Base Imponibile Iva delle operazioni senza corrispettivo
di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 1 - 3 gennaio 2011
La legge comunitaria 2008 ha introdotto nuove regole per la determinazione della base imponibile Iva delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi caratterizzate dall’assenza di un corrispettivo. È stato infatti abbandonato il parametro del valore normale per adottare il criterio oggettivo – da sempre previsto dalla normativa comunitaria – costituito:
- per le cessioni gratuite di beni, dal “prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”;
- per le prestazioni di servizi rese gratuitamente, dalle “spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione dei servizi medesimi”.
L’applicazione del criterio del costo pone alcune problematiche di carattere interpretativo, sulle quali si attende di conoscere la posizione dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, le maggiori criticità attengono alla circostanza che la nuova normativa sembra prevedere una sorta di “attualizzazione” del prezzo di acquisto o di costo del bene, laddove richiede di determinare detto prezzo con riferimento al momento di effettuazione dell’operazione.
1. Premessa
Tra le numerose novità recate, in materia di Iva, dalla legge 7 luglio 2009, n. 88 (meglio nota come “Legge Comunitaria 2008”), particolare rilevanza riveste la nuova modalità di individuazione della base imponibile Iva per le operazioni senza corrispettivo, in relazione alle quali si è passati dal criterio del valore normale a quello del costo.
Più precisamente, in base alla nuova formulazione dell’art.13, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 633/72 – introdotta dall’art. 24, comma 4, lett. b) della citata legge comunitaria – l’importo sul quale si determina l’Iva deve essere commisurato facendo riferimento:
- al prezzo di acquisto o, in mancanza, al prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento di effettuazione delle operazioni, nei casi di cessioni gratuite, di autoconsumo e di assegnazioni ai soci;
- alle spese sostenute per l’esecuzione dei servizi, nelle ipotesi di prestazioni effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Vale inoltre la pena di ricordare che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge comunitaria in parola all’art. 43 del D.L. n. 331/93, convertito dalla legge n. 427/93, il criterio del prezzo di acquisto/di costo sostituisce il principio di valorizzazione basato sul valore normale anche con riferimento alla determinazione della base imponibile Iva per le operazioni intracomunitarie senza corrispettivo, cioè per:
- l’introduzione in Italia di beni provenienti da altro Stato membro per le esigenze dell’impresa (es. deposito o stoccaggio), operazione assimilata all’acquisto intracomunitario, in base all’art. 38, comma 3, lett. b) del D.L. n. 331/93;
- l’invio di beni in altro Stato membro per esigenze dell’impresa, operazione assimilata alla cessione intracomunitaria, ai sensi dell’art. 41, comma 2, lett. c) del predetto decreto[1].
Base imponibile Iva delle operazioni senza corrispettivo
Operazioni senza corrispettivo |
Vecchia disciplina |
Nuova disciplina |
- Cessioni gratuite di beni; - Autoconsumo e destinazione ad altre finalità estranee all’impresa o all’esercizio dell’arte o della professione; - Assegnazioni ai soci a qualsiasi titolo; - Movimentazioni di beni dell’impresa fra Stati membri. |
Valore normale |
Prezzo di acquisto o, in mancanza, prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento di effettuazione dell’operazione. |
Prestazioni di servizi effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore e prestazioni gratuite per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa. |
Spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione del servizio. |
In merito all’applicazione pratica delle nuova normativa sono sorti alcuni problemi di carattere interpretativo di considerevole rilievo.
Con particolare riferimento alle cessioni senza corrispettivo (i.e. cessioni gratuite, autoconsumo e assegnazioni ai soci), dubbi sono stati sollevati in ordine al significato da attribuire alla precisazione di ordine temporale secondo cui il prezzo di acquisto o di costo del bene, che ora costituisce la base imponibile Iva in luogo del valore di mercato, deve essere determinato “nel momento in cui si effettuano tali operazioni”.
