Vicenza, Giovedì 21 Novembre 2024

Donazione di azienda, problematiche

Donazione di azienda, problematiche

di Francesco De Stefano, Notaio in Schio

 

1. La donazione di azienda

1.1 Generalità

La donazione è uno strumento giuridico di trasmissione a titolo gratuito di beni da parte di un soggetto vivente e si distingue dal testamento che non produce effetti se non alla morte del disponente.

Lo spirito della donazione è in realtà il desiderio o l’opportunità di aiutare i propri figli, anticipare la propria successione.

Le principali caratteristiche della donazione sono l'assenza di un corrispettivo ed il carattere tendenzialmente definitivo, trattandosi di un contratto. L'importanza di tale atto e le conseguenze che ne derivano esigono che questo si debba realizzare seguendo forme particolari.

La donazione deve rivestire la forma solenne dell’atto pubblico notarile, a pena di nullità e richiede la presenza di due testimoni, non parenti coniugi o affini, né interessati all'atto; il motivo risiede nella necessità di richiamare l’attenzione del donante sull’importanza dell’atto che sta per compiere.

L'opportunità di una donazione deve analizzarsi caso per caso, avendo presenti i seguenti elementi, che il notaio di fiducia potrà aiutare a valutare, e precisamente: il patrimonio del donante, la sua situazione familiare, le implicazioni sulla sua futura successione, gli aspetti fiscali e gli eventuali vantaggi di un simile atto. Spesso, la scelta della donazione, rispetto ad un atto a titolo oneroso (cioè con corrispettivo), si farà nell'ambito di un programma successorio globale e tenendo presenti i rapporti che intercorrono tra successione a causa di morte e donazione, e gli assetti che si intende raggiungere.

La donazione è un contratto e pertanto devono ricorrere i requisiti richiesti per la sua validità:

- la volontà del donante di spogliarsi, per spirito di liberalità, di un proprio bene senza esigere un corrispettivo e senza esservi obbligato;

- il trasferimento di un bene dal patrimonio del donante a colui che egli desidera beneficiare; qualsiasi bene, mobile o immobile, può essere oggetto di una donazione, purché lo stesso sia presente nel patrimonio del donante;

- l'accettazione del donatario. Nessuno può obbligare qualcuno ad accettare un regalo! Tale accettazione deve essere espressa.

La donazione è un atto importante e deve essere approfonditamente valutato dal donante, perché anticipa la propria successione ed è tendenzialmente irrevocabile, definitivo. Il donante non può più riprendere ciò che ha donato, neppure se successivamente si penta del suo gesto o se i rapporti tra le parti siano cambiati dopo l'atto di donazione.

Tuttavia, la donazione, come tutti i contratti, può essere sciolta per mutuo dissenso, e la legge, a tutela del donante, prevede cause di revocazione della donazione, per ingratitudine e per sopravvenienza di figli.

Inoltre, è possibile apporre all’atto di donazione svariate clausole, per raggiungere i più diversi obiettivi. Il ruolo del notaio nell’elaborare dette clausole ed adattarle alle esigenze del cliente, si rileva molto spesso fondamentale.

Si possono introdurre, così, ad esempio,

a) una condizione, che potrà essere sospensiva, se il donante vorrà subordinare il prodursi degli effetti al verificarsi di un evento futuro ed incerto, o risolutiva, se il donante intenda invece subordinare la cessazione degli effetti al verificarsi di un evento futuro ed incerto.

