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Donazione, successione e cessione di azienda e di partecipazioni in ambito familiare

di Giuseppe Rebecca e Amedeo Albè
Il Fisco, N. 41 - 5 novembre 2012

La donazione e la successione di azienda o di quote sociali sono in genere modalità di trasferimento neutrale, sia sotto il profilo delle imposte dirette che di quelle indirette. L’ordinamento tributario riconosce, infatti, un sostanziale regime “di favore” ai trasferimenti d’azienda a titolo gratuito e mortis causa attraverso i quali si realizza il passaggio generazionale; favore che, concettualmente, può essere sintetizzato nella“sospensione” dalla tassazione dei plusvalori latenti, ai fini delle imposte dirette, e nell’ ”esenzione” da imposta, nel rispetto di determinate condizioni, ai fini dei tributi indiretti. La cessione d’azienda, invece, è considerata operazione sempre imponibile, a prescindere dall’ambito familiare; tale argomento però è tuttora dibattuto.

Premessa

Il passaggio generazionale di aziende e di quote sociali a titolo gratuito è agevolato e favorito da tempo dalle norme fiscali, sia sotto il profilo delle imposte dirette che di quelle indirette.

Al ricorrere di determinate condizioni, infatti, donazioni e successioni d’azienda o di quote sociali godono del regime della neutralità fiscale; il Fisco, è risaputo, non regala nulla, e tale neutralità si traduce - nell’imposizione diretta - in un rinvio di tassazione nel momento della cessione dell’azienda stessa da parte del donatario/successore. Ai fini dell’imposizione indiretta, la neutralità è subordinata alla garanzia di continuità aziendale per un periodo minimo di cinque anni e al legame familiare tra donante/donatario e dante causa/successore.

Con riferimento alla cessione d’azienda, sempre in ambito familiare, l’orientamento prevalente considera, invece, sempre tassabile la plusvalenza che ne deriva, a prescindere dal legame familiare del cessionario; l’argomento, però, è tuttora dibattuto.

Qui di seguito analizziamo il trattamento previsto in caso di:

a) donazione di azienda e di partecipazioni societarie;

b) successione di azienda e di partecipazioni societarie;

c) cessione di azienda;

d) cessione di partecipazioni societarie.

DONAZIONE DI AZIENDA E DI PARTECIPAZIONI SOCIETARIE

Imposte dirette

Ai fini delle imposte dirette, la donazione di azienda o di quote sociali a favore di terzi, non necessariamente parenti, da parte di un imprenditore individuale, ai sensi dell’art. 58, comma 1, del TUIR, è caratterizzata dal regime di neutralità fiscale, a condizione [i] che il donatario assuma i valori dei beni che costituiscono il complesso aziendale al costo fiscalmente riconosciuto che gli stessi avevano in capo al donante[ii]. Tale neutralità fiscale è garantita indipendentemente dal grado di parentela tra donante e donatario[iii]; la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 341/E del 23 novembre 2007, a tal proposito, ha delineato il perimetro di applicazione della norma, specificando che il citato art. 58 “ intende favorire il passaggio generazionale dell’azienda, sia a titolo di donazione che a titolo di successione per causa di morte da parte dell’imprenditore individuale a soggetti terzi persone fisiche, indipendentemente dal grado di parentela o dal rapporto di coniugio che intercorre con il beneficiario del trasferimento dell’azienda o del ramo d’azienda ” (sottolineatura nostra).

Occorre chiarire che, in assenza di detta norma, la donazione d’azienda da parte di un imprenditore individuale realizzerebbe una fattispecie di “destinazione a finalità estranee” ex art. 86, comma 1 del TUIR, con conseguente emersione di plusvalenze tassabili quali componenti del reddito d’impresa dell’imprenditore donante.

Attraverso la disposizione di cui all’art. 58, comma 1 del TUIR, si evita, dunque, tale tassazione “ evidentemente perseguendo la ratio di non gravare di un ulteriore peso impositivo la scelta del soggetto che intende, in modo non oneroso, attuare il passaggio generazionale dell’impresa [iv].

Se, come visto, in capo al donante vige il regime della neutralità fiscale, in capo al donatario non è altresì previsto alcun presupposto impositivo, se non in caso di successiva alienazione del ramo d’azienda o della quota societaria ricevuta. In tale circostanza la relativa plusvalenza è tassata ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. h-bis) del TUIR e determinata come differenza tra il valore normale [v] dell’azienda ricevuta in donazione - successivamente venduta - e il costo fiscalmente riconosciuto della stessa.

Il trattamento fiscale della suddetta plusvalenza è differente a seconda che il soggetto cedente (il donatario) sia o meno imprenditore al momento della cessione stessa[vi]:

Ø se (l’erede) o il donatario non ha continuato l’esercizio dell’attività d’impresa la plusvalenza realizzata dà luogo ad un “reddito diverso” ai sensi della lettera h-bis) dell’art. 67 del Tuir che viene tassato con il criterio di cassa [vii];

Ø se il donatario (o l’erede) ha continuato l’esercizio dell’attività d’impresa e, quindi, riveste lo status di imprenditore al momento della cessione, la plusvalenza realizzata è tassabile ed è determinata ex art. 86 concorrendo a formare il reddito di impresa con il criterio di competenza [viii].

Il sistema della “continuità dei valori fiscali” evidenzia, quindi, che la disposizione di cui all’art. 58, comma 1 del TUIR, non comporta un’assenza di tassazione sui plusvalori aziendali, ma solo un rinvio di imposizione dato che tali plusvalenze latenti saranno considerate al momento della successiva cessione da parte del donatario.

Ferma restando la neutralità dell’operazione in capo al donante persona fisica (e assumendo che il donatario mantenga i medesimi valori fiscali che l’azienda aveva in capo al donante), è opportuno svolgere alcune considerazioni nel caso in cui il donatario sia già imprenditore (e non lo diventi, quindi, in seguito alla donazione dell’azienda) o sia una società commerciale:

Ø nel caso in cui il donatario sia già imprenditore quando acquisisce l’azienda (o assuma tale qualifica contestualmente all’acquisizione), quest’ultima confluisce nell’ambito della propria contabilità di impresa e il valore contabile netto dell’azienda ricevuta a titolo gratuito costituisce per il donatario una sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 88, comma 3, lett b) del TUIR; quanto detto a meno che il donante non decida espressamente di effettuare l’operazione nella sfera privata o istituzionale del donatario, mantenendosi in questo caso la neutralità fiscale anche in capo al donatario (fino all’eventuale alienazione del ramo d’azienda ricevuto). Quest’ultima soluzione parrebbe la più immediata, atteso che l’animus donandi che muove il donante non è certo riconducibile al fatto che il donatario svolga un’attività d’impresa, bensì alle particolari circostanze che eventualmente legano il donante stesso al donatario;

Ø nel caso opposto in cui il donatario, al momento della donazione, non sia imprenditore e non assuma tale qualifica contestualmente alla donazione, si rientrerebbe nell’ipotesi disciplinata dal comma 3, art. 58 del TUIR: in tal caso mancherebbe la prosecuzione dell’esercizio dell’attività, facendo emergere in capo al donante una plusvalenza imponibile, in quanto “ beni destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa”;

Ø qualora, invece, il donatario sia una società commerciale (Spa, Srl, Snc, ecc.), vi è una perfetta identità tra sfera soggettiva e imprenditoriale del soggetto, comportando, quindi, l’emersione di una sopravvenienza attiva in capo allo stesso donatario (ex art. 88, comma 3, lett. b) del TUIR), determinata sulla base del valore netto fiscalmente riconosciuto acquisito dal donatario in regime di continuità con i valori riconosciuti in capo al donante.