Nel caso, ad esempio, di un imprenditore che debba autofatturarsi un bene strumentale acquistato alcuni anni fa, ci si interroga su quale sia il valore da prendere in considerazione in termini di base imponibile da indicare nell’autofattura. Posto, infatti, che non è più ammesso l’utilizzo del parametro rappresentato dal valore normale determinato al momento di estromissione del bene dall’azienda, ci si chiede se rilevi il mero prezzo d’acquisto assunto “tal quale” o se, invece, non si debba tener conto anche della svalutazione del valore del bene connessa all’usura, oltre che degli eventuali costi sostenuti per riparare, completare o migliorare il bene. Qualora, poi, fosse corretta quest’ultima soluzione, ci si domanda, altresì, se la grandezza in questione possa essere rappresentata dal valore contabile residuo del bene, ovverosia dal costo storico assunto al netto del fondo di ammortamento.
Per quanto riguarda, invece, le prestazioni gratuite, gli interrogativi che la nuova disciplina pone attengono alla corretta individuazione delle spese che devono essere considerare nella base imponibile Iva di tali operazioni. Ad esempio, ci si chiede se, ed in quale misura, si debba tener conto delle spese “generali” dell’impresa (naturalmente ove rilevanti ai fini Iva).
Nel silenzio dell’Amministrazione finanziaria, che sino ad oggi non ha emanato alcuna circolare esplicativa sulla normativa in commento, la soluzione dei problemi applicativi suaccennati non è agevole.
Come si vedrà più avanti, la dottrina ha elaborato delle soluzioni interpretative facendo riferimento essenzialmente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee.
2. Rilevanza ai fini Iva delle operazioni senza corrispettivo
2.1. La ratio
Prima di esaminare il nuovo criterio previsto per la determinazione della base imponibile Iva delle operazioni gratuite, appare opportuno illustrare brevemente le ragioni che hanno indotto il legislatore tributario a stabilire la loro rilevanza ai fini dell’imposta.
Al riguardo occorre ricordare che il sistema di applicazione dell’Iva si basa sul principio – dettato dall’art. 73 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 – in base al quale la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi comprende “tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”. Tale principio è stato recepito nella disciplina nazionale dell’imposta, attraverso la previsione recata dall’art. 13, comma 1, del D.P.R. n. 633/72, secondo cui “la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”.
Dalle predette disposizioni normative si evince chiaramente come il valore di mercato del bene ceduto o del servizio reso non assuma, di fatto, alcuna rilevanza ai fini della determinazione dell’imponibile Iva, in quanto tale tributo si calcola, di regola, sulla somma che il cessionario o il committente è disposto a corrispondere al suo fornitore per ottenere quel bene o quel servizio.
Peraltro, l’assenza della previsione di un corrispettivo non determina, di per sé, l’irrilevanza dell’operazione ai fini Iva. Considerato, infatti, che l’imposta in questione realizza, nell’ambito dell’Unione europea, la tassazione dei consumi, il legislatore comunitario ha dovuto includere nell’ambito di applicazione del detto tributo anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo gratuito, al fine di evitare vuoti impositivi o facili operazioni elusive che potrebbero condurre ad un consumo finale detassato dei beni e dei servizi.
La rilevanza ai fini Iva delle operazioni in discorso risponde, dunque, ad esigenze di equità fiscale.
Ad esempio, l’imponibilità dell’autoconsumo è volta ad evitare che un soggetto passivo Iva possa avvantaggiarsi di tale status, utilizzando, per finalità private, beni e/o servizi in relazione ai quali ha detratto l’Iva, all’atto dell’acquisto, così fruendo di un indebito vantaggio rispetto al consumatore finale che acquista il bene sul mercato e che, in quanto contribuente di fatto, viene ad essere inciso dall’imposta, attraverso il meccanismo della rivalsa esercitata dal soggetto passivo che si trova nell’ultima fase del ciclo produttivo o distributivo dei beni o servizi.
Tale finalità perequativa delle norme che prevedono l’imponibilità delle operazioni gratuite è stata più volte affermata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee. In particolare, nella sentenza 11 dicembre 2008, causa C-371/07, con riferimento alla norma comunitaria che prevede l’imponibilità delle prestazioni gratuite[2], è stato evidenziato come lo scopo di tale disposizione sia quello di “garantire la parità di trattamento tra, da un lato, il soggetto passivo che prelevi un bene o che fornisca servizi per proprie esigenze private o per quelle del proprio personale e, dall’altro, il consumatore finale che si procuri un bene o un servizio dello stesso tipo”.
