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La deducibilità fiscale delle sanzioni e della penalità

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 20 settembre 2021

Introduzione

Ritorniamo a un tema molto caldo, quello della deducibilità fiscale delle sanzioni e delle penalità, solo per aggiornarne la analisi, per cercare di dare un quadro ancora più completo della questione. Non siamo infatti convinti della correttezza dell’atteggiamento della Agenzia delle Entrate, poi quasi sempre confermato dalla giurisprudenza, che appunto nega tale deducibilità. Non risultano ancora ripensamenti, da parte della Cassazione, ma non è escluso che questo atteggiamento così restrittivo possa anche cambiare, nel futuro Noi ce lo auguriamo.

 

La mancanza di una norma specifica

Nell’ordinamento tributario italiano manca una norma che preveda esplicitamente il trattamento da riservare alle sanzioni amministrative, e per certi versi anche alle penalità, in sede di determi­nazione del reddito d'impresa e di lavoro autonomo. Nel tempo si è sviluppato un dibattito che vede contrapposte le argomentazioni in favore dell’una o dell’altra tesi. Ma si ha la sensazione che la questione sia trattata più su un piano etico piuttosto che su un piano prettamente giuridico/economico, come invece dovrebbe essere. Talvolta paiono prevalere dichiarazioni di principio piuttosto che argomentazioni logiche.

L’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza, assolutamente maggioritaria, sono orientate per la negazione della deducibilità delle sanzioni ai fini fiscali; al contrario, la dottrina è spesso pervenuta invece a conclusioni favorevoli circa la rilevanza fiscale delle stesse.

La Cassazione ritiene che una condotta illecita, da cui appunto deriva la sanzione o la penalità, non si concilii con la inerenza . Noi riterremmo invece che le sanzioni, come tutti gli oneri, potrebbero essere deducibili se sostenute in funzione dell’acquisto o dell’utilizzo di fattori produttivi (beni o servizi) funzionali alla produzione di reddito e allo svolgimento della stessa attività d’impresa. Se dal comportamento poi sanzionato sono derivati o comunque avrebbero potuto derivare dei redditi, e in quanto tali tassabili, non ci sarebbe ragione per non considerare inerenti i correlati oneri, nella fattispecie sanzioni.

La problematica riguarda le sole sanzioni, e non anche gli interessi passivi dovuti alle eventuali dilazioni concesse sul pagamento delle sanzioni medesime. Infatti gli interessi passivi rappresentano il costo strumentale alla realizzazione della scelta imprenditoriale sulla modalità di utilizzazione delle risorse finanziarie dell’impresa, e sono pertanto indiscutibilmente deducibili. (Cass. n. 11766 del 20 maggio 2009)

Diverso è invece il caso delle sanzioni penali, per le quali esiste invece una specifica normativa di riferimento, che in alcuni casi ne prevede la deducibilità, in altri no. [1]

Segnaliamo anche come il principio della indeducibilità delle sanzioni non derivi da alcuna norma costituzionale, al contrario del principio della inerenza che secondo la Cassazione deriva dal principio della capacità contributiva, e quindi legato all’articolo 53 della Costituzione stessa.

Come anticipato, non siamo convinti della soluzione comunemente oggi data, indeducibilità tout court delle sanzioni, soluzione che a nostro avviso non pare avere alcuna giustificazione giuridica, ma forse solo etica. Sulla base della interpretazione giurisprudenziale, la sanzione diventa infatti doppia, (una prima volta come sanzione, la seconda come costo indeducibile) piuttosto che sistema premiale, come invece da alcuni sostenuto (sanzione dedotta equivale a beneficio).

 

La tesi dell'Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate con­sidera le sanzioni sempre e comunque estra­nee all'attività aziendale, e quindi non inerenti, in quanto conse­guenza di un comportamento illecito dell'impren­ditore, e conseguentemente interamente indeducibili, a prescindere in ogni caso dal­la natura e anche dalla causa generatrice dello stesso.

L’ufficio ritiene che la natura punitiva delle sanzioni verrebbe svilita, trasformandola addirittura in un risparmio d’imposta, qualora fosse riconosciuta la loro deducibilità nella determinazione del reddito di impresa.

