>> Anno 2019

Sanzioni: deducibilità o meno dal reddito d'impresa

di Giuseppe Rebecca
La Settimana Fiscale / Il Sole 24 ore, numero 48 - 20 dicembre 2019

Introduzione

In assenza di uno specifico riferimento normativo in merito al trattamento da riservare alle sanzioni amministrative, in sede di determi­nazione del reddito d'impresa, si è sviluppato un dibattito che vede contrapposte argomentazioni in favore della tesi per la deducibilità e la tesi contraria, per lo più limitata a dichiarazioni di principio. Si ha così l’impressione che la questione sia trattata più su un piano etico piuttosto che su un piano prettamente giuridico/economico, come invece dovrebbe essere.

Da un lato abbiamo l’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza, entrambe orientate verso la negazione della deducibilità delle sanzioni ai fini fiscali, dall’altro la dottrina, che è spesso pervenuta a conclusioni favorevoli circa la rilevanza fiscale delle stesse.

È necessario innanzitutto far riferimento al concetto d’inerenza: le sanzioni, come tutti gli oneri, possono essere deducibili se sopportati per acquisire fattori produttivi (beni o servizi) funzionali alla produzione di reddito e allo svolgimento della stessa attività d’impresa. In sintesi, appare necessario verificare se dal comportamento poi sanzionato siano derivati o comunque avessero potuto derivare dei redditi.

La questione concerne le sole sanzioni, e non anche gli interessi passivi dovuti alle eventuali dilazioni concesse sul pagamento delle sanzioni medesime, dato che tali interessi passivi rappresentano senza dubbio il costo strumentale alla realizzazione della scelta imprenditoriale sulla modalità di utilizzazione delle risorse finanziarie dell’impresa.

Ovviamente diverso è il caso delle sanzioni penali, per le quali esiste invece un’apposita normativa di riferimento, che appunto in alcuni casi ne prevede la deducibilità, in altri no [1].

Interveniamo ancora una volta su questo particolare aspetto con lo scopo di sollecitare un approfondimento, sul tema, visto che la soluzione data, indeducibilità tout court delle sanzioni, non pare avere una giustificazione giuridica, ma forse solo etica. In effetti, seguendo l’interpretazione comune, la sanzione diventa doppia, altro che sistema premiale, come invece sostenuto da alcuni.

La tesi dell'Amministrazione Finanziaria

Gli uffici finanziari con­siderano le sanzioni sempre e comunque estra­nee all'attività aziendale, in quanto conse­guenza di comportamenti illeciti dell'impren­ditore, e perciò interamente indeducibili, a prescindere dal­la natura e anche dalla causa generatrice degli stessi. A titolo esemplificativo, sanzioni a seguito di illeciti valutari o di tipo finanziario, trasgressioni di norme tributarie, inosservanza delle norme in materia di tutela della concor­renza, violazioni del codice della strada,

Ove fosse riconosciuta la deducibilità di tali sanzioni nella determinazione del reddito d’impresa, l’ufficio ritiene che la loro natura punitiva verrebbe svilita, trasformandola addirittura in un risparmio d’imposta.

Questo tema è stato affrontato, per la prima volta, dall'Amministrazione Finanziaria (si vedano la circ. 17 maggio 2000, n. 98/E [2] e la ris. 12 giugno 2001, n. 89/E [3]) con riferimento al caso specifico delle sanzioni antitrust, ossia le sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza di cui alla L. 10 ottobre 1990, n. 287. Si tratta di sanzioni pecuniarie che l'Autorità garante del mercato e della con­correnza infligge qualora, a seguito di apposi­ta istruttoria, rilevi condotte (come, ad esempio, intese restrittive della libertà di con­correnza o abusi di posizione dominante) che compromettono e limitano l'altrui diritto di ini­ziativa economica tutelato dall'art. 41 della Co­stituzione, restringendo o falsando il gioco della concorrenza sul mercato.