Nei casi, invece, in cui sia donante che donatario siano persone giuridiche, restano applicabili le regole ordinarie: la donazione d’azienda, o più in generale di beni aziendali, costituisce una liberalità, quindi una destinazione di beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, che determina l’emersione della plusvalenza in capo al donante, ai sensi dell’art. 86, comma 1, lett. c) del TUIR. Per il donatario, secondo le disposizioni dell’art. 88, comma 3, lettera b) del TUIR, si genera una sopravvenienza attiva.

Da ultimo, qualora il donante sia una persona giuridica e il donatario una persona fisica non già imprenditore, la donazione determinerà l’emersione della plusvalenza in capo al donante, ai sensi dell’art. 86, comma 1, lett. c) del TUIR; in capo al donatario (che assumerà la qualifica di imprenditore in seguito alla donazione) non è, come più volte sottolineato, previsto alcun presupposto impositivo, se non in caso di alienazione del ramo d’azienda o della quota societaria ricevuta.

Le medesime considerazioni sopra svolte per le persone giuridiche valgono anche con riferimento alle Società di Persone che, come noto, godono di un’autonomia patrimoniale imperfetta. Qualora, per fare un esempio, il donante sia una S.n.c. e il donatario una persona fisica (non già imprenditore, ma che assume tale qualifica in seguito alla donazione), in capo al donante si genererà una plusvalenza, ai sensi dell’art. 86, comma 1, lett. c) del TUIR; il donatario, invece, verrà tassato solamente in caso di successiva alienazione dell’azienda ricevuta.L’art. 58, comma 1 del TUIR, che disciplina la neutralità fiscale dell’operazione di donazione (e successione) d’azienda, vale, infatti, solo per le persone fisiche – imprenditori e non già per le Società di Persone (e tantomeno per le Persone Giuridiche).

Con riferimento alla donazione di partecipazioni societarie, occorre in primo luogo determinare la qualifica del soggetto che effettua la donazione:

a) se il donante è un soggetto imprenditore e le partecipazioni societarie sono detenute nell’esercizio dell’impresa (e non, invece, nella propria sfera personale), la donazione delle stesse genera una fattispecie realizzativa, qualificabile o come ricavo o come plus/minusvalenza, a seconda dell’iscrizione della partecipazione nel bilancio del donante.

In particolare, se la partecipazione donata era stata iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie, risultando dunque un bene strumentale, la cessione gratuita potrà comportare l’emersione di plus/minusvalenze, ai sensi dell’art. 86 del TUIR, determinate come differenza tra il valore di mercato della partecipazione e il costo fiscalmente riconosciuto (salvo l’applicazione del regime parziale di esenzione c.d. “ partecipation exemption”).

Se, invece, la partecipazione era stata iscritta nell’attivo circolante, risultando un bene merce, la cessione gratuita determinerà l’emersione di un ricavo, ai sensi dell’art. 85 del TUIR, pari al valore di mercato della partecipazione stessa.

b) se il donante è una persona fisica non imprenditore[ix], la donazione di partecipazione non comporta, invece, alcun onere fiscale, “ ciò non per una scelta agevolativa del legislatore, ma per una conseguenza di tipo sistematico. Ai sensi dell’art. 67, TUIR, i redditi diversi conseguibili da persone fisiche non nell’esercizio di impresa e per effetto di cessioni di partecipazioni, sono tassabili solo quando la cessione sia a titolo oneroso e non, invece, quando avvenga a titolo gratuito”[x].

Imposte indirette

Per quanto riguarda l’imposizione indiretta, la donazione d’azienda o di partecipazioni societarie è:

a) operazione esclusa dal campo di applicazione dell’Iva per mancanza del presupposto oggettivo[xi];

b) soggetta all’imposta sulle donazioni, di cui al D.Lgs n. 346/1990, modificato dal Dl 3 ottobre 2006, n. 262. Tale imposta è dovuta [xii], ai sensi dell’art. 2, comma 49, del citato Decreto Legge, sul “ valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri di cui è gravato il beneficiario, diversi da quelli indicati dall’art. 58, comma 1, del D.Lgs. n. 346/1990, ovvero, se la donazione è fatta congiuntamente a favore di più soggetti o se in uno stesso atto sono compresi più atti di disposizione a favore di soggetti diversi, al valore delle quote dei beni o diritti attribuiti ”.

c) soggetta ad imposta ipotecaria e catastale, ai sensi del D.Lgs. 347/1990, qualora nel complesso aziendale oggetto di donazione risultino compresi beni o diritti reali immobiliari[xiii].

d) soggetta ad imposta di registro in misura fissa pari a 168 euro, quando la donazione stessa è effettuata a favore dei familiari e sussistono le condizioni per l’esenzione dall’imposta sulle donazioni[xiv].

Come anticipato, il legislatore ha previsto una forma di esenzione dall’imposta in donazione.

L’art. 3, comma 4-ter, del D.Lgs. 346/1990 (rubricato Trasferimenti non soggetti all’imposta) stabilisce che “ I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti [xv] e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all'imposta. In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l'esercizio dell'attività d'impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all'atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata”.

 

Se, dunque, la donazione d’azienda o di partecipazioni societarie è realizzata a favore dei discendenti o del coniuge del donante, questa è esente dall’imposta sulle donazioni, a condizione che l’attività d’impresa venga proseguita dal donatario per almenocinque anni, ovvero, nel caso di quote sociali di capitali, venga mantenuto il controllo [xvi] per lo stesso periodo di tempo. Il donatario deve, altresì, rendere, contestualmente all’atto di donazione, una dichiarazione con cui si obbliga a proseguire l’attività d’impresa, o a mantenere il controllo delle partecipazioni, per il suddetto periodo di almeno cinque anni.

Il mancato rispetto della predetta condizione determina la decadenza dall’agevolazione, comportando l’obbligo di corrispondere l’imposta in misura ordinaria (con i criteri dettati in precedenza), la sanzione amministrativa ex art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e gli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta avrebbe dovuto essere pagata.

La norma in esame, dal momento che è volta a favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, “non torna applicabile al trasferimento di titoli che non permettono di attuare tale passaggio come, ad esempio, i titoli obbligazionari; mentre teoricamente è possibile affermare l’applicabilità per quegli strumenti finanziari c.d. partecipativi nel limite in cui risultino assimilabili alle azioni o quote societarie piuttosto che alle obbligazioni[xvii]”.

La prassi amministrativa[xviii] degli ultimi anni ha chiarito che, qualora l’azienda venga ceduta prima dei cinque anni, l’agevolazione non decade se l’azienda è conferita:

a) in una società di persone (indipendentemente dal valore della partecipazione);

b) in una società di capitali e le azioni o quote assegnate a fronte del conferimento consentono di conseguire o integrare il controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1) del cod. civ.

La donazione ha da sempre rappresentato lo strumento tradizionalmente utilizzato dagli imprenditori per pianificare “il passaggio generazionale” della propria azienda.

Negli ultimi anni, tuttavia, è stata introdotta nel nostro ordinamento una disciplina pensata appositamente per favorire (almeno sulla carta) il passaggio generazionale; la L. 14 febbraio 2006, n. 55 ha, infatti, definito il c.d. “patto di famiglia[xix], di cui all’art. 768-bis del cod. civ.