Si tratta di un tema affrontato circa 20 anni fa dall'Amministrazione finanziaria (circ. 17 maggio 2000, n. 98/E e ris. 12 giugno 2001, n. 89/E) con riferimento al caso specifico delle sanzioni antitrust, ossia le sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza di cui alla L. 10 ottobre 1990, n. 287. Si tratta delle sanzioni che l'Autorità garante del mercato e della con­correnza commina qualora rilevi condotte (come, ad esempio, intese restrittive della libertà di con­correnza o abusi di posizione dominante) che compromettono e limitano l'altrui diritto di ini­ziativa economica tutelato dall'art. 41 della Co­stituzione, restringendo o falsando il gioco della concorrenza sul mercato. E gran parte della giurisprudenza e anche della dottrina, ancorché con esiti in parte discordi, si è occupata di questa specifica tipologia di sanzioni

L'Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, essendo tali oneri dei pagamenti dovuti in virtù di comportamenti illeciti dell’impresa, la rilevanza tributaria degli stessi doveva essere esclusa, non essendo mai riscontrabile una correlazione diretta fra costo e produzione del reddito.

Ha altresì affermato un principio più generale, secondo cui gli oneri sanzionatori di natura punitiva non presentano il requisito dell’inerenza essenziale ai fini della deducibilità fiscale.

Con riferimento al reddito di la­voro autonomo (ma la conclusione è evidente­mente estendibile, per analogia, anche al reddito d'im­presa), l'Agenzia delle Entrate ha sostenuto (circ. 20 giugno 2002, n. 55/E) l'indeducibilità delle sanzioni, in quanto si tratterebbe di oneri non funzionali alla produzione del red­dito. Questo era il quesito: “È deducibile dal reddito di lavoro autonomo la sanzione amministrativa comminata dal Ministero del Tesoro a un sindaco di azienda di credito, dottore commercialista in regime di contabilità ordinaria?”

L’Agenzia delle Entrate, nel negare la deducibilità, ha così affermato: “un costo può essere considerato deducibile dal reddito solo ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito stesso. Come chiarito con Risoluzione n. 89 del 12 giugno 2001, tale rapporto di correlazione tra costo e reddito non è riscontrabile, in linea di principio, con riferimento a quei costi che siano rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente. Di conseguenza, i costi in argomento devono essere considerati indeducibili”.

Si ha poi la circ. 26 settembre 2005, n. 42/E, peraltro relativa ad aspetti penali; ha infatti fornito chiarimenti sull’applicazione del comma 8 dell'art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), comma che prevede l'indeducibilità di costi e spese riconducibili a fatti, atti o attività illecite sotto il profilo penale. Ma ha anche ritenuto di ribadire l’indeducibilità delle sanzioni amministrative, giacché mancano di qualunque nesso funzionale con l'attività aziendale, essendo inflitte per punire e reprimere condotte illecite.

 

La giurisprudenza

La Cassazione è costantemente orientata nel condividere la tesi ministeriale, e quindi nel senso di negare la sussistenza di qualsiasi nesso di inerenza fra le sanzioni pecuniarie e la produzione del reddito d'impresa.

La sentenza 3 marzo 2010, n. 5050 (riferita alle citate sanzioni antitrust), ribadisce la funzione punitivo-repressiva della sanzione e respinge la loro deducibilità onde evitarne lo svilimento. Nello stesso senso n. 7071 del 29 maggio 2000, n.600 del 12 gennaio 2011, n.2594 del 3 febbraio 2011, n. 8135 dell’11 apri­le 2011, n. 16429 del 27 luglio 2011, n. 18368 del 26 ottobre 2012, n 10590 del 22 maggio 2015, n. 14137 del 7 giugno 2017, n. 18444 del 26 luglio 2017, n. 30238 del 22 novembre 2018, n. 32465 del 14 dicembre 2018 e n. 34391 del 23 dicembre 2019.

La Cassazione (n. 5050/2010) “è pervenuta al convincimento della indeducibilità delle sanzioni in parola basando il suo ragionamento sul fatto che in caso contrario si neutralizzerebbe interamente la ratio punitiva della penalità trasformandola in un risparmio d’imposta,”… cioè in un premio per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust”. Tale affermazione appare a nostro avviso inaccettabile. Con tale affermazione il Giudice di legittimità ha infatti dimostrato di non comprendere che la deduzione dei costi dal reddito d’impresa non deriva certamente dalla natura morale delle spese affrontate, ma dall’esistenza del requisito dell’inerenza che, nella fattispecie delle sanzioni antitrust sembra innegabile. Significativa appare, in tal senso, la sentenza 19 aprile 2001, n. 5796 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato la indeducibilità dal reddito d’impresa di alcune “tangenti” erogate al fine di evitare indagini tributarie atteso che i relativi “costi” non possono considerarsi propedeutici alla formazione del reddito in quanto non rappresentano fattori produttivi, ma tendono a preservare il risultato dei fattori produttivi e comunque non sono relativi a fattori gestionali. Il Supremo Collegio ha cioè escluso (condivisibilmente) che tali costi possano essere dedotti dal reddito, non perché il pagamento di tangenti costituisce fatto illecito (oltreché immorale), ma solo in quanto non relativi all’attività dell’impresa e quindi non inerenti”.

