Gli accertamenti quasi infiniti e la Cassazione
di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 27 febbraio 2023
Trattiamo ancora una volta un tema invero abbastanza trascurato dalla dottrina, e cioè l’allungamento dei termini, in certi casi quasi all’infinito, per gli accertamenti fiscali.
La giurisprudenza se ne è dovuta occupare molte volte, e si è anche arrivati, per certe fattispecie, alle Sezioni Unite. Le quali per due casi specifici si sono già pronunciate, nonostante giurisprudenza anche contraria, a favore della tesi dell’amministrazione finanziaria relativa alla dilatazione dei termini di decadenza per effettuare gli accertamenti fiscali.
Le sei ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite
Tutto inizia nella tarda primavera /estate del 2020, con ben quattro ordinanze di rimessione alle Sezioni Unite da parte della Corte di Cassazione relativamente a tre diverse fattispecie, legate in ogni caso da identiche problematiche di base. Altre due ordinanze le abbiamo successivamente, una nel 2022 e l’ultima quest’anno, nel 2023.
Queste le ordinanze, in ordine temporale, con l’eventuale seguito delle ordinanze delle Sezioni Unite, che al momento si sono pronunciate solo per due casi:
1) Cassazione n.10751 del 5 giugno 2020 cui ha fatto poi seguito la sentenza a Sezioni Unite n. 8500 del 25 marzo 2021.
Il caso si riferiva all’utilizzo delle quote di svalutazione crediti eccedenti a quanto annualmente ammesso in detrazione, per gli istituti di credito. La Cassazione ha ritenuto che l’accertamento su tali quote potesse essere fatto, nell’anno di utilizzo, indipendentemente dall’anno di origine di tali quote.
2) Cassazione n. 15525 del 21 luglio 2020 e n. 20842 del 30 settembre 2020 cui hanno poi fatto seguito le sentenze a Sezioni Unite n. 21765 e 21766 del 29 luglio 2021.
Il caso si riferiva al riporto di un credito IVA, se tale riporto potesse posticipare i termini per l’accertamento del credito stesso. Le sezioni Unite ha sostenuto la tesi della posticipazione dei termini. Ricordiamo come invece Cass. n. 3098 del 2019 fosse stata di contrario avviso, mentre Cass. n. 5069/2012 e n. 18710 del 22 giugno 2022 si siano pronunciare per la posticipazione dei termini.
3) Cassazione n. 16752 del 6 agosto 2020 cui, se non andiamo errati, nonostante il lungo periodo di tempo passato, non ha ancora fatto seguito la sentenza a Sezioni Unite. Ma non ne siamo sicuri, proprio per il lungo lasso di tempo intercorso.
Il caso si riferiva all’utilizzo delle quote di ammortamento, se un eventuale controllo potesse avere ad oggetto l’anno in cui il bene è entrato in funzione o piuttosto l’anno di utilizzo delle quote di ammortamento. Ricordiamo come Cass. n. 9993/2018 si fosse invece pronunciata per il riferimento al solo anno di sostentamento della spesa. Conforme Cass. n. 2899/2019. Precedentemente Cass. n. 9834/2016; in senso contrario Cass. n 15178/2010 e 12880/2008
4) Cassazione n. 35536 del 2 dicembre 2022 e n. 3784 dell’8 febbraio 2023 per le quali le Sezioni Unite non si sono ancora pronunciate.
Il caso si riferiva ai termini temporali per il recupero di crediti di imposta, che secondo la Cassazione ( n. 24903 del 2020 ) è di 8 anni a decorrere dal momento di utilizzo del credito e non dalla presentazione della dichiarazione. Tutto verte anche sulla qualifica di credito, inesistente (8 anni) o non spettante (4 anni).
Gli altri possibili casi analoghi
Le sei ordinanze sopra riportate si riferiscono a quattro casi diversi, tutti caratterizzati dal passaggio del tempo dal momento iniziale al successivo momento di utilizzo.
