L'utilizzo delle perdite fiscali. La disciplina generale
di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 15 - 12 aprile 2010
Il presente articolo è il primo di una serie di interventi sul tema dell’utilizzo delle perdite fiscali. Dall’esame delle norme che disciplinano la materia emerge, in particolare, che la riportabilità delle perdite è soggetta a non poche restrizioni, sia in ambito Irpef che Ires. In questa sede, l’analisi si concentrerà essenzialmente sulle modalità di determinazione e di compensazione delle perdite fiscali nonché sull’orizzonte temporale di utilizzabilità delle stesse.
1. La quantificazione delle perdite fiscali
Le perdite fiscali compensabili vanno individuate applicando le stesse regole valevoli per la determinazione del reddito imponibile. La normativa vigente impone, tuttavia, di ridurre l’ammontare della perdita fiscale, nel caso in cui l’impresa abbia conseguito proventi esenti dall’imposta o abbia beneficiato di regimi di parziale o totale detassazione del reddito ovvero di esenzione degli utili. Più precisamente, con riguardo alle imprese individuali e alle società di persone commerciali, l’art. 56, comma 2, del Tuir stabilisce che la perdita fiscale è utilizzabile in compensazione per l’ammontare corrispondente alla differenza tra la perdita stessa e i proventi esenti dall’imposta eventualmente conseguiti dall’impresa, i quali sono da assumere per la parte del loro ammontare che eccede gli interessi passivi e le spese generali indeducibili ai sensi, rispettivamente, degli artt. 61 e 109, comma 5, del Tuir. Va ricordato, inoltre, che nel computo dei proventi esenti non si deve considerare, per espressa previsione legislativa, la quota delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in regime pex, non tassata in base al disposto dell’art. 58, comma 2, del Tuir.
Perdita fiscale compensabile per imprese individuali e società di persone |
= |
Perdita fiscale |
- |
Proventi esenti (esclusa quota esente delle plusvalenze su partecipazioni) al netto dei componenti negativi non dedotti in base agli artt. 61 e 109, comma 5, del Tuir |
Un’analoga disposizione è, poi, contenuta, con riguardo alle società di capitali e agli enti commerciali residenti, nell’art. 84, comma 1, del Tuir, in base al quale può essere riportata in compensazione dei redditi dei periodi d’imposta successivi non già l’intera perdita fiscale realizzata, bensì la differenza fra la perdita stessa e i proventi esenti dall’imposta, per la parte del loro ammontare che eccede le spese generali non dedotte ai sensi dell’art. 109, comma 5, del Tuir, e senza considerare, anche in questo caso, la quota delle plusvalenze relative alle cessioni di partecipazioni in regime p.e.x,, non tassata ai sensi dell’art. 87 del Tuir.
Perdita fiscale compensabile per società di capitali ed enti commerciali residenti |
= |
Perdita fiscale |
- |
Proventi esenti (esclusa quota esente plusvalenze su partecipazioni) al netto dei componenti negativi non dedotti ai sensi dell’art. 109, comma 5, del Tuir |
La ratio delle limitazioni sopra richiamate è stata individuata nell’esigenza di impedire che si possa utilizzare in compensazione una perdita (o una maggiore perdita) sussistente soltanto sotto il profilo fiscale, ma non anche sotto quello civilistico, in quanto derivante dalla mera detassazione di componenti positivi di conto economico.[1] In merito all’individuazione dei proventi esenti che vanno a decurtare la perdita fiscale riportabile, occorre ricordare che, secondo l’orientamento dottrinale prevalente, ai fini di una corretta applicazione delle disposizioni in esame, si devono considerare tutti i proventi non tassati per finalità agevolative, mentre, invece, sono irrilevanti quelli che non concorrono a formare il reddito imponibile per ragioni di ordine sostanziale (ad esempio per evitare fenomeni di doppia imposizione); [2] ciò a prescindere dall’espressione utilizzata, di volta in volta, dal legislatore per indicare che il provento non è tassabile. Non va, pertanto, ricompresa fra i proventi esenti che riducono la perdita fiscale la quota dei dividendi incassati nel periodo d’imposta, non tassata ai sensi dell’art. 59 del Tuir (per i soggetti Irpef) ovvero dell’art. 89 del Tuir (per i soggetti Ires), mentre non vi sono dubbi, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, che nel computo dei proventi in parola rientrino i contributi regionali erogati alle aziende di trasporto per la copertura dei disavanzi di gestione.[3]
Per contro, come chiarito dall’Amministrazione finanziaria,[4] è ininfluente ai fini della riduzione della perdita riportabile la detassazione del reddito d’impresa per investimenti in macchinari (ed. Tremonti-ter), di cui dall’art. 5 del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102. Occorre, infatti, osservare, al riguardo, che detta agevolazione non si configura come provento esente, bensì come variazione fiscale in diminuzione.
