato e della concorrenza commina qualora, a seguito di apposita istruttoria, riscontri comportamenti (come, ad esempio, intese restrittive della libertà di concorrenza o abusi di posizione dominante) che compromettono e limitano l'altrui diritto di iniziativa economica tutelato dall'art. 41 della Costituzione, falsando o restringendo il gioco della concorrenza sul mercato.
Come si è già avuto modo di ricordare, la problematica è stata affrontata, per la prima volta, dall'Amministrazione finanziaria con la richiamata circ. 17 maggio 2000, n. 98, in cui è stata negata la possibilità di dedurre dal reddito d'impresa le suddette sanzioni, in quanto le stesse, essendo conseguenza di un contegno illecito, non soddisferebbero - ad avviso dei tecnici delle Entrate - il requisito dell'inerenza all'attività d'impresa.
La stessa Amministrazione finanziaria è poi tornata a pronunciarsi sul tema in commento con la già citata ris. 12 giugno 2001, n. 89/E, ribadendo la tesi della irrilevanza fiscale delle sanzioni comminate alle imprese che, dolosamente o colposamente, trasgrediscono le norme sulla tutela della concorrenza e adducendo, a suffragio di tale orientamento, la circostanza che - come evidenziato anche dal Consiglio di Stato, sezione VI, nel parere n. 1671 del 20 marzo 2001 - si tratterebbe di pene pecuniarie connotate da una funzione afflittiva e non risarcitoria.
Sulla stessa posizione dell'Agenzia delle Entrate si è ormai schierata anche la prevalente giurisprudenza di legittimità. In particolare, l'ultima importante pronuncia della Cassazione sul trattamento delle sanzioni per pratiche anticoncorrenziali è quella contenuta nella sent. 11 aprile 2011, n. 813510, in cui la Suprema Corte, attraverso un percorso motivazionale alquanto articolato, giunge alla conclusione che le predette sanzioni, al pari di ogni altra sanzione amministrativa pecuniaria, non possono essere dedotte ai fini della determinazione del reddito d'impresa.
Nello specifico, i Giudici di piazza Cavour, dopo aver sottolineato che un costo può considerarsi inerente all'attività d'impresa se e soltanto se lo stesso sia funzionale alla produzione di reddito, hanno affermato che le sanzioni antitrust, in ragione del loro prevalente carattere punitivo ed afflittivo, si configurano come costi che non nascono nell'impresa, "ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale". Inoltre, sempre secondo la Suprvema Corte, la deducibilità delle sanzioni in oggetto rappresenterebbe un fatto idoneo a ridurre in maniera significativa la valenza punitiva e repressiva delle sanzioni medesime, atteso che, mediante la loro deduzione, si potrebbe ottenere un risparmio d'imposta che finirebbe per compensare, sia pure parzialmente, il peso delle sanzioni irrogate.
La summenzionata sentenza della Corte di Cassazione consolida, quindi, l'orientamento espresso in precedenza dalla medesima Corte, con le pronunce 12 gennaio 2011, n. 60011 e 3 marzo 2010, n. 5050, le quali negano la deduzione dei componenti negativi in parola; escludendo che per gli stessi possano sussistere condizioni peculiari tali da permettere di derogare ai principi generali seguiti per sostenere il difetto di inerenza con riguardo alle altre tipologie di sanzioni amministrative. In particolare, nell'ultima sentenza citata, i Supremi Giudici avevano svolto, fra le altre, le seguenti considerazioni:
• le sanzioni antitrust non possono qualificarsi come "fattore della produzione" del reddito d'impresa e quindi come onere deducibile, perché derivano da un comportamento che, in quanto antigiuridico, rimane avulso dall'esercizio dell'attività aziendale;
• la modalità di determinazione della sanzione commisurata ai ricavi del soggetto trasgressore (nei limiti della soglia del dieci per cento) non rappresenta una circostanza idonea a giustificare un legame con il reddito imponibile del periodo d'imposta considerato o di quelli successivi 12;
• il riconoscimento della deducibilità della sanzione equivarrebbe alla sterilizzazione dell'efficacia punitiva della stessa.