Attenzione però a non dedurre una condizione illecita o impossibile, e a non gravare la quota legittima (riservata per legge, intangibile) con una condizione;

b) un termine iniziale, a partire dal quale la donazione avrà efficacia, o finale, fino al quale la donazione avrà efficacia;

c) l’imposizione di un onere al donatario, cd. donazione modale, se il donante vuole in qualche modo limitare il valore dell’attribuzione patrimoniale; onere che può consistere nell’obbligo di prestare assistenza al donante, vita sua natural durante (mantenimento, vitto, vestiario, alloggio, cura della persona, compagnia); con possibilità di prevedere o meno la risoluzione della donazione in caso di inadempimento del donatario;

d) la riserva di usufrutto vitalizio o a tempo. In tal modo il donante sceglie di mantenere, a proprio vantaggio, il diritto di utilizzare il proprio bene e di percepirne i frutti (anche locandolo), per la durata prescelta ed al beneficiario della donazione andrà solo la nuda proprietà; il donante può riservare tale diritto, dopo di lui, a vantaggio di un'altra persona o anche di più persone, ma non successivamente.

e) riserva di disporre di cose determinate o di una determinata somma sui beni donati. Il donante, ma non i suoi eredi, potrà decidere di disporre di qualche oggetto compreso nella donazione. Si determinerà in tal caso una risoluzione parziale della donazione con conseguente sottrazione di parte del bene al donatario. La riserva di disporre apposta dal donante può riguardare anche una determinata somma sui beni donati e, in questo caso, si avrà un onere a carico del donatario, condizionato alla volontà del donante.

f) clausola di riversibilità. Il donante può stabilire che le cose donate ritornino a lui nel caso di premorienza del solo donatario o del donatario e dei suoi discendenti.

g) dispensa dalla collazione. Il donante esonera il donatario dall’obbligo di conferire alla massa attiva del patrimonio ereditario le donazioni ricevute in vita dal defunto in modo da dividerle con gli altri coeredi, in proporzione delle rispettive quote.

h) dispensa dall'imputazione. I legittimari sono tenuti ad imputare alla propria quota di legittima le donazioni ricevute in vita dal defunto, salvo che ne siano stati espressamente dispensati (c.d. imputazione ex se).

1.2 La fattispecie specifica e le altre figure alternative

Lo strumento più diffuso per attuare il “passaggio delle consegne” in favore dei figli è sicuramente la donazione di azienda.

Il Codice civile (art. 2555) definisce l'azienda come:

".. il complesso dei beni organizzati dall' imprenditore per l'esercizio dell'impresa".

Dalla definizione emergono due punti fondamentali:

- l'aspetto patrimoniale dell'azienda come complesso di beni;

- la centralità della figura dell'imprenditore.

La definizione, infatti, precisa che il complesso di beni diviene impresa solo se è organizzato dall'imprenditore a tal fine. Non esiste alcun cenno specifico alla finalità dell'impresa, né vi sono indicazioni su come l'impresa debba essere organizzata: il tutto viene lasciato alla libertà dell'imprenditore. Il concetto di azienda presuppone sempre quello di impresa; infatti l'azienda è necessaria per l'esercizio dell'impresa. L'azienda rappresenta la proiezione patrimoniale dell'impresa e i due concetti sono complementari. Le finalità proprie dell'impresa sono la produzione e lo scambio di beni e servizi e sono raggiungibili solo se l'imprenditore e i suoi collaboratori possono esercitare la loro attività sull'azienda. Perché esista un'impresa c'è la necessità di un imprenditore.

L'imprenditore non è necessariamente proprietario dei beni che fanno parte dell'azienda; è sufficiente che egli disponga, su ciascun bene, di un titolo giuridico che gli permetta di utilizzarlo per l'esercizio dell'impresa. La titolarità dell'azienda può quindi non coincidere con la proprietà dei beni aziendali.

Il conferimento di azienda

Uno strumento alternativo alla donazione, per attuare il passaggio generazionale può essere costituito dal conferimento dell’azienda individuale in una società preesistente o di nuova costituzione, a fronte del quale il conferente riceve partecipazioni societarie che può decidere di mantenere per un certo tempo e che successivamente può decidere di trasferire a titolo gratuito ai propri discendenti.

La donazione di partecipazioni societarie

Altro strumento cui si può ricorrere per attuare il passaggio generazionale è la donazione delle partecipazioni societarie eventualmente detenute dal socio.

