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>> Anno 2012

Il decreto "semplificazioni fiscali" restringe l'area di indeducibilità dei costi da reato

di Maurizio Zanni e Giuseppe Rebecca
Il Fisco, N. 26 - 25 giugno 2012

Con il D.L. n. 16/2012 - convertito con modi­ficazioni dalia L. n. 44/2012 - il legislatore è opportunamente intervenuto sulla disciplina della indeducibilità dei costi da reato, rifor­mulando l'art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537/1993, nel lodevole intento di risolvere le numerose incertezze interpretative emerse sin dalla prima lettura della norma. In partico­lare, la novella legislativa va a restringere no­tevolmente l'area di indeducibilità dei predet­ti costi, richiamando non più ogni componen­te negativo di reddito genericamente ricon­ducibile a una condotta penalmente rilevante, ma soltanto i costi e le spese afferenti a beni o servizi direttamente utilizzati per commette­re delitti non colposi per i quali sia stata eser­citata l'azione penale o, comunque, il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio o la sentenza di non luogo a procedere per in­tervenuta prescrizione del reato.

1. Premessa

Negli ultimi anni il tema del trattamento fiscale dei cosiddetti costi da reato ha assunto una notevole importanza a seguito di una intransi­gente, quanto discutibile, applicazione, da parte dell'Amministrazione finanziaria, della norma di cui all'art. 14, comma 4-bis, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, che, nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dal D.L. 2 marzo 2012, n. 161, sanciva l'indeducibilità, ai fini della de­terminazione dei redditi, di ogni componente negativo riconducibile, in qualunque modo, ad attività penalmente illecite. La richiamata disposizione normativa - aggiunta nell'impianto della L. n. 537 dall'art. 2, comma 8, della L. 27 dicembre 2002, n. 289 (Finanziaria 2003) - è andata a completare il quadro normati­vo concernente il trattamento, ai fini delle impo­ste dirette, delle fattispecie costituenti reato, in precedenza già disciplinate con riguardo alla tas­sabilità dei proventi da attività illecite2.

Peraltro, sin dalla sua introduzione nell'ordi­namento tributario, la disciplina sulla indeduci­bilità dei costi da reato aveva sollevato molti dubbi in ordine alla corretta interpretazione dei presupposti soggettivi e oggettivi richiesti per la sua applicazione, specie con riferimento al signi­ficato da attribuire alla locuzione "riconducibi­li" contenuta nella disposizione stessa. Il dibattito dottrinale è stato poi alimentato da una giurisprudenza tributaria affatto univoca. In particolare, all'orientamento più rigoroso, in base al quale la citata disposizione doveva appli­carsi in ogni ipotesi di illecito penale (e quindi anche per i reati tributari)3, si contrapponeva una diversa posizione di una parte dei giudici tributari, secondo cui i costi correlati a ipotesi di reato erano, invece, da considerarsi indeducibili soltanto ove riferibili ad attività da cui derivas­sero proventi illeciti4.

Ma il problema fondamentale che poneva la nor­ma in rassegna era il conflitto con alcuni principi costituzionalmente sanciti, primo fra tutti quello di capacità contributiva. L'applicazione del ri­chiamato comma A-bis comportava, infatti, una vera e propria violazione di tale principio cardine del nostro ordinamento tributario, nella misura in cui - attraverso il disconoscimento di costi ineren­ti all'attività d'impresa e funzionali alla realizza­zione di ricavi tassati - andava a determinare l'assoggettamento a tassazione dell'ammontare lordo di detti ricavi e non del reddito. In particolare, fra le fattispecie che, sino ad oggi, hanno maggiormente innescato, in sede di accer­tamento, l'applicazione della norma in discussio­ne, e con riferimento alle quali è emerso in modo evidente il contrasto della norma stessa con il principio di "tassazione al netto" e quindi di capa­cità contributiva, si segnala l'utilizzo, nell'ambito di una "lecita" attività economica, di fatture sog­gettivamente inesistenti, ossia emesse da un soggetto diverso dal fornitore effettivo dei beni o servizi. Infatti, una volta ricondotta tale fattispecie alla frode fiscale e, nello specifico, alla condotta delittuosa di cui all'art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (con conseguente denuncia alla com­petente Autorità giudiziaria), l'Agenzia delle Entrate era solita procedere con il recupero a tassa­zione, ai fini delle imposte sui redditi, dei costi re­lativi agli acquisti documentati dalle fatture sog­gettivamente inesistenti; ciò che conduceva all'esito estremo e paradossale della "tassazione al lordo", con conseguente alterazione del prin­cipio di effettività della capacità contributiva. Come vedremo nel seguito, con la modifica normativa in esame il legislatore tributario ha accolto le obiezioni sollevate dalla dottrina e dal­la giurisprudenza rispetto all'ambito applicativo dell'indicato comma 4-bis, sostituendolo con una nuova disposizione che va a restringere in modo significativo le tipologie di reati dai quali può discendere la indeducibilità dei costi.

2. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla norma

Come accennato in premessa, oltre ad aver po­sto notevoli difficoltà applicative in ordine al­la necessità di discriminare i costi e le spese ef­fettivamente meritevoli di essere ammessi in de­duzione dal reddito, la norma sulla indeducibili­tà dei costi da reato ha suscitato anche notevoli perplessità circa la sua conformità alla Costitu­zione, tanto da essere interessata da molteplici questioni di legittimità costituzionale ri­spetto a principi di capacità contributiva, di e­guaglianza sostanziale e di presunzione di non colpevolezza.

In particolare si rammenta che, dopo lord. 3 marzo 2011, n. 735, con cui il Giudice delle leggi aveva praticamente evitato di pronunciarsi sulle questioni di costituzionalità sollevate dalla Comm. trib. prov. di Terni (con ord. 11 novem­bre 2009, n. 1616), in relazione al possibile con­trasto della norma in argomento con gli artt. 3, 27, comma 2, e 53 della Costituzione7, la que­stione di legittimità dell'indicato comma 4-bis è stata riproposta, innanzi alla Corte Costituziona­le, dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, Sez. di Verona, con l'ordinanza di ri­messione 11 aprile 2011, n. 278.

In particolare, la citata giurisprudenza di merito aveva evidenziato come l'applicazione, senza al­cun vincolo, della disciplina in oggetto fosse le­siva:

• dell'art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza), in quanto comportava una in­giustificata disparità di trattamento fra i sog­getti che avevano commesso illeciti civili o amministrativi, con riferimento ai quali i costi erano da considerarsi deducibili, e i soggetti che si erano resi responsabili di atti, fatti o at­tività qualificabili come illecito penale, per i quali i costi non erano, invece, ammessi in deduzione;

• dell'art. 27, comma 2, della Costituzione (principio di presunzione di non colpe­volezza), dal momento che, facendo dipende­re la indeducibilità dei costi alla sola qualifi-cabilità dei fatti come reato, senza subordina l'indeducibilità stessa all'esercizio dell'azione penale, finiva per dotare il Fisco di un potere - quello di valutare la rilevanza penale o meno di un determinato comportamento -che nel nostro sistema giurisdizionale è solo del giudice penale, sicché il contribuente po­teva essere considerato "colpevole" sino a prova contraria;

dell'art. 53 della Costituzione (principio di capacità contributiva), in quanto, come già rilevato, alterava i principi normativi di de­terminazione analitica della base imponibile e di quantificazione del tributo, assoggettando ad imposta somme che non erano espressione di reale capacità contributiva, nella misura in cui non consentiva la deduzione di costi cor­relati alla produzione di proventi, leciti o ille­citi, sottoposti a tassazione.