“È tuttavia indubbio, in via di principio, che se le sanzioni fossero ammesse in deduzione dal reddito d’impresa il fine che esse si prefiggono di raggiungere risulterebbe parzialmente vanificato dal momento che il relativo recupero fiscale verrebbe riservato a carico della collettività”.

“Tale tesi appare, oltreché debole, anche demagogica; se è pur vero, infatti, che la deduzione dal reddito di impresa delle sanzioni antitrust riduce, al pari di qualsiasi altro costo, la base imponibile e quindi il concorso alla spesa pubblica (rectius, l’imposta) è innegabile che la collettività ha pure goduto dei benefici derivanti dal legittimo operato dell’impresa atteso che “grazie” alle violazioni commesse è derivato un maggior reddito imponibile e quindi un maggior gettito fiscale. Sembra dunque essenziale, ai fini della soluzione della fattispecie in esame, stabilire se gli oneri costituiti dalle sanzioni antitrust presentino effettivamente un collegamento diretto con la gestione dell’azienda tale da incardinare il requisito dell’inerenza previsto dall’art. 109 del TUIR n. 917 del 1986 per la determinazione delle componenti rilevanti nella determinazione del reddito d’impresa”.

In conclusione, a nostro avviso sembra sussistere il requisito dell’inerenza all'attività d'im­presa con riferimento alle sanzioni irrogate dall’Antitrust, trattandosi di violazioni finalizzate all’accrescimento della capacità dell'impresa di realizza­re ricavi; a medesime conclusione si può giungere con riguardo alle sanzioni per infrazioni stradali commesse da un rappre­sentante di commercio giacché l’automezzo da lui usato per recarsi dai clienti rappresenta il bene in assoluto “più inerente” alla sua attività.

In particolare, nel caso analizzato dalla sentenza 14137/2017, il contribuente sosteneva quattro ragioni,a sostegno della deducibilità della sanzione:

· l’eventuale indeducibilità amplificherebbe l’effetto della sanzione, in spregio ai principi di legalità e capacità contributiva;

· il costo è indiscutibilmente inerente all’attività dell’impresa, conseguente a scelte imprenditoriali;

· la sanzione verrebbe ad avere natura risarcitoria;

· non si è in presenza di un illecito penale, e quindi non è applicabile l’art.14, c 4-bis della L.537/1993 che appunto esclude la deduzione solo per i costi derivanti da reati.

Aspetti tutti denegati dalla Cassazione, per i seguenti motivi:

· la indeducibilità non costituisce una sanzione addizionale, bensì “l’effetto obiettivo della natura extraimprenditoriale dell’attività illecita”;

· la illeceità della condotta “spezza il nesso di inerenza all’attività di impresa”;

· va esclusa la natura risarcitoria della sanzione, prescindendo questa dalla diretta correlazione con un evento di danno;

· il richiamato art. 14 si riferisce a costi e a spese funzionali all’illecito, mentre la sanzione costituisce proprio l’effetto dell’illecito.

Personalmente non ci paiono motivazioni forti, anzi.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 34391 del 23 dicembre 2019 richiama, confermando, quanto espresso dalla precedente n. 32465 del 14 dicembre 2018:”questa Corte intende adeguarsi al consolidato orientamento per cui sono indeducibili gli importi corrisposti a titolo di sanzione pecuniaria irrogata dall'Autorità garante in materia di tutela della concorrenza e del mercato (disciplina antitrust), in quanto la sanzione è circostanza che non influisce sulla nascita della obbligazione tributaria, derivando da attività, non solo autonoma ed esterna rispetto al corretto esercizio dell'impresa, ma antitetica a questa, non potendosi qualificare come fattore produttivo. Pertanto, tale sanzione non costituisce costo deducibile dal reddito di impresa, perchè diversamente si neutralizzerebbe interamente la ratio punitiva della penalità, controbilanciandola con un corrispondente risparmio di imposta che, in quanto espressione della violazione di normativa imperativa, si rivelerebbe del tutto ingiustificato (Cass.Civ., 3 marzo 2010, n. 5050; Cass.Civ., 3 febbraio 2011, n. 2594). Pertanto, le sanzioni sono prive di nesso funzionale con l'attività imprenditoriale, avendo una finalità repressiva del comportamento illecito; originano dalla reazione dell'ordinamento fondata sulla legge; costituiscono un costo per cui non è possibile configurare, neanche indirettamente, alcun rapporto funzionale con i ricavi realizzati. Insomma, l'illecito commesso "spezza", in ogni caso, il nesso di inerenza, in quanto "la spesa non nasce più nell'impresa", ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale (Cass. Civ., 8135/2011).” Per poi così concludere:”Per cui va rigettata l'idea che un costo rappresentato da una sanzione per un comportamento illecito, tenuto volontariamente e consapevolmente, si collochi nella sfera dell'esercizio ordinario dell'impresa, essendo piuttosto estraneo ad essa, atteso che l'esercizio dell'impresa certamente non prevede condotte illecite.”