In quella sede, l'Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, essendo tali oneri dei pagamenti dovuti in virtù di comportamenti illeciti del contribuente, la rilevanza tributaria degli stessi deve essere esclusa, poiché non sarebbe mai riscontrabile una correlazione fra costo e produzione del reddito.

Pur trattandosi di una questione molto specifica (quella delle sanzioni irrogate dall'Antitrust), l’Amministrazione Finanziaria ha affermato un principio più generale, secondo cui gli oneri sanzionatori di natura punitiva non presentano il requisito dell’inerenza essenziale ai fini della deducibilità fiscale .

Successivamente, anche se con riferimento al reddito di la­voro autonomo (ma la conclusione è evidente­mente estendibile, per analogia, al reddito d'im­presa), nella circ. 20 giugno 2002, n. 55/E l'Agenzia delle Entrate ha sostenuto l'indeducibilità delle sanzioni, in quanto si tratterebbe di oneri non funzionali alla produzione del red­dito. Il quesito posto era: “E’ deducibile dal reddito di lavoro autonomo la sanzione amministrativa comminata dal Ministero del Tesoro a un sindaco di azienda di credito, dottore commercialista in regime di contabilità ordinaria?”

Questa la motivazione dell’Agenzia delle Entrate nel negare la deducibilità: “un costo può essere considerato deducibile dal reddito solo ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito stesso. Come chiarito con Risoluzione n. 89 del 12 giugno 2001, tale rapporto di correlazione tra costo e reddito non è riscontrabile, in linea di principio, con riferimento a quei costi che siano rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente. Di conseguenza, i costi in argomento devono essere considerati indeducibili”.

Successivamente abbiamo la circ. 26 settembre 2005, n. 42/E [4] , con la quale ha fornito chiarimenti sull’applicazione del comma 8 dell'art. 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), comma che prevede l'indeducibilità di costi e spese riconducibili a fatti, atti o attività illecite sotto il profilo penale. Ha altresì ribadito l’indeducibilità delle sanzioni amministrative, giacché mancano di qualunque nesso funzionale con l'attività aziendale, essendo inflitte per punire e reprimere condotte illecite.

L’orientamento della giurisprudenza

La giurisprudenza della Cassazione è costantemente e prevalentemente orientata nel condividere la tesi ministeriale, e quindi nel senso di negare la sussistenza di qualsiasi nesso di inerenza fra le sanzioni pecuniarie e la produzione del reddito d'impresa.

In particolare, nella sentenza della Cassazione 3 marzo 2010, n. 5050 [5] (emessa, con specifico riferimento al caso delle citate sanzioni antitrust), viene ribadita la funzione punitivo-repressiva della sanzione e respinta la loro deducibilità onde evitarne lo svilimento. La Cassazione ha poi confermato tale orientamento prima nella sent. 11 apri­le 2011, n. 8135 [6] e più tardi nella n. 18368 depositata il 26 ottobre 2012 [7] . Come evidenziato anche dal Consiglio di Stato, sezione VI, nel parere n. 1671 del 20 mar­zo 2001, si tratterebbe di pene pecuniarie con­notate da una funzione afflittiva e non risarcitoria e si configurano come costi che non na­scono nell'impresa, "ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale". D’altra parte, anche la Legge 689/81 attribuisce generalmente carattere repressivo-punitivo alle sanzioni amministrative.

Più ondivago invece appare l'orientamento della giurisprudenza di merito, la quale tal­volta ha ammesso la loro deducibilità, sottolineando la loro funzione ripristinatoria dell'equilibrio economico viola­to e, pertanto, inerenti ex art. 109 del Tuir; talaltra, ha addotto le medesime argomenta­zioni della Cassazione e ha quindi sostenuto l'impossibilità di dedurre dal reddito d'impresa le sanzioni in argomento.