3. Nuovo ambito applicativo della previsione di indeducibilità

L'indeterminatezza della previgente formulazio­ne letterale della disposizione in esame nonché il conseguente rischio di una sua applicazione in­discriminata, iniquamente limitativa della dedu-cibilità dei costi nella determinazione del reddi­to d'impresa e, in alcuni casi, lesiva del principio di effettività della capacità contributiva, sono le motivazioni che stanno alla base della decisione del legislatore di riscrivere il citato comma 4-bis dell'art. 14 della L. n. 537/1993, adottando una formulazione che, rispetto a quella previ­gente, restringe notevolmente - come detto - l'ambito di applicazione della indeducibilità dei costi correlati a ipotesi di reato, ponendo una serie di vincoli che dovrebbero consentire, da un lato, di dare copertura costituzionale alla disciplina in commento e dall'altro di evitare un'applicazione impropria della disciplina stessa da parte degli Uffici finanziari.

Art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537/1993

Formulazione anteL. n. 44/2012

Formulazione posL. n. 44/2012

"Nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti".

"Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei be­ni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come de­litto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudi­ce abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sen­si dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza de­finitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codi­ce di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo preceden­te, ovvero una sentenza definitiva di non doversi proce­dere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte ver­sate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi".

La formulazione previgente consentiva, infat­ti, di escludere con certezza, dall'ambito applica­tivo della previsione di indeducibilità, le sole vio­lazioni costituenti illeciti civili o amministrativi, mentre quelle di carattere penale erano presso­ché tutte attratte nella sfera di operatività della norma. La indeducibilità dei costi poteva, cioè, discendere da qualunque tipologia di reato e, quindi, sia da reati dolosi (ovvero commessi con coscienza e volontà dall'autore del reato), sia da reati colposi, cioè determinati, ad esem­pio, da un comportamento negligente o impru­dente 9. Inoltre, l'ambito di applicazione della norma - di per sé già molto ampio - veniva, nel­la prassi, oltremodo dilatato dalla scarsa chia­rezza del suo tenore letterale che, richiamando i "costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attivi­tà qualificabili come reato", dava, in sostanza, la possibilità agli Uffici finanziari di disconoscere la deducibilità anche di quei costi solo indiret­tamente e in modo incidentale legati all'ipotesi di reato, con l'effetto di riprendere a tassazione una maggiore ricchezza del tutto inesistente. L'intervento legislativo in esame introduce, inve­ce, una formulazione della norma più adeguata alla finalità di inibire in modo inequivoco la de­ducibilità, a fini delle imposte sui redditi e dell'Irap10, dei costi e delle spese connessi in modo diretto al compimento delle fattispecie di reato più gravi. Più precisamente, l'area di in­deducibilità viene circoscritta ai soli compo­nenti negativi di reddito relativi a beni o presta­zioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo.

Dunque, affinché il costo (o la spesa) possa es­sere considerato indeducibile ai fini della de­terminazione del reddito del contribuente, è richiesto un collegamento diretto del costo stesso con la realizzazione dell'atto o dell'at­tività che costituisce reato. In altri termini, i costi indeducibili cui ora la norma si riferisce sono soltanto quelli strettamente attinenti ad attività di per sé penalmente illecite, con la conseguenza che non dovrebbe essere più pos­sibile per l'Amministrazione finanziaria conte­stare la deducibilità di costi effettivamente so­stenuti, pienamente leciti e inerenti a proventi tassati, per il solo fatto che nello svolgimento dell'attività d'impresa si riscontra una fattispe­cie qualificabile come reato. Sotto questo aspetto, come evidenziato da Asso-nime nella circolare n. 14 del 28 maggio 2012, è perciò necessario distinguere il caso delle spese e dei costi afferenti ad attività penalmente illeci­te nel loro complesso da quello in cui, invece, le spese e i costi sono relativi a singoli atti penal­mente illeciti posti in essere nell'ambito di un'attività economica (imprenditoriale o profes­sionale) in sé del tutto lecita. Con riferimento alla prima ipotesi, anche in vi­genza del nuovo assetto normativo, secondo l'Associazione parrebbe non potersi dubitare della applicabilità del divieto di deduzione di tutti i costi strumentali all'esercizio dell'attività totalmente illecita.