Non è questa la sede più opportuna per affrontare tale argomento che ha sollevato molteplici dubbi e incertezze applicative; tuttavia, obbedendo alla logica espositiva, non ci si può esimere da sintetiche considerazioni sulla materia.

Il “patto di famiglia” è un istituto che consente al titolare d’impresa di superare la fase delicata del proseguimento dell’attività d’impresa, anticipando il momento del trasferimento dell’azienda ai discendenti o al discendente che si è dimostrato maggiormente capace, previo onere da parte del discendente stesso di liquidare gli altri partecipanti al patrimonio.

L’importanza di tale normativa sta nell’aver finalmente introdotto nel nostro sistema giuridico la possibilità di dare certezza e definitività al trasferimento dell’azienda prima della morte del fondatore, introducendo una deroga al divieto dei patti successori che limitavano la libertà di disporre e di assicurare la continuità dell’impresa preservandola dalle vicende successorie.

Ciò che ai nostri fini interessa è il trattamento fiscale previsto per il discendente assegnatario dell’azienda, o delle quote sociali, e per i legittimari non assegnatari.

Ferma restando l’esenzione dall’imposta di donazione in capo al donante ex art. 3, comma 4-ter, del D.Lgs. 346/1990, vista precedentemente, è interessante analizzare la tassazione in capo ai legittimari non assegnatari[xx].

Nonostante la disciplina fiscale ometta di regolarne il trattamento, tre sono le situazioni che si possono verificare per i soggetti che partecipano all’atto (in quanto “eredi necessari”), ma non assegnatari dell’azienda o delle quote di partecipazione:

a) essi ricevono la liquidazione della quota, in denaro o in natura, da parte del testatore-disponente: non essendovi obbligato ex lege, si ritiene che tale attribuzione sia caratterizzata da animus donandi e che, quindi, trovi applicazione la disciplina delle imposte sulle successioni e donazioni[xxi];

b) essi ricevono il denaro o i beni dal beneficiario: in tal caso la liquidazione ha natura di onere che impone allo stesso la liquidazione della quota ed è dunque escluso l’animus donandi. In tal caso, si dovrebbe ritenere applicabile[xxii] l’art. 9 della Tariffa, Parte I, del TUR che assoggetta all’aliquota del 3% “ gli atti diversi da quelli indicati aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”;

c) essi rinunciano alla quota: tale rinunzia, non avendo effetti traslativi, è soggetta all’imposta di registro “in misura fissa dovuta per gli atti privi di contenuto patrimoniale” (art. 11 della Tariffa, Parte I, TUR) [xxiii].

Nelle tre ipotesi sopra elencate, resta ferma l’applicazione dell’imposta ipotecaria (2%) e catastale (1%), qualora nel complesso aziendale risultino compresi beni o diritti reali immobiliari.

All’introduzione nel Codice Civile di tale norma, non è seguita l’emanazione di una disciplina dedicata in ambito tributario. Circostanza, questa, che, unitamente ad altri fattori, concorre forse a determinare un utilizzo non particolarmente diffuso dell’istituto.

Ad oggi, infatti, a frenare il ricorso delle imprese al patto di famiglia è l’obbligo degli assegnatari dei beni a compensare immediatamente gli altri eredi che escono dall’azienda, perché spesso gli assegnatari non dispongono delle risorse necessarie a provvedere a questo obbligo. Inoltre l’attuale disciplina necessita della partecipazione al patto di tutti gli eredi dell’imprenditore (coniuge e altri legittimari), rendendo instabile nel tempo l’accordo raggiunto.

Al fine di superare queste rigidità nell’attuale normativa, è stata di recente presentata una proposta di modifica [xxiv] dell’attuale disciplina dei patti di famiglia.

SUCCESSIONE DI AZIENDA E DI PARTECIPAZIONI SOCIETARIE

Imposte dirette

La morte dell’imprenditore segna il momento in cui si realizza il passaggio generazionale, non realizzato o programmato in anticipo ed eventualmente stabilito in sede testamentaria.

Come visto in precedenza per la disciplina della donazione, anche la successione d’azienda o di quote sociali mortis causa è operazione caratterizzata da neutralità fiscale, a prescindere dal grado di parentela dell’erede e a condizione che vengano mantenuti dal successore i valori fiscalmente riconosciuti dei beni che compongono l’azienda.

Il mantenimento dei valori fiscali risulta l’unica condizione richiesta ai fini della neutralità fiscale; l’art. 18, comma 4, del D.Lgs. 247/2005 ha, infatti, abrogato l’art. 16, comma 2, della L. 383/2001 che recava una disposizione antielusiva, secondo cui “ In caso di trasferimento a titolo di successione per causa di morte o di donazione dell’azienda o del ramo d’azienda, con prosecuzione dell’attività d’impresa, i beni e le attività ceduti sono assunti ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa ” (sottolineatura nostra).

È di tutta evidenza come la medesima disciplina si applichi anche in presenza di una pluralità di successori [xxv].

La disciplina della neutralità fiscale, come visto, è contenuta nell’art. 58, comma 1 del TUIR, secondo cui “Il trasferimento di azienda per causa di morte o per titolo gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa; l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa. I criteri di cui al periodo precedente si applicano anche qualora, a seguito dello scioglimento, entro cinque anni dall’apertura della successione, della società esistente tra gli eredi, la predetta azienda resti acquisita da uno solo di essi” (sottolineatura nostra).

La non imponibilità fiscale dell’operazione di successione deriva dal fatto che non vi è realizzo di plusvalenze da tassare in capo all’erede in quanto rimangono invariati i valori contabili e fiscali dei beni dell’azienda ceduta nel passaggio dall’imprenditore ai suoi aventi causa.

La neutralità fiscale in capo all’erede viene meno nei casi in cui:

a) il successore vende, anche parzialmente, l’azienda; in questo caso, la cessione genera in capo all’erede un reddito diverso ex art. 67, comma 1, lett. h-bis) del TUIR. Per la disciplina della tassazione della relativa plusvalenza, si rimanda a quanto detto per la donazione;

b) il successore effettua un trasferimento d’azienda “non in continuità di valori”; in altri termini, la neutralità fiscale viene meno quando l’erede procede alla rivalutazione dei beni aziendali acquisiti per successione, iscrivendo in bilancio un valore dell’azienda superiore a quello di partenza;

c) è disposta la successione (o la donazione) a favore di una società precedentemente costituita tra i familiari [xxvi].

Non costituisce, invece, realizzo di plusvalenza:

a) lo scioglimento, entro cinque anni dall’apertura della successione, della società costituita tra gli eredi con acquisizione dell’azienda da parte di uno solo di essi (ai sensi dell’art. 58, comma 1, ultimo periodo, del TUIR);

b) l’intenzione degli eredi di non proseguire l’attività, decidendo contestualmente per il godimento personale dei beni stessi (autoconsumo);

c) la cessione gratuita dei beni che compongono l’azienda da parte degli stessi eredi.

La medesima disciplina delle successioni d’azienda mortis causa si applica anche al trasferimento di partecipazioni sociali per successione: neutralità fiscale ed emersione di plusvalenza solo quando gli eredi decidono di cedere le quote ereditate.

In tal caso, ai fini della determinazione della plusvalenza, l’art. 68, comma 6 del TUIR stabilisce che “ si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione” .