Se questa è la ratio che ha portato il legislatore comunitario a ricondurre nel campo di applicazione dell’Iva le operazioni nelle quali manca il corrispettivo, allora è evidente che l’imponibilità delle stesse viene meno nell’ipotesi in cui l’Iva non sia stata detratta, all’atto dell’acquisto del bene autoconsumato o ceduto a terzi gratuitamente ovvero dell’acquisizione dei beni e dei servizi utilizzati per l’esecuzione del servizio reso a titolo gratuito, atteso che, in questo caso, il bene o il servizio non giunge al consumo detassato, in quanto ha scontato l’imposta per effetto della mancata detrazione da parte del cedente o prestatore.
2.2. Operazioni gratuite assoggettate ad Iva secondo la normativa interna
Venendo alla normativa interna, occorre ricordare che, a mente dell’art. 2, comma 2, nn. 4), 5) e 6) del D.P.R. n. 633/72, sono assimilate alle cessioni di beni a titolo oneroso e sono, pertanto, da assoggettare ad Iva, le seguenti operazioni:
- cessioni gratuite di beni, ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa, se di costo unitario non superiore a 25,82 euro, e – in ragione di quanto sopra detto – di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’Iva, anche per effetto dell’opzione per la dispensa da adempimenti prevista dall’art. 36-bis del D.P.R. n. 633/72;
- il c.d. “autoconsumo esterno”, vale a dire la destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore o dell’esercente un’arte o una professione o ad altre finalità estranee all’impresa o all’esercizio dell’arte o della professione, anche se determinata da cessazione dell’attività, con esclusione di quei beni per i quali non è stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta;
- le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo e oggetto nonché le assegnazioni e le analoghe operazioni fatte da enti pubblici o privati, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica [3].
Va osservato che la normativa vigente individua, quale causa di esclusione delle suddette operazioni dall’ambito di applicazione dell’Iva, il fatto oggettivo della mancata detrazione dell’imposta, senza attribuire rilievo alle cause che l’hanno determinata. L’esclusione in discorso è, quindi, applicabile tanto nell’ipotesi di mancata detrazione per impedimento normativo quanto in quella di mancata detrazione per libera scelta del contribuente.
È inoltre importante sottolineare che la tassazione delle operazioni in parola è esclusa anche qualora le stesse abbiano per oggetto beni il cui acquisto non sia stato assoggettato ad Iva per mancanza del presupposto soggettivo (ad esempio, beni acquistati presso privati).
A tale proposito si ricorda che, con particolare riferimento all’autoconsumo di beni immobili, l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di chiarire che detta operazione deve considerarsi fuori campo Iva quando riguardi beni immobili acquistati presso privati o anteriormente al 1° gennaio 1973, cioè prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 633/72 [4].
Per quanto attiene, invece, ai servizi gratuiti, si rammenta che, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. n. 633/72, rientrano nell’ambito oggettivo di applicazione dell’Iva le prestazioni di servizi effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
L’imponibilità delle prestazioni gratuite è subordinata, in ogni caso, alla sussistenza di due condizioni espressamente previste dalla norma testé citata, che attengono al valore della prestazione e alla detrazione dell’imposta. Si deve, cioè, trattare di servizi di valore unitario superiore a 25,82 euro e per la cui esecuzione siano stati utilizzati beni e servizi con Iva detraibile.
Vi sono poi alcune prestazioni di servizi gratuite che non sono soggette all’applicazione dell’imposta per espressa esclusione normativa. Si tratta esattamente:
- delle prestazioni a favore dei lavoratori dipendenti per somministrazione di pasti nelle mense aziendali, per servizi di trasporto, didattici, educativi, ricreativi nonché di assistenza sociale e sanitaria;
- delle operazioni di divulgazione pubblicitaria rese a beneficio delle attività istituzionali di enti ed associazioni che, senza scopo di lucro, perseguono finalità educative, culturali, sportive, religiose e di assistenza e solidarietà sociale, nonché delle stesse prestazioni rese a favore delle Onlus;
- della diffusione gratuita di messaggi, rappresentazioni, immagini o comunicazioni di pubblico interesse richieste o patrocinate dallo Stato o da enti pubblici.