Più ondivago risulta, invece, l'orientamento della giurisprudenza di merito, la quale talvolta ha sostenuto l'impossibilità di dedurre dal reddito d'impresa le sanzioni in argomento, adducendo sostanzialmente le stesse argomentazioni della Cassazione; talaltra si è invece pronunciata a favore della loro deducibilità13, evidenziando, in particolare, che le sanzioni in esame assolvono una funzione risarcitoria e ripristinatoria dell'equilibrio economico violato e, in quanto tali, devono considerarsi inerenti ex art. 109 del Tuir.
Particolarmente significativa è, sotto questo profilo, la citata sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano 28 ottobre 2010, n. 427, in quanto trattasi di una pronuncia intervenuta successivamente alla summenzionata sent. n. 5050/2010 della Cassazione, che - come detto - ha invece escluso la deducibilità fiscale degli oneri in commento.
Partendo dalla constatazione che, non essendovi nel Tuir alcuna norma che fissi né la deducibilità né la indeducibilità delle sanzioni antitrust, occorre giuridicamente rifarsi alle norme generali stabilite dal medesimo testo unico in tema di reddito d'impresa e, soprattutto, al principio di inerenza ex art. 109, i Giudici milanesi hanno sostenuto la rilevanza, come componente negativo di reddito, delle predette sanzioni, rilevando, in primo luogo, come le stesse non abbiano affatto una funzione afflittiva, bensì ripristinatoria della situazione di concorrenzialità che vi sarebbe stata se non fossero state violate le norme sulla concorrenza; e in secondo luogo, sottolineando il loro collegamento diretto con la gestione aziendale, essendo irrogate a fronte di comportamenti diretti a produrre maggiori ricavi per l'impresa, ancorché in modo illecito. Da ultimo, nella medesima pronuncia, i Giudici meneghini hanno osservato che il mancato riconoscimento della rilevanza fiscale delle sanzioni in parola comporterebbe una sostanziale violazione del principio di capacità contributiva, atteso che si addiverrebbe, in tal modo, alla tassazione di un maggior reddito imponibile rispetto alla effettiva attitudine contributiva dell'impresa, attitudine che è certamente affievolita dalle sanzioni subite.
Va poi detto che a favore della deducibilità delle sanzioni antitrust si è schierata anche la più qualificata dottrina14. Al riguardo ricordiamo che, in base alla Norma di comportamento n. 138' dell'Associazione Dottori Commercialisti di Milano, le sanzioni antitrust sono deducibili nella determinazione del reddito d'impresa in quanto le infrazioni che le originano si manifestano nell'ambito dell'attività imprenditoriale e normalmente comportano il conseguimento di maggiori ricavi rispetto a quelli realizzabili in assenza del comportamento lesivo sanzionato. In sostanza, secondo la citata Norma n. 138, le sanzioni antitrust devono essere ammesse in deduzione dal reddito d'impresa perché rappresentano oneri sostenuti per la produzione del reddito medesimo. Infatti, la loro funzione è quella di ricondurre il mercato a condizioni di maggiore equità, sottraendo all'impresa, attraverso il pagamento della penalità, i ricavi conseguiti in violazione della libera concorrenza. A sostegno di siffatte argomentazioni si è sostanzialmente pronunciata anche Assonime nella circ. 24 maggio 2000, n. 39, in cui viene affermato come sia difficile negare che le sanzioni in parola presentino comunque un collegamento con la gestione aziendale, ferma restando la necessità di valutare caso per caso la correlazione delle stesse con la produzione dell'utile.
Deducibilità delle sanzioni antitrust
Posizioni favorevoli |
In giurisprudenza di merito, fra le altre: - Comm. trib. prov. di Milano, sent. n. 78 del 2 marzo 2011; - Comm. trib. prov. di Milano, sent. n. 427 del 28 ottobre 2010; - Comm. trib. prov. di Milano, sent. n. 370 del 4 aprile 2001; - Comm. trib. prov. di Matera, sent. n. 437 del 4 ottobre 2001. In dottrina, fra gli altri: - Associazione Dottori Commercialisti di Milano, Norma di comportamento 9 aprile 1999, n. 138 - Assonime, circ. 24 maggio 2000, n. 39. |
Amministrazione finanziaria: - circ. min. n. 98/E del 17 maggio 2000; - ris. dell'Agenzia delle Entrate n. 89/E del 12 giugno 2001. |
|
Posizioni contrarie |
In giurisprudenza di legittimità, fra le altre: - sent. Cassazione n. 8135 dell' 11 aprile 2011; - sent. Cassazione n. 5050 del 3 marzo 2010. In giurisprudenza di merito, fra le altre: - Comm. trib. reg. di Torino, sentt. n' 7 del 14 gennaio 2009 e n. 37 del 24 marzo 2009 - Comm. trib. prov. di Firenze, sent. n. 45 del 7 aprile 2006; - Comm. trib. reg. della Lombardia, sentt. n. 10 del 25 giugno 2004 e n 17 del 31 maggio 2004. |
5.2. Contravvenzioni al codice della strada
Sempre in tema di sanzioni amministrative, altra problematica degna di nota è quella concernente il trattamento fiscale delle sanzioni irrogate a fronte di infrazioni alle norme sulla circolazione stradale. La questione che si pone in riferimento alla loro deducibilità assume una particolare rilevanza per quelle imprese in cui il costo rappresentato da dette sanzioni può essere di ammontare non trascurabile (basti pensare agli autotrasportatori o agli agenti e rappresentanti di commercio).
