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La correzione degli errori di bilancio

di Francesca Dalla Vecchia
Il Commercialista Veneto, N. 230 - Marzo / Aprile 2016

Nella prassi operativa della contabilizzazione nelle aziende accade, talvolta, che nel corso dell’esercizio o in concomitanza alla redazione del bilancio di esercizio, siano riscontrati degli errori nelle registrazioni contabili relativi a uno o più esercizi. Osservato che la presenza di errori contabili potrebbe generare la inattendibilità del bilancio stesso, ci rendiamo conto non solo di quanto sia importante riscontrare, se esistenti, tali errori, ma poi anche correggerli.

In tale senso è intervenuto l’Organismo Contabilità Italiano che, con il suo ambizioso progetto di revisione dei principi contabili nazionali, ha semplificato e chiarito molte incertezze in merito alla correzione di errori. Stiamo parlando in particolar modo del nuovo OIC 29, approvato in data 5 agosto 2014.

 

Definizione di errore

Una rappresentazione qualitativa e/o quantitativa non corretta di un dato di bilancio e/o di un’informazione fornita in nota integrativa” è la definizione di errore contabile fornita dal nuovo principio contabile nazionale OIC 29. Sul piano operativo, il medesimo principio, precisa anche che un errore consiste nell’applicazione impropria o mancata di un principio contabile, se, nel momento in cui esso viene commesso, siano disponibili le informazioni ed i dati necessari per la sua corretta applicazione. Lo stesso può quindi dipendere da imprecisioni matematiche, da erronee interpretazioni di fatti o da negligenza nel raccogliere le informazioni ed i dati disponibili per un corretto trattamento contabile.

Una delle principali novità introdotte dalla nuova versione del principio, riguarda l’eliminazione della precedente distinzione tra errori determinanti e non determinanti, sostituita con l’identificazione degli errori marginali o addirittura irrilevanti. Essi sono quelli che “ non possono essere assimilati a quegli errori che invece arrecano pregiudizio alla conformità del bilancio con il postulato della rappresentazione veritiera e corretta”. Considerando l’estrema varietà delle possibili fattispecie, il principio nazionale non definisce, però, una soglia di significatività e di rilevanza dell’errore. La motivazione di questa scelta potrebbe risiedere nel fatto che ci possono essere errori che, pur non essendo rilevanti sul piano quantitativo, lo sono sul piano qualitativo oppure diventano rilevanti per le conseguenze che si sarebbero determinate qualora non fossero stati commessi. [1] La rilevanza dell’errore deve, quindi, essere valutata caso per caso.

Ad ogni modo, quando si verifica un errore, questo dovrà essere rilevato nel momento in cui è individuato e sono disponibili le informazioni ed i dati per un suo corretto trattamento.

 

Classificazione

Nel rispetto dell’OIC 29 la correzione di un errore relativo ad esercizi precedenti deve essere effettuata attraverso la rettifica della voce patrimoniale che a suo tempo fu interessata dall’errore, imputando la contropartita al Conto economico dell’esercizio in corso, nella voce E20 oppure E21, cioè nei proventi e oneri straordinari. Di conseguenza le rilevazioni contabili da eseguire sono:

· in caso di un errore che determina la riduzione di un’attività o l’incremento di una passività:

Componenti negativi di reddito relativi ad esercizi precedenti: Sopravvenienze passiva

a

Attività (o passività)

· in caso in un errore che comporta l’incremento di un’attività o la riduzione di una passività:

Attività (o passività)

a

Componenti positivi di reddito relativi ad esercizi precedenti: Sopravvenienza attiva

La suddetta soluzione contabile consente di rispettare il principio di continuità nel tempo dei bilanci, secondo il quale lo Stato patrimoniale di apertura di un esercizio deve corrispondere alla Stato patrimoniale di chiusura dell’esercizio precedente. A tale criterio fanno però eccezione quelle correzioni che non hanno mai avuto influenza diretta sul Conto economico. Ad esempio: la correzione di scritture contabili a seguito di operazioni straordinarie, quali fusione, scissione, ecc e le rivalutazioni iniziali di una immobilizzazione a seguito di specifiche norme. [2]

In questi casi la correzione di errori comporta la rettifica delle relative voci di patrimonio netto e sono:

· in caso di un errore che determina la riduzione di un’attività o l’incremento di una passività

Riserve

a

Attività (o passività)

· in caso in un errore che comporta l’incremento di un’attività o la riduzione di una passività:

Attività (o passività)

a

Riserve

Esempi di correzioni degli errori

Ai fini di una corretta rilevazione degli errori è necessario distinguere:

· se l’errore ha inciso sui costi o sui ricavi, in questo caso si dovrà necessariamente seguire l’indicazione dell’OIC 29, secondo cui, al fine di salvaguardare il principio della continuità dei bilanci d’impresa, si dovrà rettificare la posta patrimoniale che a suo tempo fu interessata dall’errore con contropartita la voce sopravvenienze attive o passive. In questo modo l’effetto della correzione si ripercuoterà sul conto economico dell’esercizio corrente;

· se l’errore non incide sui costi e sui ricavi si potranno, invece, rettificare direttamente i conti finanziari interessati (cioè senza interessare il conto economico dell’esercizio corrente).

