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Accertamento delle perdite fiscali. Termini

di Giuseppe Rebecca
La Settimana Fiscale / Il Sole 24 ore, numero 42 - 9 novembre 2018

Premessa

Le perdite fiscali conseguite in un periodo d’imposta possono essere portate in diminuzione dai redditi nei periodi successivi:

- fino a capienza dell’80% del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta;

- entro il limite del reddito imponibile di ciascun periodo d’imposta successivo e per il 100% dell’importo che trova capienza in tale ammontare se relative ai primi 3 esercizi dalla data di costituzione dell’impresa (qualora si tratti di nuova attività produttiva).

Queste sono le previsioni di cui all’art. 84 TUIR per effetto delle variazioni apportate dal D.L. 98/2011 convertito in legge 111/2011.

Precedentemente la riportabilità delle perdite era limitata al quinto periodo di imposta successivo, salvo le perdite dei primi tre esercizi.

Ci si chiede: entro quale termine l’ufficio potrà effettuare un accertamento su tali perdite?

La domanda potrebbe apparire opziosa, ma come vedremo non lo è; quello del termine per l’accertamento è una questione dibattuta. .

La risposta che si può dare è molto semplice e lineare; i termini per l’accertamento sono necessariamente quelli dati dal legislatore, e non possono essere dilatati nel tempo, come invece vorrebbe l’Amministrazione Finanziaria. I termini non possono che decorrere esclusivamente dall’esercizio della indicazione delle perdite.

Un caso concreto

Vigente la normativa precedente, era stato effettuato un accertamento proprio relativamente a questa tematica. E ora, con l’allargamento dei termini, per l’utilizzo delle perdite, la questione da un punto di vista teorico potrebbe anche riproporsi con maggior frequenza.

I termini che l’Ufficio ha per effettuare l’accertamento delle perdite, per eventualmente ridurle, decorrono dal periodo di imposta di realizzo delle perdite stesse o dal periodo in cui tale perdita è utilizzata?

Una Agenzia delle Entrate aveva appunto sostenuto la tesi secondo la quale i termini per l’accertamento su una perdita fiscale decorrevano dall’utilizzo della stessa, e non dal periodo di formazione.

E con la modifica normativa che ha eliminato il vincolo temporale dei 5 anni, la questione potrebbe divenire evidentemente anche del tutto irrazionale. Di seguito si riporta un caso concreto accaduto ante variazione normativa, ma si pensi che, applicando la tesi esposta, erroneamente, qualora si utilizzassero le perdite 10 o 15 anni dopo la loro dichiarazione, ancorchè solo per l’80% dell’utile, l’ufficio potrebbe ritenersi in diritto di effettuare accertamento su 10 o 15 anni prima. Assurdità bella e buona.

Ma vediamo il caso specifico:

Perdita fiscale dichiarata nell’esercizio 1996

Utilizzo nell’esercizio 2001

Accertamento nell’esercizio 2005.

Il termine per l’accertamento della perdita 1996 sarebbe stato normalmente il 31 dicembre 2002 (5 esercizi dopo la effettuata dichiarazione).

L’ufficio aveva invece sostenuto che la perdita era accertabile anche successivamente, nel 2005, in quanto l’utilizzo si era verificato solo nel 2001, e nel 2005 i termini per l’accertamento per l’esercizio 2001 non erano evidentemente ancora scaduti.

Il caso, semplice, addirittura banale, è tutto qui.

Riportiamo quanto allora sostenuto dall’ufficio: “soltanto l’utilizzo della perdita incide in ordine alla determinazione del debito di imposta”.

Non ha quindi “valore il momento della “indicazione” della perdita riportabile, che non comporta alcun recupero d’imposta, ma vale il momento di “utilizzo” della perdita stessa, cioè il momento in cui è portata in diminuzione dai redditi imponibili.

D’altronde, a ben vedere, la perdita non ha per definizione natura tributaria, essendo il risultato economico di una attività imprenditoriale, e non è neanche un credito d’imposta; possiede invece rilevanza fiscale quando, a termini di legge, viene riconosciuta scomputabile dal reddito imponibile in esercizi futuri.