Valgono le medesime aliquote previste per la cessione di partecipazioni sociali, cui si rimanda (49,72% o imposta sostitutiva del 20% rispettivamente per partecipazione qualificata o non qualificata).

La vicenda della successione di quote sociali presenta, tuttavia, profili differenti a seconda che il soggetto defunto avesse o meno la qualifica di imprenditore ai fini fiscali e le quote di partecipazione detenute fossero qualificabili come beni dell’impresa esercitata.

Il Consiglio Nazionale del Notariato, nel più volte richiamato Studio n. 36-2011, si è così espresso:

a) “ nell’ipotesi di de cuius non imprenditore, la neutralità della successione nelle quote societarie si può affermare sulla base della non applicabilità dell’art. 67, comma 1 del TUIR, che prevede la tassazione delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di azioni e quote di partecipazione […]”;

b) “ ove invece il de cuius fosse imprenditore e le quote detenute nell’esercizio dell’impresa, la successione delle quote si realizzerebbe nell’ambito di un più generale trasferimento mortis causa dell’azienda, con conseguente neutralità del citato art. 58 TUIR” .

c) può esserci parimenti l’ipotesi in cui, in caso di de cuius imprenditore, la quota societaria sia trasferita separatamente dal complesso dei beni aziendali. “ Se oggetto dell’attribuzione è la singola quota societaria o alcuni specifici beni che non sono in grado di costruire un’azienda o un ramo d’azienda, non si potrà ovviamente dire di essere in presenza di un trasferimento mortis causa dell’azienda” .

In tale fattispecie le soluzioni fiscali diventano incerte; “da una parte perché manca un espresso riferimento normativo […], dall’altra (perché) conduce il problema all’interno del dibattito tra quanti ritengono che la morte dell’imprenditore integri un’ipotesi di destinazione a finalità estranee e quanti sostengono con diverse motivazioni l’inidoneità di un simile evento a integrare la fattispecie in esame [xxvii] .

Occorre, da ultimo, soffermarsi sulla possibilità di considerare l’attribuzione del bene aziendale come sopravvenienza attiva, nel caso in cui l’erede sia soggetto imprenditore (per le società e gli enti commerciali, infatti, l’attribuzione testamentaria di quote produrrebbe sempre una sopravvenienza attiva). “ In quanto trasferimento mortis causa, esso si presenta però come normalmente attinente alla sfera personale, a meno che lo stesso testatore non abbia diversamente disposto. In assenza di una diversa disposizione testamentaria, dunque, il bene ricevuto non darà luogo alla produzione di sopravvenienze attive anche quando, con destinazione successiva, il soggetto inserisca le partecipazioni ricevute nella propria azienda, diventando le stesse beni d’impresa. In quest’ipotesi, il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni sarà pari al valore normale [xxviii]”.

Imposte indirette

Ai fini delle imposte indirette in caso di successione d’azienda o di quote sociali, valgono le medesime considerazioni fatte per la donazione d’azienda, cui si rimanda.

La base imponibile per l’imposta di successione è determinata in riferimento al valore complessivo netto dei beni, ai sensi dell’art. 8, commi 1 e 3 del D.Lgs. n. 346/1990.

In particolare, ai sensi dell’art. 8, comma 1, la base imponibile è costituita dalla “ differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario, determinato secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19, e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art. 46, comma 3” . In ogni caso, è escluso l’avviamento dal valore globale dell’asse ereditario (art. 8, comma 1-bis).

Ai sensi dell’art. 8, comma 3, “ Il valore dell'eredità o delle quote ereditarie è determinato al netto dei legati e degli altri oneri che le gravano, quello dei legati al netto degli oneri da cui sono gravati” .

Con specifico riferimento all’ipotesi di trasferimento mortis causa di un’azienda, una recente sentenza della Cassazione[xxix], pur riferita ad un caso assai datato[xxx], opera una ricostruzione della disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al citato D.Lgs. n. 346/1990.

Tale sentenza, nonostante non istituisca alcuna “novità” in materia, è assai utile per ripercorrere i tratti salienti della disciplina; i giudici, infatti, citando l’art. 15 del predetto Decreto, hanno sottolineato la necessità di applicare criteri diversi alla valutazione d’azienda, ai fini delle imposte indirette, a seconda che il defunto proprietario sia stato o meno un piccolo imprenditore.

La base imponibile dell’imposta è, infatti, costituita:

Ø nel caso in cui l’imprenditore non sia tenuto alla redazione dell’inventario (ex art. 2214, comma 3 del cod. civ.), dal valore complessivo dei beni e dei diritti che compongono l’azienda, esclusi i beni di cui all’art. 12 del Decreto e al netto delle passività risultanti a norma dei successivi articoli da 21 a 23;

Ø in caso contrario, dal valore delle attività e passività indicate nell’inventario (regolarmente redatto, ex art. 2217 cod. civ.), tenendo altresì conto dei mutamenti successivamente intervenuti[xxxi].

Le aliquote applicate sono le medesime di quelle previste per le donazioni.

CESSIONE DI AZIENDA

Imposte dirette

La cessione d’azienda a titolo oneroso da parte di un imprenditore individuale nei confronti di familiari è trattata come una normale cessione, e pertanto è operazione suscettibile di generare in capo al cedente una plusvalenza imponibile, ai sensi dell’articolo 58, comma 1, primo periodo del TUIR.

Tale plusvalenza è determinata come differenza tra il prezzo di vendita e il costo fiscalmente riconosciuto dell’azienda in capo al cedente.

Ai fini impositivi, l’art. 86, comma 4 del TUIR stabilisce che le plusvalenze sono tassate per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è avvenuta la cessione; in alternativa, se l’azienda è posseduta per un periodo non inferiore a tre anni[xxxii], il contribuente ha la facoltà di imputare dette plusvalenze in quote costanti “nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto[xxxiii] (in altre parole, la rateazione della plusvalenza non può interessare più di cinque esercizi).

Specularmente, ex art. 101 del TUIR, sono deducibili le minusvalenze.

Ai soli imprenditori individuali è offerta un’ulteriore possibilità, in aggiunta alle due sopra citate. L’art. 17, comma 1, lett. g) del TUIR prevede, infatti, la tassazione separata[xxxiv] per le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni[xxxv].

La richiesta di applicazione di tale norma deve essere effettuata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale le plusvalenze sarebbero imputabili come componenti del reddito d’impresa.

Ai sensi dell’art. 21, comma 1, secondo periodo, “ l’imposta è determinata applicando all’ammontare conseguito o imputato, l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui i redditi sono stati rispettivamente conseguiti o imputati [xxxvi]. Se in uno dei due anni di riferimento il contribuente non ha percepito alcun reddito imponibile, l’aliquota da applicare al reddito da tassare separatamente viene determinata facendo solo riferimento all’imposta dovuta sulla metà del reddito complessivo netto dell’altro anno; se, invece, nel biennio di riferimento non è stato percepito alcun reddito, si applica l’aliquota prevista per il primo scaglione di reddito (dal 2003 pari a 23%).

Molto dibattuta in giurisprudenza la questione relativa alla cessione di azienda tra familiari, in merito alla realizzazione o meno della plusvalenza.

La Corte di Cassazione è orientata nel senso che la cessione d’azienda, seppur avvenuta tra familiari, non sarebbe in alcun modo riconducibile ad un atto gratuito e realizzerebbe sempre una plusvalenza imponibile.