Il conferimento di azienda

Nel caso in cui la donazione dell’azienda non soddisfi pienamente le esigenze del donante e del donatario, una soluzione alternativa potrebbe essere rappresentata dal conferimento di azienda.

L'operazione potrebbe rivestire un particolare interesse quando l'imprenditore voglia attuare gradualmente il passaggio, conferendo l'azienda in una società di nuova costituzione e ricevendo in cambio delle partecipazioni societarie, che poi gradualmente trasferisce ai discendenti prescelti per la continuazione dell'attività.

2. La tutela dei legittimari

Nel nostro sistema giuridico, la legge riserva necessariamente a determinati strettissimi congiunti del defunto (coniuge, discendenti e ascendenti, detti “legittimari” o “eredi necessari”) una quota dell’asse ereditario, anche contro la volontà espressa dal disponente con testamento o con donazioni fatte in vita: è questa la successione necessaria.

Essa costituisce un limite alla libertà testamentaria ed alla stessa libertà di donare, essendo la donazione un anticipo della propria successione.

Può accadere che la donazione fatta in vita dal donante o il testamento ledano i diritti dei legittimari (o eredi necessari).

In questo caso sia la donazione che il testamento saranno pur sempre atti validi ed efficaci.

Tuttavia, l’erede legittimo dimenticato o leso potrà agire in giudizio con la cosiddetta azione di riduzione delle donazioni o delle disposizioni del testamento che ledono la sua quota di legittima, per ottenere la quota spettante, per ricondurre la donazione o il testamento nei limiti di cui il donante o il testatore poteva disporre.

L’azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente dall’apertura della successione (data del decesso).

Le donazioni effettuate in vita dal defunto si possono ridurre solo se il patrimonio residuo del donante non è sufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari esclusi o lesi.

Qualora si agisca in riduzione, innanzitutto si riducono le disposizioni testamentarie proporzionalmente (tranne diversa volontà del testatore), successivamente si riducono le donazioni partendo dall’ultima che ha provocato la lesione e via via risalendo a quelle precedenti.

Nel caso in cui sia dichiarata dal giudice la riduzione di una donazione, il donatario sarà tenuto a restituire in tutto o in parte il bene ricevuto o, se ne ha disposto, il legittimario vittorioso potrà escuterne i beni, per soddisfare il suo diritto.

La tutela del legittimario quindi può coinvolgere anche la posizione giuridica di altri soggetti e, precisamente, di coloro che abbiano acquistato diritti dal donatario. Infatti, prima che siano trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, o dieci anni dall’apertura della successione, qualora il donatario abbia alienato il bene e non abbia beni sufficienti per soddisfare le pretese del legittimario, al legittimario compete l’azione di restituzione, ovvero il diritto di ottenere dall’acquirente la restituzione del bene stesso. L’acquirente del bene, in tal caso, potrà liberarsi dall’obbligo di restituzione del bene, versando il controvalore in denaro.

In certi casi, il decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione non è sufficiente per mettere al sicuro l’avente causa dal donatario, dal momento che coloro che potrebbero divenire legittimari dopo la morte del donante hanno la possibilità di opporsi alla donazione. Attraverso tale atto i legittimari impediscono che il decorso dei venti anni consolidi in capo agli aventi causa i diritti da essi acquistati, di modo che, agendo in riduzione anche a distanza di un termine maggiore, potranno vedersi restituito il bene in natura e libero da diritti di terzi.

Il diritto di opposizione alla donazione è personale, l’atto in cui si estrinseca deve essere notificato al donatario ed ai suoi aventi causa e trascritto nei pubblici registri, qualora abbia ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati. Conserva efficacia per venti anni dalla sua trascrizione, che può essere rinnovata prima della scadenza. Al diritto di opposizione si può rinunciare e la rinuncia comporta una tutela per gli aventi causa dal donatario trascorso il suddetto termine dei venti anni, mentre è bene precisare che la rinuncia all’opposizione non costituisce comunque rinuncia all’azione di riduzione. Infatti, i legittimari non possono rinunciare al diritto di proporre detta ultima azione, finché colui della cui eredità si tratta è ancora in vita, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione. Possono solo prestare acquiescenza alla donazione compiuta, quando il donante sia già morto.