Essa concorre a formare il risultato reddituale anche in presenza di una perdita, la quale rileverà ai fini delle determinazione del reddito del contribuente secondo le regole ordinarie del Tuir che saranno tra poco esaminate.
Infine, con riguardo alle perdite delle società di capitali e degli enti commerciali residenti, è necessario ricordare che, allo scopo di creare una simmetria fra imponibilità del risultato reddituale positivo e deducibilità della perdita, sono state- introdotte nel Tuir delle disposizioni volte a ridurre l’ammontare della perdita utilizzabile in compensazione, nell’ipotesi in cui un soggetto fruisca di un regime di esenzione del reddito o degli utili.
Ci riferiamo, in particolare:
• al comma 1, secondo periodo, dell’art. 83, in base al quale, con decorrenza dal perìodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007, in caso di attività che fruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito, l’ammontare della perdita riportabile deve essere ridotto in misura proporzionalmente corrispondente alla quota di esenzione prevista in caso di risultati reddituali positivi;
• nonché alla disposizione di cui al comma 1, secondo periodo, dell’art. 84, in base alla quale i soggetti che beneficiano di un regime di esenzione dell’utile devono ridurre le perdite fiscali riportabili fino a concorrenza degli utili non tassati nei precedenti esercizi.
Più in dettaglio, la prima disposizione citata riguarda i soggetti che fruiscono dì regimi di esenzione che attengono non ai singoli componenti positivi di reddito, ma ai redditi imponibili complessivi, derivanti dall’esercizio di determinate attività d’impresa ritenute meritevoli di agevolazione da parte del legislatore. Si pensi, per esempio, al caso delle imprese armatoriali le quali, qualora non optino per il regime della tonnage tax, beneficiano di un’esenzione dell’80% del reddito che deriva dalla utilizzazione di navi iscritte nel Registro intemazionale, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del D.L. 30 dicembre 1997, n. 457.
In pratica le perdite fiscali derivanti dall’esercizio di tali attività agevolate assumono rilevanza nella stessa misura in cui sarebbero rilevanti i risultati positivi.
Perdita riportabile per soggetti con redditi esenti = perdita fiscale x (% di rilevanza del reddito) |
La seconda disposizione sopra richiamata appare, invece, destinata essenzialmente alle società cooperative e ai loro consorzi. Detti soggetti godono, infatti, dell’esenzione di una quota degli utili netti, a condizione che tale quota sia accantonata a riserva indivisibile, ai sensi dell’art. 12 della L. 16 dicembre 1977, n. 904, se trattasi di cooperative e loro consorzi a mutualità prevalente, o ad una riserva indivisibile prevista dallo statuto sociale, nel caso di società cooperative e loro consorzi che non hanno il requisito della mutualità prevalente. In sostanza, come osservato in dottrina,[5] gli utili realizzati da tali soggetti, a partire dal periodo d’imposta 2007, e non tassati per effetto di disposizioni agevolative concorrono a formare una sorta di “ basket dal quale attingere per ridurre le perdite fiscali conseguite in esercizi successivi”.
Perdita riportabile per soggetti con utili esenti = perdita fiscale - utili “non tassati” conseguiti dal 2007 |
2. La ratio legis dell’istituto del riporto delle perdite fiscali
L’imposizione sul reddito è convenzionalmente suddivisa, per esigenze di prelievo fiscale, su periodi di tempo limitati, in genere corrispondenti all’anno solare, e a ciascuno di tali periodi corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma. Ciò significa che, ai fini della determinazione del reddito imponibile di un certo periodo d’imposta, non si tiene conto, in linea di massima, delle vicende avvenute in periodi d’imposta successivi o precedenti.
La possibilità di riportare le perdite fiscali d’impresa, cioè di compensare, entro determinati limiti temporali, le perdite realizzate nei precedenti periodi d’imposta con i redditi dei periodi d’imposta successivi, rappresenta, quindi, una deroga al suddetto principio di autonomia, che il legislatore ha dovuto introdurre nel sistema fiscale al fine di consentire che l’imposizione sul reddito fosse commisurata all’effettiva capacità contributiva manifestata dal contribuente, in conformità al dettato dell’art. 53 della Costituzione.
In sostanza, attraverso la previsione della riportabilità delle perdite fiscali, si vuole evitare che si possa verificare una tassazione non correlata ad alcuna produzione di reddito. Al riguardo, si segnala che, in caso di perdite d’impresa pregresse, solo la quota di reddito che eccede tali perdite rappresenta un effettivo incremento di ricchezza ed è, perciò, manifestazione diretta di capacità contributiva, mentre, invece, la quota di reddito restante va soltanto a reintegrare il capitale intaccato dalle perdite; sottoporre ad imposizione tale quota significherebbe, di fatto, tassare il capitale dell’impresa, snaturando così l’Irpef o l’Ires che sono, invece, imposte sul reddito.