Si ricorda inoltre che, in base all’ultimo comma del citato art. 3 del D.P.R. n. 633/72, non è rilevante, ai fini Iva, l’uso personale o familiare dell’imprenditore ovvero la messa a disposizione a titolo gratuito nei confronti dei dipendenti di:
- veicoli stradali a motore per il cui acquisto, anche sulla base di contratti di locazione (compreso il leasing) e di noleggio, la detrazione dell’Iva sia stata operata secondo la percentuale di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 19-bis 1 (attualmente pari al 40%);
- telefoni cellulari e relative prestazioni di gestione, qualora sia stata computata in detrazione una quota dell’imposta relativa all’acquisto dei predetti beni, anche sulla base di contratti di locazione (compreso il leasing) e di noleggio, ovvero alle suddette prestazioni di gestione, non superiore alla misura in cui tali beni e servizi sono utilizzati per fini diversi da quelli privati o comunque estranei all’esercizio dell’impresa, arte o professione.
3. Nuova base imponibile per le cessioni di beni senza corrispettivo
3.1. Criterio del prezzo di acquisto o di costo
Come accennato in premessa, la legge comunitaria 2008, nell’ambito degli interventi volti ad allineare la normativa nazionale in materia di Iva a quella comunitaria, ha sostituito l’art. 13 del D.P.R. n. 633/72, ed in particolare il comma 2, lett. c), innovando il criterio di determinazione della base imponibile delle cessioni di beni caratterizzate dall’assenza di un corrispettivo, previste dall’articolo 2, comma 2, numeri 4), 5) e 6) del citato decreto. Per tali operazioni la base imponibile non è più rappresentata dal valore normale [5], dovendosi ora fare riferimento a quanto il soggetto passivo ha pagato per immettere in consumo il bene oggetto della cessione.
Più precisamente, la base imponibile delle cessioni in parola è costituita “dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni” .
Detta previsione normativa è perfettamente conforme con la disciplina comunitaria dettata dall’art. 74 della citata direttiva n. 2006/112/CE, ai sensi del quale “per le operazioni di prelievo o di destinazione da parte di un soggetto passivo di un bene della propria impresa o di detenzione di beni da parte di un soggetto passivo o da parte dei suoi aventi diritto in caso di cessazione della sua attività economica imponibile … la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”.
Il criterio del prezzo di acquisto o di costo, a differenza di quello del valore normale, non include nell’imponibile Iva del bene oggetto di cessione gratuita il “ricarico” normalmente praticato sul mercato per quel bene, oltre che le spese relative agli acquisti di fattori produttivi non rilevanti ai fini dell’imposta (es. spese per il personale).
A prima vista, il criterio del costo potrebbe sembrare, oltre che più equo, anche più semplice del criterio del valore normale, in quanto fa riferimento ad un parametro – il prezzo d’acquisto – che rappresenta un dato oggettivo già determinato. Sennonché, la normativa in commento non assume come base imponibile Iva il mero prezzo di acquisto o di costo del bene, bensì il suo costo quantificato nel momento in cui l’operazione gratuita si considera effettuata.
La nuova norma sembrerebbe, dunque, fare riferimento ad una sorta di costo “attualizzato” dei beni omaggiati o prelevati per l’autoconsumo.
Sulla determinazione di tale grandezza – come già evidenziato – non vi sono stati, sino ad ora, interventi chiarificatori da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Nel silenzio dell’Amministrazione finanziaria sul tema che ci occupa, l’unica indicazione utile a dissipare, almeno in parte, i dubbi sull’interpretazione del nuovo criterio è quella contenuta nella sentenza della Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2001 – procedimenti riuniti C-322/99 e C-323/99 (sentenza “Fischer”) – secondo cui la base imponibile della cessione gratuita coincide con il “valore residuo del bene al momento del prelievo” [6].
La medesima sentenza precisa altresì che, nella quantificazione di detto “valore residuo”, occorre tener conto anche delle spese relative agli interventi consistenti nell’incorporazione nel bene principale oggetto di cessione di altri beni che ne abbiano comportato “un incremento duraturo di valore … , non interamente esaurito al momento del prelievo”.
Tale affermazione consente, a nostro avviso, di sostenere, da un lato, che non concorrono a formare la base imponibile del bene oggetto di cessione gratuita le spese relative agli interventi di ordinaria manutenzione, cioè agli interventi che non si traducono in un incremento di valore del bene; dall’altro, che nella determinazione del costo “attualizzato” occorre tener conto della svalutazione del valore del bene dovuta all’usura.