Con riguardo alla seconda ipotesi, invece, la questione si presenta più complessa e merite­rebbe specifici approfondimenti da parte del­l'Agenzia delle Entrate in ordine al concetto di "utilizzazione diretta" del bene (o del servizio) per il compimento dell'attività costituente reato. Ad esempio, andrebbe chiarito se, sulla base del­la nuova formulazione della norma, si possano considerare deducibili i costi relativi a beni di provenienza furtiva oppure acquistati in viola­zione delle leggi doganali, o se, invece, detti costi vadano comunque resi indeducibili in ragione della stretta attinenza dell'originaria attività criminosa con la successiva commercializzazio­ne degli stessi beni.

Occorre poi sottolineare come, per effetto della novella legislativa in analisi, la indeducibilità re­cata dalla norma non trovi applicazione con ri­ferimento alle attività delittuose colpose, in considerazione della "non intenzionalità della condotta e quindi del difetto di finalizzazione dei costi eventualmente sostenuti al compimen­to dei delitti"11.

Oltre al collegamento diretto fra il costo e | l'ipotesi di reato non colposo, la novella legislativa prevede un ulteriore e importante presupposto affinché possa scattare l'indeducibilità del costo o della spesa: è necessario - come già accennato - che in relazione al delitto non colposo il Pubblico Ministero abbia esercitato l'azione penale o che, comunque, siano soddisfatte delle ulteriori condizioni che diremo appresso. In vigenza della precedente versione del richiamato comma A-bis - che parlava di fatti, atti o attività "qualificabili" come reato e non di fatti, atti | o attività qualificati come tali - si discuteva se la sanzione indiretta dell'indeducibilità potesse trovare applicazione soltanto dopo la condanna penale, ossia dopo l'accertamento, da parte del giudice penale, della responsabilità dell'autore del reato, oppure anche prima di tale momento, fer­mo restando che qualora fosse poi emersa l'in­sussistenza del reato, l'Amministrazione finanzia­ria avrebbe dovuto riconoscere la deducibilità dei costi in precedenza negata.

Va detto che la genericità del testo normativo a­veva indotto molti Uffici finanziari a contestare la deducibilità dei costi in parola sulla base della mera trasmissione al Pubblico Ministero della notizia di reato a carico del contribuente, ai sensi degli artt. 331 e 347 del codice di procedura penale' 2. Si poteva quindi assistere alla circostan­za per cui, ai fini dell'applicazione della normati­va in commento, all'Amministrazione finanziaria veniva rimesso il compito di valutare, in via anti­cipata rispetto all'intervento del Pubblico Mini­stero, la rilevanza penale o meno di una determi­nata condotta del contribuente, con buona pace del principio secondo cui, perché sia accertata l'esistenza di un illecito penale, è necessario che la sussistenza degli elementi soggettivi e oggettivi che quell'illecito definiscono siano accertati e di­chiarati da un giudice penale. Come detto, sulla delicata questione de qua è in­tervenuto il decreto "semplificazioni fiscali", che, al fine di rendere la disciplina in rassegna più aderente ai principi della legge processuale penale, ha stabilito che l'Amministrazione finanziaria può accertare il maggior reddito imponibile con­seguente alla indeducibilità dei costi connessi a delitti non colposi non prima che l'Autorità giudi­ziaria abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'art. 424 del codice di pro­cedura penale o sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425 dello stesso codice, fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 157 del codice penale (cioè per intervenuta prescrizione del reato)13. Dunque, la novella legislativa elimina ogni dubbio sulla circostanza che l'applicabilità del regime di indeducibilità in argomento presuppone necessa­riamente l'esame della fattispecie dei costi da rea­to da parte degli organi di giustizia penale, non potendo lo stesso regime insorgere per la sola a­zione dell'organo amministrativo di controllo. Tuttavia, la nuova configurazione della norma pone delle criticità per quel che riguarda il rapporto di reciproca autonomia del processo penale e di quello tributario1-. In particolare, e necessario che gli organi competenti chiariscano se, ai fini della soluzione della controversia fiscale, il giudice tributario abbia la cognizione, ! in via puramente incidentale, della fattispecie I delittuosa nell'ipotesi in cui, in sede penale, si sia verificato il presupposto di applicabilità della I norma e il contribuente decida, comunque, di I difendersi nel processo tributano sulla sussistenza della fattispecie di reato, ì Altro caso incerto è, inoltre, quello in cui I Am-ì ministrazione finanziaria abbia emesso l'atto im-ì positivo prima dell'avvio dell'azione penale e il ì contribuente abbia presentato ricorso avverso j detto atto. Qualora la predetta azione venga successivamente esercitata, ci si chiede se il giudice I tributario debba, comunque, limitarsi a rilevare -per quanto sopra detto - la annullabilità dell'atto impositivo o se, invece, possa o debba sospendere j il processo tributario in attesa dell'esito del vaglio ì della fattispecie da parte degli organi della giustizia penale15.

