Vendita immobili a prezzo ribassato. Effetti fiscali.
di Giuseppe Rebecca
Il Commercialista Veneto, N. 243 - Giugno / Luglio 2018
Trattiamo di un caso specifico, sempre più frequente, nella realtà odierna, anche per effetto del negativo dell’andamento del mercato immobiliare: il trattamento fiscale di una vendita di un terreno o di un fabbricato plusvalente ad un prezzo inferiore a quello rivalutato in occasione di un precedente affrancamento.
L’Agenzia delle Entrate ( circolare n. 1 del 15 febbraio 2013, 4.1) in un caso di questo tipo aveva ammesso una sorta di meccanismo di “prezzo valore” molto particolare, per cui:
- nell’atto di vendita si indicano sia il corrispettivo, sia il maggior valore di perizia;
- il contribuente non realizza alcuna plusvalenza, essendo il primo termine inferiore al secondo, ma non perde i benefici della rivalutazione (benefici che, invece, vengono meno se la doppia indicazione non ha luogo);
- le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono invece liquidate sul maggior valore di perizia.
Si tratta di una tesi chiaramente insostenibile, sotto l’aspetto razionale e anche sostanziale. Era stata a suo tempo ventilata anche l’ipotesi di un cambio di linea interpretativa (vedasi Il Sole 24 Ore del 9 Aprile 2015), ma ciò non ha ancora avuto seguito alcuno. Anzi, l’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto di confermare il suo orientamento con la Risoluzione 53 del 27/05/2015.
Il contenzioso su questo aspetto è già molto diffuso, e nel 2016 è intervenuta anche la Cassazione, in modo però non univoco.
Per la tesi dell’ impossibilità di accertamento, qualora il valore dichiarato fosse stato inferiore a quello periziato, abbiamo tre sentenze, tutte del 2016 (n. 19242 del 28 settembre, 24310 e 24316 del 29 novembre), accompagnate però da altre tre sentenze contrarie, sempre del 2016 (n. 14492 e 14693 del 15 luglio, 19465 del 30 settembre).
Riportiamo, dalla sentenza 24310 del 29 novembre 2016, una parte del provvedimento: “Non appare dunque sussistente alcun vincolo ai fini della determinazione del corrispettivo nella successiva vendita dell’immobile, non potendo in particolare ritenersi che il valore del cespite come rideterminato L. n. 448 del 2001, ex art. 7, costituisca valore legale inderogabile e condizione ostativa alla facoltà per il contribuente di alienare il bene ad un prezzo inferiore, dovendo pertanto escludersi la decadenza dal beneficio e la facoltà per l’Agenzia di accertare la plusvalenza secondo gli ordinari criteri ex artt. 67 e 68 T.U.I.R., con riferimento cioè al costo di acquisto del terreno. Il ricorso va dunque respinto e l’Agenzia delle Entrate va condannata alla refusione delle spese del presente giudizio”.
La precedente sentenza n. 19465 del 30 settembre 2016 però così è espressa:
“Il valore indicato nella perizia non limita l’accertamento dell’Ufficio, come si evince dal succitato L. n. 448 del 2011, art. 7, comma 6 secondo il quale la rideterminazione del valore di acquisto dei terreni costituisce valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale (cfr. Cass. Sez. 5, 28 maggio 2014, n. 11960; Cass. Sez. 5, 6 giugno 2012, n. 9109)”.
Questa sentenza richiama poi a supporto la n. 9109 del 6 giugno 2012, ma questa sentenza, molto lunga, non appare del tutto chiara e logica. C’è anche la sentenza n. 14493 del 15 luglio 2016, sempre contraria alla tesi del contribuente: “la norma, dunque, detta un ulteriore (rispetto al generale) criterio sostanziale di determinazione del reddito di plusvalenza e da minusvalenza ma – diversamente da quanto ritenuto dalla contribuente -, in carenza di qualsivoglia supporto testuale (quale invece contenuto, per l’imposta di registro, nel D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4, secondo cui “non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, scritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore” alla misura data dalla moltiplicazione della rendita catastale per il coefficiente previsto), non incide in alcun modo sul generale potere dell’ufficio di verificare, come ogni altra, anche la dichiarazione fiscale concernente la plusvalenza (o la minusvalenza) determinata in base alla L. n. 448 del 2001, art.7 e, quindi, di accertare che il valore del bene “alla data del 1 gennaio 2002” sia comunque diverso (perciò non solo maggiore ma anche minore, se questo rivela l’esistenza di ricchezza sottratta a tassazione) da quello già determinato sulla base della perizia giurata di stima del consulente scelto, in totale su insindacabile discrezionalità, dal contribuente. L’esclusione del potere di rettifica dell’Ufficio, in particolare, non può essere fondato sul disposto dell’art. 7, comma 6, sopra richiamato, essendo evidente che la “rideterminazione del valore di acquisto dei terreni edificabili e con destinazione agricola” considerata dalla norma anche quale “valore normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria e catastale” (c.d. criterio di coerenza: v. Circ. Agenzia delle Entrate 22 aprile 2005 n. 16/E) è quella del valore del terreno al 1 gennaio 2002 definitivamente accertata, per mancanza di rettifica di quello indicato dal consulente nominato dal contribuente ovvero (come nel caso) per decisione finale del giudice tributario investito dell’impugnazione di quella rettifica (così in motivazione, del tutto condivisibilmente, Cass., Sez. 5, n. 9109 del 06/06/2012; conf. Sez. 6-5, n. 22990 del 13/12/2012, pronunciata in parallelo procedimento svoltosi nei confronti di R.G.)”.
Invece la sentenza n. 19242 del 28 settembre 2016 così specificava: “in tema di plusvalenze di cui all’art. 81 (ora 67), comma 1, lett. a) e b) del D.P.R. n. 917 del 1986, per i terreni edificabili e con destinazione agricola, la mancata indicazione, nell’atto di vendita dell’immobile, del valore del cespite, così come rideterminato a norma dell’art. 7 della l. n. 448 del 2001, non costituisce condizione ostativa alla facoltà del contribuente di assumere valore iniziale, in luogo del costo o del valore di acquisto, quello alla data del 1° gennaio 2002 individuato sulla base di una perizia giurata, attesa, a tal proposito, l’assenza di limitazioni poste dalla legge e l’irrilevanza di quanto, invece, previsto da atti non normativi, come le circolari amministrative”.
Come abbiamo scritto, tesi del tutto contrastanti, da parte della Cassazione, almeno ad oggi.
Abbiamo poi molte sentenze di Commissioni Tributarie, anche regionali. Ne ricordiamo alcune (Commissione Tributaria Regionale di Venezia n. 427 del 29 marzo 2017, Lazio n. 3119/2017, Lombardia n. 5537 del 27 ottobre 2016 e n. 3836 del 28 giugno 2016, Bari n. 1178 dell’11 maggio 2016, Lombardia n. 4095 del 24 settembre 2015, Sardegna n. 134 del 27 marzo 2015, Brescia n. 1064 del 17 marzo 2015, Puglia n. 1111 del 15 maggio 2014, Lombardia n. 1902 del 10 aprile 2014, n. 449 del 28 gennaio 2014, n. 141 del 10 dicembre 2012, n. 169 dell’11 novembre 2011, Piemonte n. 11 del 10 febbraio 2011, Friuli Venezia Giulia n. 28 del 7 luglio 2010).
Allo stato attuale, tenuto conto del rilevante contenzioso ancora in essere, con numerose sentenze di Commissioni Tributarie, anche Regionali come si è visto, ci attendiamo ulteriori sentenze della Cassazione, che auspichiamo finalmente risolutive.