Immobili collabenti. Aspetti tributari
di Giuseppe Rebecca
La Settimana Fiscale / Il Sole 24 ore, numero15 - 13 aprile2018
Premessa
La cessione di una unità collabente che insiste su un terreno agricolo va considerata come cessione di area edificabile o cessione di immobile?
Innanzitutto definiamo le “unità collabenti”. Si definiscono unità collabenti i fabbricati (o porzioni di fabbricati), che per le loro caratteristiche (ovvero l’accentuato livello di degrado) non sono suscettibili di produrre reddito. Essi sono accatastati nell’apposita categoria catastale F/2 “unità collabenti”. [1]
Si tratta, quindi, di fabbricati fatiscenti, diruti, ruderi, interessati da pericolo di crollo o da cedimento, inagibili (es. tetto crollato), o comunque non abitabili né utilizzabili a causa di inesistenza di elementi strutturali ed impiantistici, che non possono diventare abitabili con semplici interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ma necessitano di interventi più radicali, fino alla demolizione.
Qualora si sia in presenza di questa tipologia di fabbricati, è possibile – non obbligatorio – accatastare l’immobile anche se precedentemente dotato di rendita catastale nella categoria cosiddetta “fittizia” F/2, categoria per immobili collabenti. Devono essere rispettati dei presupposti:
a) l’immobile deve aver perso la propria capacità reddituale;
b) l’immobile deve essere ancora individuabile e/o perimetrabile, in quanto persistono i requisiti materiali relativi alla copertura, alla struttura portante, ai solai e ai muri perimetrali.
Ma il fabbricato collabente non necessariamente è un fabbricato ex rurale.
Ci si chiede quindi se la cessione di un fabbricato collabente, che nel caso concreto insiste su terreno agricolo, possa generare o meno plusvalenza tassabile.
Qualificazione ai fini delle imposte dirette (Cass. n. 5166/13)
La Corte di Cassazione (sentenza n. 5166/2013) ha ritenuto che la cessione unitaria di un terreno agricolo con fabbricati ex rurali collabenti, destinati alla demolizione e ricostruzione, deve essere considerata come cessione di area fabbricabile, ai fini delle imposte dirette. Si tratta di una sentenza dirompente, indubbiamente, sentenza che per certi sensi richiama aspetti specifici delle cessioni di immobili da abbattere, questione che sarà analizzata più avanti.
Nel caso specifico era stata richiesta ed ottenuta, prima dell’effettuata vendita, la concessione edilizia per il recupero di fabbricati civili con opere di demolizione e nuova costruzione.
Secondo questa sentenza, l’area edificabile può essere:
a) area edificabile di diritto, ovvero in base al piano urbanistico;
b) area edificabile di fatto. In questo caso un terreno, pur non essendo urbanisticamente qualificato come edificabile, può nondimeno avere una vocazione edificatoria di fatto in quanto potenzialmente edificatorio, a prescindere, come già detto, dalla previsione urbanistica.
L’edificabilità di fatto si evince da vari indicatori (vicinanza al centro abitato, sviluppo edilizio delle zone circostanti, presenza di opere di urbanizzazione primaria….), tra cui anche la circostanza che il terreno, prima della compravendita, avesse già ottenuto la concessione edilizia per il recupero di fabbricati civili con opere di demolizione e di nuova costruzione e la concessione edilizia per la realizzazione di nuove unità immobiliari.
Il fatto che la zona fosse inserita nel PRG come zona agricola normale non ha impedito di qualificarla, unitariamente (quindi terreno + fabbricato collabente destinato alla demolizione e ricostruzione), quale area suscettibile di utilizzazione edificatoria.
Nel caso di specie, la vendita è stata qualificata quale operazione unitaria; non è pertanto stato possibile frazionare il contratto come se avesse due distinti oggetti, terreno e fabbricato, e applicare la plusvalenza unicamente all’area di sedime e/o alla maggiore superficie occupata dalla nuova costruzione.
Quindi, secondo la Cassazione, i fabbricati collabenti sono da considerarsi fiscalmente come area fabbricabile, in quanto lo strumento urbanistico comunale (art. 2, D.Lgs. 504/1992) ne prevede solitamente il recupero edilizio, anche se nei limiti delle cubature esistenti. Si tratta indubbiamente di un affermazione forte.