Pertanto, sia l’indicazione della perdita che il suo riporto nel prospetto delle perdite in sede di dichiarazione, anno dopo anno, non rappresentano violazioni tributarie contestabili mentre il suo effettivo utilizzo in compensazione fa rilevare, quando il suo importo è determinato da una errata qualificazione dei proventi esenti, la violazione della norma dell’art. 102 del Tuir e dunque la sua contestabilità a partire da quel momento fiscale.

Conclusivamente si può affermare che l’ufficio, anche nel caso in cui le perdite utilizzate in compensazione risalgono a periodi d’imposta non più accertabili, è comunque legittimato a procedere alla rettifica della dichiarazione interessata dalla compensazione, avendo rilevanza il momento dell’utilizzo della perdita e non quello della sua formazione”.

Qualche considerazione

Secondo l’Agenzia delle Entrate “ha valore il momento di utilizzo della perdita…. e non quello della sua indicazione”.

Ma così non è, né può essere: quantificazione e qualificazione della perdita rappresentano due momenti imprescindibili e logicamente consequenziali tra loro. Dapprima viene dichiarata una perdita di esercizio (momento della quantificazione), che diventa così riportabile negli esercizi successivi (momento della qualificazione). In quanto riportata, la perdita potrà essere utilizzata in compensazione dei redditi futuri, nei limiti temporali stabiliti dalla legge. E’ evidente che non ci potrà essere utilizzo della perdita se prima questa non sia stata dichiarata e, conseguentemente, non ne sia stata determinata l’entità.

E questa perdita dichiarata, e conseguentemente riportabile, potrà essere oggetto di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria dal momento in cui è stata dichiarata, e quindi quantificata e qualificata come riportabile, non con decorrenza successiva. Nessuna norma prevede ciò.

L’Agenzia avrebbe potuto accertare la entità della perdita nella sua prima indicazione; se ciò non è avvenuto, nei termini di legge, la perdita è divenuta definitiva, come pure definitiva ne è divenuta la natura. Decorso il termine per l’eventuale accertamento, nulla può più essere eccepito al riguardo.

Si verifica quindi una assoluta identità, ai fini accertativi, tra quantificazione e qualificazione della perdita.

I termini per l’accertamento dell’entità della perdita sono necessariamente gli stessi termini che riguardano l’accertamento della sua natura; non esistono termini diversificati.

L’orientamento dell’ufficio, in base al quale l’avviso di accertamento “è tempestivo e rispetta i termini disposti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973” poiché “ha valore il momento di utilizzo della perdita, cioè il momento in cui è portata in diminuzione dei redditi imponibili, e non quello della sua indicazione” non ha pregio e va respinto.

Non vi sarebbe nulla di strano al riguardo, se qualità e quantità della perdita fossero due cose diverse, distinte, differenti: ma, come già abbiamo sostenuto, entità e natura della perdita sono strettamente connessi, sono due aspetti strettamente collegati, e in definitiva sono esattamente la stessa cosa.

La Commissione Tributaria Regionale di Venezia

La Commissione Regionale di Venezia (sentenza n. 18/2007 del 16 aprile – 12 giugno 2007) ha riconosciuto valida la tesi sostenuta dalla società:

“Ritiene la Commissione che l’eccezione di intervenuta decadenza dei termini dell’accertamento, sollevata dalla difesa del contribuente nel ricorso introduttivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, sia fondata.

Prevede tale ultima disposizione normativa che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.

Tale disposizione ha effetto per le dichiarazioni presentate a decorrere dal 1° gennaio 1999, ossia per le dichiarazioni relative all’anno 1998.

Per quelle presentate precedentemente i termini erano fissati in cinque anni.

Nel caso in esame siamo di fronte ad un avviso di accertamento emesso in data 17 novembre 2005 con il quale l’ufficio provvedeva a recuperare per l’anno 2001 (Modello Unico 2002), un reddito imponibile azzerato mediante l’utilizzo in compensazione di una perdita dichiarata nell’anno 1996.

