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Decadenza dei termini per l'accertamento fiscale. Particolarità

di Giuseppe Rebecca
La Settimana Fiscale / Il Sole 24 ore, numero 37 - 4 ottobre 2019

 

Introduzione

Relativamente alla decadenza dei termini per l’accertamento, in determinate circostanze, l’Amministrazione Finanziaria ha sempre avanzato tesi a sé favorevoli.

La problematica riguarda, nel caso di utilizzo di determinate situazioni, se il termine per il relativo accertamento decorra dall’anno in cui è sorto un particolare diritto, oppure dal successivo anno di utilizzo di quel diritto[1].

Le fattispecie che abbiamo individuato sono quattro, e precisamente:

1) L’utilizzo delle perdite fiscali .

Queste sono accertabili nell’anno di formazione, non invece nell’anno di utilizzo, come aveva cercato di sostenere l’Amministrazione Finanziaria (in questo senso CTR Venezia 12 giugno 2007 n. 18/6/07, CTR Torino 14 novembre 2014 n. 1332/31/14 e CTR Reggio Calabria n. 217/4/2016).

2) L’utilizzo delle detrazioni di imposta .

L’eventuale controllo deve riguardare l’anno in cui sono state sostenute le spese, non l’anno di utilizzo delle stesse (CTR Milano, 16 aprile 2015 n. 2597/49/15).

3) L’utilizzo delle quote di ammortamento .

L’eventuale controllo deve riguardare l’anno in cui il bene è entrato in funzione, non l’anno di utilizzo delle quote stesse (Cassazione 24 aprile 2018 n. 9993).

4) Il riporto di un credito di imposta IVA.

Tale riporto non può posticipare i termini di accertamento (Cassazione n. 3098 dell’1 febbraio 2019).

La decadenza dei termini per eventuale accertamento decorre sempre dal momento iniziale in cui è sorto il diritto, e non dall’anno in cui ci siano stati degli utilizzi. E questo in tutti e quattro i casi sopra riportati.

I vari casi

1) Utilizzo delle perdite fiscali

Ricordiamo che le perdite fiscali conseguite in un periodo d’imposta possono essere portate in diminuzione dai redditi nei periodi successivi:

- fino a capienza dell’80% del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta;

- entro il limite del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta successivo e per il 100% dell’importo che trova capienza in tale ammontare se relative ai primi 3 esercizi dalla data di costituzione dell’impresa (qualora si tratti di nuova attività produttiva).

Così prevede l’art. 84 TUIR.

Precedentemente la riportabilità delle perdite era limitata al quinto periodo di imposta successivo, salvo le perdite dei primi tre esercizi.

Quale sarà la decorrenza del termine entro il quale l’ufficio potrà effettuare un accertamento su tali perdite?

Si tratta di una domanda che potrebbe anche apparire opziosa, ma come si vedrà, la questione del termine di decorrenza per l’accertamento è questione dibattuta. .

I termini per l’accertamento fiscale sono necessariamente quelli dati dal legislatore, e non possono essere dilatati nel tempo, come invece vorrebbe l’Amministrazione Finanziaria. I termini non possono che decorrere esclusivamente dall’esercizio della indicazione delle perdite, non certo dall’anno di utilizzo delle perdite stesse, che tra l’altro potrebbe essere anche differito di molto.

Riportiamo un caso specifico

 

Perdita fiscale dichiarata nell’esercizio 1996

Utilizzo nell’esercizio 2001

Accertamento nell’esercizio 2005.

Il termine per l’accertamento della perdita 1996 sarebbe stato normalmente il 31 dicembre 2002 (5 esercizi dopo la effettuata dichiarazione).

L’ufficio aveva invece sostenuto che la perdita era accertabile anche successivamente, nel 2005, in quanto l’utilizzo si era verificato solo nel 2001, e nel 2005 i termini per l’accertamento per l’esercizio 2001 non erano evidentemente ancora scaduti.

Il caso, semplice, addirittura banale, è tutto qui.

Ma così ha allora sostenuto l’ufficio: “soltanto l’utilizzo della perdita incide in ordine alla determinazione del debito di imposta”.

