Accordo per il reintegro della legittima nelle successioni: problematiche fiscali
di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 2 novembre 2020
Le norme successorie italiane, al contrario di quelle di qualche altro stato estero, dettano regole molto precise per quanto riguarda la successione e i diritti dei legittimari. In particolare, l’erede legittimo che dovesse ritenere di essere leso nei suoi diritti potrà proporre l’azione di riduzione, al fine di ottenere quanto negatogli dal de cuius. E gli eredi ben possono trovare un accordo, anche stragiudiziale.
In ogni caso, come si vedrà, l’atto da redigere (verbale di conciliazione o atto pubblico o scrittura privata autenticata) sarà soggetto all’imposta sulle successioni, con imposta di registro a tassa fissa.
Qui analizziamo le problematiche fiscali che riguardano la tipologia delle imposte applicabili, successorie, di registro ed anche dirette.
La sentenza della Cassazione n. 1141 del 17 gennaio 2019
La Cassazione è intervenuta più volte su questi aspetti; la più recente ordinanza (n.1141/2019) riguardava questo caso specifico: un padre di due figli aveva nominato erede nel suo testamento olografo un figlio, mente all’altro aveva lasciato un legato di un immobile. Su impugnazione da parte della madre, si è alla fine arrivati ad un accordo. Il legatario rinunciava al legato (un immobile) in cambio di una determinata somma di denaro.
Secondo l’Ufficio del Registro, l’atto avrebbe dovuto essere tassato con l’aliquota del 3% (art. 29 DPR 131/1986). La parte invece sosteneva che l’accordo conciliativo avrebbe dovuto essere soggetto all’imposta sulle successioni (ex art. 43 D.Lgs 346/1990). Dopo il parere contrario della Commissione Provinciale Tributaria di Lecco e della Regionale della Lombardia, alla fine la Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente; applicazione quindi dell’imposta di successione.
La Commissione Regionale aveva ritenuto che “gli accordi transattivi tesi a reintegrare i diritti di legittima” sono cosa diversa dalla conciliazione giudiziale e nel caso specifico, trattandosi “sostanzialmente di transazione tra le due parti”, va “tassata in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano, in quanto transazione che non importa trasferimento di proprietà” avendo il notaio “semplicemente effettuato la trascrizione dell’accettazione dell’eredità”.
Secondo la Cassazione, gli accordi tra soggetti coinvolti in questioni successorie, ed aventi per oggetto il reintegro della quota di legittima, hanno natura ricognitiva, e non transattiva. Questo in quanto i soggetti interessati riconoscono l’inefficacia delle disposizioni testamentarie ritenute lesive, mentre sono assenti reciproche concessioni, caratteristica invece specifica delle transazioni.
I patti di reintegro sono esplicitamente previsti nell’art. 43 del D,Lgs 346/1990, che appunto ne dispone l’assoggettamento ad imposta sulle successioni, e non all’imposta di registro. Qualora invece il legittimario stipulasse un vero e proprio atto di transazione, questo sì sconterebbe l’imposta di registro applicabile per le disposizioni ivi contenute, non avendo le attribuzioni così operate natura successoria. In definitiva, per poter definire l’imposizione applicabile si deve individuare la corretta natura dell’accordo di cui al verbale di conciliazione. E’ evidente che il discrimine non sempre sarà facilmente identificabile.
L’articolo 43 del TUS, come peraltro anche nelle previgenti disposizioni (art 28 DPR 637/1972 e art. 6 RD 3270/1923, modificato dal RDL 1479/1935) ha specificatamente previsto che nelle successioni testamentarie l’imposta di successione si applica in ogni caso in base alle disposizioni del testamento, ancorché impugnate giudizialmente, come pure agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti lesi dei legittimari.
Il legittimario, in alternativa alla via giudiziale, ben può addivenire ad un accordo negoziale a tutela dei suoi diritti, e questo ancorché il legislatore non lo abbia esplicitamente previsto. A questa tipologia di accordi, come già anticipato, viene generalmente attribuita natura ricognitiva, non transattiva, in quanto si tratta di riconoscere l’inefficacia delle disposizioni testamentarie che hanno leso il diritto del legittimario. Perché si possa invece trattare di transazione appare necessario che si sia in presenza di reciproche concessioni, desumibili dallo stesso atto che previene o definisce la lite. Nel caso sopra indicato, con il verbale di conciliazione i fratelli hanno raggiunto un accordo consistente nel reintegro della legittima mediante una determinata somma di denaro, e a tale atto non può che applicarsi l’imposta sulle successioni.
Del tutto ininfluente appare la sede in cui venga concluso l’accordo. Che in effetti potrebbe assumere la forma del verbale di conciliazione oppure anche quella di atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Ricordiamo precedenti interventi, sempre della Cassazione, nello stesso senso:
Cass. n. 2869 del 10 marzo 1992: nel caso di determinazione pattizia della legittima e del conseguente reintegro appare irrilevante che, in luogo di procedere ad una nuova determinazione dell’asse ereditario e delle relative quote, si sia reintegrata la legittima con l’attribuzione di un ulteriore bene;
Cass. n. 6235 del 24 novembre 1981 secondo la quale gli accordi satisfattivi dei legittimari sono di natura ereditaria.