Si potrebbe osservare che in luogo di un risparmio di imposta si verificherebbe invece una doppia sanzione, una per la sanzione in sé, una per la sua indeducibilità.

Ricordiamo come la Commissione Tributaria Regionale di Milano (n. 136 dell’1 ottobre 2012) si fosse invece espressa per la deducibilità della sanzione.

Ma si può far anche riferimento al concetto più ampio dell’inerenza; secondo Cass. n. 18904/2018 il giudizio sull’inerenza è un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde da valutazioni utilitaristiche o anche quantitative. “Inerente è tutto ciò che, sul piano dei costi e delle spese, appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima una utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore “. (Cass. n. 6548/2912 e 6368/2921) E’ di tutta evidenza come le sanzioni possano rientrare in questo concetto.

Sempre sulla questione sanzioni antitrust è intervenuto anche il Consiglio di Stato, sezione VI, nel parere n. 1671 del 20 mar­zo 2001. Si tratta di pene pecuniarie con­notate da una funzione afflittiva e non risarcitoria e si configurano come costi che non na­scono nell'impresa, “ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale”. D’altra parte, anche la Legge 689/81 attribuisce generalmente carattere repressivo-punitivo alle sanzioni amministrative.

Più ondivago è invece l'orientamento della giurisprudenza delle Commissioni Tributarie; tal­volta hanno ammesso la deducibilità delle sanzioni, sottolineando la loro funzione ripristinatoria dell'equilibrio economico viola­to e, pertanto, inerenti ex art. 109 del Tuir; talaltra, hanno addotto le medesime argomenta­zioni della Cassazione e ha quindi sostenuto l'impossibilità di dedurre dal reddito d'impresa le sanzioni in argomento.

Nella sentenza n. 370 del 04/04/2001 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, riguardante un caso sulle sanzioni antitrust, ne ha ammesso la deducibilità, sviluppando la sua motivazione su tre punti principali che qui riportiamo:

1) se è vero che il Ministero delle Finanze si era espresso per l’indeducibilità delle sanzioni come diretta conseguenza del comportamento illecito del contribuente, affermando che “Le sanzioni pecuniarie irrogate dalla UE o da altri organismi non sono deducibili dal reddito d’impresa in quanto trattasi di oneri non inerenti all’attività d’impresa. L’irrogazione della sanzione è infatti una conseguenza del comportamento illecito tenuto dal contribuente.”, è anche vero per la Commissione che l’aver tenuto una condotta antigiuridica non è rilevante per la soluzione della questione della deducibilità delle sanzioni. Si consideri infatti che anche le sanzioni civili sono conseguenza di un comportamento antigiuridico, ma lo stesso Ministero delle Finanze con risoluzione n. 9/174 del 27 aprile 1991 le reputa deducibili dal reddito d’impresa.

2) inoltre, la Commissione mette in discussione un’altra argomentazione posta a base della teoria della indeducibilità delle sanzioni, e cioè che se le sanzioni fossero deducibili dal reddito, esse sarebbero poste a carico dell’intera collettività in termini di minor gettito fiscale. Ma non si capisce perché la collettività, così come partecipa al risultato positivo dell’attività d’impresa, non debba partecipare anche quando questo risultato si riduce, attività lecita o illecita che sia.

3) infine, la Commissione sostiene la deducibilità di tali sanzioni perché nel caso opposto il contribuente verrebbe penalizzato due volte: una prima volta con la sanzione, e una seconda volta riprendendo l’importo corrispondente alla sanzione in aumento ai fini della determinazione dell’imponibile fiscale. Violando anche il principio di capacità contributi­va, giacché si andrebbe a tassare un reddito imponibile invece affievolito dalle sanzioni subite.

In senso conforme, sempre Commissione Tributaria Provinciale di Milano nelle sentenze n.370 del 4 aprile 2001, n.27 del 24 marzo 2009, n. 427/3/2010 del 28.10.2010 e n. 78/03/11 del 02.03.2011; le sanzioni irrogate dall’Antitrust “… hanno un’incidenza sulla determinazione dell’imponibile, non tanto per la loro esplicita e diretta connessione ad una determinata componente di reddito, ma ad una attività potenzialmente idonea a produrre reddito... ” e pertanto sono fiscalmente deducibili.