In dottrina, l’intervento interpretativo più importante sulla questione in esame è stato, sino a questo momento, quello di Assonime [7], la quale, dopo aver osservato come il criterio del valore normale non fosse conforme con i principi comunitari in tema di base imponibile dell’Iva, e come lo stesso criterio comportasse l’applicazione dell’imposta su un “dato virtuale” che non forniva la misura di quanto pagato dal soggetto passivo per immettere in consumo il bene oggetto di cessione, ha affermato che, ai fini della determinazione dell’imponibile, non può essere considerato il mero prezzo di acquisto del bene, ma dovrebbero assumere rilevanza anche tutte le spese sostenute per apportare miglioramenti al bene stesso durante la sua vita aziendale, sempreché si tratti, naturalmente, di spese relative ad acquisti di beni e servizi in relazione ai quali sia stata applicata l’imposta e sia stata operata la detrazione della medesima; cosicché, per esempio, non devono essere considerate le spese relative al personale impiegato nella manutenzione del bene, in quanto trattasi di spese escluse dal campo di applicazione dell’Iva.
Assonime ha inoltre sottolineato che la previsione normativa secondo cui, per le cessioni in parola, il prezzo di acquisto o, in mancanza, il prezzo di costo devono essere “determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”, implica che detto prezzo non può essere assunto “tal quale”, dovendosi quantificare il deprezzamento del bene dovuto all’usura[8].
È stato correttamente osservato come tale impostazione sia coerente con il principio di neutralità dell’Iva, in forza del quale il soggetto passivo deve poter detrarre tutta l’imposta relativa all’utilizzo del bene effettuato nell’esercizio della propria attività economica, e che, pertanto, non si può chiedere a detto soggetto di versare all’Erario l’imposta relativa al valore del bene consumato nel processo produttivo e, di conseguenza, incluso nel valore finale dei beni e dei servizi ottenuti[9].
Quindi, riassumendo, la nuova base imponibile delle cessioni senza corrispettivo corrisponderebbe alla somma dei prezzi pagati per l’acquisto dei beni e dei servizi (a Iva detratta) che hanno consentito di ottenere il bene oggetto di cessione, assunta al netto dell’eventuale deprezzamento subito dal bene stesso nell’espletamento della propria funzione economica all’interno del processo produttivo dell’impresa.
Quindi:
Prezzo di acquisto del bene (a Iva detratta) +
Spese relative ad interventi incrementativi (a Iva detratta) -
Deprezzamento dovuto all’usura =
_______________________________________________
Base imponibile Iva della cessione senza corrispettivo
3.2 . Profili di criticità del nuovo criterio
In base al ragionamento sin qui condotto, la base imponibile Iva di un bene strumentale ceduto gratuitamente o autoconsumato tenderebbe a coincidere con il valore contabile residuo (costo storico al netto del fondo di ammortamento) del bene stesso, salvo l’irrilevanza delle spese non soggette ad Iva od in relazione alle quali non è stata operata la detrazione dell’imposta, e sempreché sia corretto assumere, come valore consumato del bene, il suo valore già ammortizzato.
Se così non fosse, allora non sapremmo davvero quale criterio alternativo adottare. D’altro canto, se si valutasse il deprezzamento in un’ottica di mercato, significherebbe rimettere in gioco il criterio del valore normale, non più previsto dalla normativa vigente.
È stato osservato, peraltro, che tale impostazione potrebbe prestarsi a dei facili abusi. Per esempio, in vista della cessione ad un privato di un’autovettura aziendale completamente ammortizzata, ma avente un residuo valore di mercato, l’imprenditore potrebbe, prima destinare l’auto alla propria sfera privata (per quanto sopra detto, tale operazione non genererebbe imponibile), per poi cederla fuori campo Iva (per mancanza del presupposto soggettivo), evitando così l’addebito dell’imposta sul prezzo di vendita, che per l’acquirente privato rappresenterebbe un costo [10].