A titolo esemplificativo, la Suprema Corte[xxxvii] ha ritenuto che “ la mera sussistenza di un rapporto di parentela fra cedente e cessionario nell’ambito di un negozio traslativo della proprietà di un compendio aziendale non è di per sé idoneo a dimostrare la gratuità dell’operazione . Né appare corretto sostenere che il contenuto degli atti rileva soltanto ai fini dell’interpretazione del contratto in merito all’applicazione dell’imposta di registro. Conseguentemente, il contribuente che intenda contestare l’accertamento di maggior imponibile ai fini delle imposte sui redditi derivante dal valore venale in comune commercio attribuito all’azienda in sede di accertamento ai fini dell’imposta di registro deve assolvere all’onere della prova contraria all’uopo fornendo anche elementi indiziari sufficienti a superare la presunzione di corrispondenza dei valori accertati nelle singole discipline d’imposta” (sottolineatura nostra).

Con successiva sentenza[xxxviii], la Cassazione è giunta alle medesime conclusioni sopra esposte, accogliendo le rimostranze dell’Ufficio, in un caso di cessione di azienda a favore della figlia, affermando che “ Il giudice di secondo grado ha osservato che si era trattato di donazione, come anche risultava dalla scrittura privata predisposta dalle parti, e pertanto nessuna plusvalenza si era verificata a favore della cedente, che aveva trasferito l’azienda alla figlia. L’assunto non è esatto. Va premesso che nella cessione d’azienda, ai fini della configurazione di una plusvalenza da avviamento commerciale […], deve farsi riferimento alla natura intrinseca ed alla configurazione giuridica dell’atto che ha operato il trasferimento del bene (prescindendo dal contenuto di clausole o dichiarazioni, inserite per finalità dell’atto stesso e comunque incoerenti rispetto agli elementi essenziali del tipo di contratto concluso) ed al fatto che la stessa cessione risulta realizzata e tassabile, in presenza di un negozio oneroso. Deve invece ritenersi insussistente nel caso di trasferimento “mortis causa” o per atto gratuito a familiari [xxxix], prima però che fosse intervenuta la novella di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 25, che ha escluso dalla imponibilità gli atti a titolo gratuito a favore dei familiari stessi. Peraltro l’atto di cessione prevedeva un prezzo, anche se la CTP l’aveva limitato all’avviamento, ma ciò comunque comportava che la cessione non era stata operata a titolo gratuito. Ciò posto, inoltre va rilevato che in tema di accertamento, ai fini IRPEF, delle plusvalenze realizzate a seguito di trasferimento di azienda, il valore dell’avviamento resosi definitivo ai fini dell’imposta di registro, assume carattere vincolante per l’amministrazione finanziaria, come nella specie, spostandosi sul contribuente l’onere della prova della insussistenza della contestata plusvalenza [xl] (sottolineatura nostra).

La questione è stata dibattuta anche dalla dottrina, e più in particolare è stato affermato[xli] che “ Non può invero accreditarsi, da un punto di vista logico-giuridico, la tesi della gratuità della cessione sulla base del solo rapporto di parentela intercorrente tra il cedente ed il cessionario escludendo, a tal fine, la valenza dell’atto di cessione e del successivo atto integrativo sull’esclusivo rilievo che il relativo contenuto può avere conseguenza solamente ai fini dell’imposta di registro”.

Nonostante le numerose pronunce della Cassazione sul tema, si segnalano recenti sentenze contrastanti.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, nella sentenza n. 24 del 2 febbraio 2011, in un caso di trasferimento dell’azienda al figlio, ha affermato che la cessione d’azienda “ presuppone la realizzazione di una plusvalenza da assoggettare a imposizione, ma che, nella maggioranza dei casi, non viene dichiarata al Fisco. Nella fattispecie in esame, però, il trasferimento della c.d. azienda è avvenuto tra padre e figlio [..]. Orbene, il rapporto di parentela tra padre e figlio, ad avviso di questo collegio, costituisce una presunzione di gratuità dell’atto. È presumibile, infatti, che il trasferimento tra due soggetti legati ad un così stretto vincolo di parentela sia avvenuto senza corrispettivo. Ciò in linea con lo Spirito del Legislatore, che ha voluto favorire i passaggi generazionali, senza ritenere sussistente la presunzione di passaggio a titolo oneroso” (sottolineatura nostra).

Il medesimo organo giurisdizionale, nella sentenza n. 211 del 23 marzo 2011, richiamando una precedente pronuncia della Commissione Centrale [xlii], ha affermato che “ non sussiste il valore dell’avviamento […] nel caso di trasferimento dell’azienda da padre a figli allorquando questi ultimi collaboravano con il primo nella gestione dell’esercizio, verificandosi in tale ipotesi solo un mutamento della ditta. In tale ipotesi esiste il vincolo di parentela tra cedenti e cessionari ed in tale occasione non si può invocare la normativa fiscale che regola la cessione onerosa tra parenti” .

Imposte indirette

Ai fini delle imposte indirette, la cessione di azienda a titolo oneroso è:

a) operazione esclusa dal campo di applicazione dell’Iva, ex art. 2, comma 3, lett. b) del DPR 633/72;

b) soggetta ad imposta di registro, ex artt. 2 e 3, comma 1, lett. b) del DPR 131/1986, con le aliquote proporzionali applicabili in ragione degli elementi patrimoniali che compongono il complesso aziendale[xliii]. La base imponibile, ai sensi dell’art. 43, comma 1, lett. a) del Citato Decreto, è costituita dal valore del bene alla data dell’atto di cessione[xliv]; per valore del bene, ai sensi del successivo art. 51, comma 1, si assume “ quello dichiarato dalle parti nell’atto […]”.

Per completezza, si segnala che in caso di accertamento di un maggior valore ai fini dell’imposta di registro, questo non assume automatica efficacia ai fini delle imposte dirette[xlv];

c) soggetta ad imposta ipotecaria e catastale, di cui al D.Lgs. 347/1990, nella misura rispettivamente del 2% e dell’1% [xlvi], se nel complesso aziendale sono compresi beni/diritti reali immobiliari, applicabile sul valore lordo dei beni immobili trasferiti, anziché sul valore netto che si otterrebbe sottraendo le passività [xlvii].

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza n. 555/01/11 del 19 settembre 2011, ha affermato che la cessione a titolo oneroso dell’azienda dal padre al figlio, avvenendo in ambito familiare, non determina alcuna base imponibile per l’applicazione dell’imposta di registro, a cui dunque, non deve essere assoggettata. Secondo tale sentenza, l’art. 58 TUIR, nonostante si riferisca alle imposte dirette e sancendo la neutralità fiscale delle operazioni di cessione di azienda mortis causa o per atto gratuito, costituirebbe un principio di carattere generale sulla valutazione delle aziende cedute ai familiari.

Si riscontra, tuttavia, il parere opposto di precedente giurisprudenza[xlviii].

CESSIONE DI PARTECIPAZIONI SOCIETARIE

Imposte dirette

Anche la cessione di partecipazioni sociali, a familiari come pure a terzi, effettuata al di fuori dell’ambito d’impresa, è operazione suscettibile di generare in capo al cedente una plusvalenza imponibile, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c) e c-bis) del TUIR, disciplinanti rispettivamente la cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate e non qualificate.