Nello stesso senso anche Commissione Tributaria Provinciale di Matera, n.437 del 4 ottobre 2001.

Per la deducibilità delle spese del legale si è pronunciata CTP Torino n.401/4/18

Per quanto riguarda gli altri requisiti richiesti dal Tuir ai fini della deducibilità di un costo, nelle sanzioni Antitrust rileviamo la certezza e l’oggettiva determinabilità, posto che l’atto di irrogazione è caratterizzato dall’autoritarietà e dall’esecutorietà.

Da un punto di vista fiscale, è da valutare se seguire l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria, che è appunto per la non deducibilità, o meno.

Prudenzialmente parrebbe opportuno uniformarsi, in sede di dichiarazione dei redditi, all’indirizzo interpretativo dell’Amministrazione finanziaria, non deducendo dal reddito d’impresa gli oneri sanzionatori, e poi presentare eventualmente, con le modalità e nei termini previsti dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, un’istanza di rimborso delle imposte versate in eccesso per effetto della ripresa fiscale in aumento corrispondente all’ammontare delle sanzioni.

 

La dottrina

La dottrina è caratterizzata da due diversi e opposti orientamenti.

Una corrente minoritaria distingue tra le sanzioni con carattere afflittivo (in nessun caso deducibili) e quelle di tipo risarcitorio (che dovrebbero invece essere deducibili).

La prevalente dottrina analizza se il comportamento sanzionato sia riferibile all’attività d’impresa e se dunque il carattere dell’inerenza ex art.109 Tuir sia presente. Se infatti le sanzioni fossero fiscalmente irrilevanti, l'impresa verrebbe colpita due volte: una prima volta, direttamente, median­te la comminazione dalla sanzione ammini­strativa prevista per l'illecito compiuto; una seconda volta, in modo indiretto, per via della asserita indeducibilità della sanzione stessa, violando il principio della legalità della pena ex art. 25 della Costituzione, poiché aggraverebbe irrazionalmente la portata punitiva della pena, oltreché il già citato art. 53 della Costituzione, riguardante la capacità contributiva del contribuente. Come detto, l’impresa sarebbe sanzionata

Secondo la oramai risalente Norma di comportamento n. 138 del 9 aprile 1999 dell'Associazione Dottori Commercialisti di Milano, le sanzioni antitrust sono deducibili ai fini della determinazione del reddito d'impresa in quanto le infrazioni per cui sono irrogate si manife­stano nell'ambito dell'attività imprenditoriale e sono finalizzate al conseguimento di maggiori ricavi rispetto a quelli realizzabili in assenza della condotta illecita sanzionata.

Nello stesso senso si era sostanzialmente pronunciata anche Assonime nel­la circ. 24 maggio 2000, n. 39, in cui affermava come sia difficile negare che le sanzioni in parola presentino comunque un collegamento con la gestione aziendale, ma occorre valutare caso per caso se sussiste una correlazione con la produzione dell'utile. La sanzione costituisce la punizione irrogata dell’ordinamento, e negarne la deducibilità significherebbe ampliarne la portata negativa, violando fra l’altro il principio della capacità contributiva, come già evidenziato.

Da ultimo, vedasi anche l’articolo, con molti richiami, di Claudio Polverino, ne IL COMMERCIALISTA VENETO, N. 260/2021.

 

Le varie fattispecie sanzionate

Analizziamo le varie fattispecie che possono verificarsi.

6a) Contravvenzioni al codice della strada

L’orientamento assolutamente prevalente della dottrina relativamente alle sanzioni inflitte a fronte di infrazioni alle norme del codice della strada ne disconosce la rilevanza come componenti negativi deducibili dal reddito d'impresa, adducendo la loro innegabile funzione punitiva.

Tesi allineata con la giurisprudenza della Cassazione, in particolare, con la sent. 29 maggio 2000, n. 7071 (senso conforme, Cass., 13 maggio 2003, n. 7317), in cui la Corte ha escluso la correlazione di tali sanzioni con la produzione del reddito, ribadendo la loro funzione repressiva di condotte illecite.

In dottrina non mancano peraltro opinioni contrarie. LaFondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con il parere n. 1 del 19 gennaio 2010, ha sostenuto la deducibilità della contravvenzione irrogata ad un autotrasportatore, imprenditore individuale, a seguito di un grave incidente stradale. In quell’occasione, la citata dottrina ha osservato che all’imprenditore era pacificamente riconosciuta la dedu­zione degli oneri di dissequestro dell'automezzo e del maggior premio assicurativo dovuto alla penale applicata dalla compagnia assicurativa; pertanto, “non si comprende perché non debba essere de­ducibile anche la contravvenzione che è una del­le componenti relative all'intera vicenda nella quale è evidente che l'uso del mezzo di trasporto è avvenuto nell'ambito dell'attività d'impresa or­dinariamente esercitata dall'imprenditore”.