Abbiamo individuato anche altri 5 casi con le stesse caratteristiche, e solo per alcuni dei quali già con qualche sentenza di Cassazione, ma non a Sezioni Unite, e precisamente (riportiamo dal nostro precedente articolo, con qualche limitato aggiustamento):
“1) L’utilizzo delle perdite fiscali
Le perdite fiscali sono accertabili nell’anno di utilizzo o solo in quello di formazione? Secondo Cass. n. 417/2015 la decorrenza dei termini per un eventuale accertamento decorre dall’anno di formazione.
In merito si può ricordare anche la sentenza di Cass. n. 24880 del 18 agosto 2022 che ha applicato, in modo speculare, i principi dettati dalla sentenza n. 8500/2021; il caso si riferiva a riporto perdite la cui entità era stata ridotta in anni precedenti dall’agenzia delle Entrate. Anche in assenza di contestazione per quelle annualità, da parte del contribuente, nulla impedisce che lo stesso contesti, nel caso specifico avendone solo ora interesse, la riduzione di queste perdite per l’anno in cui le utilizza. In pratica, pur non avendo contestato precedentemente, può farlo ora, per annualità successive. Non siamo convinti che sia una soluzione corretta, comunque. A dire il vero, ci sembra un obbrobrio.
2) L’utilizzo delle detrazioni di imposta
Il controllo deve essere fatto con riferimento all’anno di sostenimento delle spese o per l’anno di utilizzo ? CTR Torino n. 1698/2018 del 25 ottobre 2018 e CTR Milano n. 2597/49/15 del 16 aprile 2015 hanno ritenuto valido il riferimento all’anno di formazione del diritto.
3) I bonus edilizi
Stessa identica problematica si può riscontrare nell’utilizzo dei vari bonus fiscali; si guarderà, per la decadenza, all’anno di sostenimento della spesa o all’anno di utilizzo della detrazione ?
Tenuto conto dello sviluppo che questi incentivi hanno avuto, la problematica diverrà di grandissima rilevanza. Al momento è troppo presto per avere possibili prese di posizione.
4) La restituzione dei finanziamenti ai soci
La restituzione di finanziamenti ai soci, finanziamenti effettuati in periodi di imposta non più accertabili, potrà essere considerato reddito nell’anno di restituzione ? Secondo Cass. n. 18370/2021 sì.
5) Le spese incrementative
Le spese incrementative non documentate possono non essere considerate, in sede di vendita, al fine di ridurre l’eventuale plusvalore ? Secondo Cass.n. 748/2021 sì.”
La critica
Da qui riportiamo quanto da noi già affermato, sul punto; osservazioni che mantengono la loro validità.
“La tesi avanzata dalle Sezioni Unite della Cassazione (vedi le 3 sentenze sopra citate) non può essere condivisa; si tratta infatti di uno stravolgimento dei principi, e di una soluzione non certamente paritaria. Di tutta evidenza si favorisce una delle parti in causa, forse ritenendo di trovare una giustificazione in una presunta equità fiscale.
Analizziamo sinteticamente la prima di queste sentenze delle Sezioni Unite, la n. 8500/2021, riportandone qualche stralcio.
Punto 4.1 “ Al di là dell'ipotesi qui dedotta della svalutazione su crediti degli intermediari finanziari (art. 106, comma 3 Tuir, modificato dopo i fatti di causa), la questione devoluta investe una casistica ampia e di notevole riscontro pratico, caratterizzata dalla rilevanza pluriennale di determinati componenti reddituali; cioè di elementi economici e patrimoniali che, per quanto emersi e consolidatisi nella loro genesi causale sostanziale in una determinata annualità d'imposta, sono tuttavia dalla legge fiscale ammessi a produrre effetti sulla formazione della base imponibile di annualità successive, eventualmente anche molto lontane da quella di origine.”