Il successivo articolo 68 del TUIR detta le regole di determinazione della plusvalenza; ai sensi del comma 6 di detto articolo, la plusvalenza è costituita “ dalla differenza tra il corrispettivo percepito […] ed il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l’imposta di successione e donazione, con esclusione degli interessi passivi ”.

Per le partecipazioni qualificate, il comma 3 dell’art. 68 dispone che l’ammontare della plusvalenza sia diminuito dell’ammontare delle relative minusvalenze e l’importo così determinato rileverà per il 49,72%[xlix] ai fini della tassazione.

Le partecipazioni non qualificate, invece, sono interamente imponibili; il plusvalore è determinato sottraendo al loro importo eventuali minusvalenze. Dal 1° gennaio 2012 sono soggette all’imposta sostitutiva del 20%, in luogo del 12,5% vigente in precedenza, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 6, del Dl 138/2011.

Lo stesso art. 68, comma 6, stabilisce che, nel caso di partecipazioni detenute in Società di Persone, il costo della partecipazione “ è aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio e dal costo si scomputano, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti al socio ”.

In riferimento alla cessione di partecipazioni effettuate da imprese, è previsto in generale, e a certe condizioni, un regime di esenzione, disciplinato dall’art. 87 del TUIR (partecipation exemption), cui si rimanda per verificare la sussistenza delle condizioni richieste per beneficiare del regime in questione.

In difetto di tali requisiti, le plusvalenze in questione sono assoggettate a tassazione ordinaria con facoltà di rateizzazione, ai sensi del comma 4 dell’art. 86 del TUIR.

Infine, per completezza argomentativa, la vendita di partecipazioni, non costituenti immobilizzazioni finanziarie, non genera plusvalenze ma ricavi (non rateizzabili).

Non si hanno disposizioni agevolative particolari per la cessione di quote sociali nell’ambito della famiglia.

Imposte indirette

Ai fini delle imposte indirette, la cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali è:

a) operazione esente ai fini Iva, ex art. 10, comma 1, n. 4 del DPR 633/1972;

b) soggetta ad imposta di registro in misura fissa pari ad € 168[l].

La giurisprudenza ha avuto occasione di precisare[li] che l’atto di cessione di quote sociali, contenente una pluralità di cessione di quote, è comunque soggetto ad un’unica imposta di registro.

Conclusioni

La donazione e la successione mortis causa d’azienda o di partecipazioni societarie sono operazioni caratterizzate da neutralità fiscale, a prescindere – per le imposte dirette – dal grado di parentela dell’erede o donatario e purché venga rispettato il principio della continuità dei valori. Nessuna plusvalenza si realizzerà in capo al donatario o all’erede, almeno fino all’eventuale e successiva cessione dell’azienda o delle partecipazioni.

Quanto alle imposte indirette, qualora i beneficiari dell’operazione siano il coniuge o i discendenti del de cuius o del donante, non è dovuta l’imposta di successione o di donazione, a condizione che l’attività di impresa venga proseguita dagli stessi per almeno cinque anni ovvero, nel caso di quote, che il requisito del controllo venga mantenuto per il medesimo arco temporale.

In presenza di tali condizioni, oltre all’imposta di successione o di donazione, non è dovuta neanche l’eventuale imposta ipotecaria e catastale.

Entrambe le operazioni sono fuori campo Iva, venendo a mancare il presupposto oggettivo.

Concettualmente, il regime di favore dell’ordinamento tributario, con riferimento alla donazione e successione d’azienda e di partecipazioni societarie, può essere sintetizzato nella “sospensione” dalla tassazione dei valori plusvalenti, ai fini delle imposte dirette, e nell’ “esenzione” da imposta, ricorrendo certi requisiti, ai fini dei tributi indiretti.

Discorso opposto per la cessione d’azienda e il trasferimento di partecipazioni societarie a titolo oneroso.

Tali operazioni sono, infatti, suscettibili di generare sempre una plusvalenza imponibile in capo al cedente, a nulla rilevando il legame familiare tra cedente e cessionario; l’argomento è, tuttavia, dibattuto. Sono rinvenibili, infatti, contrastanti pronunce giurisprudenziali: da una parte, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che la cessione d’azienda tra familiari non può essere ricondotta automaticamente ad un atto gratuito, realizzando, dunque, sempre una plusvalenza imponibile. Dall’altra, la sentenza della CTR del Lazio, n. 24/2011 ha, invece, sostenuto che, in ragione dello stretto legame familiare tra cedente e cessionario, si può presumere la gratuità dell’atto di cessione, cui consegue la non imponibilità della plusvalenza latente.

Ai fini delle imposte indirette, la cessione d’azienda è operazione fuori capo Iva per la mancanza del requisito oggettivo, soggetta ad imposta di registro ed, eventualmente, ad imposta ipotecaria e catastale (applicabile sul valore lordo dei beni immobili trasferiti); il trasferimento di partecipazioni è, invece, operazioni esente Iva e soggetta all’imposta di registro.

Nessuna pronuncia si rinviene in ambito di trasferimento di partecipazione tra familiari. In maniera del tutto analogica, si potrebbe sostenere che la cessione di quote tra parenti sia comunque operazione suscettibile di realizzare una plusvalenza imponibile, così come affermato dalla Cassazione in ambito di cessione d’azienda.



[i] In realtà, più che di “condizione”, sembrerebbe più appropriato parlare di “conseguenza” del regime di neutralità fiscale della donazione d’azienda, per la sua applicabilità. Assumere l’azienda ai medesimi valori fiscali che essa aveva in capo al donante non rappresenta una mera facoltà per il donatario; quest’ultimo, di conseguenza, non potrà valorizzare l’azienda, ai fini fiscali, sulla base dei valori correnti alla data del trasferimento, previo assoggettamento a tassazione in capo al donante della relativa plusvalenza.

[ii] L’esercizio dell’impresa da parte del donatario costituisce un prerequisito per l’applicazione del regime di neutralità fiscale in capo al donante; laddove il donatario non sia imprenditore, né assuma tale qualifica in seguito all’acquisizione dell’azienda dal donante, mancherebbe, infatti, la prosecuzione dell’attività d’azienda, configurando così una mera donazione di beni, con conseguente emersione in capo al donante delle plusvalenze imponibili eventualmente insite nei beni “destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del TUIR.

[iii] L’Agenzia delle Entrate, con la R.M. 18.7.2002 n. 237/E, ha precisato, tra l’altro, che l’estensione ai non familiari consente di effettuare la donazione in regime di neutralità fiscale anche quando il donatario è un soggetto diverso da una persona fisica, quali enti e società.

[iv] Consiglio Nazionale del Notariato, “Profili fiscali del passaggio generazionale dell’impresa”, studio n. 36-2011/T, pag. 3.

[v] “Valore normale” ai sensi dell’art. 9, comma 3 del TUIR.

[vi] F.Rossi Ragazzi, Cessione e trasferimento gratuito dell’azienda, il Fisco, 24/2012, p. 3737

[vii] Ibidem , La modalità di calcolo della plusvalenza avverrà sulla base dell’art. 71 del Tuir che rinvia allo stesso art. 67 del Tuir. In tale ipotesi, inoltre, non risulterà applicabile la tassazione separata ex art. 17 né il differimento della plusvalenza ex art. 86, comma 4, poiché l’art. 67 qualifica tale plusvalenza come “reddito diverso” e quindi lo sottrae al regime di tassazione del reddito d’impresa.