6b) Penalità contrattuali

Per le penalità contrattuali, invece, la Corte di Cassazione riconosce l’esistenza del principio dell’inerenza. Con la sent. n. 19702 del 27 settembre 2011 ha ammesso la deducibilità ai fini della determinazione del reddito d'impresa delle somme versate a titolo di penalità per il ritardo nell'adem­pimento o in caso di inadempimento con­trattuale, posta la loro inerenza alla dinamica della stessa attività d'impresa.

Nello stesso senso, successivamente, Cass. n. 16561 del 5 luglio 2017 e n. 18903 del 17 luglio 2018.

La stessa Amministrazione finanziaria (R.M. 27 aprile 1991 n. 9/174) ne aveva riconosciuto la deducibilità: “Al riguardo la Scrivente, ancorché nel Testo Unico delle imposte sui redditi non si rinviene una norma che considera sopravvenienze passive le indennità da corrispondere a titolo di risarcimento di danni, così come l’art. 55, comma 3, lett. a), considera sopravvenienze attive le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni diversi da quelli considerati alla lett. d) del comma 1 dell’art. 53 e alla lett. b) del comma 1 dell’art. 54, cionondimeno ritiene ugualmente deducibili, ricorrendone i presupposti, le somme relative agli indennizzi medesimi.

E invero, esaminato il caso specifico e gli elementi emergenti alla causa, dai quali risulta che il debito è direttamente connesso all’attività svolta dall’ente nell’esercizio del credito industriale e configura un onere certo ed oggettivamente determinabile, in quanto discende da una sentenza avente efficacia esecutiva, si ritiene che detto onere è deducibile per competenza e cioè, ai sensi dell’art. 75, comma 1, del Testo Unico delle imposte sui redditi, nell’esercizio in cui la sentenza medesima è venuta a giuridica esistenza, indipendentemente dalla circostanza che esso sia stato pagato o meno”.

Successivamente Circolare del 27 giugno 2011 n. 29/E ha riconosciuto l’inerenza a penali relative a obblighi contrattuali precisando che la deducibilità dell’importo derivante da una clausola penale spetta in quanto rispetta il requisito della competenza per il concorso di due requisiti:

- la certezza, quanto all’esistenza degli elementi reddituali, che sussiste solo quando si è verificato il relativo presupposto di fatto o di diritto;

- la loro obiettiva determinabilità, con riguardo all’ammontare dei medesimi, nel senso che l’elemento reddituale deve risultare da atti o documenti probatori che contengano le caratteristiche idonee e necessarie alla sua quantificazione.

Resta fermo che, ancorché sussistano i requisiti appena descritti, la deducibilità del costo è altresì subordinata alla corretta contabilizzazione del costo e, ovviamente, del relativo debito, nel rispetto del generale principio di derivazione del reddito fiscale dai dati del bilancio di cui all’articolo 83 del TUIR”.

E conclude affermando che si può ritenere ”verificata la sussistenza delle condizioni appena descritte, per cui il costo relativo alla penale contrattuale potrà essere dedotto dal reddito”.

La clausola che prevede tale penalità (prevista all' art. 1382, comma 1, del codice civile) rappresenta un patto accessorio del contratto che svolge sia la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale fra le parti, ovvero di coercizione all'adempimen­to, sia quella di determinare, in via preventiva e consensuale, la misura del risarcimento in ca­so di inosservanza degli obblighi contrattuali. Pertanto, non è connotata da una finalità sanzionatoria o punitiva e, quindi, le somme dovute in sua dipendenza non possono in alcun modo esse­re equiparate alle sanzioni comminate dall'Auto­rità amministrativa per punire comportamenti il­leciti dell'imprenditore.

6c) Risarcimento di un danno

Sono sorte controversie relative alla deducibilità fiscale o meno di somme erogate a titolo di risarcimento danni, in taluni casi non considerate inerenti l’attività. La Cassazione è intervenuta più volte, ammettendone la deducibilità. In questo senso, Cass. n. 5976 del 25 marzo 2015 e n. 28355 del 5 novembre 2019;”In presenza di transazioni stipulate dalla banca con i clienti per prevenire l’instaurazione di un contenzioso fondato sulla dedotta violazione da parte dei funzionari degli obblighi informativi per la conclusione di contratti di investimento aventi ad oggetto obbligazioni (Cirio e bond argentini), le spese erogate dalla banca per coprire tali costi costituiscono risarcimento del danno, e sono pienamente deducibili dal soggetto che ha effettuato i pagamenti delle relative transazioni, trattandosi di spese attinenti al concreto svolgimento dell’attività di impresa, a titolo di responsabilità precontrattuale o contrattuale e, dunque, inerenti ai sensi dell’art. 109 d.p.r. 917/1986, deducibili come sopravvenienza passiva nell’esercizio in cui interviene la relativa spesa”. (parrebbe far capolino il criterio della cassa, quando invece il riferimento dovrebbe sempre esser fatto alla competenza).