Nello stesso senso, Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo n. 122 del 24 febbraio 2017: “la dichiarata inagibilità del fabbricato da parte del comune nell’anno 2005 (la copertura era del 2010) non può, da sola, costituire elemento determinante per la riqualificazione dell’oggetto della compravendita. Risulta che l’immobile fosse stato abitato fino all’anno 2006 in forza di un contratto di affittanza agraria.
Risulta anche che l’inagibilità fosse stata conseguenza di un cedimento verificatori in una parte limitata dell’immobile a causa dell’erosione sotterranea provocata da un corso d’acqua. Appare evidente che l’inagibilità temporanea avrebbe potuto ben essere superata da interventi di restauro conservativo, che i ricorrenti, però, non hanno ritenuto di dovere affrontare, preferendo vendere la proprietà a terzi”.
In definitiva, nel caso di immobili inagibili, indipendentemente che siano o meno collabenti, la giurisprudenza ha considerato la loro cessione come cessione di aree edificabili, e questo anche nel caso di aree agricole. Si tratta evidentemente di una esasperazione dei concetti tributari, che cozza contro ogni logica. E tutto questo, nel costante tentativo di creare materia imponibile.
Aspetti ICI – IMU
Si ricorda che in ogni caso i fabbricati collabenti non sono soggetti all’ICI e ora all’IMU, come ha confermato anche la Cassazione (n. 25774 del 30 ottobre 2017, n. 23801 dell’11 ottobre 2017, e precedentemente n. 17815/17, n. 20160/20161/20162 e 20163 del 2014 e n. 4308/10). In particolare con la sentenza n. 23801/17 è stato affermato che: “In tema di ICI, il fabbricato accatastato come unità collabente (cat. “F/2”), oltre a non essere tassabile come fabbricato in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile, sino a quando l’eventuale demolizione restituisca autonomia all’area fabbricabile, che da allora è tassabile come tale, fino al subentro della tassazione del fabbricato ricostruito”.
Esclusa così la rilevanza del fabbricato collabente ai fini ICI e IMU, l’imposizione non può essere “recuperata” dall’amministrazione comunale facendo ricorso ad una base imponibile del tutto diversa: quella attribuibile all’area di insistenza del fabbricato, in quanto quest’ultima non rientra in nessuno dei presupposti Ici, trattandosi all’evidenza di area già edificata, e dunque non di area edificabile.
E’ evidente, almeno per noi, la discrasia con la sentenza della Corte di Cassazione n. 5166/13 sopra commentata; è benvero che nella stessa sentenza n. 23801/17 si richiama la n. 5166/13, definendola però non conferente, motivando l’inconferenza con la diversità di imposta in discussione (qui ICI, lì Irpef).
Ma anche se si tratta di due imposte diverse, con presupposti impositivi diversi, non pare certamente logica e giustificata una diversa qualificazione della stessa fattispecie concreta, in quanto trattasi, sempre e comunque, di fabbricato collabente che insiste su un terreno, a prescindere da quale imposta si stia analizzando.
Ricordiamo che se, invece, l’immobile al Catasto fosse solo dichiarato inagibile, l’IMU si pagherebbe comunque, anche se ridotta alla metà.
L’analogia rispetto alla cessione degli immobili da abbattere
Ricordiamo qui in via marginale, visto che si è parlato di immobili diroccati, la vexata quaestio riguardante la cessione degli immobili da abbattere, aspetto ancora in evoluzione, dopo che l’Amministrazione Finanziaria aveva cercato per molti anni di considerare tali cessioni come cessioni di area. Per certi versi, la questione è analoga agli immobili collabenti.
Ricordiamo come fino al 2008 i plusvalori relativi a tali compravendite (esclusi sempre in ogni caso immobili ereditati o posseduti da oltre 5 anni), non erano mai stati oggetto di alcuna tassazione, ai fini delle imposte dirette. A seguito di una risposta ad un interpello, l’Amministrazione Finanziaria (Risoluzione n. 396/E/2008), ha ritenuto invece tali cessioni assoggettabili ad Irpef, essendo di fatto equiparate alla cessione di terreni edificabili. Da qui il via ad un grande contenzioso che vede lo scontro tra contribuenti, i quali hanno ceduto un fabbricato da demolire, e l’Agenzia delle Entrate, che riqualifica tali atti come cessione di terreno edificabile.