[viii] Ibidem, In tal caso dovrebbe risultare applicabile – laddove l’azienda sia posseduta da più di cinque anni – la tassazione separata ex art. 17 e, unicamente se il cedente continua a rivestire lo status di imprenditore dopo la cessione (qualora l’azienda sia posseduta da più di tre anni), la tassazione differita ex comma 4, art. 86.

[ix] Ovvero un imprenditore che detiene le partecipazioni nella propria sfera personale.

[x] Consiglio Nazionale del Notariato, “Profili fiscali del passaggio generazionale dell’impresa”, studio n. 36-2011/T, pag. 10.

Da segnalare che, in caso di successiva cessione di partecipazioni ricevute in donazione (o successione), è prevista una particolare modalità di determinare il capital gain, ex art. 68, comma 6.

[xi] La donazione d’azienda e di quote sociali è, infatti, operazione fuori campo Iva poiché non è né una cessione di beni, né una prestazione di servizi, venendo quindi a mancare il presupposto oggettivo per l’applicazione del tributo.

[xii] Ai sensi dell’art. 2, comma 48, del Dl n. 262/2006, le aliquote applicate sono le seguenti:

Ø 4%, per coniuge e parenti in linea retta, con una franchigia di € 1.000.000 ciascuno;

Ø 6%, per fratelli e sorelle, considerando una franchigia di € 100.000 ciascuno;

Ø 6%, per altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado;

Ø 8%, per tutti gli altri soggetti.

In favore di beneficiari portatori di handicap, la franchigia è elevata ad € 1.500.000 e si applicano le aliquote previste in base al rapporto di parentela.

[xiii] Per effetto del richiamo operato dall’art. 1, comma 2 e dall’art. 10, comma 3 del D. Lgs. 347/1990 all’art. 3 del D.Lgs. 346/1990 (TUS), la donazione (o successione) è esente dalle imposte ipotecaria e catastale se l’operazione è a favore del coniuge o dei discendenti del donante ( dante causa), a condizione che i beneficiari del trasferimento proseguano l’esercizio dell’impresa per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento. In altre parole, se l’operazione è esente dall’imposta di donazione (o successione), lo è anche per le imposte ipotecaria e catastale.

[xiv] L’art. 25 del DPR 131/1986 (TUR) stabilisce, infatti, che “ un atto in parte oneroso e in parte gratuito è soggetto all’imposta di registro per la parte a titolo oneroso, salva l’applicazione dell’imposta sulle donazioni per la parte a titolo gratuito ”. In ogni caso, la donazione deve avvenire per atto pubblico a pena di nullità. Il relativo contratto è quindi soggetto alle formalità della trascrizione cui è tenuto il notaio rogante, ex art. 11 del TUR. La registrazione deve avvenire in termine fisso entro 20 giorni dalla formazione dell’atto di liberalità.

[xv] Per discendenti si intendono i parenti in linea retta (padre/figlio; nonno/nipote) e gli altri parenti fino al quarto grado (zio/nipote; cugini). La disciplina agevolativa non si applica qualora il beneficiario sia il convivente, cognati e suoceri, generi e nuore.

[xvi] Ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), Cod. Civ., sono considerate società controllate “ 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”. Si osservi che il requisito del controllo ai fini dell’esenzione interessa solo le partecipazioni nelle società di cui all’art. 73, comma 1, lett. a) del TUIR, tra le quali, in particolare, Spa e Srl.

Il requisito del controllo, al contrario, non è richiesto e, di conseguenza, l’imposta non è dovuta quando il trasferimento riguarda partecipazioni in società di persone, purché sussistano gli altri requisiti indicati dalla norma.

Si sottolinea come non si debba necessariamente trattare del trasferimento di un pacchetto di per sé di controllo, essendo sufficiente che il trasferimento consenta di realizzare o anche solo di integrare il controllo in capo al beneficiario (sul tema, si vedano la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 3/2008 e la Risoluzione della stessa Agenzia n. 446/2008).

Esemplificando, se un soggetto ha intenzione di donare una partecipazione del 100% di una società (di capitali) a tre figli, ciascuno riceve una partecipazione non di controllo e ciò non permette, quindi, l’esenzione.

[xvii] Consiglio Nazionale del Notariato, “Profili fiscali del passaggio generazionale dell’impresa”, studio n. 36-2011/T, pag. 11.

[xviii] Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, 23 novembre 2007, n. 341/E.

[xix] Il patto di famiglia è un contratto plurilaterale inter vivos ad effetti reali, a titolo gratuito, con il quale l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie le trasferisce, in tutto o in parte, a uno o più discendenti, con il consenso del coniuge e di tutti quelli che sarebbero legittimari se la successione si aprisse in quel momento. Il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie ha effetto immediato e definitivo, quindi non può più essere messo in discussione neanche dopo la morte del disponente.

[xx] In tal caso, infatti, per usufruire dell’esenzione, mancherebbe il requisito della prosecuzione dell’attività d’impresa per un periodo non inferiore a 5 anni, in quanto i legittimari non assegnatari non sono i beneficiari dell’azienda stessa.

[xxi] I commi 2, 3 e 4 dell’art. 768-quater del cod. civ. stabiliscono che “ Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti […]”.

[xxii] A. De Magistris – A. La Manna, I patti di famiglia: aspetti generali e disciplina fiscale, Il Fisco 13/2012, pag. 1930.

[xxiii] Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 3/E del 2008.

[xxiv] Tale proposta di modifica è stata presentata a Trento, il 1° giugno 2012, al Festival dell’Economia dal Consiglio Nazionale del Notariato e Confindustria. Per rendere il patto di famiglia più vicino alle esigenze delle imprese, sono state avanzate le seguenti proposte (tratto dal Comunicato stampa del 1° giugno 2012 del Consiglio Nazionale del Notariato):

Ø rendere facoltativa, e non più obbligatoria, la partecipazione al patto degli eredi (coniuge e degli altri eredi legittimari), garantendo a tutti il diritto alla liquidazione sia che vi partecipino sia che non vi partecipino (in quest’ultimo caso aumentata degli interessi legali);

Ø consentire all’imprenditore e non al soggetto designato di provvedere direttamente a compensare, in denaro o in natura, i discendenti non assegnatari dei beni per la quota di legittima loro spettante tenendo anche in considerazione eventuali donazioni precedentemente disposte in favore degli assegnatari;

Ø rendere non soggette ad azioni giudiziarie future, riguardanti la divisione dell’eredità o la lesione di legittima, tutte le attribuzioni realizzate con il patto di famiglia.

[xxv] La successione (o donazione) a più beneficiari che proseguono l’attività attraverso la costituzione di una società di fatto non costituisce realizzo di una plusvalenza imponibile; stesso discorso per la regolarizzazione della stessa società di fatto costituita tra i beneficiari.

[xxvi] Ceppellini – Lugano, Testo unico delle imposte sui redditi, Il Sole 24 Ore, 2012, pag. 462.

[xxvii] Come si evince dalla nota 53) del predetto Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, “ Parte della dottrina ha affermato che la morte dell’imprenditore costituisce un’ipotesi di destinazione dell’azienda a finalità estranee, con emersione di plusvalenze tassabili, ai sensi dell’art. 86, comma 1, lett. c) del TUIR. Partendo dalla ricostruzione della destinazione a finalità estranee come fattispecie impositiva avente una funzione di chiusura, che impedisce ogni oggettiva fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d’impresa, tale distacco dovrebbe ritenersi integrato anche da un atto “non volontario” e “non oneroso”, quale la morte dell’imprenditore. Questa tesi è stata fortemente contrastata da buona parte della dottrina e della giurisprudenza, oltre a non aver trovato riscontro nella prassi dell’amministrazione finanziaria”.