La nuova formulazione del ripetuto comma 4-bis stabilisce , altresì, che al contribuente compe-I Le il rimborso delle maggiori imposte e dei rela­tivi interessi versati in relazione alla contestata indeducibilità dei costi effettuata dall'Ufficio fi­nanziario sulla base di detta disposizione, nel­l'ipotesi in cui intervenga16:

• una sentenza definitiva di assoluzione ex art. 530 del codice di procedura penale17;

• oppure una sentenza definitiva di non luo­go a procedere emessa ai sensi dell'art. 425 dello stesso codice, fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla prescrizione del reato;

• o, infine, una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'art. 529 del codice di procedura penale.

Pertanto, dalle predette sentenze definitive ha i­nizio il dies a quo di decorrenza dei termini per la richiesta, da parte del contribuente, di restitu­zione di quanto indebitamente versato, a titolo d'imposta e interessi, a seguito della momentanea non ammissione in deduzione dei costi. Sul pun­to, Assonime18 ha osservato che al contribuente dovrebbero essere restituite anche le sanzioni indebitamente pagate, ancorché il testo della norma non le richiami espressamente.

Presupposti

il disconoscimento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dei costi diretta­mente connessi a delitti non colposi è subordinato all'esercizio dell'azione penale dal parte del P.M. o al verificarsi di una delle seguenti circostanze:

- il giudice ha emesso il decreto che dispone il giudizio ex art. 424 del codice di procedura penale;

- il giudice ha emesso sentenza di non luogo a procedere per intervenuta pre­scrizione del reato.

Effetti della sentenza definiti­va di assoluzione, della sen­tenza definitiva di non luogo a procedere o di quella di non doversi procedere

E previsto espressamente che, qualora intervenga una sentenza definitiva di asso­luzione, oppure una sentenza definitiva di non luogo a procedere fondata su mo­tivi diversi dalla prescrizione, o, ancora, una sentenza definitiva di non doversi procedere ex art. 529 del codice procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione al disconoscimento dei costi e dei relativi interessi, sempreché sussistano tutti i presupposti previsti dalla normativa tribu­taria vigente per la deduzione dei costi medesimi.

Tale rimborso potrà avvenire su richiesta del contribuente o anche su iniziativa dell Ufficio finanziario, nell'esercizio dell'autotutela.

5. Le fattispecie delle fatture soggettivamente o oggettivamente inesistenti

Si è sopra evidenziato come, per effetto delle nuove disposizioni, ai fini dell'indeducibilità in questione sia necessario un collegamento diretto dei costi con il compimento di atti o attività de­littuose non colpose. Ne deriva - come precisato nella stessa relazione illustrativa al citato D.L. n. 16/2012 - l'impossibilità, per l'Amministrazione finanziaria, di richiamare in futuro la disposi­zione in commento per contestare la deducibili­tà dei costi esposti in fatture (o altri documenti fiscali equipollenti) soggettivamente inesistenti. A tale proposito si è già accennato alla circo­stanza che, sino ad oggi, la maggior parte delle contestazioni dell'Amministrazione finanziaria relative alla disciplina dei costi da reato ha ri­guardato appunto casi di operazioni soggetti­vamente inesistenti poste in essere con socie­tà cosiddette "cartiere", ossia casi nei quali non si era in presenza di operazioni fittizie (fatture oggettivamente inesistenti), bensì di fatture e­messe da chi non ne aveva titolo in quanto non era il soggetto che aveva effettuato la cessione di beni o la prestazione di servizi. In altri termini, il costo esisteva in quanto l'acquisto era avvenu­to realmente, ma da un soggetto diverso rispetto a quello che aveva emesso la fattura. In vigenza della precedente formulazione del summenzionato comma 4- bis, l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza, seguendo un'in­terpretazione onnicomprensiva di tale disposi­zione, avevano spesso ritenuto - in presenza del comportamento illecito in parola - di poter pro­cedere con il recupero a tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, di tutti i costi documentati da fatture soggettivamente false, con la conse­guenza - come già rilevato - che il contribuente si trovava a dover corrispondere le imposte sui ricavi anziché sul reddito.