Nella sentenza n. 370 del 04/04/2001 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, riguardante un caso sulle sanzioni antitrust, ha ammesso la deducibilità, sviluppando la sua motivazione su tre punti principali:

1) se è vero che il Ministero delle Finanze si era espresso per l’indeducibilità delle sanzioni come diretta conseguenza del comportamento illecito del contribuente, affermando che “Le sanzioni pecuniarie irrogate dalla UE o da altri organismi non sono deducibili dal reddito d’impresa in quanto trattasi di oneri non inerenti all’attività d’impresa. L’irrogazione della sanzione è infatti una conseguenza del comportamento illecito tenuto dal contribuente.”, è anche vero per la Commissione che l’aver tenuto una condotta antigiuridica non è rilevante per la soluzione della questione della deducibilità delle sanzioni. Si consideri infatti che anche le sanzioni civili sono conseguenza di un comportamento antigiuridico, ma lo stesso Ministero delle Finanze con risoluzione n. 9/174 del 27 aprile 1991 le reputa deducibili dal reddito d’impresa.

2) inoltre, la Commissione mette in discussione un’altra argomentazione posta a base della teoria della indeducibilità delle sanzioni, e cioè che se le sanzioni fossero deducibili dal reddito, esse sarebbero poste a carico dell’intera collettività in termini di minor gettito fiscale. Ma non si capisce perché la collettività, così come partecipa al risultato positivo dell’attività d’impresa, non debba partecipare anche quando questo risultato si riduce, attività lecita o illecita che sia.

3) infine, la Commissione sostiene la deducibilità di tali sanzioni perché nel caso opposto il contribuente verrebbe penalizzato due volte: una prima volta con la sanzione, e una seconda volta riprendendo l’importo corrispondente alla sanzione in aumento ai fini della determinazione dell’imponibile fiscale. Violando anche il principio di capacità contributi­va, giacché si andrebbe a tassare un reddito imponibile invece affievolito dalle sanzioni subite.

In senso conforme, Commissione Tributaria Provinciale di Milano nelle sentenze n. 427/3/2010 del 28.10.2010 e n. 78/03/11 del 02.03.2011 , ritenendo che le sanzioni irrogate dall’Antitrust “… hanno un’incidenza sulla determinazione dell’imponibile, non tanto per la loro esplicita e diretta connessione ad una determinata componente di reddito, ma ad una attività potenzialmente idonea a produrre reddito... ” e pertanto sono fiscalmente deducibili.

Gli orientamenti della dottrina

Due opposte posizioni caratterizzano invece la dottrina.

La corrente minoritaria distingue tra le sanzioni con carattere afflittivo (in nessun caso deducibili) e quelle di tipo risarcitorio (che dovrebbero essere deducibili).

La prevalente dottrina ritiene invece opportuno analizzare se il comportamento sanzionato sia riferibile all’attività d’impresa e se dunque il carattere dell’inerenza ex art.109 Tuir sia presente. Se infatti le sanzioni fossero fiscalmente irrilevanti, l'impresa verrebbe colpita due volte: una prima volta, direttamente, median­te la comminazione dalla sanzione ammini­strativa prevista per l'illecito compiuto; una seconda volta, in modo indiretto, per via della asserita indeducibilità della sanzione stessa, violando il principio della legalità della pena ex art. 25 della Costituzione, poiché aggraverebbe irrazionalmente la portata punitiva della pena, oltreché il già citato art. 53 della Costituzione, riguardante la capacità contributiva del contribuente.

Tale corrente esclude, comunque, la possibilità di dedurre le sanzioni per violazio­ni tributarie, rappresentando queste ultime la conseguenza di illeciti compiuti dall'imprendi­tore in veste di contribuente e non nello svolgi­mento dell'attività aziendale.

Secondo la Norma di comportamento n. 138 del 9 aprile 1999 dell'Associazione Dottori Commercialisti di Milano , le sanzioni antitrust sono deducibili ai fini della determinazione del reddito d'impresa in quanto le infrazioni per cui sono irrogate si manife­stano nell'ambito dell'attività imprenditoriale e sono finalizzate al conseguimento di maggiori ricavi rispetto a quelli realizzabili in assenza della condotta illecita sanzionata.