“Si tratta, come ben si vede, di ipotesi tra loro assai eterogenee: sia per soggetti interessati alla dilazione (soggetti Ires, Irap, persone fisiche), sia per natura del componente reddituale pluriennale (che può essere tanto negativo quanto positivo) sia, ancora, per maggiore o minore durata del differimento (che, nel caso delle perdite pregresse, può oggi addirittura essere indeterminato, fermo il limite di capienza del reddito imponibile in ciascuno degli anni di utilizzo).”
“Ciò detto, non sembra che la complessità ed eterogeneità della fattispecie siano tali da impedire o sconsigliare una soluzione unitaria al problema giuridico posto dall'ordinanza di rimessione, così come del resto si addice ad una materia, qual è quella dell'accertamento e dei termini del suo esercizio da parte dell'amministrazione finanziaria, che più di ogni altra richiede regole operative il più possibile stabili ed uniformi. “
4.7 “ In definitiva, posto che tutte le volte in cui viene riportato in dichiarazione il componente di reddito pluriennale ne vengono al contempo richiamati e riutilizzati tutti i fatti presupposti e gli elementi costitutivi, può ben dirsi che quando l'ufficio operi la rettifica della dichiarazione in cui è riportata la singola quota, tale rettifica non incide in alcun modo, in pregiudizio del contribuente, sulla dichiarazione dell'anno di primo riporto ovvero su quelle successive già "decadute". Il che rende evidente come, in tal caso, non venga affatto attribuito all'amministrazione (con rispettiva soggezione del contribuente) un potere di controllo per un tempo indeterminato, così da violare quanto prescritto dal giudice delle leggi.”
“. 4.10 Viene dunque a cadere, in accoglimento del primo motivo di ricorso per cassazione, la prima ragione decisoria della Commissione Tributaria Regionale, dovendosi escludere l'affermata decadenza dell'amministrazione finanziaria.
Ciò in forza del seguente principio di diritto: "nel caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall'errato computo del singolo rateo dedotto e concernenti invece il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell'amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio".
“ 5.5 Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla commissione tributaria regionale della Lombardia che, in diversa composizione, riesaminerà la fattispecie alla luce dei principi qui indicati. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.”
Il principio di diritto enunciato, molto chiaro e preciso, mal si concilia però con la funzione propria della decadenza.
In base a questa ordinanza viene a crearsi una situazione del tutto insostenibile, che a nostro avviso dovrebbe essere rimessa alla valutazione della Corte Costituzionale, per illegittimità delle norme così interpretate. La Consulta ha ripetutamente affermato il principio secondo cui “va dall’interprete ricercata soltanto una ricostruzione del sistema che non lasci il contribuente esposto, senza limiti temporali, all’azione esecutiva del fisco “, in quanto ciò non è consentito dall’art. 24 della Costituzione. Si pensi al caso degli immobili; ove dovesse valere la tesi ora prospettata in via preferenziale da questa ordinanza potrebbero esserci accertamenti sulle quote di ammortamento anche dopo oltre trenta anni dall’acquisto! Tra l’altro, non appare per nulla convincente il richiamo che la sentenza fa alla sentenza n. 280 del 2005 della Corte Costituzionale. In tale sentenza era stato precisato che il contribuente non può essere soggetto ad accertamenti senza alcuna limitazione temporale. Il caso era differente, e riguardava i termini decadenziali per la notifica delle cartelle esattoriali; allora l’iscrizione a ruolo non veniva fatta conoscere al contribuente.
Personalmente riteniamo che la decadenza dei termini per eventuale accertamento decorra sempre dal momento iniziale in cui è sorto il diritto, e non dall’anno in cui ci siano stati degli utilizzi. E questo in tutti i i casi sopra riportati.