Al riguardo, va detto che l'innegabile funzione punitiva che connota le sanzioni in esame ha indotto la dottrina assolutamente prevalente a disconoscere la loro rilevanza come componenti negativi deducibili dal reddito d'impresa. Tale posizione dottrinale è d'altronde in linea con la giurisprudenza della Cassazione. In particolare, con la sent. 29 maggio 2000, n. 707115, la Suprema Corte ha stabilito che tali sanzioni non sono deducibili dal reddito d'impresa, in quanto la correlazione fra costo e produzione del reddito è da escludere, in linea di principio, con riferimento a quei costi rappresentanti dal pagamento di sanzioni per comportamenti illeciti del contribuente. Le motivazioni addotte dai giudici Ermellini a suffragio del proprio indirizzo interpretativo sullo specifico argomento della sanzioni stradali non sono dissimili, dunque, da quelle poste a fondamento della generale indeducibilità delle sanzioni pecuniarie: anche in questo caso si eccepisce il difetto di inerenza all'attività d'impresa, che sarebbe riscontrabile con riguardo ad ogni onere derivante da un comportamento illecito, ancorché tenuto nell'ambito dell'impresa stessa.
Tuttavia, in dottrina non mancano opinioni di tenore contrario. In senso positivo circa la deducibilità delle sanzioni per infrazioni stradali si è espressa, ad esempio, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con il parere n. 1 del 19 gennaio 20IO16, in riferimento al caso di un autotrasportatore, imprenditore individuale, al quale, in occasione di un grave incidente stradale, era stato sequestrato il mezzo ed elevata una contravvenzione. Al riguardo, la citata dottrina ha osservato che così come è pacifica la deduzione degli oneri di dissequestro dell'automezzo e del maggior premio assicurativo dovuto alla penale applicata dalla compagnia assicurativa, "non si comprende perché non debba essere deducibile anche la contravvenzione che è una delle componenti relative all'intera vicenda nella quale è evidente che l'uso del mezzo di trasporto è avvenuto nell'ambito dell'attività d'impresa ordinariamente esercitata dall'imprenditore".
Altra dottrina17, dopo avere evidenziato come l'inerenza all'attività d'impresa delle contravvenzioni al codice delle strada diventi persino lampante in tutti quei casi in cui esse si riferiscano a beni strumentali, come sono gli autoveicoli utilizzati per fornire, produrre, commercializzare e, quindi, per svolgere l'attività d'impresa, ha giustamente rilevato che, anche per le contravvenzioni, vanno comunque applicati i limiti di deducibilità dei costi afferenti gli automezzi stabiliti dall'art. 164 del Tuir.
5.3. Penalità contrattuali
I presupposti per eccepire l'assenza del requisito di inerenza, prospettabile, secondo l'orientamento prevalente, con riguardo al pagamento delle sanzioni amministrative irrogate a fronte di comportamenti illeciti del contribuente, non sono stati ritenuti sussistenti con riferimento all'ipotesi delle penalità contrattuali. Infatti, con la sent. n. 19702 del 28 giugno 2011, depositata il 27 settembre 201118, la Corte di Cassazione ha stabilito che le somme versate a titolo di penalità per il ritardo nell'adempimento o in caso di inadempimento contrattuale sono, in generale, deducibili ai fini della determinazione del reddito d'impresa, in quanto inerenti all'attività aziendale.