A sostegno di siffatte argomentazioni si è so­stanzialmente pronunciata anche Assonime nel­la circ. 24 maggio 2000, n. 39, in cui viene affer­mato come sia difficile negare che le sanzioni in parola presentino comunque un collegamento con la gestione aziendale, ma occorre valutare caso per caso se sussiste una correlazione con la produzione dell'utile. Assonime prosegue affermando anche che la sanzione costituisce la punizione irrogata dell’ordinamento e negarne la deducibilità significherebbe ampliarne la portata negativa sull’impresa, violando fra l’altro il principio della capacità contributiva.

Contravvenzioni al codice della strada

Relativamente alle sanzioni inflitte a fronte di infrazioni alle norme del codice della strada, in dottrina l’orientamento assolutamente prevalente disconosce la loro rilevanza come componenti negativi deducibili dal reddito d'impresa, adducendo la loro innegabile funzione punitiva.

Tale po­sizione dottrinale è d'altronde allineata con la giu­risprudenza della Cassazione, in particolare, con la sent. 29 maggio 2000, n. 7071 (e successivamente, in senso conforme, Cass., 13 maggio 2003, n. 7317), in cui la Corte ha escluso la correlazione di tali sanzioni con la produzione del reddito, ribadendo la loro funzione repressiva di condotte illecite.

In dottrina non mancano peraltro opinioni contrarie. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con il parere n. 1 del 19 gennaio 2010, ha sostenuto la deducibilità della contravvenzione irrogata ad un autotrasportatore, imprenditore individuale, a seguito di un grave incidente stradale. In quell’occasione, la citata dottrina ha osservato che all’imprenditore era pacificamente riconosciuta la dedu­zione degli oneri di dissequestro dell'automezzo e del maggior premio assicurativo dovuto alla penale applicata dalla compagnia assicurativa; pertanto, "non si comprende perché non debba essere de­ducibile anche la contravvenzione che è una del­le componenti relative all'intera vicenda nella quale è evidente che l'uso del mezzo di trasporto è avvenuto nell'ambito dell'attività d'impresa or­dinariamente esercitata dall'imprenditore".

Ad ogni modo, parte della dottrina, sottolineando l’evidente inerenza all’attività d'impresa delle contravvenzio­ni riferite a beni strumentali, come sono gli autoveicoli utilizzati per fornire, produrre, commercializzare, ha giustamente ri­levato che, anche per tali sanzioni, vanno comunque applicati i limiti di deducibilità dei costi afferenti gli automezzi stabiliti dall'art. 164 del Tuir.

Penalità contrattuali

Quello delle penalità contrattuali è invece un caso molto diverso in cui infatti la Corte di Cassazione riconosce l’esistenza del principio dell’inerenza. Con la sent. n. 19702 depositata il 27 settembre 2011, la Corte di Cassazione ha ammesso la deducibilità ai fini della determinazione del reddito d'impresa delle somme versate a titolo di penalità per il ritardo nell'adem­pimento o in caso di inadempimento con­trattuale, posta la loro inerenza alla dinamica della stessa attività d'impresa.

Nello stesso senso, successivamente, Cass., n. 16561 del 5 luglio 2017 e n. 18903 del 17 luglio 2018.

La clau­sola che prevede tale penalità (prevista all' art. 1382, comma 1, del codice civile) rappresenta un patto accessorio del contratto che svolge sia la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale fra le parti, ovvero di coercizione all'adempimen­to, sia quella di determinare, in via preventiva e consensuale, la misura del risarcimento in ca­so di inosservanza degli obblighi contrattuali. Pertanto, non è connotata da una finalità sanzionatoria o punitiva e, quindi, le somme dovute in sua dipendenza non possono in alcun modo esse­re equiparate alle sanzioni comminate dall'Auto­rità amministrativa per punire comportamenti il­leciti dell'imprenditore [8].