L’osservanza del principio di capacità contributiva richiederebbe, però, a ben vedere, la previsione non solo del riporto in avanti nel tempo delle perdite fiscali, ma anche del riporto all’indietro che, però, manca nel nostro sistema fiscale; ciò evidentemente per via dell’esigenza dell’Erario di dare certezza al rapporto tributario con il contribuente e di non dover rideterminare un carico fiscale già acquisito. Inoltre, l’istituto del riporto - come vedremo -non è contemplato per tutte le perdite fiscali, e anche quando esso è ammesso, vi sono comunque precisi vincoli temporali da rispettare, cosicché il principio di effettività della capacità contributiva, che sta alla base dell’istituto stesso, risulta, in realtà, solo in parte salvaguardato.
3. I diversi criteri di utilizzazione delle perdite fiscali
La disciplina ordinaria in materia di utilizzo in compensazione delle perdite fiscali è contenuta:
• nell’art. 8 del Tuir, per quanto riguarda le perdite delle imprese individuali e delle società di persone, nonché le perdite derivanti dall’esercizio, anche in forma associata, di arti e professioni;[6]
• nell’art. 84 del Tuir, per quanto concerne le perdite delle società e degli enti commerciali residenti, di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73 del Tuir, nonché le perdite delle società e degli enti non residenti nel territorio dello Stato, che hanno esercitato attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni.
Si tratta di un quadro normativo piuttosto articolato, specie in ambito Irpef, dove i criteri di utilizzo delle perdite variano a seconda di diversi fattori, fra cui la natura delle perdite (d’impresa oppure di lavoro autonomo), il regime contabile dell’impresa (ordinario oppure semplificato) e le modalità di esercizio dell’attività (forma individuale o associata).
3.1. Le perdite delle imprese commerciali individuali
In base all’art. 8 del Tuir, le modalità di utilizzo delle perdite fiscali derivanti dall’esercizio di un’impresa individuale dipendono dal regime contabile relativo al periodo d’imposta in cui la perdita è stata prodotta.
Più precisamente, con riguardo alle perdite fiscali delle imprese in contabilità ordinaria, è prevista la cosiddetta “compensazione verticale”. In altri termini, le perdite generate da tali imprese possono essere sottratte soltanto ai redditi della stessa categoria, cioè ai redditi d’impresa (sia in contabilità ordinaria sia semplificata) eventualmente conseguiti dal contribuente. È, inoltre, previsto che, qualora, nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state realizzate, l’imprenditore non abbia conseguito altri redditi d’impresa ovvero la perdita sia comunque superiore agli stessi, l’eccedenza possa essere riportata in compensazione con i redditi d’impresa degli esercizi successivi, seppure nel rispetto dei limiti temporali che vedremo più avanti. Si sottolinea, al riguardo, che le perdite pregresse disponibili devono essere utilizzate per l’intero importo che trova capienza nei redditi d’impresa di ciascuno degli esercizi successivi. In sostanza, in presenza di un reddito imponibile, l’imprenditore non può scegliere di non utilizzare le perdite fiscali riportate o di compensarle solo parzialmente, per rinviarne l’utilizzo ai successivi periodi d’imposta, in quanto il mancato o parziale utilizzo della perdita pregressa pregiudica definitivamente la sua utilizzabilità futura.
È, inoltre, opportuno rilevare che se, da un lato, la legge consente all’imprenditore in contabilità ordinaria di compensare le perdite d’impresa solo con redditi della stessa natura, dall’altro, non richiede che gli stessi provengano dalla medesima attività che ha prodotto la perdita.
Del tutto diverso è, invece, il trattamento fiscale riservato alle perdite generate dalle imprese cosiddette minori, cioè dalle imprese, in regime di contabilità semplificata, che determinano il reddito secondo le disposizioni dell’art. 66 del Tuir.
Infatti, in base alla normativa attualmente vigente, dette perdite possono essere compensate “orizzontalmente” nell’ambito del reddito complessivo, nel senso che possono essere sommate algebricamente agli altri redditi, di qualunque categoria, conseguiti dal contribuente nel medesimo periodo d’imposta di realizzazione della perdita.
Le eventuali perdite non utilizzate per incapienza dei redditi, a differenza di quanto previsto per le perdite delle imprese ordinarie, non sono riportabili agli esercizi successivi a quello in cui sono state realizzate.
L’art. 36, comma 27, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (meglio noto come decreto Visco-Bersani), attraverso una modifica dell’art. 8 del Tuir, aveva equiparato la disciplina delle perdite delle imprese minori a quella delle imprese in contabilità ordinaria, prevedendo, con decorrenza dal periodo d’imposta in corso al 4 luglio 2006, la sola possibilità di poter effettuare una compensazione “verticale” e non più “orizzontale” e sancendo la facoltà di riportare ai periodi d’imposta successivi le eventuali perdite fiscali eccedenti. Tuttavia, detta modifica è rimasta in vigore soltanto sino al 31 dicembre 2007, in quanto con la Finanziaria 2008 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina delle perdite delle imprese semplificate, ripristinando, con decorrenza dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2008, la regola della compensazione “orizzontale” e inibendo nuovamente il riporto delle perdite eccedenti.
