Il valore attuale di una rendita: irrazionalità nella definizione
di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 12 gennaio 2022
Ci siamo già occupati della questione del valore attuale di una rendita in un precedente approfondimento (“Il valore fiscale della rendita vitalizia o dell’usufrutto temporaneo : casi di irrazionalità”, ne Commercialista Telematico del 18 maggio 2021) dal quale riprendiamo qualche analisi, anticipandone fin da subito subito le conclusioni. Si è dimostrato come le modalità di calcolo del valore di una rendita vitalizia, come pure di una rendita o usufrutto temporaneo, portino a risultati abnormi, assurdi, al di fuori di ogni logica. E questo sia per atti a titolo oneroso che gratuito.
L'applicazione della norma fiscale è viziata da incostituzionalità, per violazione del principio della equità e ragionevolezza, come pure incostituzionale a nostro avviso appare l'articolo 1866 del codice civile.
Non siamo in grado, al momento, di proporre una soluzione, ma la questione dovrà necessariamente essere risolta. Tra l'altro, oltre a creare situazioni insostenibili, per i contribuenti, potrebbe anche essere utilizzata a beneficio degli stessi, in certi casi, a tutto danno per l'erario.
Rianalizziamo ora la questione, riprendendo anche qualche analisi precedentemente fatta, alla luce della variazione del tasso legale, dall’1 gennaio 2022, all’1,25% contro il precedente tasso dello 0,01%; aumento decisamente consistente, 125 volte!
L’origine della questione
L’origine della questione deriva, a nostro avviso, dalla applicazione della disposizione dettata dal codice civile, e precisamente dall’articolo 1866, comma 1 ove si prevede che il riscatto di una rendita perpetua si effettua mediante il pagamento della somma che risulta dalla capitalizzazione della rendita annua sulla base dell'interesse legale.
L’applicazione di questo criterio può portare a risultati del tutto irrazionali, tanto più irrazionali tanto più i tassi sono bassi.
Non si può, in ogni caso, considerare, nemmeno convenzionalmente, che il tasso legale sia sempre l'esatto frutto di un investimento, né tantomeno considerare che una rendita derivi appunto da un investimento fatto al tasso legale. Si tratta di una previsione che a nostro avviso mostra evidenze di incostituzionalità.
La misura del tasso legale e la base imponibile di una rendita
Esaminiamo la questione sotto l’aspetto tributario. Ai fini dell’imposta di registro la base imponibile di una rendita è data dal maggiore tra la somma pagata o il valore dei beni ceduti dal beneficiario e il valore della rendita stessa (art.46,comma 1, TUR).
E già qui ci si chiede come si possa ipotizzare il caso in cui una rendita superi il valore del bene cui si riferisce; situazione non certamente logica, ma che potrebbe trovare giustificazione nelle modalità di calcolo di cui si vedrà.
Il comma 2 sempre dell'art.46 del TUR specifica che il valore della stessa è dato :
1. nel caso di rendita perpetua, dal "ventuplo della rendita";
2. nel caso di rendita a tempo determinato, dal valore attuale delle annualità, calcolate al saggio di interesse legale, ma in nessun caso superiore al ventuplo della annualità stessa;
3. e nel caso di rendita vitalizia, dall'ammontare ottenuto moltiplicando la annualità per il coefficiente determinato in base alla età del beneficiario.
Stesso identico schema applicativo è dettato anche per l'imposta sulle successioni e donazioni, all'art.17 del D.Lgs 346/1 9 90.
Con vari Decreti Ministeriali, ogni qualvolta è variato il tasso legale, sono stati anche pubblicati nuovi coefficienti per la determinazione dell'usufrutto e della nuda proprietà, come pure il multiplo, originariamente stabilito in venti volte. (E ciò n base all'art.3, comma 164 della Legge n.662 del 23 dicembre 1996).
Si tratta di aggiustamenti esattamente inversamente proporzionali alle variazioni dei tassi, restando invariata la struttura di base.