Per quanto riguarda, invece, i c.d. beni “merce”, posto che la base imponibile Iva corrisponde ora al prezzo di acquisto o di costo di tali beni, si pone il problema di quale criterio utilizzare per rilevare tale grandezza (ad esempio, Fifo o Lifo?). Sul punto è auspicabile che l’Agenzia delle Entrate fornisca gli opportuni chiarimenti.
È stato altresì osservato che l’applicazione del principio di valorizzazione fondato sul prezzo di acquisto/di costo dovrebbe comportare, in generale, la quantificazione di una base imponibile Iva delle cessioni senza corrispettivo inferiore rispetto a quella determinata avendo riguardo al valore normale, in quanto il nuovo criterio non include le componenti della “ricarica figurativa” e dell’eventuale apprezzamento di valore del bene, insite invece nel valore normale.
In realtà non è sempre così. Ad esempio, nei casi di cessioni gratuite o di autoconsumo di beni “merce” come capi di abbigliamento o calzature, giacenti in magazzino da molto tempo e perciò non più alla moda, il prezzo di acquisto, su cui ora va calcolata l’Iva, potrebbe essere ben più alto del valore di mercato.
L’applicazione del criterio del costo potrebbe generare, per assurdo, un imponibile più alto di quello di un’eventuale vendita in saldo oppure in stock, in quanto, se è corretta l’impostazione sin qui seguita, il nuovo criterio non consentirebbe di tener conto del deprezzamento di valore dei beni dovuto al semplice decorso del tempo o al fatto che trattasi di beni fuori moda.
Anche su tale problematica sarebbe interessante conoscere il parere dell’Amministrazione finanziaria.
3.3 . Discrasia fra imponibile Iva e valore tassabile ai fini delle imposte dirette
In relazione a quanto sopra detto, occorre anche aggiungere che le nuove disposizioni introdotte dalla legge comunitaria 2008 implicano, di fatto, la necessità di determinare, con riferimento al bene oggetto di autoconsumo o di destinazione a finalità estranee all’impresa, due grandezze fiscalmente rilevanti: il prezzo di acquisto/di costo al momento di effettuazione dell’operazione, che rappresenta la base imponibile dell’Iva, ed il valore normale, che, ai fini delle imposte su reddito, individua il ricavo tassabile (nel caso di beni c.d. “merce”) ovvero il parametro per la quantificazione dell’eventuale plusvalenza imponibile (nel caso di beni c.d. “plusvalenti”) [11].
Si ricorda infatti che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, si assume come ricavo il valore normale dei beni “merce” destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore ovvero assegnati ai soci o destinati ad altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa (artt. 57 e 85 del Tuir); e che si considera plusvalenza la differenza fra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni relativi all’impresa, diversi dai beni “merce”, destinati all’autoconsumo dell’imprenditore o assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (artt. 58 e 86 del Tuir).
Analogamente, a norma dell’art. 54, comma 1-bis, lett c) del Tuir, concorre a formare il reddito di lavoro autonomo professionale la plusvalenza corrispondente alla differenza positiva fra il valore normale e il costo non ammortizzato del bene destinato al consumo personale o familiare dell’esercente l’arte o la professionale o ad altre finalità estranee all’esercizio dell’arte o della professione.
Inutile dire che le sopra esaminate nuove regole per l’individuazione della base imponibile Iva complicano, e non di poco, la gestione contabile e fiscale delle operazioni senza corrispettivo.
Si pensi, ad esempio, all’autoconsumo di un’autovettura da parte di un imprenditore. Per l’assolvimento dell’Iva è necessario individuare il costo d’acquisto attualizzato al momento dell’autoconsumo, secondo quanto più sopra indicato; ai fini reddituali, bisognerà, invece, reperire la quotazione del veicolo sul mercato al momento dell’operazione, per determinare l’eventuale plusvalenza.
Di fatto è stato introdotto un altro doppio binario, questa volta tutto fiscale: valori validi per l’Iva diversi da quelli validi per le imposte sul reddito.
4. Nuova base imponibile per le prestazioni di servizi gratuite
A seguito delle modifiche apportate dalla più volte citata legge comunitaria 2008 all’art. 13 del D.P.R. n. 633/72, anche la base imponibile Iva delle prestazioni di servizi senza corrispettivo, analogamente a quanto previsto per le cessioni gratuite di beni, non è più rappresentata dal valore normale, ovverosia dal prezzo che il committente dovrebbe pagare per ottenere, in condizioni di libera concorrenza, gli stessi servizi.