Altrimenti si stravolgerebbero le basi dell’accertamento stesso, per il quale sono fissate delle decadenze ben specifiche. Ove si optasse invece per la tesi della possibilità di far slittare la decorrenza di eventuali accertamenti all’anno di utilizzo, ci si potrebbe trovare in situazioni razionalmente non sostenibili, anche con difficoltà di ordine pratico, ed in ogni caso sarebbero stravolti i principi base dell’accertamento. Le Sezioni Unite della Cassazione si sono però pronunciate nel senso che abbiamo analizzato; non resta pertanto che la strada della eccezione di incostituzionalità.
Qualche tesi contraria
La Commissione norme di comportamento e di comune interpretazione in materia tributaria della AIDC, Associazione Italiana Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Milano, nel 2017 aveva già trattato la materia di sui qui si tratta (norma di comportamento n. 200/2017) e aveva emesso la seguente massima:
“Al fine dell’accertamento delle imposte sui redditi e assimilate, nel valutare le ripercussioni di eventi intervenuti in periodi d’imposta per i quali sia spirato il termine di decadenza, il contribuente non può essere gravato da un onere probatorio eccedente quello previsto per legge sul piano degli obblighi di conservazione documentale. In tali ipotesi, pertanto, il contribuente può comprovare la correttezza del proprio operato avvalendosi di ogni ragionevole mezzo di prova, individuabile nelle scritture contabili e ausiliarie, nelle dichiarazioni dei redditi dei periodi d’imposta ancora accertabili, nei contratti, nelle perizie e in qualsiasi ulteriore documentazione del cui obbligo di conservazione il contribuente sia ancora gravato, ovvero sia stato oggetto di volontaria conservazione, anche oltre.” E questa era la conclusione della analisi: “In conclusione, quando l’evento originario risalga a un periodo non più accertabile, l’onere della prova relativo alle poste imputate nei periodi successivi all’evento originario – ovvero ai periodi ancora accertabili - è assolvibile sulla base della produzione da parte del contribuente di un’ordinata e coerente documentazione contabile e tributaria riguardante i periodi di imposta per i quali sono ancora pendenti i termini di conservazione obbligatoria delle scritture e della documentazione contabile e tributaria. Così, ad esempio, per comprovare la corretta deduzione di quote di ammortamento di beni strumentali acquistati in un esercizio non più accertabile, il contribuente è chiamato a produrre un’ordinata e regolare tenuta delle scritture contabili, comprensiva del Registro dei beni ammortizzabili previsto dall’articolo 16 del Dpr 600/1973 o del Libro degli inventari, ove opportunamente integrato ai sensi di legge, mentre non è gravato dall’obbligo di produrre documenti risalenti all’esercizio in cui il bene è stato acquistato, quando sia spirato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quel periodo d’imposta.”
Pur dopo la prima delle tre sentenze della Cassazione, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (Sentenza n. 162 del 14 giugno 2021, rel. Marco Montanari) ha affermato che “se un fatto con conseguenze redditualmente rilevanti, si realizza in un determinato periodo d’imposta è a questo periodo d’imposta che ci si deve rifare, rectius risalire, volendone contestare l’an ed il quantum”. Si trattava di un accertamento IRES, IRAP e IVA per una Spa sull’anno 2014, con tra l’altro quote di ammortamento contestate su cespite acquisito nel 2010.