E’ necessario evidenziare, tuttavia, che il principio contabile OIC 29 non prende in considerazione quest’ultima possibilità d’intervento, se non nelle eccezioni previste. Il documento in esame sembra infatti concentrarsi unicamente sugli errori che hanno un impatto sul conto economico e quindi sul risultato d’esercizio.

In ogni caso l’ipotesi di dover movimentare i conti “sopravvenienze attive/passive” al fine di correggere un errore puramente finanziario non sembra attuabile in quanto si porrebbe in contrasto con il principio di rappresentazione veritiera e corretta. Si consideri il caso di un incasso mai avvenuto, registrato erroneamente per cassa nell’esercizio precedente. Se si dovesse correggere tale errore “transitando” per il conto economico si dovrebbero movimentare sia il conto “sopravvenienze passive”, in contropartita al conto “cassa”, sia il conto “sopravvenienza attiva”, in contropartita al conto “crediti verso clienti”. Il risultato sarebbe quello di aver inquinato il conto economico mediante l’indicazione di sopravvenienze attive e passive inesistenti e di pari importo[3]. Resta comunque inteso che quando i saldi dei conti patrimoniali variano in modo rilevante rispetto agli anni precedenti, a seguito delle correzioni, la nota integrativa dovrà esporre e motivare gli interventi che hanno determinato tali variazioni.

Si riportano di seguito alcuni esempi pratici di correzione di errori:

1) correzione di costi non rilevati (ad esempio: parcelle di avvocati, costi per servizi ecc..):

Sopravvenienze passive

a

Costo X

2) correzione di premi su acquisti:

Premi su acquisti

a

Sopravvenienze attive

3) errore nella digitazione del fondo rischi ed oneri che risulta eccessivamente capiente:

Fondo rischi ed oneri

a

Sopravvenienze attive

4) la mancata contabilizzazione della perdita su un credito commerciale relativo ad un fallimento:

Sopravvenienze passive

a

Cliente Z

5) il carente stanziamento dell'importo imputato a fatture da ricevere:

Sopravvenienze passive

a

Fornitore Y

Rilevanza fiscale della correzione degli errori

La Circolare dell’Agenzia n. 31/E del 24 settembre 2013 ha fornito chiarimenti interpretativi in merito al trattamento fiscale degli errori contabili. Nello specifico, l’Agenzia ha reso possibile al contribuente recuperare la deducibilità di costi, in passato non dedotti in violazione del principio di competenza fiscale disciplinato dall’art. 109 del TUIR, attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa.

Innanzitutto la Circolare precisa che in presenza di un errore nella contabilizzazione del costo o del ricavo, il componente reddituale non può assumere rilevanza fiscale nell’anno in cui l’errore è inserito in bilancio. Ciò significa che il costo non dedotto o il ricavo non tassato devono rilevare nel periodo di corretta competenza fiscale, e non quando sono contabilizzati in bilancio per porre rimedio all’errore commesso in precedenza.

In via preliminare, si precisa anche che nella prassi la correzione di errori rileva principalmente in presenza di errori che comportino un impatto sostanziale e rilevante sul bilancio aziendale. Come precedentemente espresso, i principi contabili nazionali non definiscono una soglia di “significatività” dell’errore, questo perché può variare da caso a caso. Ad esempio: un mero errore di calcolo relativamente modesto commesso nell’iscrivere in bilancio valori liquidi superiori al reale (di per sé non rilevante) potrebbe divenire tale se il mantenimento di un ammontare minimo di liquidità sia una condizione essenziale di un contratto, il cui mancato avverarsi comporterebbe rilevanti conseguenze economiche per l’impresa. Lo stesso OIC 11 afferma che: “e rrori, semplificazioni e arrotondamenti sono tecnicamente inevitabili e trovano il loro limite nel concetto di rilevanza; essi cioè non devono essere di portata tale da avere un effetto rilevante sui dati di bilancio e sul loro significato per i destinatari”.