Nella fattispecie, dunque, l’ufficio è di fatto intervenuto su di un esercizio che poteva ancora essere oggetto di accertamento, ossia il 2001, rettificando però la perdita risalente al 1996, ovvero a nove anni prima dell’emissione dello stesso avviso di accertamento”.

Evidentemente, “scindere il momento di utilizzo della perdita da quello della sua indicazione comporta una inammissibile dilatazione dei termini di decadenza per l’accertamento.

L’adozione di tale tesi da parte dell’Amministrazione finanziaria lascia aperta la possibilità di intervenire su elementi, quale la perdita riportabile, dichiarata ben nove anni prima con un sostanziale mancato rispetto del termine imposto normativamente.

…la quantificazione e qualificazione della perdita rappresentano due momenti imprescindibili e strettamente consequenziali tra loro.

Non possono essere distinti.

La perdita di esercizio diviene riportabile nei cinque anni successivi e, in quanto riportata, potrà essere utilizzata in compensazione dei redditi futuri, nei limiti temporali stabiliti dalla legge.

E’ evidente come non vi possa essere utilizzo della perdita se prima questa non sia stata dichiarata e, conseguentemente, non ne sia stata determinata l’entità.

La perdita dichiarata poteva essere oggettodi accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria dal momento in cui è stata quantificata e qualificata come riportabile, non con decorrenza successiva.

La perdita della quale si discute è stata dichiarata per il 1996 e, quindi, non essendo stata oggetto di rettifica da parte dell’ufficio entro il termine perentorio del 31 dicembre 2002 (art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 previgente) era già divenuta definitiva per il 2005.

Dal 1° gennaio 2003 l’Amministrazione finanziaria non poteva più fare accertamenti su tale perdita essendo decorso il termine per l’eventuale accertamento.

La perdita è stata considerata riportabile dalla società e tale affermazione – impostazione avrebbe potuto essere oggetto di accertamento da parte dell’ufficio.

I termini per l’accertamento dell’entità della perdita sono necessariamente gli stessi che riguardano l’accertamento della sua natura”.

Altre Commissioni Tributarie

Nello stesso senso, più recentemente, anche la CTR Piemonte (n. 1332/31/14 del 14 dicembre 2014) che conferma la precedente CTP Torino n. 108/13/12) in un caso relativo all’utilizzo di perdite di società fuse e CTP Reggio Calabria 217/2016.

Conforme CT Regionale Lombardia 9 maggio 2013 n. 56 e anche Cassazione n. 417 del 14 gennaio 2015.

In questa fattispecie un ufficio fiscale aveva rettificato il reddito imponibile dichiarato da una società disconoscendo a sua compensazione ex art. 102 del Tuir (attuale art. 84 del Tuir) l’importo di una perdita pregressa. E questo in quanto tale perdita era stata a sua volta oggetto di autonomo accertamento in rettifica, con riguardo all’anno di imposta di sua formazione.

La Cassazione ha evidenziato la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra le due controversie, tale da rendere necessaria, ex art. 295 Cod. Proc. Civile, la sospensione del giudizio relativo all’anno da ultimo accertato in attesa di definizione di quello relativo all’anno con risultato in perdita.

“Nell’assumere tale decisione, si è perciò inevitabilmente considerato che l’accertamento sulla quantificazione e sulla reale disponibilità delle perdite fiscali da riportare a nuovo ai fini Ires vada effettuato con riguardo all’anno d’imposta in cui le stesse perdite si sono formate; e non in quello (successivo) in cui sono compensate a riduzione del reddito imponibile.

Dalla qual cosa deriva l’ovvia conseguenza, già accennata in precedenza, che i termini di accertamento ex art. 43 D.P.R. n. 600/1973 debbano ragionevolmente decorrere a partire dal suddetto anno di emersione delle perdite” [1]

Le sanzioni

Resta il fatto che la sanzione per infedele dichiarazione non può trovare applicazione per il periodo d’imposta in cui la perdita è stata dichiarata, mancando un reddito imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, così come prevede l’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Nel caso concreto, infatti, se il periodo di imposta oggetto di rettifica resta in perdita, e quindi si tratta soltanto di una riduzione della perdita dichiarata, non vi sono un maggior imponibile o comunque una maggiore imposta da versare.