Secondo la nuova formulazione del terzo comma, lette c) del succitato art. 13, per individuare la base imponibile Iva di una prestazione resa a titolo gratuito, ove rilevante ai fini impositivi, si deve ora fare riferimento alle spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione del servizio.
Nell’interpretazione ed applicazione pratica di tale criterio non si può non tener conto di quelle che sono le motivazioni che hanno portato a stabilire l’inclusione delle operazioni senza corrispettivo nella sfera oggettiva di applicazione dell’Iva.
Al riguardo, si è già evidenziato come tale inclusione persegua, in sostanza, un obiettivo di equità fiscale, che è quello di evitare che beni o servizi acquistati con finalità d’impresa o per l’esercizio di un’arte o di una professione – da cui il connesso diritto a detrarre l’Iva assolta all’atto dell’acquisto – possano giungere al consumo detassati, cioè senza aver scontato l’Iva.
Attraverso l’imponibilità di tali operazioni, l’Erario recupera l’Iva applicata nelle fasi precedenti alla cessione o prestazione gratuita e regolarmente detratta dal soggetto passivo.
Con particolare riferimento alle prestazioni di servizi gratuite, il presupposto impositivo “correttivo” sussiste dunque, se, e soltanto se, per l’esecuzione della prestazione siano stati acquistati beni e/o servizi assoggettati ad Iva e, all’atto dell’acquisto, tale imposta sia stata detratta dal prestatore.
Tale principio si riflette evidentemente sulle modalità di applicazione del criterio in esame, nel senso che, nella quantificazione della base imponibile del servizio reso gratuitamente, occorrerà considerare solamente le spese relative ai fattori produttivi in relazione al cui acquisto sia stato esercitato il diritto alla detrazione dell’Iva, escludendo, quindi, sia gli acquisti di beni e servizi per i quali non abbia trovato applicazione l’Iva (es. costi del personale impiegato nell’esecuzione del servizio), sia le spese sostenute per i beni e servizi con riferimento ai quali l’Iva non sia stata detratta.
Coerentemente con tale impostazione, si deve ritenere che, in presenza di acquisti per i quali l’Iva sia stata detratta solo in parte, la base imponibile debba tener conto solo della quota di spesa corrispondente all’imposta detratta.
Più problematica appare, invece, la questione se, nella quantificazione dell’imponibile, si debba tener conto oppure no delle spese relative ai beni e ai servizi acquistati dal prestatore costituenti costi generali della sua impresa.
In assenza di chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria, sembra potersi condividere la tesi della irrilevanza, ai fini de quo, dei suddetti costi, laddove sia dimostrabile che si tratta di spese che il prestatore avrebbe comunque dovuto sostenere nell’ambito dell’esercizio della sua attività d’impresa[12].
Esempi sull’applicazione della nuova normativa
Operazione |
Trattamento ai fini dell’IVA e delle II.DD. |
Autoconsumo di un bene strumentale acquistato presso un privato, avente un valore residuo contabile pari a 100 e un valore normale pari a 150. |
IVA : operazione non rilevante II.DD : plusvalenza tassabile pari a 50 |
Autoconsumo di un bene strumentale con Iva detratta, avente un valore residuo contabile pari a 80 e un valore normale pari a 100. |
IVA : base imponibile pari a 80 II.DD : plusvalenza tassabile pari a 20 |
Autoconsumo di un bene strumentale con Iva detratta, avente un valore residuo contabile pari a zero e un valore normale pari a 20. |
IVA : operazione non rilevante II.DD : plusvalenza tassabile pari a 20 |
Autoconsumo di un bene “merce” fuori moda, acquistato per 100 e con valore normale pari a 20. |
IVA : base imponibile 100 II.DD : ricavo tassabile 20 |
Servizio di assistenza tecnica reso gratuitamente. Spese sostenute per l’esecuzione: costi del personale pari 100; servizio di consulenza acquisito dal prestatore per 100, con Iva detratta. |
IVA : base imponibile 100 II.DD : l’operazione non genera ricavo |
5. Sintesi conclusiva
Nella tabella che segue sono riassunte le modalità di applicazione del nuovo criterio di determinazione della base imponibile Iva per le operazioni senza corrispettivo.