Ma in senso contrario, almeno per certi versi, abbiamo la recente sentenza della Cassazione n, 17011 del 13 agosto 2020 che in pratica ha considerato imponibile una somma incassata quale indennizzo, ancorché correlata ad un costo indeducibile. Nel caso specifico si trattava di imposte pagate da una società che aveva acquistato una partecipazione societaria, oggetto successivamente di fusione per incorporazione. Nel relativo contratto di cessione era stato previsto un obbligo di indennizzo a fronte di eventuali sopravvenienze passive, e così è stato fatto. La società acquirente si è trovata a dover pagare imposte, ovviamente non deducibili, mentre il correlato indennizzo è stato ritenuto tassabile, dalla Cassazione. Secondo la Corte, non può affermarsi l’irrilevanza fiscale dell’indennizzo facendo leva sull’indeducibilità del costo che lo ha reso dovuto. La società riteneva invece che si trattava di una posta con valenza esclusivamente patrimoniale, ripristinando il valore della partecipazione acquistata. Invero si trattava, a nostro avviso, di una partita di giro, che avrebbe dovuto risultare neutra, sotto tutti i punti di vista. Tanto si pagava, tanto sarebbe stato incassato. In presenza di imposte sull’indennizzo (che a nostro avviso non erano invece dovute), controparte dovrebbe rifonderle, salvo previsioni contrattuali diverse.

Sempre in senso contrario alla deducibilità del risarcimento del danno, in seguito ad una transazione, abbiamo Cass. n. 15932/2021; si trattava di una penale inserita in un preliminare di compravendita. Non essendo stato rispettato il termine per la consegna, tale inadempimento era stato definito con una transazione, che appunto prevedeva il pagamento della penale. Fiscalmente non ammessa. Secondo la Cassazione il nesso della inerenza si spezza, in questi casi.

Peraltro con sentenza n. 26650/2020 era stata invece riconosciuta la deducibilità derivante da accordi transattivi commerciali.

La deducibilità è stata ammessa anche per le somme pagate dal professionista per danni causati nell’ambito dell’attività professionale esercitata, sempre che non si tratti di costi riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato. In tale senso si è pronunciata la DRE della Toscana il 27 agosto 2014 in risposta ad un interpello. Secondo Cass. n. 3198/2015, pur mancando nella determinazione del reddito di lavoro autonomo una disposizione circa l’inerenza analoga a quanto previsto per il reddito di impresa (art. 109 c.5 TUIR), ex art 54 c.1 del TUIR l’inerenza va ravvisata nella stretta correlazione tra la spesa sostenuta e l’attività esercitata.

6d) Altre fattispecie

Riportiamo anche altre fattispecie, per certi versi simili, per le quali è intervenuta la Cassazione. In particolare:

Spese legali: Cass. n. 20945 del 6 agosto 2019 ha ritenuto indeducibili le spese legali per la difesa degli amministratori in campo penale, negando anche la detraibilità della relativa IVA.

Sanzioni ritardato versamento contributi INPS: Cass. n. 30238 del 22 novembre 2018 si è pronunciata per la indeducibilità delle sanzioni per ritardato versamento dei contributi INPS;

Interessi moratori: Cass. n. 11766 del 20 maggio 2009 ha negato la deducibilità degli interessi moratori su pagamento di sanzioni;

Oneri per condono edilizio e oneri di urbanizzazione: Cass. n. 12789 del 26 giugno 2020, come la n. 18860 del 7 settembre 2007 si sono pronunciate per la indeducibilità delle sanzioni per condono edilizio (ammessi peraltro gli oneri di urbanizzazione) e precedentemente 18 aprile 2005 n. 10952 e n. 7317 del 13 maggio 2003;

Sperse per evitare indagini: Cass. n. 5796 del 19 aprile 2001 ha negato la deducibilità per “l’esborso effettuato per evitare indagini fiscali e la connessa interferenza sulla vita dell’impresa, a prescindere dalla sua ricollegabilità a concussione o corruzione, non concorre, direttamente o indirettamente, alla formazione del reddito, perché non è fattore produttivo, ma tende soltanto a preservare il risultato dei fattori produttivi, e comunque non è atto della gestione d’impresa, ponendosi su un piano autonomo ed esterno”;

Oneri da condono tributario: deducibili, secondo Cass. n. 11653 del 19 novembre 1998 e n.5796 del 19 aprile 2001, nell’esercizio in cui si rendono dovuti, anche se relativi ad annualità precedenti

Pagamento di un riscatto: Cass. n. 8818 dell’11 agosto 1995 ha ritenuto indeducibile quanto pagato per un riscatto pagato per la liberazione di un dipendente, indeducibile.