Da un punto di vista operativo, quanto appena ricordato si traduce nel fatto che le eventuali eccedenze di perdite di imprese semplificate, relative agli esercizi 2006 e 2007, potranno continuare ad essere utilizzate in compensazione dei redditi della stessa natura nei periodi di imposta successivi, fino al loro completo utilizzo o entro il termine del quinquennio.
I criteri di utilizzo delle perdite fiscali sopra esaminati si applicano anche alle imprese familiari di cui all’art. 230-bis del codice civile, in considerazione del fatto che l’impresa familiare, ancorché i collaboratori familiari possono intervenire su alcune decisioni relative alla vita dell’azienda, rimane giuridicamente un’impresa individuale, in cui la gestione spetta al titolare, che è l’unico ad assumere il rischio derivante dall’esercizio d’impresa e al quale, pertanto, possono essere attribuite le perdite.
Tabella riassuntiva degli utilizzi delle perdite delle imprese individuali (*)
Tipologia di perdita |
Regola di compensazione |
Possibilità di riporto |
Perdite di imprese individuali semplificate |
Compensazione orizzontale in capo all’imprenditore |
NO |
Perdite di imprese individuali ordinarie |
Compensazione verticale in capo all’imprenditore |
SI |
Perdite di imprese familiari semplificate |
Compensazione orizzontale in capo al titolare dell’impresa. La perdita non può essere imputata ai collaboratori familiari. |
NO |
Perdite di imprese familiari ordinarie |
Compensazione verticale in capo al titolare dell’impresa. La perdita non può essere imputata ai collaboratori familiari. |
SI |
Perdite di imprese individuali e familiari degli anni 2006 e 2007 |
Compensazione verticale in capo all’imprenditore, a prescindere dal regime contabile dell’impresa. |
SI |
(*)Precisiamo che in questa tabella e nelle successive è usato il termine “compensazione orizzontale” per indicare la possibilità di utilizzare la perdita per ridurre i redditi di qualunque categoria, ed il termine “compensazione verticale” per indicare, invece, la possibilità di sottrarre la perdita solo da redditi della stessa natura.
Sulla base dell’analisi sin qui svolta, l’imprenditore deve, dunque, valutare attentamente la propria situazione reddituale al fine di effettuare, laddove possibile, la scelta del regime contabile più conveniente.
In particolare, il contribuente che possiede altri redditi ed esercita un’impresa in forma individuale che genera perdite non superiori a questi altri redditi ha convenienza a restare in regime di contabilità semplificata, ove questo sia il suo regime naturale, per poter beneficiare della compensabilità orizzontale della perdita con gli altri redditi.
Se, invece, l’imprenditore non possiede altri redditi oppure questi sono sensibilmente inferiori rispetto alle perdite derivanti dall’attività d’impresa, allora può essere conveniente optare per il regime di contabilità ordinaria, laddove questo non sia già il regime obbligatorio, al fine di riportare in avanti le perdite che, altrimenti, sarebbero inutilizzabili per incapienza dei redditi. L’opzione per la contabilità ordinaria potrebbe convenire alle imprese di nuova costituzione (che spesso chiudono in perdita i primi esercizi di attività) anche perché, qualora si dovesse, successivamente, scegliere di revocare l’opzione per il regime ordinario, in quanto considerato troppo gravoso in termini di adempimenti amministrativi da espletare, alle perdite pregresse continuerebbero comunque ad applicarsi i criteri di utilizzo propri di tale regime.