L'ultimo DM è del 21 dicembre 2021, che ha appunto variato i coefficienti per la determinazione dell’usufrutto e della nuda proprietà e portato il multiplo precedente di 10.000 volte ad 80 volte ( originariamente era di 10 volte, poi portato a 20 volte e infine a 10.000 volte ), a fronte di un interesse legale passato dal 5% del 1986 all’ 1,25% per il 2022. E questo per atti dall'l gennaio 2022.
Ora, è evidente che con l'interesse al 5%, moltiplicando per 20 si arrivava a 100.
Con l'interesse all’1,25 per arrivare a 100 si dovrà moltiplicare per 80.
E questo, come si vedrà, può portare a situazioni del tutto assurde, illogiche e slegate dalla realtà. Con l’attuale aumento del tasso, la irrazionalità si riduce, ma resta comunque un procedimento illogico, basato su presupposti che necessitano di essere rivisti.
E questa è una situazione che si produce da molti anni, anche se si è maggiormente manifestata con le drastiche riduzioni dell'interesse legale di questi ultimi anni.
Lo scorso anno
Con un tasso legale allo 0,01%, in vigore fino allo scorso anno, la irrazionalità del meccanismo di calcolo era di tutta evidenza
Ad esempio, per una rendita perpetua annua di euro 30.000, con il conteggio richiesto VA=R/i, avevamo 30.000/0,01% che dava come risultato 300 milioni di euro, cifra evidentemente del tutto spropositata e slegata dalla realtà.
Nel caso invece di una rendita vitalizia di euro 30.000 a favore di una persona di anni 60, applicando la tabella allora vigente si aveva un valore di 180.000.000 euro (30.000x6000), cifra obiettivamente assurda.
Non considerando l'interesse, il beneficiario dovrebbe vivere 6.000 anni per arrivare al valore della rendita.
Nel caso di una rendita annua a tempo determinato, per 10 anni, di euro 30.000, il valore attuale diveniva invece pari ad euro 299.835, il che era del tutto ragionevole.
Ora, come già anticipato, con l’aumento del tasso legale il problema si fa meno evidente, anche se tuttora esistente.
E l'usufrutto?
Lo stesso identico problema si verificava anche nella determinazione dell'usufrutto temporaneo, da determinare sempre con le modalità di cuiall'art. 46 TUR richiamato dall'alt. 48 sempre del TUR.
Nel caso di un immobile del valore di euro 500.000, l'usufrutto per una durata di 5 anni è pari a 249,95 (500.000x0,01%x4,999)
Si pensi quindi ad una persona che avesse desiderato cedere a terzi a titolo oneroso, ma le stesse questioni si pongono anche nel caso di una cessione a titolo gratuito, l'usufrutto di questo immobile per 5 anni; gli sarebbe spettato il reddito derivante da tale bene, a fronte di un versamento di nemmeno 250 euro. Questo, si ricorda, con un tasso legale dello 0,01%.
È di tutta evidenza che qualcosa non va. Il problema in ogni caso, come già detto, si riduce moltissimo con l’aumento del tasso di interesse.
Dove sta l'errore?
L'errore, evidente, limitandoci all'impatto fiscale, sta nell'aver scelto lo stesso identico prospetto per il calcolo della rendita rispetto a quello per la determinazione dell'usufrutto vitalizio. Non si tratta di fattispecie similari, ma ben differenziate.
Nel calcolo dell'usufrutto vitalizio la determinazione del valore imponibile si ha partendo da una somma cui applicare appunto il coefficiente; nel caso invece di rendita il valore imponibile si ha solo attualizzando la rendita stessa.
E questo sempre nel presupposto che il rendimento sia esattamente pari all’interesse legale. In ogni caso anche l'articolo 1866 del codice civile, come già anticipato, dovrà necessariamente essere riformulato, pena la incostituzionalità.