Non ha quindi “valore il momento della “indicazione” della perdita riportabile, che non comporta alcun recupero d’imposta, ma vale il momento di “utilizzo” della perdita stessa, cioè il momento in cui è portata in diminuzione dai redditi imponibili”.

Così proseguiva l’ufficio: “sia l’indicazione della perdita che il suo riporto nel prospetto delle perdite in sede di dichiarazione, anno dopo anno, non rappresentano violazioni tributarie contestabili mentre il suo effettivo utilizzo in compensazione fa rilevare, quando il suo importo è determinato da una errata qualificazione dei proventi esenti, la violazione della norma dell’art. 102 del Tuir e dunque la sua contestabilità a partire da quel momento fiscale.

Conclusivamente si può affermare che l’ufficio, anche nel caso in cui le perdite utilizzate in compensazione risalgono a periodi d’imposta non più accertabili, è comunque legittimato a procedere alla rettifica della dichiarazione interessata dalla compensazione, avendo rilevanza il momento dell’utilizzo della perdita e non quello della sua formazione”.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, quindi, “ha valore il momento di utilizzo della perdita…. e non quello della sua indicazione”.

Non si condivide; quantificazione e qualificazione della perdita rappresentano due momenti imprescindibili e logicamente consequenziali tra loro. Dapprima viene dichiarata una perdita di esercizio (momento della quantificazione), che diventa così riportabile negli esercizi successivi (momento della qualificazione). In quanto riportata, la perdita potrà essere utilizzata in compensazione dei redditi futuri, nei limiti temporali stabiliti dalla legge. E’ evidente che non ci potrà essere utilizzo della perdita se prima questa non sia stata dichiarata e, conseguentemente, non ne sia stata determinata l’entità.

E questa perdita dichiarata, e conseguentemente riportabile, potrà essere oggetto di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria dal momento in cui è stata dichiarata, e quindi quantificata e qualificata come riportabile. Nessuna norma prevede una decorrenza differita.

L’Agenzia avrebbe potuto accertare la entità della perdita nella sua prima indicazione; se ciò non è avvenuto, nei termini di legge, la perdita è divenuta definitiva, come pure definitiva ne è divenuta la natura. Decorso il termine per l’eventuale accertamento, nulla può più essere eccepito al riguardo.

Si verifica quindi una assoluta identità, ai fini accertativi, tra quantificazione e qualificazione della perdita.

I termini per l’accertamento dell’entità della perdita sono necessariamente gli stessi termini che riguardano l’accertamento della sua natura; non esistono termini diversificati.

L’orientamento dell’ufficio, in base al quale l’avviso di accertamento “è tempestivo e rispetta i termini disposti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973” poiché “ha valore il momento di utilizzo della perdita, cioè il momento in cui è portata in diminuzione dei redditi imponibili, e non quello della sua indicazione” non ha pregio e va respinto.

Non vi sarebbe nulla di strano al riguardo, se qualità e quantità della perdita fossero due cose diverse, distinte, differenti: ma, come già abbiamo sostenuto, entità e natura della perdita sono strettamente connessi, sono due aspetti strettamente collegati, e in definitiva sono esattamente la stessa cosa.

La Commissione Regionale di Venezia (sentenza n. 18/2007 del 16 aprile – 12 giugno 2007) ha cassato l’interpretazione dell’Ufficio e conseguentemente riconosciuto valida la tesi del contribuente:

“Ritiene la Commissione che l’eccezione di intervenuta decadenza dei termini dell’accertamento, sollevata dalla difesa del contribuente nel ricorso introduttivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, sia fondata.

….

Nella fattispecie, dunque, l’ufficio è di fatto intervenuto su di un esercizio che poteva ancora essere oggetto di accertamento, ossia il 2001, rettificando però la perdita risalente al 1996, ovvero a nove anni prima dell’emissione dello stesso avviso di accertamento”.

Evidentemente, “scindere il momento di utilizzo della perdita da quello della sua indicazione comporta una inammissibile dilatazione dei termini di decadenza per l’accertamento.