A tale proposito è utile rammentare che, in base all'art. 1382, comma 1, del codice civile, "la clausola con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore". A detta disposizione deve essere ricondotta, ad esempio, la clausola, spesso contenuta nei contratti di vendita, che prevede una penalità a carico del fornitore che effettui la consegna della merce in ritardo rispetto alla data concordata nel contratto. Tale clausola, come evidenziato dalla Suprema Corte nella sentenza dinnanzi richiamata, rappresenta un patto accessorio del contratto che svolge sia la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale fra le parti, ovverò di coercizione all'adempimento, sia quella di determinare, in via preventiva e consensuale, la misura del risarcimento in caso di inosservanza degli obblighi contrattuali. Pertanto, ad avviso della Cassazione, la clausola in questione non è connotata da una finalità sanzionatoria o punitiva e, quindi, le somme dovute in sua dipendenza non possono in alcun modo essere equiparate alle sanzioni comminate dall'Autorità amministrativa per punire comportamenti illeciti dell'imprenditore. I Giudici Ermellini hanno altresì sottolineato che, diversamente dal comportamento illecito sanzionato in via amministrativa - il quale non può mai essere ricondotto ad un'attività inerente all'impresa, ponendosi, per sua natura, al di fuori della medesima - l'inadempimento contrattuale, le cui conseguenze siano disciplinate preventivamente e consensualmente dai contraenti, non spezza il nesso di inerenza fra l'operazione economica e l'attività dell'impresa ma, anzi, rappresenta una evoluzione delle vicende contrattuali riconducibile alla dinamica della stessa attività d'impresa.
Orientamento della Cassazione sul trattamento di alcune fattispecie sanzionatorie
Sanzioni antitrust |
Si tratta di sanzioni aventi natura e finalità punitiva e afflittiva e, in quanto tali, la loro deducibilità dal reddito d'impresa è da escludersi per difetto di inerenza. |
Sanzioni per infrazioni stradali |
Non possono essere dedotte in quanto la correlazione di un onere con la produzione del reddito d'impresa deve essere sempre esclusa quando, come nel caso di specie, si tratta di una sanzione irrogata per punire un comportamento illecito. |
Penalità contrattuali |
Sono costi inerenti all'attività d'impresa. Nello specifico, si tratta di sopravvenienze passive deducibili in sede di determinazione del reddito d'impresa del periodo d'imposta in cui è commessa la violazione, a norma dell'art. 101, comma 4, del Tuir. |
6. Istanza di rimborso per evitare sanzioni
L'analisi che precede ha messo in evidenza come il trattamento degli oneri sanzionatori nell'ambito del reddito d'impresa sia una questione di non facile soluzione, anche per via della molteplicità di sanzioni che possono essere comminate all'imprenditore. Peraltro, alla luce soprattutto degli ultimi pronunciamenti della giurisprudenza di legittimità, la tesi della deducibilità dal reddito imprenditoriale delle sanzioni amministrative pecuniarie appare fortemente compromessa e, stante anche l'inequivoca prassi ministeriale in materia, si deve ritenere che non siano nemmeno invocabili le disposizioni di cui agli artt. 6, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e 10, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente), che escludono l'applicabilità delle sanzioni per violazioni tributarie in presenza di condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della normativa fiscale. In un'ottica prudenziale, sembra allora opportuno uniformarsi, in sede di dichiarazione dei redditi, all'indirizzo interpretativo dell'Amministrazione finanziaria, non deducendo dal reddito d'impresa gli oneri sanzionatori, e poi presentare eventualmente, con le modalità e nei termini previsti dall'art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, un'istanza di rimborso delle imposte versate in eccesso per effetto della ripresa fiscale in aumento corrispondente all'ammontare delle sanzioni.
Anche se la presentazione di tale istanza può dare luogo a un contenzioso, derivante dal rifiuto, espresso o tacito, dell'Agenzia delle Entrate di restituire le maggiori imposte connesse all'esclusione delle sanzioni dal computo reddituale, il contribuente istante non rischia l'applicazione della sanzione amministrativa per dichiarazione infedele prevista dall'art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 471/1997 nella misura che varia dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta o del minore credito spettante. Sanzione che invece, in ipotesi di accertamento, verrebbe senz'altro applicata dall'Agenzia delle Entrate, laddove il contribuente decidesse di non operare alcuna variazione fiscale in aumento in relazione agli importi pagati a titolo di sanzionatorio.