La stessa Amministrazione finanziaria (R.M. 27 aprile 1991 n. 9/174) ha riconosciuto: “Al riguardo la Scrivente, ancorché nel Testo Unico delle imposte sui redditi non si rinviene una norma che considera sopravvenienze passive le indennità da corrispondere a titolo di risarcimento di danni, così come l’art. 55, comma 3, lett. a), considera sopravvenienze attive le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni diversi da quelli considerati alla lett. d) del comma 1 dell’art. 53 e alla lett. b) del comma 1 dell’art. 54, cionondimeno ritiene ugualmente deducibili, ricorrendone i presupposti, le somme relative agli indennizzi medesimi.

E invero, esaminato il caso specifico e gli elementi emergenti alla causa, dai quali risulta che il debito è direttamente connesso all’attività svolta dall’ente nell’esercizio del credito industriale e configura un onere certo ed oggettivamente determinabile, in quanto discende da una sentenza avente efficacia esecutiva, si ritiene che detto onere è deducibile per competenza e cioè, ai sensi dell’art. 75, comma 1, del Testo Unico delle imposte sui redditi, nell’esercizio in cui la sentenza medesima è venuta a giuridica esistenza, indipendentemente dalla circostanza che esso sia stato pagato o meno”.

Tesi successivamente confermata dalla Circolare del 27 giugno 2011 n. 29/E che ha riconosciuto l’inerenza a penali relative a obblighi contrattuali precisando che la deducibilità dell’importo derivante da una clausola penale spetta in quanto rispetta il requisito della competenza per il concorso di due requisiti: “

- la certezza, quanto all’esistenza degli elementi reddituali, che sussiste solo quando si è verificato il relativo presupposto di fatto o di diritto;

- la loro obiettiva determinabilità, con riguardo all’ammontare dei medesimi, nel senso che l’elemento reddituale deve risultare da atti o documenti probatori che contengano le caratteristiche idonee e necessarie alla sua quantificazione.

Resta fermo che, ancorché sussistano i requisiti appena descritti, la deducibilità del costo è altresì subordinata alla corretta contabilizzazione del costo e, ovviamente, del relativo debito, nel rispetto del generale principio di derivazione del reddito fiscale dai dati del bilancio di cui all’articolo 83 del TUIR”.

E conclude affermando che si può ritenere “verificata la sussistenza delle condizioni appena descritte, per cui il costo relativo alla penale contrattuale potrà essere dedotto dal reddito”.

La deducibilità è ammessa anche per le somme pagate dal professionista per danni causati nell’ambito dell’attività professionale esercitata, sempre che non si tratti di costi riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato. In tale senso si è pronunciata la DRE della Toscana il 27 agosto 2014 in risposta ad un interpello.

Altre fattispecie

La Cassazione è intervenuta anche su altre fattispecie, per certi versi simili. In particolare abbiamo:

- Cass. n. 30238 del 22 novembre 2018 per la deducibilità delle sanzioni per ritardato versamento dei contributi INPS;

- Cass. n. 11766 del 20 maggio 2009 che ha negato la deducibilità degli interessi moratori su pagamento di sanzioni;

- Cass. n. 18860 del 7 settembre 2007 relativamente alla indeducibilità delle sanzioni per condono edilizio (ammessi peraltro gli oneri di urbanizzazione) e precedentemente 18 aprile 2005 n. 10952;

- Cass. n. 5796 del 19 aprile 2001 che ha negato la deducibilità per “l’esborso effettuato per evitare indagini fiscali e la connessa interferenza sulla vita dell’impresa, a prescindere dalla sua ricollegabilità a concussione o corruzione, non concorre, direttamente o indirettamente, alla formazione del reddito, perché non è fattore produttivo, ma tende soltanto a preservare il risultato dei fattori produttivi, e comunque non è atto della gestione d’impresa, ponendosi su un piano autonomo ed esterno”;

- Cass. n. 8818 dell’11 agosto 1995 relativamente ad riscatto pagato per la liberazione di un dipendente, indeducibile.