L’adozione di tale tesi da parte dell’Amministrazione finanziaria lascia aperta la possibilità di intervenire su elementi, quale la perdita riportabile, dichiarata ben nove anni prima con un sostanziale mancato rispetto del termine imposto normativamente.

…la quantificazione e qualificazione della perdita rappresentano due momenti imprescindibili e strettamente consequenziali tra loro.

Non possono essere distinti.

La perdita di esercizio diviene riportabile nei cinque anni successivi e, in quanto riportata, potrà essere utilizzata in compensazione dei redditi futuri, nei limiti temporali stabiliti dalla legge.

E’ evidente come non vi possa essere utilizzo della perdita se prima questa non sia stata dichiarata e, conseguentemente, non ne sia stata determinata l’entità.

La perdita dichiarata poteva essere oggettodi accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria dal momento in cui è stata quantificata e qualificata come riportabile, non con decorrenza successiva.

La perdita della quale si discute è stata dichiarata per il 1996 e, quindi, non essendo stata oggetto di rettifica da parte dell’ufficio entro il termine perentorio del 31 dicembre 2002 (art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 previgente) era già divenuta definitiva per il 2005.

Dal 1° gennaio 2003 l’Amministrazione finanziaria non poteva più fare accertamenti su tale perdita essendo decorso il termine per l’eventuale accertamento.

La perdita è stata considerata riportabile dalla società e tale affermazione – impostazione avrebbe potuto essere oggetto di accertamento da parte dell’ufficio.

I termini per l’accertamento dell’entità della perdita sono necessariamente gli stessi che riguardano l’accertamento della sua natura”.

Più recentemente, nello stesso senso, anche la CTR Piemonte (n. 1332/31/14 del 14 dicembre 2014) che conferma la precedente CTP Torino n. 108/13/12) in un caso relativo all’utilizzo di perdite di società fuse, CT Regionale Lombardia 9 maggio 2013 n. 56 e anche Cassazione n. 417 del 14 gennaio 2015e CTP Reggio Calabria 217/2016.

“Si è perciò inevitabilmente considerato che l’accertamento sulla quantificazione e sulla reale disponibilità delle perdite fiscali da riportare a nuovo ai fini Ires vada effettuato con riguardo all’anno d’imposta in cui le stesse perdite si sono formate; e non in quello (successivo) in cui sono compensate a riduzione del reddito imponibile.

Dalla qual cosa deriva l’ovvia conseguenza, già accennata in precedenza, che i termini di accertamento ex art. 43 D.P.R. n. 600/1973 debbano ragionevolmente decorrere a partire dal suddetto anno di emersione delle perdite”.

Ma si pone anche un’altra questione, che riguarda specificatamente le sanzioni.

La sanzione per infedele dichiarazione non può trovare applicazione per il periodo d’imposta in cui la perdita è stata dichiarata, mancando un reddito imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, così come prevede l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Nel caso concreto, infatti, se il periodo di imposta oggetto di rettifica resta in perdita, e quindi si tratta soltanto di una riduzione della perdita dichiarata, non vi sono un maggior imponibile o comunque una maggiore imposta da versare.

Manca così la base cui commisurare l’applicazione della sanzione per infedele dichiarazione. Nel periodo di imposta in cui la perdita è stata dichiarata potrebbe applicarsi solo la sanzione per dichiarazione inesatta, prevista dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997.

2) Utilizzo delle detrazioni di imposta

Sulla questione dei termini per un accertamento nel caso di utilizzo di detrazioni di imposta si sono pronunciate la CTR Milano, 16 aprile 2015 n. 2597/49/15 e CTP Reggio Emilia n. 128 del 15 maggio 2017.