Chiarito quanto premesso, l’Agenzia descrive quale dovrebbe essere il comportamento del contribuente nel momento in cui abbia corretto degli errori contabili in ordine all’imputazione di componenti di reddito.

Si supponga l’ipotesi in cui il contribuente non abbia imputato un componente negativo nel corretto esercizio di competenza. Secondo quanto previsto dalla Circolare in questione, dovrà operare, in sede dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui registra la correzione dell’errore, una variazione in aumento per sterilizzare sul piano fiscale il componente transitato al conto economico, o astenersi ad effettuare una variazione in diminuzione, per far concorrere alla determinazione del reddito d’esercizio il predetto componente, se imputato a patrimonio netto. Viceversa, se il contribuente non ha imputato un componente positivo nel corretto esercizio di competenza, potrà operare una variazione in diminuzione per sterilizzare il componente transitato al conto economico[4].

Premettendo, inoltre, l’impossibilità di dare rilievo fiscale ai componenti negativi (attraverso la cui rilevazione si esplica la correzione degli errori), nell’anno in cui sono rilevati, l’Agenzia ha comunque previsto delle modalità con cui può essere recuperata la deduzione nel periodo d’imposta di competenza.

Nello specifico, il contribuente che non ha imputato il componente negativo nel corretto esercizio di competenza, è tenuto a presentare una dichiarazione integrativa (art. 2, comma 8-bis D.P.R. 322/1998[5]) per correggere l’annualità in cui v’è stata, ad esempio, un’omessa imputazione. Per chiarire il concetto espresso dall’Agenzia si ipotizzi che, nel 2014 il contribuente abbia rilevato un’omessa imputazione di un costo di competenza del 2013, per un ammontare di 100. Si suppone inoltre che i redditi complessivi netti siano positivi.

 

ANNO D’IMPOSTA

2013

2014

Reddito

500

250

Perdite scomputabili

-

-

Reddito imponibile

500

250

Anno di rilevazione della correzione

 

X

Periodo d’imposta di competenza

∆(100)

 
 

Reddito imponibile

400

 

Periodo d’imposta di recupero del componente

X

 

Modalità di recupero

Dichiarazione integrativa a favore (Unico 2014)

 

Il contribuente potrà imputare nel 2013 il componente negativo presentando la dichiarazione integrativa a favore in Unico 2014. L’eccedenza d’imposta versata nel 2013 potrà essere utilizzata nella dichiarazione Unico 2015 riferibile al periodo d’imposta 2014. L’esempio riportato trova applicazione anche nel caso in cui il periodo d’imposta concretizza una perdita[6].

Nell’ipotesi in cui, invece, il contribuente ha omesso l’imputazione di componenti positivi è tenuto, prima di sterilizzare il componente in bilancio, a presentare una dichiarazione integrativa a “sfavore”. Al più, nel caso in cui il componente dovesse produrre effetti anche  con riferimento alle annualità successive, sarebbe necessario ricostruire tutte le annualità d’imposta successive a quella per cui è stata presentata dichiarazione rettificativa. Vediamone un esempio. 
Supponiamo che l’annualità oggetto di errore e le successive abbiano ottenuto risultati positivi in alcuni periodi d’imposta e perdite fiscali in altri. In particolare si ipotizzi che durante l’anno 2014 il contribuente abbia rilevato l’omessa imputazione di un ricavo di competenza del 2011, e che tale periodo d’imposta si sia chiuso con una perdita di 200. Il contribuente, come evidenziato dalla tabella sottostante, dovrà imputare nel 2011 il componente positivo, rettificando la dichiarazione dell’anno e quella successiva. In seguito, potrà operare la sterilizzazione del componente rilevato in bilancio nel periodo d’imposta 2014.
 
 
 
 

ANNO DI IMPOSTA

 

2011

2012

2013

2014

Reddito/Perdita

(200)

450

400

150

Perdite scomputabili

-

(200)

-

-

Reddito imponibile/perdita

(200)

250

400

150

Anno rilevazione errore

     

X

Periodo d’imposta corretto

∆100

     

Risultato di periodo rideterminato

(100)

350

   

Periodo d’imposta di ripresa a tassazione

X

X

   

Modalità di rappresentazione

Dichiarazione integrativa a sfavore (Unico 2012)

Dichiarazione integrativa a sfavore (Unico 2013)

   

Per maggiore completezza si ritiene di dover sottolineare anche quali siano gli effetti fiscali dovuti alla correzione di errori. La componente di reddito rilevata a seguito della correzione degli errori contabili non può assumere un immediato rilievo fiscale perché la relativa sopravvenienza passiva o attiva imputata a bilancio non presenta i requisiti della deducibilità (principio della competenza fiscale art. 109 del TUIR). Tuttavia, l’Agenzia ha previsto che, in base al divieto di doppia imposizione, al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di recuperare la maggiore imposta corrisposta nel periodo in cui è stato commesso l’errore. Il fine è quello di evitare lo spostamento del momento impositivo e garantire il rispetto del divieto di doppia imposizione derivante dalla mancata deduzione del componente negativo, o dalla doppia tassazione del provento.