 

Conclusioni

La giurisprudenza nega costantemente e aprioristicamente la possibilità di scomputare dal reddito d'impresa le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, poiché ritenute non inerenti. Ma l'inerenza (fiscale) non può essere esclusa a priori, sulla base di argomentazioni etico-moralistiche, doven­dosi sempre svolgere, a nostro avviso, una indagine sulla correlazione tra l'esercizio dell'impresa e il fatto che ha generato l'onere sanzionatorio, e non giudicare la meritevolezza dei com­ponenti positivi e negativi che concorrono a formare il reddito d’impresa. Del resto, la neutralità sotto il profilo etico della normativa tributaria è fra l'altro confermata dalla circo­stanza che risultano tassabili anche i proventi derivanti da fatti o atti illeciti, e negare la deducibilità dei costi inerenti ai predetti fatti o attività illecite, quali appunto le sanzioni, non negare la deducibilità delle sanzioni amministrative irrogate condurrebbe ad una violazione del principio di capa­cità contributiva, poiché verrebbe tassato un reddito parzialmente inesistente, e sarebbe applicata una sanzione impropria accanto alla sanzione propria, disconoscendo la rilevanza fiscale della prima.

Appare quindi necessario verificare, caso per caso, se il compor­tamento illecito sanzionato ab­bia concorso oppure no alla realizzazione di ri­cavi o altri proventi imponibili, e quindi se la sanzione che ne deriva sia o meno inerente. Va poi appurato se siano altresì soddisfatti gli altri presupposti fissati dal Tuir in ordine alla competenza, alla certezza, alla oggettiva de­terminabilità e all’imputazione a Conto Economico.

Tra le sanzioni e l’esercizio dell’attività imprenditoriale c’è indubbiamente una stretta connessione. Altrettanto ovvio è che le stesse vengono irrogate per il mancato rispetto delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività dell’impresa.

“L’impronta caratteristica propria della sanzione deve cogliersi nella funzione primariamente e fondamentalmente afflittiva che la stessa istituzionalmente esplica nei confronti del trasgressore. L’elemento qualificante della sanzione deve dunque essere individuato principalmente nell’aspetto finalistico del fenomeno. E tale “caratteristica” risulterà di notevole importanza ai fini della nostra indagine.

A differenza delle altre misure repressive la sanzione è essenzialmente rivolta a colpire il responsabile dell’illecito attraverso l’applicazione di una pena che appare indipendente rispetto alla soddisfazione diretta dell’interesse del soggetto pubblico o privato specificatamente pregiudicato. Affinché una sanzione abbia natura afflittiva è dunque essenziale che esse colpisca il soggetto che ha commesso l’infrazione. Viene in tal modo soddisfatto il principio della determinatezza in materia di violazioni penali ed amministrative”. [2]

È auspicabile che la questione della deducibilità delle sanzioni venga riesaminata, dalla giurisprudenza, tenuto conto che in molti casi, per non dire quasi sempre, la sanzione colpisce atti o fatti sicuramente inerenti la stessa attività di impresa, e ad essa strettamente collegati.

 

Orientamento della Cassazione sul trattamento di alcune fattispecie sanzionatorie

- Sanzioni antitrust

 

Si tratta di sanzioni aventi natura e finalità punitiva e afflittiva e, in quanto tali, la loro deducibilità dal reddito d’impresa è da escludersi per difetto di inerenza.

 

- Sanzioni per infrazioni stradali

 

Non possono essere dedotte in quanto la correlazione di un onere con la produzione del reddito d’impresa deve essere sempre esclusa quando, come nel caso di specie, si tratta di una sanzione irrogata per punire un comportamento illecito.

 

- Penalità contrattuali

 

Sono costi inerenti all’attività d’impresa. Nello specifico, si tratta di sopravvenienze passive deducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa del periodo d’imposta in cui è commessa la violazione, a norma dell’art. 101, comma 4 del TUIR.

 



[1] Si veda l’art.14, comma 4-bis, della Legge n. 537/1993, che dispone: “Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi. (…)”

[2] Massimo Procopio, “Le sanzioni antitrust al vaglio della Corte di Cassazione” in Dottrina e Pratica Tributaria, n. 3/2010 n. 2-559.

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