Numerosissime sono state le sentenze di Commissioni Tributarie in questi anni, sentenze che hanno contrastato l’approccio dell’Amministrazione Finanziaria. E con esse anche sentenze della Cassazione, nel 2014, nel 2016 e nel 2017. La Suprema Corte aveva dapprima confermato l’orientamento della dottrina, e cioè che non si può considerare cessione d’area una cessione di fabbricato, esclusivamente per questioni che esulano dall’atto stesso. Con i primi interventi della Cassazione, del 2014 (sentenza n. 4150 e 15629 e nello stesso senso n. 15630 e 15631), interventi favorevoli ai contribuenti, sembrava si potesse mettere un punto fermo sulla questione. Tale illusione però è durata poco; infatti a sorpresa, una specifica interrogazione parlamentare di luglio 2014 sul punto ha avuto come risposta la conferma del corretto operato degli Uffici, disattendendo quanto sostenuto dalla Cassazione, quattro sentenze univoche ritenute evidentemente per l’Amministrazione Finanziaria di nessun conto.
Il testo dell’interrogazione di Giulio Cesare Sottanelli (n. 5-0322 del 15 luglio 2014), cui risponde, in data 31 luglio 2014, l’allora Sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Enrico Zanetti, ha esposto in modo molto chiaro la problematica.
Ci si aspettava una altrettanto esaustiva risposta, ma, purtroppo, così non è stato.
Nella risposta, infatti, viene confermato che ai fini delle imposte indirette il trattamento fiscale da applicare è quello specifico per il bene trasferito (fabbricato) il che non era messo in discussione, mentre ai fini delle imposte dirette si conferma l’impostazione “cessione di area”.
Inoltre, viene sottolineato che la riqualificazione è correttamente attuata quando basata su elementi certi e non presuntivi, come ad esempio il prezzo di cessione, la richiesta di concessioni edilizie per la demolizione e la ricostruzione dell’edificio o anche l’attività imprenditoriale svolta dall’acquirente.
Ma c’è una precisazione alquanto significativa, nella risposta: “ Tenuto conto delle argomentazioni sviluppate dall’Agenzia, questo Ministero si riserva di seguire i futuri sviluppi giurisprudenziali, monitorandone attentamente l’andamento ”.
Dopo le indicate sentenze del 2014, sempre ai fini delle imposte dirette, ci sono state due sentenze contrarie alla tesi dei contribuenti, nel 2015 (12.294 e 16.983), seguite però da ben 5 sentenze favorevoli ai contribuenti (n. 7.599 e 7.853 del 2016 e n. 4.361, 7.714 e 15.920 del 2017). Anche la sentenza della Cassazione n. 1.0113 del 21 aprile 2017, riferita invero alle imposte indirette, conferma che per le imposte dirette l’atto non può essere riqualificato.
A questo punto la situazione è questa: 9 sentenze di Cassazione (del periodo 2014/2017) favorevoli alla tesi dei contribuenti e 2 contrarie, dal 2015. Ora il Ministro, nella sua riservata dichiarata azione di monitoraggio fatta nel 2014, dovrebbe formalmente suggerire all’Amministrazione Finanziaria di presentare finalmente una circolare ad hoc. Magari anche riflettendo sull’impossibilità, per l’Amministrazione Finanziaria, di riqualificare gli atti ai fini dell’imposta di registro (novità della Legge Finanziaria 2018), concetto eventualmente estensibile ai fini delle imposte dirette, anche se invero manca ancora una norma ad hoc. Altrimenti il contenzioso proseguirebbe, con aggravio di tempo e spese, anche per la stessa Amministrazione Finanziaria.
Conclusioni
Che strano destino tributario spetta agli immobili diroccati, siano o meno collabenti. La loro cessione è considerata alla stregua della cessione degli immobili da abbattere, e conseguentemente facendola rientrare nella cessione di aree edificabili, operazione foriera di tassazione per operazione speculativa, in presenza di plusvalore.
Si confida comunque che, nella preannunciata e dovuta revisione dell’atteggiamento nei confronti della cessione degli immobili da abbattere, come si è visto, rientri anche questa fattispecie, ritornando a qualificare gli atti per quello che sono. La vendita di immobili collabenti è vendita di immobili, non di aree edificabili. Non altro.
[1] Per le modalità di dichiarazione in Catasto, vedasi Prot. N. 29440 del 30 luglio 2013 dell’Agenzia delle Entrate Direzione Generale Catasto.