In effetti manca la base cui commisurare per l’applicazione della sanzione per infedele dichiarazione. Nel periodo di imposta in cui la perdita è stata dichiarata potrebbe applicarsi solo la sanzione per dichiarazione inesatta, prevista dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997.

In ogni caso, a prescindere dalle perdite fiscali compensabili, la Commissione ha ritenuto che sui maggiori redditi accertati si rendono comunque applicabili le sanzioni per infedele dichiarazione ex art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997 (Cass. N. 16333/2012, n. 6633/2014 e n. 12460/2014). Anche se il maggior reddito fiscale accertato dovesse risultare integralmente compensabile con le perdite pregresse, di modo che, dalla verifica operata dagli uffici fiscali non dovesse conseguire alcun maggior reddito imponibile, la rettifica di elementi reddituali sottratti ad imposizione Ires si configurerebbe in ogni caso come fattispecie di “dichiarazione infedele”, sanzionabile ai sensi del citato art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997. Si tratta di una conclusione assai criticata dalla dottrina, in quanto “la disposizione sanzionatoria presuppone, anche sotto il profilo letterale, che il contribuente esponga in dichiarazione un reddito imponibile (o un’imposta) inferiore a quello accertato: la qual cosa, per principio, non può emergere in ipotesi di integrale compensazione dei redditi con le perdite fiscali pregresse, data l’assenza di danni erariali.

Ma in ogni caso, nemmeno l’eventuale circostanza che il contribuente abbia sottotratto ad imposizione componenti del “reddito impresa”, compensabili comunque con le perdite fiscali pregresse, sembra poter giustificare l’applicazione della sanzione sostanziale individuata dalla Cassazione, data la menzionata assenza di un reddito imponibile e/o di una maggiore imposta dovuta dallo stesso contribuente.

Altri riferimenti

Possono risultare interessanti anche altri riferimenti sempre legati al mondo fiscale, per certi versi caratterizzati dalle stesse problematiche che derivano dall’accertamento della perdita.

Ci riferiamo in particolare, ai costi pluriennali.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 9993 del 24 aprile 2018) ha stabilito, che le quote di ammortamento non possono essere rettificate qualora sia decorso il termine per l’accertamento relativo al periodo d’imposta nel corso del quale era stato sostenuto il costo ed era iniziata la procedura di ammortamento. E questo in sintonia con altra precedente sentenza della norma di comportamento n. 200/2017 dell’AIDC: in presenza di accertamenti basati su fatti avvenuti in periodi d’imposta precedenti a quello oggetto di controllo, il contribuente non può essere gravato da un onere probatorio eccedente quello previsto per legge sul piano degli obblighi di conservazione documentale.

Il criterio dell’autonomia dei periodi di imposta non rileva in termini assoluti ed incondizionatamente, perché non opera in relazione a “situazioni geneticamente unitarie e, tuttavia, comunque destinate a ripercuotersi su annualità successive”.

La Cassazione ha anche tenuto conto delle sentenze della Corte Costituzionale del 15 luglio 2005, n. 280, e del 19 novembre 2004, n. 352, nelle quali è stato affermato che, “nella prospettiva di cui all’art. 24 Cost., è conforme a Costituzione, e va ricercata dall’interprete, soltanto una ricostruzione del sistema che non lasci il contribuente esposto all’azione esecutiva del Fisco per i termini eccessivamente dilatati”.

In presenza di costi che danno luogo a diritto a deduzione frazionata in più anni e di quote di ammortamento, la decadenza in danno dell’Agenzia delle Entrate deve ritenersi necessariamente maturare con il decorso del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa ai periodi fiscali in cui i costi sono stati concretamente sostenuti e l’ammortamento è stato iscritto a bilancio”.