Precedentemente, Cass. 2664/1979 e 6052/1982.
Un commento a tale sentenza
Questa sentenza è stata oggetto di un interessante commento. [1]
Se la ratio della norma che “giustifica la sottrazione degli accordi di reintegrazione di legittima all’ambito di applicazione dell’imposta di registro è da rinvenirsi in coerenza con l’effetto che gli è proprio, (ossia) l’acquisto ex lege (a causa di morte) della quota di legittima del patrimonio del defunto; non si vede come possa tale effetto verificarsi nel caso di specie: la somma di denaro non viene acquisita da Caio ex lege, né a causa di morte. Tant’è che egli, a rigore, non diviene erede.
In quelli che la dottrina prevalente qualifica come veri e propri accordi di reintegrazione di legittima, i soggetti interessati si limitano a riconoscere l’inefficacia delle disposizioni testamentarie o liberali eventualmente lesive dei diritti dei legittimari. Detti accordi, come riconosciuto dalla stessa sentenza qui in commento, si distinguono da quelli aventi nature traslative, dovendosi qualificare come di mero accertamento.”
La CTR di Napoli n. 108 del 7 gennaio 2015
Nello stesso identico senso si era precedentemente pronunciata anche la CTR di Napoli del 2015 che testualmente così specifica: “giova ricordare che la natura della transazione non muta per il fatto che l’erede legittimario leso o pretermesso riceva il valore della sua quota in denaro o in beni immobili eventualmente anche diversi da quelli caduti nell’asse ereditario. Pertanto, nella fattispecie, la transazione, rientrando nel panorama successorio, era assoggettabile alla relativa imposizione mortis causa e non già a quella dei trasferimenti di proprietà inter vivos”.
Le imposte dirette
Riportiamo anche una sorprendente risposta ad interpello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la n. 129 del 27 dicembre 2018. Qualora, nel contesto di una transazione stipulata per comporre una lite successoria, ad uno dei soggetti coinvolti venga assegnato un immobile, ciò costituirà un reddito diverso. La differenza tra costo riconosciuto al bene e valore effettivo sarà tassata ex art. 67,c.1 lett. l), assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere. Nella fattispecie la transazione era consistita in una rinuncia da parte del legittimario pretermesso a far valere i propri diritti nella eredità, a fronte del riconoscimento della proprietà di un immobile. A dire il vero l’interpello aveva per oggetto una questione diversa, e cioè come considerare la successiva vendita dell’immobile di cui alla transazione, dopo un anno. La preoccupazione delle parti riguardava appunto la successiva cessione; l’amministrazione finanziaria, invece, si è occupata anche dell’inquadramento dell’atto prodromico, definito dalle parti più volte transazione, e come tale ritenuto atto tassabile di per sé. “Poiché gli immobili sono stati trasferiti a fronte del preciso impegno assunto dagli istanti a rinunciare all’azione di riduzione dell’eredità e ad ogni azione connessa alla successione… e con l’espressa delle disposizioni testamentarie lesive, il valore transattivo degli immobili pari ad euro… deve essere assoggettato ad IRPEF ai sensi dell’art. 67, comma1, lettera l), del TUIR”.
Ma al di là delle espressioni usate dalle parti, non ci convince per nulla una interpretazione di questo tipo; siamo in un campo di definizione di questioni successorie, e l’imposta da applicare appunto è quella successoria, come visto sopra. Si è definita transazione un accordo, ma ne mancano le caratteristiche, mancano appunto le reciproche concessioni. Secondo la Cassazione l’imposta applicabile è unicamente quella successoria.
La rinuncia alla azione di riduzione
Nella operatività pratica si possono riscontrare anche atti di rinuncia alla azione di riduzione, dietro pagamento di una certa somma. Il risultato raggiunto alla fin fine è molto simile alla situazione vista sopra, ma nella sostanza ne differisce per un aspetto essenziale, non c’è reintegro. Si tratta infatti di una rinuncia ad un diritto. In questi casi abitualmente gli atti sono tassati con l’imposta di registro del 3%.
Conclusione
La transazione con cui gli eredi e il legittimario leso o pretermesso definiscono i loro rapporti successori, con l’attribuzione al legittimario di beni caduti in successione, oppure parrebbe anche estranei alla successione, è soggetta alle imposte sulla successione, e non all’imposta di registro. E questo indipendentemente dal fatto che si tratti di transazione,
Quanto alla isolata interpretazione di cui alla risposta ad interpello n. 129 del 2018 da parte dell’Agenzia delle Entrate si ritiene non possa essere condivisa, essendo a nostro avviso se non altro contraria alla logica.