A proposito delle tabelle
In ogni caso le stesse tabelle ministeriali sono del tutto approssimative, e non tengono in alcun conto della dinamica demografica.
Intanto non c'è distinzione tra donne e uomini, quando invece la loro vita media è differente, per sesso, e in ogni caso negli anni sono rimaste sempre invariate, come base di determinazione (le variazioni apportate riguardano solo il tasso di interesse).
Tutto questo è addirittura evidenziato dalle stesse tabelle, allorché i tassi di interesse nel tempo sono stati coincidenti.
Si veda ad esempio, con il tasso del 2,5%, per i periodi 1999/2000, 2004/2007 e 2012/2013. I coefficienti sono rimasti gli stessi, nonostante il passaggio degli anni.
La vita media in oltre 20 anni è variata di molto, a fronte di tabelle invece sempre uguali.
Ad ogni buon conto, nella realtà, i valori dell’usufrutto paiono superiori a quelli di legge, ed in particolar modo per le donne, valori che nel tempo sono anche aumentati, con l’aumento, ante Covid, della età media e della speranza di vita. Al contrario, i valori della nuda proprietà paiono sovrastimati, rispetto ad un calcolo attuariale.
La risposta ad interpello n. 51/ 2021
Riportiamo il commento alla sorprendente risposta ad interpello n.51 del 20 gennaio 2021 che appunto riguardava la valorizzazione di una rendita vitalizia.
In una successione un familiare era stato nominato erede ed un estraneo legatario di una farmacia; il legato consisteva nel pagamento di una rendita vitalizia all'erede.
In base all'art, 46, comma 3 D.Lgs 346/1990 (TUS), in caso di legato con onere, il beneficiario dell'onere si presume a sua volta legatario; pertanto è tenuto ad indicare nella dichiarazione di successione anche la suddetta rendita.
E il valore di questa rendita, da calcolarsi come già visto sopra, superava di gran lunga il valore dei beni.
La parte così aveva ben sintetizzato: "L'istante, erede e beneficiaria della rendita che deriva dall'onere posto a carico del legatario, ritiene che, ai fini della presentazione della dichiarazione di successione, possa determinare la base imponibile della suddetta rendita, tenendo conto del limite posto dal citato articolo 671 c.c., secondo il quale il legatario non può essere tenuto ad erogare somme superiori al valore del legato stesso.
Pertanto, sostiene l'istante, se l'onere del legatario non può superare il valore della cosa legata, inequivocabilmente, per una evidente regola di simmetria, il beneficiario dell'onere non potrà ricevere una rendita di valore superiore al valore del legato, nonostante le disposizioni testamentarie."
L'Agenzia delle Entrate, con una "acrobatica interpretazione" (Angelo Busani, ne NT Plus de II Sole 24 Ore del 20 gennaio 2021), per risolvere quello che non era risolvibile, ha bellamente trasformato una rendita vitalizia in rendita temporanea, e confermato la limitazione del valore della rendita nel valore del bene (farmacia).
Invero sarebbe stata una giusta occasione per proporre soluzioni diverse, magari anche allo stesso legislatore; occasione sprecata.
Valore della Rendita vitalizia e la giurisprudenza
Rimandiamo al nostro precedente intervento per il commento alla scarna giurisprudenza, sul tema, ed in particolare alla sentenza della CTR di Milano n. 591 del 16 febbraio 2021, con la quale si dà una soluzione del tutto pratica alla problematica, allontanandosi dal disposto normativo, inapplicabile.
Conclusioni
Come più volte anticipato, il meccanismo del calcolo del valore attuale di una rendita si regge su presupposti non del tutto razionali, e tale irrazionalità è tanto più evidente quanto più bassi sono i valori dell’interesse legale. Ora, con l’aumento del tasso di interesse legale allo 1,25%, la problematica si riduce, ma in ogni caso rimane, sotto l’aspetto sostanziale. Si tratta di un meccanismo che dovrà essere rivisto.