Nello stesso senso, Cassazione n. 9834/2016, che ha confermato la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sentenza del 21 ottobre 2014, n. 5477: “legittima la deduzione della quota di ammortamento cristallizzatasi nel tempo per effetto del mancato tempestivo esercizio dei poteri di controllo e verifica da parte dell’Ufficio”. Precedentemente, la Corte di Cassazione n. 15178/2010, aveva invece asserito che, pur essendo l’Ufficio decaduto “dalla possibilità di rideterminare valori riferiti a spese per immobili in anni precedenti, ….. è possibile la regolarizzazione di calcoli delle quote di ammortamento per gli anni successivamente accertati”.

Per quanto possa essere di ausilio, si ricorda anche CTP Reggio Emilia n. 128 del 15 maggio 2017.

La fattispecie riguardava spese sostenute per riqualificazione energetica, e i termini per la notifica degli avvisi di rettifica e di accertamento. Così si è pronunciata la Cassazione “Il disconoscimento delle detrazioni per spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio non può essere “ricondotto” ad un controllo formale ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, ma deve essere operato dall’Ufficio, mediante la notifica di un motivato avviso di accertamento. Tutto ciò, nel rispetto dei relativi termini decadenziali decorrenti in relazione alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui si è verificato il momento genetico della detrazione, ossia l’anno in cui le spese sono state sostenute. In altri termini, le spese di ristrutturazione devono essere disconosciute nell’anno di sostenimento, poiché va motivatamente contestata l’origine e la sussistenza dei presupposti. Conseguentemente, non rileva il fatto che, per effetto della rateazione, la detrazione (frazionata) prosegua oltre i citati termini decadenziali.

Certamente si tratta di una fattispecie diversa, ma il principio applicabile è evidentemente lo stesso.

Il parere di AIDC

L’Associazione italiana dei dottori commercialisti ed esperti contabili (AIDC) con la norma di comportamento n. 200 (ottobre 2017) ha analizzato la questione relativa all’onere probatorio gravante sui contribuenti in presenza di accertamenti basati su accadimenti intervenuti in periodi d’imposta precedenti a quello oggetto di controllo, per i quali è già spirato il termine di decadenza per l’accertamento. La tesi sostenuta è che l’accertamento dovrebbe in tal caso riguardare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il costo è stato sostenuto e contabilizzato. Qualora ci fossero dei successivi controlli relativi ad un periodo d’imposta successivo il contribuente è, quindi, chiamato soltanto “a produrre un’ordinata e regolare tenuta delle scritture contabili”, e non è gravato dall’obbligo di produrre documenti risalenti all’esercizio in cui il bene è stato acquistato, quando sia spirato il termine di decadenza dell’accertamento relativo a quel periodo d’imposta.

Può, di conseguenza, comprovare la correttezza del proprio operato “avvalendosi di ogni ragionevole mezzo di prova, individuabile nelle scritture contabili e ausiliarie, nelle dichiarazioni dei redditi dei periodo d’imposta ancora accertabili, nei contratti, nelle perizie e in qualsiasi ulteriore documentazione del cui obbligo di conservazione il contribuente sia ancora gravato, ovvero sia stato oggetto di volontaria conservazione, anche oltre”.

Conclusioni

Qualora una dichiarazione dei redditi evidenzi una perdita, decorso il termine per l’accertamento e la rettifica di tale dichiarazione, questa diviene definitiva e non può più essere oggetto di accertamento.

Non può essere sostenuta la tesi dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale le perdite sono accettabili nei limiti temporali di accertamento relativi ai periodi di imposta in cui sono state utilizzate. Si tenga anche conto che altrimenti, con la possibilità di utilizzo senza più limiti temporali, i due eventi potrebbero anche differire di molto, nel tempo. E non pare logico, oltre che non previsto dalle norme, dilatare in questo modo i tempi degli accertamenti.

La posizione dell’Agenzia tende probabilmente ad evitare eventuali abusi di diritto costituiti dalla possibilità di generare una perdita fittizia non utilizzata per i primi 5 periodi successivi (un eventuale accertamento a rettifica di tali perdite, non comporterebbe il versamento di alcuna imposta), che si intende utilizzare solo successivamente a tali periodi.

Ma in ogni caso non pare sostenibile l’interpretazione data dall’Agenzia delle Entrate.



[1] Elena Mattesi (Il fisco n. 20/2015 p. 1-1930)

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