3.2. Le perdite delle società di persone
Oltre che dall’esercizio di imprese in forma individuale, le perdite d’impresa possono derivare anche dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice. Giova ricordare, al riguardo, che le perdite prodotte in forma associata, al pari dei redditi, sono imputate ai soci in proporzione delle loro quote di partecipazione agli utili, risultanti dall’atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione della società o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all’inizio del periodo d’imposta. [7]
In sostanza, il principio di trasparenza si applica anche per le perdite fiscali. Tale regola subisce, peraltro, una limitazione con riguardo alle perdite fiscali delle società in accomandita semplice che eccedono l’ammontare del capitale sociale. L’ultima parte del comma 2 dell’art. 8 del Tuir dispone, infatti, che ai soci accomandanti non può essere imputata una quota di perdita superiore al capitale detenuto, coerentemente con la disposizione di cui all’art. 2313 del codice civile, secondo cui essi rispondono per le obbligazioni sociali nei limiti della quota conferita. Pertanto, nel caso in cui una società in accomandita semplice subisca una perdita superiore al capitale sociale, la parte eccedente potrà essere detratta soltanto dai soci accomandatari. Il criterio in base al quale deve avvenire l’attribuzione a detta categoria di soci della perdita eccedente il capitale è stato molto dibattuto, in passato, sia in dottrina che in giurisprudenza, a causa dell’ambiguità del dettato normativo. [8] Due erano gli orientamenti: da una parte, vi era chi sosteneva che l’intera perdita non deducibile in capo al socio accomandante, perché eccedente il capitale da questo conferito, poteva essere dedotta dal reddito del socio accomandatario; dall’altra, in base a un’interpretazione strettamente letterale della norma, la perdita eccedente doveva essere attribuita al socio accomandatario in proporzione della sua quota di partecipazione agli utili, con la conseguenza che la parte di perdita eccedente il capitale corrispondente alla quota che il socio accomandante non poteva accollarsi era da considerarsi “perduta”. La questione può, tuttavia, ritenersi superata dopo che l’Agenzia delle Entrate, con la ris. n. 152/E del 4 ottobre 2001,[9] ha affermato che l’intera differenza fra la perdita fiscale e il capitale sociale deve essere ripartita fra i soci accomandatari in proporzione delle loro quote di partecipazione, osservando che l’adozione di un criterio diverso che impedisse l’utilizzo integrale della perdita comporterebbe delle distorsioni, atteso che per qualsiasi altra tipologia societaria la perdita è deducibile per intero.
Chiariamo quanto detto con l’aiuto di un esempio numerico.
Si ipotizzi il caso di una S.a.s. con capitale sociale di 1.000 euro, posseduto da quattro soci come segue:
- socio accomandatario A, titolare di una quota del 30%;
- socio accomandatario B, titolare di una quota del 30%;
- socio accomandante C, titolare di una quota del 25%;
- socio accomandante D, titolare di una quota del 15%.
-
La perdita fiscale realizzata dalla società è pari a 2.000 euro.
Sulla base di quanto detto in precedenza, detta perdita deve essere così suddivisa fra i soci:
a) perdita entro il limite del capitale sociale, cioè 1.000 euro:
• socio A: 300 euro pari alla sua quota del 30%;
• socio B: 300 euro pari alla sua quota del 30%;
• socio C: 250 euro pari alla sua quota del 25%;
• socio D: 150 euro pari alla sua quota del 15%.
b) perdita eccedente il capitale sociale, cioè 1.000 euro:
• socio A: euro 500 (30/60 dell’eccedenza di 1.000);
• socio B: euro 500 (30/60 dell’eccedenza di 1.000).
Va poi detto che le modalità di utilizzo della perdita imputata al socio, in forza del principio di trasparenza, dipendono, anche in questo caso, dal regime contabile della società nel periodo d’imposta in cui la perdita è stata realizzata.
Se la società è in contabilità semplificata, si applica la regola della compensazione “orizzontale”, nel senso che i soci possono compensare le perdite con i redditi di qualunque categoria posseduti nel medesimo periodo d’imposta, senza, tuttavia, la possibilità di riportare agli esercizi successivi le eventuali perdite eccedenti.
Se, invece, la società è in contabilità ordinaria, la regola da applicare è quella della compensazione “verticale”, mediante la quale le perdite possono essere utilizzate dai soci soltanto per compensare eventuali altri redditi della stessa natura, cioè redditi d’impresa, posseduti nel medesimo periodo d’imposta (ad esempio redditi derivanti da partecipazioni in altre società di persone) e, qualora le perdite siano superiori a tali redditi, è possibile riportare l’eccedenza nei successivi periodi d’imposta per compensare i redditi d’impresa futuri.
Tabella riassuntiva degli utilizzi delle perdite delle società di persone commerciali
Tipologia di perdita |
Regola di compensazione |
Possibilità di riporto |
Perdite di S.n.c. e S.a.s. semplificate |
Compensazione orizzontale in capo al socio, per trasparenza. Le perdite delle S.a.s. eccedenti il capitale vanno ripartite fra i soli soci accomandatari. |
NO |
Perdite di S.n.c. e S.a.s. ordinarie |
Compensazione verticale in capo al socio per trasparenza. Le perdite delle S.a.s. eccedenti il capitale vanno ripartite fra i soli soci accomandatari. |
SI |
Perdite di S.n.c. e S.a.s. degli anni 2006 e 2007 |
Compensazione verticale in capo al socio per trasparenza, a prescindere dal regime contabile della società. Le perdite delle S.a.s. eccedenti il capitale vanno ripartite fra i soli soci accomandatari. |
SI |
3.3. Le perdite delle società di capitali e degli enti commerciali residenti
La riportabilità delle perdite realizzate dalle società di capitali e dagli enti commerciali residenti è prevista, come si diceva, dall’art. 84, comma 1, del Tuir, ai sensi del quale “la perdita di un periodo d’imposta ... può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi”.