E, alla luce di quanto sopra esposto, un eventuale ricorso avverso l'avviso di rettifica dell'Ufficio avrebbe scarse possibilità di essere accolto dalle Corti di merito e la certezza di essere rigettato dalla Cassazione, la quale, come s'è visto, non si è mai pronunciata a favore della tesi della deducibilità delle sanzioni aventi carattere afflittivo e non risarcitorio.
7. Riflessioni conclusive
In conclusione, ci sia consentito di esprimere alcune critiche all'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che, in maniera indiscriminata e pregiudizievole, nega la possibilità di scomputare dal reddito d'impresa qualsivoglia somma pagata a titolo di sanzione amministrativa. Se è vero che nella normativa tributaria vigente manca, come abbiamo più volte sottolineato, una disciplina specifica circa il trattamento delle sanzioni, ciò non deve portare ad affrontare la questione della deducibilità di codesti esborsi in modo differente da come verrebbe trattato un qualunque altro onere sostenuto nell'esercizio dell'attività aziendale. Intendiamo dire che l'inerenza (fiscale) delle sanzioni pecuniarie all'attività d'impresa non deve essere esclusa a priori, sulla base di argomentazioni etico-moralistiche, dovendosi sempre svolgere, a nostro avviso, un'indagine sul collegamento all'esercizio dell'impresa dell'evento che ha generato l'onere sanzionatorio. Quando le sanzioni si configurano come oneri conseguenti ad atti incardinati nel programma economico dell'impresa, nel senso che derivano da eventi che hanno origine nell'attività economica stessa dell'impresa, appare corretto sostenerne la deducibilità, perché la loro espunzione dalla base imponibile condurrebbe ad una misurazione alterata del reddito, la quale sfocerebbe in una violazione del principio di capacità contributiva, per via della tassazione di un reddito parzialmente inesistente.
E sempre necessario, invece, tassare "il reddito effettivo prodotto dall'impresa, senza esprimere giudizi morali circa la meritevolezza delle componenti positive e negative che concorrono a formarlo. Del resto, nell'ambito della disciplina del reddito d'impresa, non vi è alcuna norma che imponga di valutare la deducibilità degli oneri sanzionatori secondo un concetto di inerenza più restrittivo rispetto a quello ordinariamente riconosciuto; e soprattutto, dal dato normativo, non sembra potersi desumere una funzione "moralizzatrice" del principio di inerenza che impedisca di considerare indeducibili i costi conseguenti a comportamenti antigiuridici. La neutralità, sotto il profilo etico, della normativa tributaria è fra l'altro confermata dalla circostanza che risultano tassabili anche i proventi derivanti da fatti o atti illeciti e che, inibendo espressamente la deducibilità dei costi direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi (delitti non colposi)19, il legislatore ha lasciato implicitamente intendere che possono essere dedotti, ad esempio, le spese derivanti da condotte qualificabili come illeciti civili o amministrativi.
Per questo si fatica a comprendere il fondamento giuridico della preclusione generale operata dalla Corte di Cassazione in ordine alla rilevanza fiscale delle sanzioni amministrative. Ad avviso di chi scrive, non tutte le sanzioni sono indeducibili e, nondimeno, non tutte le sanzioni possono essere dedotte dal reddito d'impresa. Occorre verificare, caso per caso, se il comportamento illecito, legittimamente sanzionato, abbia concorso oppure no alla realizzazione di ricavi o altri proventi imponibili, e quando l'inerenza all'attività che ha prodotto (o che produrrà) i ricavi è inconfutabile e sono altresì soddisfatti gli altri presupposti fissati dal Tuir in ordine alla competenza, alla certezza e alla oggettiva determinabilità, la soluzione dovrebbe essere quella della piena deducibilità delle somme versate a titolo di sanzione amministrativa. Così, ad esempio, è condivisibile l'orientamento che nega la deducibilità delle sanzioni relative alle imposte sui redditi, perché, come osservato da Assonime nella già richiamata circolare n. 39/2000, trattasi di sanzioni che, al pari delle imposte evase cui esse accedono, rappresentano una "vicenda giuridica a valle della formazione del reddito", mentre appare quanto meno arduo sostenere il difetto di inerenza all'attività d'impresa con riferimento, ad esempio, alle sanzioni corrisposte per violazioni delle disposizioni sulla concorrenza, atteso che si tratta indiscutibilmente di violazioni compiute in funzione di accrescere la capacità dell'impresa di realizzare ricavi; così come appare difficile sostenere la mancanza di inerenza con riguardo alle sanzioni per infrazioni stradali commesse da un rappresentante di commercio per il quale l'autoveicolo utilizzato per recarsi dai clienti rappresenta, se così possiamo dire, il suo bene "più inerente" all'attività esercitata.