Relativamente a quest’ultima sentenza, ricordiamo come le fattispecie riguardasse spese sostenute per riqualificazione energetica, e i termini per la notifica degli avvisi di rettifica e di accertamento. Così si è pronunciata la Commissione “Il disconoscimento delle detrazioni per spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio non può essere “ricondotto” ad un controllo formale ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, ma deve essere operato dall’Ufficio, mediante la notifica di un motivato avviso di accertamento. Tutto ciò, nel rispetto dei relativi termini decadenziali decorrenti in relazione alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui si è verificato il momento genetico della detrazione, ossia l’anno in cui le spese sono state sostenute. In altri termini, le spese di ristrutturazione devono essere disconosciute nell’anno di sostenimento, poiché va motivatamente contestata l’origine e la sussistenza dei presupposti. Conseguentemente, non rileva il fatto che, per effetto della rateazione, la detrazione (frazionata) prosegua oltre i citati termini decadenziali”.

In senso contrario, e quindi favorevole alla tesi dell’Agenzia delle Entrate vedasi Commissione Tributaria Provinciale di Lecco, n. 126/2018 del 20 giugno 2018.

3) Utilizzo delle quote di ammortamento

La Corte di Cassazione (sentenza n. 9993 del 24 aprile 2018) ha stabilito che le quote di ammortamento non possono essere rettificate qualora sia decorso il termine per l’accertamento relativo al periodo d’imposta nel corso del quale era stato sostenuto il costo ed era iniziata la procedura di ammortamento. Nello stesso senso vedasi anche la norma di comportamento n. 200/2017 dell’AIDC: in presenza di accertamenti basati su fatti avvenuti in periodi d’imposta precedenti a quello oggetto di controllo, il contribuente non può essere gravato da un onere probatorio eccedente quello previsto per legge sul piano degli obblighi di conservazione documentale.

La tesi sostenuta è che l’accertamento dovrebbe in tal caso riguardare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il costo è stato sostenuto e contabilizzato. Qualora ci fossero dei successivi controlli relativi ad un periodo d’imposta successivo il contribuente è, quindi, chiamato soltanto “a produrre un’ordinata e regolare tenuta delle scritture contabili”, e non è gravato dall’obbligo di produrre documenti risalenti all’esercizio in cui il bene è stato acquistato, quando sia spirato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quel periodo d’imposta.

Può, di conseguenza, comprovare la correttezza del proprio operato “avvalendosi di ogni ragionevole mezzo di prova, individuabile nelle scritture contabili e ausiliarie, nelle dichiarazioni dei redditi dei periodo d’imposta ancora accertabili, nei contratti, nelle perizie e in qualsiasi ulteriore documentazione del cui obbligo di conservazione il contribuente sia ancora gravato, ovvero sia stato oggetto di volontaria conservazione, anche oltre”.

La Cassazione ha anche tenuto conto delle sentenze della Corte Costituzionale del 15 luglio 2005, n. 280, e del 19 novembre 2004, n. 352, nelle quali è stato affermato che, “nella prospettiva di cui all’art. 24 Cost., è conforme a Costituzione, e va ricercata dall’interprete, soltanto una ricostruzione del sistema che non lasci il contribuente esposto all’azione esecutiva del Fisco per i termini eccessivamente dilatati.

In presenza di costi che danno luogo a diritto a deduzione frazionata in più anni e di quote di ammortamento, la decadenza in danno dell’Agenzia delle Entrate deve ritenersi necessariamente maturare con il decorso del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa ai periodi fiscali in cui i costi sono stati concretamente sostenuti e l’ammortamento è stato iscritto a bilancio”.

Nello stesso senso, Cassazione n. 9834/2016, che ha confermato la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sentenza del 21 ottobre 2014, n. 5477: “legittima la deduzione della quota di ammortamento cristallizzatasi nel tempo per effetto del mancato tempestivo esercizio dei poteri di controllo e verifica da parte dell’Ufficio”. Precedentemente, la Corte di Cassazione n. 15178/2010, aveva invece asserito che, pur essendo l’Ufficio decaduto “dalla possibilità di rideterminare valori riferiti a spese per immobili in anni precedenti, ….. è possibile la regolarizzazione di calcoli delle quote di ammortamento per gli anni successivamente accertati”.

In senso contrario, Cassazione n. 15178 del 2010.