3. La collazione e l’azione di riduzione

Per accertare se la donazione o il testamento hanno leso i diritti dei legittimari si procede alla “riunione fittizia” dell’asse ereditario del de cuius.

L’operazione consiste nel riunire, appunto, il patrimonio esistente al momento dell’apertura della successione (relictum), con i beni che sono stati oggetto di donazioni in vita, “per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre” (art. 556 c.c.).

Il problema che si presenta è quello della determinazione dei valori dei beni, nel momento in cui si procede alla riunione fittizia tra relictum e donatum, perché da quei valori discende poi la verifica in concreto della sussistenza dei presupposti per la riduzione della donazione o della disposizione testamentaria il cui valore ecceda la quota di cui il defunto poteva validamente disporre.

Ora, se nell’asse ereditario si trovano beni immobili, il problema è di facile soluzione, perché basterà ricorrere ad una stima e, nel caso, detrarre il valore delle migliorie apportate.

Se invece oggetto della donazione in vita sia stata un’azienda, o delle partecipazioni sociali, e magari la società era proprietaria di immobili, allora il discorso si fa più complicato.

In tal caso, si pone il tema di quale valore considerare per il relictum, se il valore della partecipazione sociale in quanto tale o il valore dei singoli elementi (beni immobili) di proprietà della società partecipata dal de cuius.

Si ritiene di poter applicare alcuni criteri stabiliti in materia di collazione (artt. 737 e ss. c.c.) e in relazione alla donazione di azienda, per giungere alla conclusione per cui debba essere valorizzata la partecipazione in quanto tale e non i singoli elementi che la società partecipata possiede, vale a dire gli immobili di proprietà.

In tema di collazione e con riferimento alla valutazione di un complesso aziendale, infatti, la Cassazione 15 gennaio 2003, n. 502 ha stabilito che la valutazione dell’azienda “resta sottratta ai criteri concernenti i singoli beni, mobili o immobili, che compongono l’azienda medesima”, posto che “devesi aver riguardo, non già al valore dei singoli beni, mobili o immobili, che compongono l’azienda, bensì al valore assunto dall’azienda quale complesso unitario organizzato per fini produttivi, al tempo dell’apertura della successione”.

La stessa pronuncia, per inciso, tratta anche il tema della partecipazione societaria, affermando che “la quota sociale è rappresentativa solo della misura dei diritti di partecipazione del socio alla vita societaria, non conferendo al socio un diritto reale sui beni costituenti il patrimonio societario e quindi, costituisce un diritto personale, come tale soggetto a collazione per imputazione ex art. 750 c.c. per i beni mobili in genere”.

La valutazione andrà quindi compiuta avendo come riferimento il patrimonio della società in quanto tale, in relazione e nei limiti dei diritti personali partecipativi del socio, che non sono in alcun modo attributivi di diritti reali “diretti” sui beni di proprietà della società.

L’art. 750 c.c. richiamato stabilisce che “la collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell’aperta successione”. Sempre in tema di beni mobili, va ricordato che un criterio diverso è quello relativo ai titoli di Stato e degli altri titoli di credito quotati in borsa, per cui la determinazione del valore “si fa in base ai listini di borsa”, ma non è il caso delle partecipazioni di una normale s.r.l., che non sono titoli negoziati sui mercati.

Va solo ricordato che il donatario avrà diritto alla detrazione a suo favore del valore delle migliorie eventualmente apportate, purché dipendenti dalla sua opera e non dalla naturale evoluzione dell'azienda. Il che vuol dire che l’opera, i versamenti in conto capitale, l’acquisto di beni ed attrezzature, le innovazioni et cetera, compiute dal donatario, saranno detratte dal valore dell’azienda che sarà stato determinato, con riferimento alla data di apertura della successione.

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