Operazioni senza corrispettivo |
Criterio previsto dalla norma |
Modalità di applicazione |
- Cessioni gratuite di beni; - Autoconsumo e destinazione ad altre finalità estranee alla impresa o all’esercizio dell’arte o della professione; - Assegnazioni ai soci. |
Prezzo di acquisto o, in mancanza, prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento di effettuazione dell’operazione. |
Si calcola la somma dei prezzi pagati per l’acquisto dei beni e servizi (a Iva detratta) che hanno consentito l’ottenimento del bene, al netto del deprezzamento di valore dovuto all’usura. |
Prestazioni di servizi gratuite |
Spese sostenute dal soggetto passivo per l’esecuzione del servizio |
Si calcola la somma dei costi relativi ai fattori produttivi utilizzati per l’esecuzione del servizio, escludendo quelli non soggetti ad Iva e quelli soggetti ma per i quali l’Iva non è stata detratta, nonché i costi configuranti spese generali per l’impresa. |
L’analisi sin qui condotta ha evidenziato come l’applicazione del suddetto criterio ponga una serie di problematiche operative di non facile soluzione, in merito alle quali si attende una circolare esplicativa dell’Agenzia delle Entrate.
I principali nodi da sciogliere attengono:
- all’individuazione dell’imponibile Iva delle cessioni gratuite di beni con valore residuo nullo, ma aventi ancora un valore di mercato non trascurabile;
- alla quantificazione del deprezzamento dei beni;
- all’individuazione del costo di acquisto o di produzione per i beni c.d. “merce”;
- alla rilevanza o meno delle spese generali ai fini della determinazione dell’imponibile Iva.
NOTE
[1] Prima delle modifiche recate dalla legge comunitaria 2008, la base imponibile Iva per le movimentazioni di beni dell’impresa fra Stati membri era stata individuata nel valore normale dei beni medesimi dalla circ. min. 23 febbraio 1994, n. 13, in banca dati “fisconline”.
[2] Cfr. la disposizione di cui all’art. 6, paragrafo 2, della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, ora recepita nell’art. 26 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006.
[3] Nel silenzio della norma, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito, per evidenti ragioni di affinità con le cessioni gratuite e con l’autoconsumo ed in aderenza con gli indirizzi comunitari, che anche per le assegnazioni ai soci vale la regola del non assoggettamento all’Iva qualora si tratti di operazioni aventi per oggetto beni per i quali, all’atto del relativo acquisto, non è stato possibile esercitare il diritto alla detrazione (cfr. circ. 13 maggio 2002, n. 40/E e ris. 17 giugno 2002, n. 194/E, entrambe in banca dati “fisconline”).
[4] Cfr. ris. min. 17 aprile 1998, n. 28, in banca dati “fisconline”. L’Amministrazione finanziaria è giunta alla stessa conclusione anche con riguardo all’ipotesi di assegnazione ai soci di beni immobili acquistati da privati (si veda, al riguardo, la ris. 17 giugno 2002, n. 194/E, cit.).
[5] Secondo l’art. 14 del D.P.R. n. 633/1972, nella versione ante legge comunitaria 2008, tale valore corrispondeva al “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per beni … della stessa specie o similari in condizione di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi”.
[6] Tale locuzione è contenuta, precisamente, al punto 80 della citata sentenza.
[7] Cfr. circolare 13 ottobre 2009, n. 42.
[8] Sul punto si veda il commento di F. Ricca, Cessioni senza corrispettivo: quale base imponibile?, in “L’IVA” n. 12/2009, pag. 5.
[9]Si veda M. Mantovani-B. Santacroce, Vie percorribili per individuare la base imponibile IVA nelle cessioni senza corrispettivo, in “ Corriere Tributario”, n. 46/2010, pag. 3828 e seguenti.
[10] Si veda M. Mantovani-B. Santacroce, op. loc. cit., pag. 3832.
[11] Ai sensi dell’art. 9, comma 3, del Tuir “per valore normale … si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. … ”.
[12] In questo senso cfr. R. Coppa e P. Maspes, La base imponibile delle prestazioni gratuite rilevanti ai fin IVA, in “ Corriere Tributario” n. 47/2009, pag. 3828 e seguenti.