Ora, invece, grazie alle modifiche introdotte dal "decreto semplificazioni fiscali", a prescindere dalla buona fede o meno dell'acquirente del bene o del servizio, per l'Amministrazione finanziaria non sarà più possibile fare riferimento alla nor­mativa in oggetto per disconoscere i componenti negativi di reddito relativi ad acquisti realmente effettuati ma rappresentati, nell'ambito di una le­cita attività commerciale, in fatture (o altri docu­menti aventi analogo rilievo probatorio) soggetti­vamente inesistenti; ciò in quanto, nella fattispe­cie in argomento, si è in presenza di acquisti di beni e servizi che in alcun modo possono conside­rarsi "direttamente utilizzati" per la realizzazione di un delitto non colposo.

Resta peraltro ferma, come precisato nella ri­chiamata relazione illustrativa, la possibilità di contestare eventualmente la deducibilità dei costi in questione sulla base delle regole generali in ma­teria di deduzione dei costi dal reddito d'impresa, connesse ai requisiti di effettività, inerenza, com­petenza e oggettiva determinabilità. L'inesisten­za soggettiva dell'operazione andrà perciò valu­tata in ragione del rispetto di tali requisiti norma­tivi ordinari.

Diverso è invece il trattamento fiscale previsto per la fattispecie delle fatture oggettivamente inesistenti, ovvero per l'ipotesi in cui il docu­mento fiscale attesti l'esecuzione di un'opera­zione in tutto o in parte mai avvenuta. Infatti, per l'utilizzo di dette tipologie di fatture, oltre al­la indeducibilità del costo (in quanto inesisten­te), scatta ora anche l'applicazione di una speci­fica sanzione amministrativa - introdotta dall'art. 8, comma 2, del citato D.L. n. 16/2012 -che varia dal 25 al 50% dell'ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. Tale sanzione è tuttavia ridotta ad un terzo (comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relati­ve a ciascun tributo) a norma dell'art. 16, com­ma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, se il relativo pagamento è effettuato entro il termine previsto per la proposizione del ricorso. Non è, invece, mai applicabile la regola del cumulo giuridico di cui all'art. 12 del predetto decreto.

6. La non imponibilità dei ricavi afferenti a costi fittizi

Al fine di salvaguardare il principio di capacità contributiva, il comma 2 del richiamato art. 8 del D.L. n. 16/2012 stabilisce che "ai fini dell'ac­certamento delle imposte sui redditi non con­corrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente affe­renti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non am­messo in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi". Come è stato opportuna­mente messo in luce nel citato documento di As­sonime, tale disposizione ha natura essenzial­mente procedimentale in quanto non introdu­ce alcuna deroga sostanziale agli ordinari criteri di determinazione analitica del reddito, ma è volta ad evitare che in sede di verifica fiscale siano contestati redditi che, dalla stessa motiva­zione dell'atto impositivo, risultano come redditi non realmente conseguiti.

Pertanto, laddove si contesti ad un soggetto l'utilizzo di fatture oggettivamente inesi­stenti e quindi attestanti costi fittizi, alla inde­ducibilità di detti costi non potrà, diversamente dal passato, accompagnarsi la tassazione, ai fini delle imposte sui redditi e dell'Irap, dei ricavi di­chiarati connessi alla vendita fittizia, ovvero simulata per avere corrispondenza con l'acqui­sto fittizio.