Dunque, anche per questi soggetti vale la regola, sopra esaminata, secondo cui non è possibile scegliere, nell’esercizio in cui si realizza un reddito, di non utilizzare o di utilizzare solo in parte le perdite pregresse disponibili, rinviandone l’utilizzo agli esercizi successivi. Tuttavia, in presenza di crediti d’imposta, di ritenute d’acconto subite, di versamenti d’acconto e di eccedenze d’imposta a credito, alle società di capitali e agli enti commerciali residenti, diversamente da quanto previsto per gli imprenditori individuali e per i soci di S.n.c. e S.a.s., è data la facoltà di utilizzare le perdite fiscali pregresse disponibili, non già per l’intero importo che trova capienza nel reddito del periodo, ma nei limiti dell’ammontare necessario affinché l’imposta corrispondente al reddito imponibile (al netto quindi delle perdite) sia esattamente compensata con i sopradetti crediti verso l’Erario.
In sostanza, tali soggetti possono scegliere di utilizzare la perdita nei limiti dell’importo che consente loro di pervenire a un debito d’imposta pari a zero, come nell’esempio sotto riportato:
• reddito complessivo (imponibile): 100;
• perdite riportabili dagli esercizi precedenti: 150;
• ritenute d’acconto: 5,25;
• crediti d’imposta: 3.
Alla società è consentito utilizzare le perdite riportate solo nella misura di 70, in modo tale che l’imposta dovuta risulti interamente compensata con le ritenute d’acconto e i crediti d’imposta. L’importo delle perdite da utilizzare è determinato risolvendo la seguente equazione, dove l’incognita rappresenta le perdite da utilizzare: (100- x)*0,275 - 8,25 = 0; x = 70.
3.4. Le perdite di lavoro autonomo
Le perdite che derivano dall’esercizio, in forma individuale o associata, di arti e professioni,
al pari delle perdite delle imprese minori, possono essere detratte dai redditi di qualunque categoria (anche non di lavoro autonomo) che concorrono alla formazione del reddito complessivo del periodo, ma non possono costituire oggetto di riporto a nuovo nei periodi di imposta successivi a quello in cui sono state realizzate. Va, tuttavia, ricordato che, attraverso una modifica dell’art. 8 del Tuir, introdotta dal già citato decreto Visco-Bersani, era stato previsto che anche le perdite “professionali” potessero, con decorrenza dal periodo di imposta in corso al 4 luglio 2006, essere utilizzate in compensazione, secondo le stesse regole valevoli per le perdite delle imprese in contabilità ordinaria.
L’operatività di tale modifica è, però, rimasta limitata ai periodi di imposta 2006 e 2007, in quanto, successivamente, l’art. 1, comma 29, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, ha ripristinato, con effetto dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2008, la compensabilità orizzontale delle perdite in parola.
In pratica, le perdite di lavoro autonomo degli anni 2006 e 2007 mantengono il loro vecchio regime stabilito dal decreto Visco-Bersani, anche nel vigore del nuovo art. 8 del Tuir. Di conseguenza, anche quest’anno, in sede di compilazione delle dichiarazioni dei redditi dei lavoratori autonomi, si dovrà porre particolare attenzione alla gestione delle eventuali eccedenze di perdite “professionali” relative ai suddetti periodi di imposta, in quanto le stesse possono continuare ad essere utilizzate in compensazione dei redditi di lavoro autonomo fino al loro completo utilizzo o fino allo scadere del quinquennio.
Per ciò che attiene, poi, all’utilizzo delle perdite fiscali degli studi associati, si deve ricordare che l’associazione fra professionisti è un contratto che, ai fini delle imposte sui redditi, è equiparato alla società semplice.
Pertanto, la perdita che viene determinata in modo complessivo in capo all’associazione, secondo le regole proprie del lavoro autonomo, deve essere attribuita ai singoli associati in proporzione delle loro quote di partecipazione agli utili, risultanti dal contratto associativo o da altro atto pubblico o scrittura privata autenticata che, in questo caso, può essere redatto fino al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’associazione.
La medesima disciplina si applica anche alle perdite delle società fra professionisti, costituite in base al D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 per l’esercizio in forma associata della professione di avvocato, atteso che, come confermato. dall’Agenzia delle Entrate10, a tali società si applicano le regole previste per le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui all’art. 5, comma 3 lettera c), del Tuir.