 

Riflessioni conclusive

In conclusione, l’orientamento dottrinale, almeno quello prevalente, e giu­risprudenziale negano aprioristicamente la possibilità di scomputa­re dal reddito d'impresa le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, poiché ritenute non inerenti. Tuttavia l'inerenza (fiscale) delle stesse non può essere esclusa a priori, sulla base di argomentazioni etico-moralistiche, doven­dosi sempre svolgere, a nostro avviso, un'indagine sulla correlazione tra l'esercizio dell'impresa e il fatto che ha generato l'onere sanzionatorio, e non giudicare la meritevolezza dei com­ponenti positivi e negativi che concorrono a formare il reddito d’impresa. Del resto, la neutralità sotto il profilo etico della normativa tributaria è fra l'altro confermata dalla circo­stanza che risultano tassabili anche i proventi derivanti da fatti o atti illeciti, e negare la deducibilità dei costi inerenti ai predetti fatti o attività illecite, quali appunto le sanzioni, non sembra coerente.

Inoltre, respingere la deducibilità delle sanzioni amministrative irrogate condurrebbe ad una violazione del principio di capa­cità contributiva, poiché verrebbe tassato un reddito parzialmente inesistente, e all’applicazione di una sanzione impropria accanto alla sanzione propria, disconoscendo la rilevanza fiscale della prima.

In conclusione, occorre verificare, caso per caso, se il compor­tamento illecito sanzionato ab­bia concorso oppure no alla realizzazione di ri­cavi o altri proventi imponibili, e quindi se la sanzione che ne deriva sia o meno inerente. Successivamente va appurato se siano altresì soddisfatti gli altri presupposti fissati dal Tuir in ordine alla competenza, alla certezza, alla oggettiva de­terminabilità e all’imputazione a Conto Economico.

È innegabile che tra le sanzioni e l’esercizio dell’attività imprenditoriale vi sia una stretta connessione. Altrettanto ovvio è che le stesse vengono irrogate per il mancato rispetto delle norme che disciplinano l’esercizio dell’attività dell’impresa. Ne consegue che forti dubbi sulla loro deducibilità derivano dalla stessa natura giuridica delle sanzioni, in quanto le stesse, al di là dell’evento che le ha generate, sono finalizzate a colpire un comportamento non aderente all’osservanza di una norma.

“L’impronta caratteristica propria della sanzione deve cogliersi nella funzione primariamente e fondamentalmente afflittiva che la stessa istituzionalmente esplica nei confronti del trasgressore. L’elemento qualificante della sanzione deve dunque essere individuato principalmente nell’aspetto finalistico del fenomeno. E tale “caratteristica” risulterà di notevole importanza ai fini della nostra indagine.

A differenza delle altre misure repressive la sanzione è essenzialmente rivolta a colpire il responsabile dell’illecito attraverso l’applicazione di una pena che appare indipendente rispetto alla soddisfazione diretta dell’interesse del soggetto pubblico o privato specificatamente pregiudicato. Affinché una sanzione abbia natura afflittiva è dunque essenziale che esse colpisca il soggetto che ha commesso l’infrazione. Viene in tal modo soddisfatto il principio della determinatezza in materia di violazioni penali ed amministrative” [9].

La Cassazione (n. 5050/2010) “è pervenuta al convincimento della indeducibilità delle sanzioni in parola basando il suo ragionamento sul fatto che in caso contrario si neutralizzerebbe interamente la ratio punitiva della penalità trasformandola in un risparmio d’imposta, “ … cioè in un premio per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust”. Tale affermazione appare a nostro avviso inaccettabile. Con tale affermazione il Giudice di legittimità ha infatti dimostrato di non comprendere che la deduzione dei costi dal reddito d’impresa non deriva certamente dalla natura morale delle spese affrontate, ma dall’esistenza del requisito dell’inerenza che, nella fattispecie delle sanzioni antitrust sembra innegabile. Significativa appare, in tal senso, la sentenza 19 aprile 2001, n. 5796 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato la indeducibilità dal reddito d’impresa di alcune “tangenti” erogate al fine di evitare indagini tributarie atteso che i relativi “costi” non possono considerarsi propedeutici alla formazione del reddito in quanto non rappresentano fattori produttivi, ma tendono a preservare il risultato dei fattori produttivi e comunque non sono relativi a fattori gestionali. Il Supremo Collegio ha cioè escluso (condivisibilmente) che tali costi possano essere dedotti dal reddito, non perché il pagamento di tangenti costituisce fatto illecito (oltreché immorale), ma solo in quanto non relativi all’attività dell’impresa e quindi non inerenti”.