1 In proposito si ricorda che, per i soggetti Ires nonché per le imprese individuali e le società di persone, in contabilità ordinaria, che esercitano l'opzione ex art. 5-b/s, comma 2, del D.Lgs. n. 446/1997, la base imponibile Irap è determinata dalla differenza fra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell'art. 2425 del codice civile, con esclusione di alcune voci (B9-costi del personale, Bl Oc-altre svalutazioni delle immobilizzazioni, BICd -svalutazione dei crediti compresi nell'attivo circolante e delle disponibilità liquide, B12 - accantonamenti per ri schi e B13-altri accantonamenti).
2 Cfr., ad esempio, Assonime, nella circ. n. 34 del 31 luglio 2009)
3 In tal senso il Documento interpretativo n. 1 del Principio contabile n. 12.
4 Si vedano la ris. 12 giugno 2001, n. 89/E e la circ. 17 maggio 2000, n. 98/E, entrambe in banca dati Fisconline .
5 In banca dati "'Fisconline".
6 In banca dati "'Fisconline".
7 In "il fisco' n. 12/2010, fascicolo n. 1, pag. 1864, con commento di P. Turis.
8 Cfr., fra gli altri, F. Buscaroli, La deducibilità delle sanzioni dal reddito di impresa, in "Rassegna Tributaria" n. 3/2003, pag. 918. Si veda, inoltre, la Norma di comportamento n. 41/1978 dell'Associazione Dottori Commercialisti di Milano.
9 Cfr., fra gli altri, S. Capolupo, L'indeducibilità delle sanzioni pecuniarie dal reddito d'impresa, in "il fìsco n. 3/2005, fascicolo 1, pag. 317; G. Antico-C. Giudice, L'indeducibilità fiscale delle sanzioni amministrative, in "il fi, scó n. 21/2009, fascicolo n. 1, pag. 3409.
10 In banca dati "fisconline . Per una analisi della sentenza si veda, fra gli altri, A. Borgoglio, Le sanzioni antitrust comminate dalla Comunità europea sono indeducibili, in "il fisco' n. 21/2011, fascicolo n. 2, pag. 3406.
11 In banca dati "fisconline .
12 A tale proposito è utile rammentare che, in base all'art. 15 della citata L. n. 287/1990, nei casi di infrazioni gravi agli artt. 2 e 3 della medesima legge, è disposta l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della diffida relativamente ai prodotti oggetto dell'intesa restrittiva della concorrenza o dell'abuso di posizione dominante.
13 Cfr., per esempio, le recenti sentenze della Comm. trib. prov. di Milano 2 marzo 2011, n. 78 e 28 ottobre 2010, n. 427, nonché la sentenza della Comm. trib. prov. di Matera 4 ottobre 2001, n. 437, tutte consultabili in banca dati "fisconline".
14 Cfr., fra gli altri, G. Zizzo, Condotte illecite e formazione della materia imponibile: il caso delle sanzioni antitrust, in "Rassegna Tributaria" n. 2/2010, pag. 528; M. Beghin, La deducibilità delle sanzioni "antitrust" nella prospettiva della corretta misurazione del reddito d'impresa, in "Rivista di Giurisprudenza Tributaria" n. 6/2011, pag. 522.
1 5 In banca dati "fisconline .
1 6 In banca dati "fisconline .
1 7 S. Fiaccadori, Le contravvenzioni al codice della strada nel reddito d'impresa, in "il fìsco' n. 38/2005, fascicolo n. l,pag. 5969.
1 8 In "il fìsco' n. 38/2011, fascicolo n. 1, pag. 6220, con commento di P. Turis. Si veda, inoltre, F. Dezzani-L. Dezzani, Penalità per ritardata consegna ai clienti: deducibilità, in "ilfìsco' n. 39/2011, fascicolo n. 1, pag. 6313.
19 Cfr., a tale riguardo, l'art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537/1993, come modificato dall'art. 8 del D.L. n. 16/2012, convertito dalla L. n. 44/2012.