In ogni caso - come sottolineato nella citata re­lazione illustrativa - resta ferma l’indetraibilità dell'Iva relativa ai beni e servizi non effettiva­mente scambiati o prestati e si applica il dispo­sto dell'art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale "se viene emessa fattura per o­perazioni inesistenti, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente al­le indicazioni della fattura".

Fatture soggettivamente inesistenti

Non trova applicazione l'indeducibilità prevista dal nuovo comma A-bis, dell'art. 14 della L. n. 537/1993. Va comunque verificata la sussistenza dei requisiti generali previsti dal Tuir in tema di deduzione dei costi.

Fatture oggettivamente inesistenti

Per effetto delle ordinarie disposizioni tributarie, i costi d'acquisto sono indeducibili perché inesistenti. Peraltro, non vengono tassati i ricavi con­seguenti a tali acquisiti fino a concorrenza del valore degli acquisti stessi. È prevista una specifica sanzione pecuniaria a fronte dell'utilizzo di fattu­re oggettivamente false.

7. Decorrenza delle nuove disposizioni

Per espressa previsione normativa - contenuta nel comma 3 del più volte citato art. 8 del D.L. n. 16/2012 - le nuove disposizioni concernenti la indeducibilità dei costi derivanti da reato e la non imponibilità dei ricavi direttamente afferen­ti a costi di beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati trovano applicazione, se più favorevoli, anche con riguardo a fatti, atti o at­tività posti in essere prima dell'entrata in vi­gore delle disposizioni stesse, facendo comun­que salva - come sottolineato nella relazione al decreto - l'ipotesi in cui i provvedimenti emessi in forza del previgente comma 4-bis si siano resi definitivi.

Detto regime transitorio è evidentemente de­stinato ad avere importanti e immediate riper­cussioni sui contenziosi tributari attualmente in essere, vertenti sulla indeducibilità dei costi da reato contestata dall'Agenzia delle Entrate per effetto dell'applicazione della normativa in commento.

Infatti, da un lato non potranno considerarsi va­lidi gli accertamenti non preceduti da una prima valutazione da parte del Pubblico Ministero del­la fondatezza della notizia di reato; dall'altro la­to all'Amministrazione finanziaria sarà richiesto di provare il collegamento diretto fra il costo ri­preso a tassazione e l'ipotesi di illecito penale non colposo.

Sintesi delle novità sui costi derivanti da reato:

Restringimento dell'area di indeducibilità

Il raggio d'azione della previsione di indeducibilità è stato limitato ai costi che abbiano una diretta connessione con il compimento di delitti non colposi.

Momento in cui scatta l'indeducibilità

Gli Uffici finanziari non possono accertare il maggior imponibile derivante dal­la indeducibilità dei costi da reato sulla base della mera trasmissione della no­tizia di reato all'Autorità giudiziaria. A garanzia del contribuente, è stato infatti stabilito che la predetta indeducibilità può essere contestata soltanto qualora sia stata esercitata l'azione penale da parte del Pubblico Ministero 0, comun­que, il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio 0 sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.

La non imponibilità dei componenti positivi correlati a costi fittizi

Per garantire il rispetto del principio di capacità contributiva, è stato stabilito che ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla for­mazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente affe­renti a spese 0 altri componenti negativi relativi a beni 0 servizi non effettiva­mente scambiati 0 prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in de­duzione delle predette spese 0 altri componenti negativi.

Nuova sanzione per costi "fittizi"

Si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50% dell'ammontare delle spese e degli altri componenti negativi relativi a beni 0 servizi non effettivamente scambiati 0 prestati indicati nella dichiarazione dei redditi.

Efficacia temporale delle nuove disposizioni

Ove più favorevoli, si applicano, in luogo della previgente disciplina, anche per il passato, ovvero con riguardo a fatti, atti 0 attività posti in essere prima dell entrata m vigore della novella legislativa, a meno che i provvedimenti e­messi in base alla norma previgente non si siano resi definitivi.