La Commissione, pur a conoscenza della richiamata sentenza di Cassazione n. 8500/2021, ha specificato che tale orientamento, “pur, così, autorevolmente affermato, non è condiviso da questo Giudice; invero e proprio l'autonomia di ogni singolo periodo d'imposta, continuamente e condivisibilmente, richiamata nella pronuncia, che impedisce di condividere le conseguenze che ne trae la Corte secondo cui “...posto che tutte le volte in cui viene riportato in dichiarazione il componente di reddito pluriennale ne vengono al contempo richiamati e riutilizzati tutti i fatti presupposti e gli elementi costitutivi..." (par4.7); infatti se un "fatto", con conseguenze redditualmente rilevanti, si realizza in un determinato periodo d'imposta è a questo periodo d'imposta che ci si deve rifare rectius" risalire", volendone contestare l'an ed il quantum; che, poi, se la norma consente, od obbliga, di spalmarne gli effetti in più periodi d'imposta, questa costituisce un'operazione, meramente aritmetica,"vincolata" nell'ammontare è dunque con riferimento a questo periodo d'imposta che vanno conteggiati i termini decadenziali”. La sentenza delle Sezioni Unite porterebbe a “conseguenze palesemente contrastanti i principii di proporzionalità e ragionevolezza sanciti della Costituzione, che, ricordiamolo, impone al Giudice di ricercare e privilegiare, sempre, l'interpretazione costituzionalmente orientata; a tacere poi della palese violazione che il principio fa dell'art. 22, comma 2, D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 8, comma 5, dello Statuto del Contribuente. “
La sentenza sarà sicuramente contestata dalla Agenzia delle Entrate, e l’esito non appare dei più favorevoli, al contribuente. Il coraggio di questa Commissione sicuramente cozzerà di fronte a una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite.
Ove nel frattempo non dovesse intervenire un intervento legislativo, in merito, l’unica strada percorribile per contestare questa interpretazione appare quella della sollevazione del principio della incostituzionalità. Ove le norme dovessero essere interpretate come fanno le Sezioni Unite della Cassazione, ecco che le norme stesse diventano incostituzionali, per i motivi che indicheremo appresso.
Conclusioni
In presenza di accertamento basato su accadimenti intervenuti in periodi di imposta precedenti a quello oggetto di controllo, per i quali sia già superato il termine di decorrenza per l’accertamento, il contribuente non può essere gravato dell’obbligo di produrre documentazione risalente al periodo non più accertabile, essendo appunto superato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quello specifico periodo d’imposta.
Non può essere quindi sostenuta la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale le perdite sono accettabili nei limiti temporali di accertamento relativi ai periodi di imposta in cui sono state utilizzate. Si tenga anche conto che altrimenti, con la possibilità di utilizzo senza più limiti temporali, i due eventi potrebbero anche differire di molto, nel tempo. E non pare logico, oltre che non previsto dalle norme, dilatare in questo modo i tempi degli accertamenti.
La posizione dell’Agenzia tende probabilmente ad evitare eventuali abusi di diritto costituiti dalla possibilità, nel caso specifico delle perdite, di dichiarare una perdita fittizia non utilizzata per i primi 5 periodi successivi (un eventuale accertamento a rettifica di tali perdite, non comporterebbe il versamento di alcuna imposta), che si intende utilizzare solo successivamente a tali periodi.
E questo valga anche per tutti gli altri casi; non si può prorogare ad libitum il potere accertativo, per l’Agenzia delle Entrate.
E mentre il legislatore sta andando nella direzione di aumentare la tutela nei confronti dei cittadini, in campo penale, con la riduzione della prescrizione, in campo tributario l’orientamento della Cassazione è diametralmente opposto, in evidente violazione dei principi costituzionali.
Le prime tre sentenze a Sezioni Unite del 2021, la n. 8500, 21765 e 21766 non convincono, e se la giurisprudenza dovesse seguire il principio di diritto indicato da tali sentenze non resterà che eccepire la incostituzionalità delle norme relative alla Corte Costituzionale, visto che sono così interpretate. In particolare l’eccezione potrebbe riguardare la violazione dell’art.24 della carta costituzionale, essendo di fatto leso il diritto alla difesa, mentre le due più recenti sentenze del 29 luglio si sono occupate degli articoli 3, 24 e 53, denegando appunto la eccepita incostituzionalità con riferimento a questi articoli. Potrebbe essere eccepita anche la disparità di trattamento. Ma in ogni caso non potrà essere validamente sostenuta la tesi dell’accertamento infinito, tesi che stride contro ogni logica.”