Così si è espressa la Cassazione: “Va accolto anche il quarto motivo di ricorso, sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 12880/2008) secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi è facoltà dell’Ufficio contestare anche soltanto i criteri utilizzati dal contribuente nella redazione del bilancio, per i loro riflessi fiscali negli esercizi futuri, senza necessariamente procedere, per il periodo considerato, alla determinazione di una maggiore pretesa impositiva, e senza che ciò comporti una preclusione al recupero d’imposta per gli anni successivi; ne consegue la legittimità dell’avviso di accertamento limitato, alla censura contro il metodo di contabilizzazione e il sistema di deduzione di una spesa o di una quota di spesa sostenuta, assolvendo il predetto atto ad una funzione di regolarizzazione di altri aspetti del comportamento tributario della parte nel periodo, e ad assicurare il corretto svolgimento del rapporto tributario nel futuro (Cass. 12880/2008). Dunque, pur sussistendo l’asserita decadenza dell’Ufficio dalla possibilità di rideterminare valori riferiti a spese per immobili in anni precedenti il quinquennio, è possibile la regolarizzazione dei calcoli delle quote di ammortamento per gli anni successivamente accertati”.

4) Il riporto di un credito di imposta IVA

Relativamente a questa fattispecie, si è pronunciata la Cassazione con la ordinanza n. 3098 dell’1 febbraio 2019.

“La disposizione, che è in equivoca nel far decorrere il termine per l’accertamento in rettifica dall’anno in cui la dichiarazione è presentata (salva l’eccezione di cui si è detto e che in questa sede non rileva) enuncia il c.d. principio del consolidamento del criterio impositivo, in virtù del quale è precluso all’Amministrazione Finanziaria, decorsi i termini di legge, procedere ad una diversa quantificazione dell’imposta dovuta, così come procedere anche ad eventuali nuovi accertamenti e rettifiche, i quali possono avvenire solo entro la scadenza del suddetto termine (art. 57, comma 4, cit.).

Nel caso di specie – in cui, trattandosi di ripresa di un credito fiscale, la posizione dell’Amministrazione Finanziaria non risulta diversa da quella che consegue ad qualunque avviso di accertamento con il quale l’Ufficio fa valere una pretesa nei confronti del contribuente – era dunque precluso all’odierna ricorrente di procedere alla rettifica della dichiarazione IVA 2006 dalla cedente, né poteva trovare applicazione il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 15 marzo 2016, n. 5069), nella diversa ipotesi in cui sia contestata la richiesta di rimborso – secondo cui i termini decadenziali di cui all’art. 57 cit. operano limitatamente al riscontro dei crediti dell’Amministrazione e non dei suoi debiti”.

Conclusioni

In presenza di accertamento basato su accadimenti intervenuti in periodi di imposta precedenti a quello oggetto di controllo, per i quali sia già superato il termine di decorrenza per l’accertamento, il contribuente non può essere gravato dell’obbligo di produrre documentazione risalente al periodo non più accertabile, essendo appunto superato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quello specifico periodo d’imposta.

Non può essere quindi sostenuta la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale le perdite sono accettabili nei limiti temporali di accertamento relativi ai periodi di imposta in cui sono state utilizzate. Si tenga anche conto che altrimenti, con la possibilità di utilizzo senza più limiti temporali, i due eventi potrebbero anche differire di molto, nel tempo. E non pare logico, oltre che non previsto dalle norme, dilatare in questo modo i tempi degli accertamenti.

La posizione dell’Agenzia tende probabilmente ad evitare eventuali abusi di diritto costituiti dalla possibilità, nel caso specifico delle perdite, di dichiarare una perdita fittizia non utilizzata per i primi 5 periodi successivi (un eventuale accertamento a rettifica di tali perdite, non comporterebbe il versamento di alcuna imposta), che si intende utilizzare solo successivamente a tali periodi.

Ma in ogni caso non pare sostenibile l’interpretazione data dall’Agenzia delle Entrate.



[1] Abbiamo già trattato in parte il tema ne “Accertamento delle perdite fiscali. Termini” ne La settimana fiscale n. 42, 9/11/2018. Qui viene approfondito.

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