[xxviii] Consiglio Nazionale del Notariato, “Profili fiscali del passaggio generazionale dell’impresa”, studio n. 36-2011/T, nota 54).

[xxix] Cassazione, sentenza n. 8136 del 23 maggio 2012.

[xxx] L’avviso dell’Ufficio è stato, infatti, notificato al contribuente il 3 novembre 1995, confermato successivamente in appello il 27 novembre 2009.

[xxxi] In sostanza, in ipotesi di imprenditori tenuti all’obbligo inventariale, la base imponibile per l’imposta sulle successioni e donazioni può essere costituita dai valori storici dell’azienda, in luogo di quelli correnti (utilizzati, invece, dagli imprenditori non tenuti alla redazione dell’inventario).

[xxxii] A tal fine non è rilevante la circostanza che i singoli beni componenti l’azienda siano posseduti da meno di tre anni.

La Circolare Ministeriale n. 320 del 19 dicembre 1997, par. 1.2.2, stabilisce, infatti, che “ Con riferimento al requisito del possesso per un periodo di tempo non inferiore a tre anni, si precisa che tale termine va computato […] indipendentemente dall'acquisto dei singoli beni che concorrono alla formazione dell'azienda ”.

[xxxiii] Secondo la prevalente dottrina, tale possibilità è esclusa qualora si tratti dell’unica azienda dell’imprenditore. Tale orientamento è stato fatto proprio anche dall’Amministrazione Finanziaria con la citata Circolare n. 320/1997.

[xxxiv] La scelta di tale regime, tuttavia, preclude la possibilità di optare per il frazionamento della plusvalenza di cui al comma 4 dell’art. 86 TUIR.

[xxxv] Le plusvalenze realizzate da società (indistintamente di capitali o di persone), quindi, nonostante le relative aziende o rami di esse siano possedute per un periodo superiore a cinque anni, non possono usufruire della tassazione separata, ma sono tassate secondo la disciplina ordinaria, salvo l’opzione per il frazionamento della plusvalenza stessa, ex art. 86, comma 4 del TUIR.

[xxxvi] Per una maggior chiarezza, si consideri il seguente esempio numerico:

· Plusvalenza imponibile da cessione d’azienda realizzata nel 2010: 100.000;

· Reddito complessivo imponibile del cedente, rispettivamente, nel 2008 e nel 2009: 35.000 e 15.000.

Il reddito di riferimento è pari a [(35.000+15.000)/2]=25.000.

Applicando l’aliquota dovuta per il 2010 su 25.000 otteniamo un’imposta pari a 6.150.

L’aliquota media applicabile alla plusvalenza di 100.000 euro sarà pari a 24,6% (6.150 / 25.000).

[xxxvii] Corte di Cassazione, 1 giugno 2007, n. 12899. Tale orientamento è stato confermato anche nella successiva sentenza del 13 febbraio 2009, n. 3589.

[xxxviii] Corte di Cassazione, 22 aprile 2009, n. 9516.

[xxxix] Vedi pure Cassazione, sentenze n. 4117 del 2002 e n. 792 del 2003.

[xl] Cfr. anche Cassazione, sentenze n. 14581 del 2001 e n. 14448 del 2000.

[xli] Rif. A. Attanasio, La cessione d’azienda, Experta Edizioni, 2008, pag. 92.

[xlii] Commissione Centrale, sentenza n. 9871 del 19 novembre 1985.

[xliii] In particolare, 7% per i beni immobili e i diritti reali immobiliari (escluse le aree fabbricabili) e 3% per i beni mobili, incluso l’avviamento. Se l’azienda ceduta comprende sia beni immobili che beni mobili, sarà applicabile l’aliquota dei beni immobili perché più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti (ex art. 23, comma 1 del DPR 131/1986).

[xliv] L’art. 43, comma 1, lett. a) del DPR 131/1986 stabilisce che “ La base imponibile […] è costituita per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto ovvero, per gli atti sottoposti a condizione sospensiva, ad approvazione o ad omologazione, alla data in cui si producono i relativi effetti traslativi o costitutivi ”.

[xlv] La Norma di Comportamento n. 171 della Commissione ADC dell’ottobre 2008 stabilisce, infatti, che “ I principi relativi alla determinazione del valore di un’azienda che viene trasferita a titolo oneroso sono diversi a seconda dell’imposta che si applica: ai fini dell’imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre con riferimento alle imposte dirette, la plusvalenza è costituita dalla differenza realizzata tra il prezzo di cessione convenuto dalle parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale e il costo non ammortizzato. Considerata la diversità dei presupposti per la determinazione dell’imposta nella cessione d’azienda ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro e delle imposte dirette, sopra descritta, la definizione di un accertamento ai fini dell’imposta di registro non ha automatica efficacia ai fini di un accertamento delle imposte sul reddito effettuato sia ai sensi dell’art. 39, primo comma, lettera c) e d), sia ai sensi del secondo comma del medesimo articolo del DPR n. 600/73 […]”.

[xlvi] E. Zanetti, Cessione e conferimento d’azienda, Sistemi Editoriali Se, 2005, pagg. 163 ss.

[xlvii] Orientamento confermato dall’Agenzia delle Entrate, circolare n. 25 del 30 maggio 2005 e risoluzione n. 145 del 5 ottobre 2005, e che fin qui ha trovato l’avvallo della prevalente giurisprudenza (Cassazione, sentenza n. 10846 dell’11 febbraio 2003 e n. 15046 del 5 giugno-25 ottobre 2002); la materia è tutt’ora criticata in dottrina.

La natura controversia della questione risiede nel fatto che il D.Lgs. 347/1990 (testo unico in materia di imposte ipotecaria e catastale), all’art. 2, rinvia espressamente alle modalità di determinazione della base imponibile in materia di imposta di registro (che, coma noto, assume quale base imponibile il valore al netto delle passività); l’orientamento della prassi e della giurisprudenza è, dunque, da sempre criticato in dottrina (cfr. per tutti A. Busani, Immobili con prelievo differenziato, in “Il Sole 24 Ore” del 31 maggio 2005, pag. 27), “in quanto ritenuto arbitrario e non rispondente alla (per la verità chiara) lettera della norma” (E. Zanetti, Le imposte ipotecaria e catastale sugli atti di cessione e di conferimento di aziende, Il Fisco 12/2007, pag. 1760).

[xlviii] Cassazione, sentenza 10893/1995.

[xlix] Si ricorda che la percentuale di concorrenza del reddito complessivo originariamente fissata nel 40%, è stata incrementata dall’art. 2, comma 2, del D.M. 2 aprile 2008 nella misura del 49,72%. Quest'ultima percentuale si applica agli utili e ai proventi equiparati formati con utili prodotti dalla società o ente partecipato a partire dall'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2008. Diversamente, resta ferma la precedente percentuale del 40% per gli utili e proventi equiparati prodotti sino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2008.

[l] Cfr. art. 11 della Tariffa allegata al DPR 131/1986, Parte I.

[li] Cfr. CTP di Varese, sentenza 6 ottobre 2009, n. 122; CTP di Como, sentenze 12 gennaio 2009, n. 2 e 13 gennaio 2009, n. 13.

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