1 Convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, in vigore dal 29 aprile 2012.

2 Si ricorda, infatti, che il comma 4 dell'art. 14 della citata L. n. 537 ha introdotto, nel nostro sistema tributario, il principio in base al quale il carattere illecito di un arric­chimento non osta alla sua tassabilità, stabilendo che "nelle categorie di reddito di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi ... devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o con­fisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria". Tale princi­pio di tassabilità dei proventi connessi con attività illecite è stato successivamente oggetto di un'interpretazione au­tentica ad opera dell'art. 36, comma 34-6/5 del D.L. n. 223/2006, che ha stabilito che siffatti proventi, ove non siano classificabili nelle altre categorie reddituali contem­plate dal sopra richiamato art. 6 del Tuir, sono, in ogni caso, considerati alla stregua di redditi diversi e tassati come tali, con la conseguenza che tutti i proventi di fonte illecita sono imponibili, con la sola esclusione, come so pra specificato, di quelli sottoposti a sequestro o confisca penale.

3 In questo senso si veda, ad esempio, la sentenza della Comm. trib. prov. di Ravenna n. 113/01/2008 del 10 di­cembre 2008, in banca dati ''fisconline"'.

4 Si vedano, per esempio, le sentenze della Comm. trib. reg. di Milano n. 102 e 103 del 15 novembre 2010, entrambe in banca dati "fisconline".

5 In banca dati "fisconline"

6 In banca dati "fisconline".

7 II Giudice costituzionale aveva dichiarato la manifesta i­nammissibilità della questione sollevata per inadeguata motivazione in punto di rilevanza, lasciando perciò la medesima questione impregiudicata nel merito.

Per una analisi di detta ordinanza si veda, fra gli altri, F. Tundo, Ancora dubbi di costituzionalità sulla indeducibi­lità dei costi da reato, in "Corriere Tributario" n. 34/2011, pag. 2840.

9 È opportuno ricordare che, in base all'art. 43 del codice penale (rubricato "elemento psicologico del reato"), il de­litto è doloso, o secondo l'intenzione, quando "l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione o omis­sione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione"; è invece colposo, o contro l'intenzione, "quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o im­prudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline".

10 L'applicabilità della norma anche ai fini Irap è conferma­ta dal comma 3 dell'art. 8 del citato D.L. n. 16/2012. Si tratta, per le società di capitali, di una evidente deroga ai criteri di determinazione di tale imposta sulla base delle risultanze delle scritture contabili in cui i costi in questio­ne sono appostati.

11 Così la relazione illustrativa al citato D.L. n. 16/2012.

12 A tale proposito si evidenzia che, nella circ. 26 settembre 2005, n. 42/E (in banca dati "liscose"), 1 Agenzia delle Entrate aveva avuto modo di affermare come, sotto il pro­filo procedurale, l'indeducibilità dei costi e delle spese imputabili ad attività penalmente illecite rilevasse già dal momento della trasmissione al Pubblico Ministero della notizia di reato a carico del contribuente o degli ammini­stratori o dei legali rappresentanti della società.

13 Pertanto, ai fini della indeducibilità dei costi, la norma in esame parifica l'imputato condannato con sentenza passa­ta in giudicato all'imputato prosciolto per intervenuta prescrizione del reato.

14 Sul punto si veda l'approfondimento di Assonime, nella richiamata circolare n. 14/2012.

15 Sul punto, si veda D. Liburdi, Focus di Assonime sull'indeducibilità dei costi da reato, in "Il Quotidiano del Commercialista", www.eutekne.info, del 29 maggio 2012.

16 Per un primo commento, P. Alberti, Restyling per i costi da reato, in "Il Quotidiano del Commercialista", www.eutekne.info, del 30 aprile 2012.

17 Per un approfondimento sugli effetti dell'assoluzione, si veda S. Capolupo, La nuova disciplina dei costi da reato, in "il fisco" n. 15/2012, fascicolo 1, pag. 2251.

18 Circolare n. 14/2012 citata.

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