Tabella riassuntiva degli utilizzi delle perdite di lavoro, autonomo
Tipologia di perdita |
Regola di compensazione |
Possibilità di riporto |
Perdite di lavoro autonomo individuale |
Compensazione orizzontale in capo al professionista |
NO |
Perdite delle associazioni fra professionisti (comprese le società fra avvocati) |
Compensazione orizzontale in capo all’associato, per trasparenza |
NO |
Perdite di lavoro autonomo, individuale o associato, degli anni 2006 e 2007 |
Compensazione verticale in capo al professionista |
SI |
3.5. Le perdite dei contribuenti minimi
Con riguardo al trattamento delle perdite fiscali nell’ambito del regime per i contribuenti “minimi”, di cui all’art. 1, commi da 96 a 117, della L. n. 244/2007, è necessario ricordare che, per espressa previsione legislativa, le perdite relative ai periodi di imposta anteriori a quello di accesso al regime possono essere sottratte al reddito assoggettato ad imposta sostitutiva, secondo le regole ordinarie previste dall’art. 8 del Tuir. Per quanto attiene, invece, alle perdite fiscali prodotte nel periodo di applicazione del regime, le stesse sono computate in diminuzione del reddito conseguito nell’esercizio d’impresa, arte o professione dei periodi di imposta successivi, per l’intero importo che trova capienza in essi, seppur nel rispetto dei limiti temporali previsti dal citato art. 8.
3.6. Le perdite delle società non operative[10]
L’utilizzo delle perdite fiscali pregresse è influenzato anche dalla qualificazione di una società come società non operativa (o società “di comodo”), ai sensi dell’art. 30 della L. 23 dicembre 1994, n. 724.
Poiché infatti le società non operative, a prescindere dalle risultanze della contabilità, sono obbligate a dichiarare un reddito minimo positivo, determinato forfetariamente, è previsto che le perdite riportabili possano essere utilizzate soltanto per abbattere la parte di reddito effettivo eventualmente eccedente quello minimo, come nell’esempio che segue:
• perdite riportabili da esercizi precedenti: 800;
• reddito effettivo: 2.500;
• reddito minimo: 2.000.
In questa situazione le perdite pregresse possono essere utilizzate soltanto per un ammontare di 500; sul reddito di 2.000 si deve assolvere l’imposta, mentre la perdita residua di 300 potrà essere riportata in avanti secondo le regole ordinarie.
Nel caso in cui la società non operativa sia una società di persone, al fine di rendere operativa la limitazione in esame, è necessario comunicare al socio non soltanto la quota di reddito a lui imputabile per trasparenza, ma anche la parte dello stesso riferibile al reddito minimo determinato in capo alla società partecipata, ai sensi del succitato art. 30, atteso che il socio potrà utilizzare le proprie perdite d’impresa, sia pregresse sia di periodo, solo per compensare quella parte di reddito a lui imputato che eccede appunto quello minimo.
4. I limiti temporali al riporto delle perdite
Il legislatore tributario, se, da un lato, ha dovuto prevedere il riporto delle perdite fiscali al fine di attenuare le distorsioni che derivano da un sistema di imposizione diretta basato sulla suddivisione della vita del contribuente in periodi d’imposta limitati e autonomi, dall’altro, ha scelto di limitare temporalmente tale riporto, impedendo, salvo qualche eccezione, l’utilizzo di perdite di periodi d’imposta remoti, in ragione dell’esigenza di dare certezza ai rapporti fra i contribuenti e l’Amministrazione finanziaria. È, infatti, previsto che il riporto delle perdite debba avvenire, in generale, entro i cinque periodi d’imposta successivi a quello in cui le perdite si sono formate.
È stato altresì osservato da taluni che la ratio del vincolo quinquennale andrebbe ricercata nella necessità di correlare l’orizzonte temporale di riportabilità delle perdite con i termini di accertabilità delle stesse.[11]
Il vincolo quinquennale al riporto non si applica alle perdite d’impresa realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione. In base all’art. 84, comma 2, del Tuir tali perdite sono, infatti, riportabili senza limiti di tempo.
La disposizione si applica non soltanto alle perdite delle società di capitali e degli enti commerciali residenti, ma anche a quelle delle imprese individuali e delle società di persone commerciali, in forza del richiamo all’art. 84 contenuto nell’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 8 del Tuir. Si tratta di una norma introdotta per agevolare le imprese di nuova costituzione, le quali sostengono, nei primi anni di esercizio dell’attività, tutta una serie di costi di start up che spesso non riescono a coprire con i ricavi d’esercizio. Va evidenziato, peraltro, che al fine di contrastare operazioni di riorganizzazione aziendale finalizzate ad aggirare il vincolo quinquennale di riporto delle perdite,[12] è stato previsto che, a partire dalle perdite formatesi dal periodo d’imposta in corso al 4 luglio 2006, il riporto illimitato è subordinato alla condizione che le perdite si riferiscano ad una nuova attività produttiva, con la conseguenza che l’agevolazione in parola viene meno e si deve, perciò, applicare il limite del quinquennio, quando, ad esempio, la società neo costituita continui a svolgere l’attività già esercitata dalla società conferente, oppure nei casi di società risultanti da fusioni proprie o beneficiarie di nuova costituzione, in caso di scissione, che continuino a svolgere l’attività esercitata, rispettivamente, dalle società fuse e dalla società scissa.
In sostanza, per effetto della modifica apportata all’art. 84, comma 2, del Tuir, il soggetto che, per effetto di un’operazione straordinaria, continua a svolgere un’attività già avviata da un altro soggetto, non beneficia del riporto illimitato delle perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta.