“È tuttavia indubbio, in via di principio, che se le sanzioni fossero ammesse in deduzione dal reddito d’impresa il fine che esse si prefiggono di raggiungere risulterebbe parzialmente vanificato dal momento che il relativo recupero fiscale verrebbe riservato a carico della collettività”.

“Tale tesi appare, oltreché debole, anche demagogica; se è pur vero, infatti, che la deduzione dal reddito di impresa delle sanzioni antitrust riduce, al pari di qualsiasi altro costo, la base imponibile e quindi il concorso alla spesa pubblica (rectius, l’imposta) è innegabile che la collettività ha pure goduto dei benefici derivanti dal legittimo operato dell’impresa atteso che “grazie” alle violazioni commesse è derivato un maggior reddito imponibile e quindi un maggior gettito fiscale. Sembra dunque essenziale, ai fini della soluzione della fattispecie in esame, stabilire se gli oneri costituiti dalle sanzioni antitrust presentino effettivamente un collegamento diretto con la gestione dell’azienda tale da incardinare il requisito dell’inerenza previsto dall’art. 109 del TUIR n. 917 del 1986 per la determinazione delle componenti rilevanti nella determinazione del reddito d’impresa”.

Così, ad esempio, sembra sussistere il requisito dell’inerenza all'attività d'im­presa con riferimento alle sanzioni irrogate dall’Antitrust, trattandosi di violazioni finalizzate all’accrescimento della capacità dell'impresa di realizza­re ricavi; a medesime conclusione si può giungere con riguardo alle sanzioni per infrazioni stradali commesse da un rappre­sentante di commercio giacché l’automezzo da lui usato per recarsi dai clienti rappresenta il bene in assoluto "più inerente" alla sua attività.

Per quanto riguarda gli altri requisiti richiesti dal Tuir ai fini della deducibilità di un costo, nelle sanzioni Antitrust rileviamo la certezza e l’oggettiva determinabilità, posto che l’atto di irrogazione è caratterizzato dall’autoritarietà e dall’esecutorietà. Per quanto riguarda l’imputazione a Conto Economico, occorre che tali sanzioni vengano rilevate in contabilità ed imputate a Conto Economico in una voce di costo. Le possibili opzioni di contabilizzazione sono:

- rilevazione fra i costi nella voce B14) “Oneri diversi di gestione”;

- qualora l’irrogazione delle sanzioni sia certa, o probabile, ma di ammontare e sopravvenienza incerta, stanziamento di un accantonamento per rischi ed oneri alla voce B13) “altri accantonamenti” del Conto Economico con contropartita il Fondo per Sanzioni alla voce B “FONDI PER RISCHI ED ONERI”- 4) “altri” dello Stato Patrimoniale, per poi stornare tale fondo quando la sanzione diverrà certa nell’ammontare e nella sopravvenienza.

Da un punto di vista fiscale, infine, valutare se seguire l’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria, che è appunto per la non deducibilità, o meno.

Prudenzialmente sembra opportuno uniformarsi, in sede di dichiarazione dei redditi, all’indirizzo interpretativo dell’Amministrazione finanziaria, non deducendo dal reddito d’impresa gli oneri sanzionatori, e poi presentare eventualmente, con le modalità e nei termini previsti dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, un’istanza di rimborso delle imposte versate in eccesso per effetto della ripresa fiscale in aumento corrispondente all’ammontare delle sanzioni.

