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La tassa sui robot

di Giuseppe Rebecca
Il Commercialista Veneto, N. 237 - Maggio / Giugno 2017

Ogni epoca ha le sue tasse, da sempre. Si cambia il modo di vivere, cambiano i consumi, ma il Principe (e ora il Governo) è sempre pronto a tassare il comportamento umano. Ai primi dell’800, quante lotte, in tutta Italia, contro l’odiosa tassa sul macinato che dava all’erario oltre l’80% delle entrate totali. Poco importava se la gente povera moriva di fame, se i mugnai lavoravano murati nei loro mulini, con la famiglia; le entrate erano assicurate.

La farina era un bene essenziale, non se ne poteva fare a meno, ed ecco i vari governi di quel tempo pronti a tassarla. Ma tornando ai nostri giorni, il contatore dei giri della ruota del mulino è stato da tempo sostituito dall’erogatore della benzina. Stesso principio, stesso contatore, stessa tassa. Su ogni litro di benzina, oltre tre quarti del prezzo pagato va all’erario. Solo che i benzinai non fanno la brutta vita dei mugnai di una volta, vivere murati. In ogni caso è una esagerazione bella e buona. Per non parlare poi della tassazione della casa, bene facilmente rintracciabile e perciò anche aggredibile. Comunque, tutta roba da buttare. Le tasse del futuro saranno assai diverse, saranno sulle comunicazioni e su internet. I francesi ci stanno già pensando; internet, tablet e smartphone.

Un’altra sarà sicuramente sui robot. Questa è la proposta di Bill Gates, il fondatore di Microsoft, l’uomo più ricco del mondo. “Oggi se un essere umano guadagna 50 mila dollari all’anno, lavorando in una fabbrica, deve pagare le imposte. Se un robot svolge gli stessi compiti, dovrebbero essere tassato allo stesso livello”. Sembra di capire che ci prospetti una doppia imposizione. Dovrebbero pagare sia le aziende che costruiscono i robot, sia le imprese che li installano per sostituire la manodopera di uomini e donne. “Un prelievo moderato sembra una componente naturale di una politica tesa ad affrontare le disuguaglianze” (cosi sintetizzava il Premio Nobel dell’economia 2013, Robert J. Shiller, ne Il Sole 24 Ore del 31 marzo 2017).

Attualmente, in base ad uno studio di McKinsey, solo il 5% dell’attuale occupazione può essere sostituita dai robot; ma si può facilmente ipotizzare che in un prossimo futuro si arriverà a percentuali ben più elevate del 5%. Secondo una ricerca dell’Università di Oxford, nei prossimi dieci anni lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe comportare la sostituzione dei lavoratori in quasi la metà dei settori dell’economia. Secondo l’OCSE, solo il 9% dei lavori potrebbero però essere automatizzati. Ma è comunque diffusa l’idea, timore per più d’uno, che i robot sorpasseranno molta manodopera. Ma i robot stanno entrando anche nel settore dei servizi, non solo in quello della produzione. A San Francisco (Corriere della Sera del 13 febbraio 2017) c’è un bar tutto automatizzato. Che tristezza!

Negli studi dei dottori commercialisti italiani non si arriverà comunque mai a tanto, in quanto la frenesia legislativa presumibilmente rimarrà tale che i robot non faranno in tempo ad imparare i nuovi programmi, che ce ne saranno sempre di nuovi. Professionisti adattabili come i dottori commercialisti ce ne sono pochi, figuriamoci i robot!

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