In questa sede, ci limitiamo soltanto a far notare che, visti i tempi lunghi dei controlli fiscali, la limitazione temporale in esame non sempre consente, nei fatti, di evitare che un contribuente possa utilizzare in compensazione una perdita non più accertabile dal Fisco, per decadenza dei termini di accertamento.
Per contro, possono beneficiare del riporto illimitato i soggetti che, pur trovandosi nella posizione di società conferitaria o di società beneficiaria di scissione, oppure di società risultante da una fusione, intraprendono l’esercizio di un’attività contraddistinta dal requisito della novità. Tuttavia, occorre dire che l’identificazione di tale requisito non sempre è facile e certamente pone dei problemi nel caso di una società neo costituita che effettivamente inizi l’esercizio di una nuova attività, ma alla quale, nel contempo, vengano trasferiti, per effetto di operazioni di riorganizzazione aziendale, complessi aziendali già esistenti e che producono perdite. Al riguardo, attesa la natura unitaria del reddito d’impresa, la dottrina ha osservato che l’orizzonte temporale di riportabilità delle perdite, in astratto riferibili alle diverse attività economiche esercitate, non può che essere unitario ed è da individuarsi in ragione della prevalenza dell’attività svolta.
Occorre, infine, osservare che, se, da un lato, come si è sopra detto, il contribuente è obbligato ad utilizzare le perdite fiscali pregresse, in presenza di redditi d’impresa capienti, dall’altro, in caso di perdite formatesi in periodi d’imposta diversi, egli è libero di scegliere quali perdite utilizzare.
Quindi, ad esempio, in presenza di perdite illimitatamente riportabili, perché relative ai primi tre esercizi di vita dell’impresa, ben può il contribuente utilizzare le perdite realizzate successivamente ai primi tre esercizi prima di quelle illimitatamente riportabili, considerato il loro assoggettamento al vincolo temporale del quinquennio.
Orizzonte temporale di riportabilità delle perdite
(a partire dalle perdite del periodo d’imposta in corso al 4 luglio 2006)
Periodo di formazione della perdita |
Limiti temporali al riporto |
Perdite realizzate nei primi tre periodi di imposta e derivanti da una nuova attività produttiva |
Riporto senza limiti di tempo |
Perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta ma generate da un’attività non nuova |
Riporto quinquennale |
Perdite realizzate dopo i primi tre periodi di imposta |
[1] Cfr. G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele-V. Russo, Disciplina delle perdite, collana “Temi di reddito d’impresa - Casi controversi e soluzioni operative”, Ipsoa, 2007, pag. 75 e seguenti.
[2] In tal senso è anche la ris. dell’Agenzia delle Entrate n. 108/E del 15 maggio 2003, in banca dati “fisconline”.
[3] Si veda la ris. n. 126/E del 12 agosto 2005, in banca dati “fisconline”, con riferimento ai contributi regionali previsti dall’art. 6 della L. 10 aprile 1981, n. 151.
[4] Si veda la circ. n. 44/E del 27 ottobre 2009, in “ilfìsco’ n. 41/2009, fascicolo n. 1, pag. 6807.
[5] Cfr. G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele-V. Russo, Disciplina delle perdite, cit, pag. 90.
[6] Si ricorda che le disposizioni dell’art. 8 del Tuir trovano applicazione anche ai fini della determinazione del reddito complessivo degli enti non commerciali.
[7] In base all’art. 5, comma 2, del Tuir le quote di partecipazione agli utili (e, quindi, anche alle perdite) si presumono proporzionali al valore dei conferimenti dei soci se non risultano da questi diversamente stabilite nell’atto di costituzione della società oppure in un atto pubblico o in una scrittura privata con firme autenticate antecedente l’inizio del periodo d’imposta.
È, altresì, previsto che se il valore dei conferimenti non risulta determinato, le quote si presumono uguali.
[8] Sul punto, si consenta di rinviare a G. Rebecca-E. Moro, II riparto delle perdite nella società in accomandita semplice. Problematiche vecchie e nuove, in “il fisco” n. 19/2002, fascicolo n. 1, pag. 2958.
[9] In banca dati “fisconline”.
[10] Cfr. ris. n. 118/E del 28 maggio 2003, in banca dati “fisconline”.
[11] II tema della decorrenza dei termini di accertamento delle perdite fiscali sarà approfondito in un prossimo intervento.
[12] Ci riferiamo alle cosiddette operazioni di lifting, cioè di trasformazione di perdite fiscali limitatamente riportabili in perdite riportabili senza limiti. Si pensi al caso di una società operativa da molti anni che, prevedendo di realizzare delle perdite, conferisce l’azienda in perdita in una società di nuova costituzione, in modo tale che le perdite da essa prodotte saranno perdite illimitatamente riportabili.