 

Deducibilità delle sanzioni antitrust

Posizioni favorevoli

In giurisprudenza di merito, fra le altre:

- Comm. Trib. Prov. di Torino, sent. n. 401/4/18 (relativa alle spese legali della causa, non alla sanzione);

- Comm. Trib. Prov. di Milano, sent. n. 78 del 2 marzo 2011;

- Comm. Trib. Prov. di Milano, sent. n. 427 del 28 ottobre 2010;

- Comm. Trib. Prov. di Torino, sent. n. 27 del 24 marzo 2009;

- Comm. Trib. Prov. di Matera, sent. n. 437 del 4 ottobre 2001;

- Comm. Trib. Prov. di Milano, sent. n. 370 del 4 aprile 2001.

In dottrina, fra gli altri:

- Associazione Dottori Commercialisti di Milano, Norma di comportamento 9 aprile 1999, n. 138;

- Assonime, circ. 24 maggio 2000, n. 39;

- Gianfranco Ferrante, Fisco e Cassazione troppo rigidi sulla deducibilità delle sanzioni, Il Sole 24 ORE, 2 settembre 2019.

Posizioni contrarie

Amministrazione finanziaria:

- Circ. 17 maggio 2000, n. 98/E;

- Ris. 12 giugno 2001, n. 89/E;

- Circ. 20 giugno 2002, n. 55/E;

- Circ. 26 settembre 2005, n. 42/E.

In giurisprudenza fra le altre:

- Cassazione, sent. n. 18444 del 26 luglio 2017;

- Cassazione, sent. n. 14137 del 7 giugno 2017;

- Cassazione, sent. n. 10590 del 22 maggio 2015;

- Cassazione, ord. n. 18368 del 26 ottobre 2012.

- Cassazione, sent. n. 16429 del 27 luglio 2011;

- Cassazione, sent. n. 8135 dell' 11 aprile 2011;

- Cassazione, sent. n. 2594 del 3 febbraio 2011;

- Cassazione, sent. n. 600 del 12 gennaio 2011;

- Cassazione, sent. n. 5050 del 3 marzo 2010;

- Corte di Giustizia UE, causa C – 429/07, 11 giugno 2009;

- Comm. Trib. Reg. di Milano, sent. n. 52 del 21 aprile 2011;

- Comm. Trib. Reg. di Milano, sent. n. 17 del 31 maggio 2004.

Orientamento della Cassazione sul trattamento di alcune fattispecie sanzionatorie

Sanzioni antitrust

Si tratta di sanzioni aventi natura e finalità punitiva e afflittiva e, in quanto tali, la loro deducibilità dal reddito d’impresa è da escludersi per difetto di inerenza.

Sanzioni per infrazioni stradali

Non possono essere dedotte in quanto la correlazione di un onere con la produzione del reddito d’impresa deve essere sempre esclusa quando, come nel caso di specie, si tratta di una sanzione irrogata per punire un comportamento illecito.

Penalità contrattuali

Sono costi inerenti all’attività d’impresa. Nello specifico, si tratta di sopravvenienze passive deducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa del periodo d’imposta in cui è commessa la violazione, a norma dell’art. 101, comma 4 del TUIR.

 



[1] Si veda l’art.14, comma 4-bis, della Legge n. 537/1993, che dispone: “Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi. (…)”

[2] In banca dati Fisconline.

[3] In banca dati Fisconline.

[4] In banca dati Fisconline.

[5] In riferimento alla sentenza del 31 maggio 2004 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

[6] In riferimento alle sentenze della Commissione Provinciale di Bergamo n. 110/9/02 e della Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione bresciana, del 7 novembre 2005.

[7] In riferimento alla sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 55/31/06, depositata il 23 novembre 2006.

[8] Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni, Il trattamento delle sanzioni amministrative nella determinazione del reddito d’impresa: le diverse posizioni a confronto, Il Fisco, 2012.

[9] Massimo Procopio, “Le sanzioni antitrust al vaglio della Corte di Cassazione” in Dottrina e Pratica Tributaria, n. 3/2010 n. 2-559.

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