Caso particolare

Si ipotizzi una contemporanea correzione di errori contabili, derivanti da una mancata imputazione nel corretto esercizio di competenza, sia di componenti positivi che negativi. Si immagini, inoltre, che tale correzione abbia ad oggetto annualità diverse. Nello specifico, supponiamo che nel 2014 il contribuente abbia rilevato un’omessa imputazione di un costo dell’anno 2011, pari a 110, e di un componente positivo del 2012, pari a 150.

 

ANNO D’IMPOSTA

 

2011

2012

2013

2014

Reddito/perdita

(200)

450

400

150

Perdite scomputabili

-

(200)

-

-

Reddito imponibile/perdita

(200)

250

400

150

Anno di rilevazione errore

     

X

Periodo d’imposta corretto

(110)

150

   

Risultato di periodo rideterminato

(310)

290

   

Periodo d’imposta di recupero

 

X

   

Modalità di rappresentazione

 

Dichiarazione rettificativa a sfavore

(Unico 2013, redditi 2012)

   

Nell’esempio viene rideterminata la perdita fiscale del 2011, portandola da (200) a (310), e ciò avviene sommando il componente negativo pari a (110). Ma, nel periodo successivo, l’inclusione comporta la necessità di presentare una dichiarazione integrativa a sfavore per il 2012, provvedendo a versare le maggiori imposte[7].

Orientamenti giurisprudenziali e di prassi in merito alla competenza fiscale (doppia imposizione)

Un tema molto dibattuto nella prassi e nella giurisprudenza riguarda proprio la violazione del principio della competenza temporale dei componenti di reddito. Si tratta di un’argomentazione complessa e delicata, soprattutto quando si tratta di correggere degli errori in bilancio commessi, nella maggior parte dei casi, in esercizi precedenti. La giurisprudenza e la prassi hanno più volte specificato alcuni principi al fine di evitare la doppia imposizione sul medesimo componente di reddito.

La Corte di Cassazione, in particolar modo, ha precisato l’inderogabilità del principio di competenza, affermando che al contribuente non è consentito scegliere il periodo d’imposta nel quale poter dedurre un costo[8].

La stessa Corte, con riferimento alle sentenze n. 6331 del 10 marzo 2008 e n. 16023 dell’8 luglio 2009, ha altresì affermato che, sulla base del divieto della doppia imposizione e della propria consolidata giurisprudenza in materia, al contribuente deve essere riconosciuto il diritto a recuperare la maggiore imposta indebitamente corrisposta.

Alle stesse considerazioni giungiamo analizzando l’orientamento di alcuni documenti di prassi, che in conformità agli orientamenti della Cassazione, confermano il riconoscimento del diritto alla restituzione dell’imposta versata in eccedenza, nel periodo in cui avrebbe dovuto essere correttamente imputato per competenza un componente di reddito. In particolare, la Circolare n. 23/E del 2010 ha chiarito che, al fine di evitare la doppia imposizione, il contribuente può ottenere il riconoscimento della maggiore imposta versata nel periodo di corretta imputazione del componente. Inoltre, nell’ipotesi in cui, nell’ambito dell’accertamento, l’ufficio dovesse operare il disconoscimento della deduzione di costi per violazione del principio di competenza, è intervenuta la Circolare n. 31/E del 2 agosto 2012. Quest’ultima ha evidenziato che in taluni casi, il riconoscimento dei diritto di restituzione della maggiore imposta è ottenibile anche in sede di accertamento.

Alle stesse conclusioni perviene la Circolare 35/E del 20 settembre 2012. Anch’essa, onde evitare il fenomeno della doppia imposizione, riconosce lo stesso diritto al contribuente anche nell’ipotesi di non corretta imputazione temporale di componenti positivi, che sono ripresi a tassazione dall’ufficio accertatore in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui gli stessi hanno concorso alla determinazione del reddito.

Critiche e problematiche applicative

Nonostante i numerosi chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria, in merito alla correzione di errori commessi nell’imputazione temporale dei componenti di reddito, si riscontrano, ad oggi, ancora numerose problematiche applicative.

A differenza dell’OIC 29, che disciplina la materia fornendo indicazioni per la correzione di tutti gli errori contabili, le procedure previste dalla prassi ed in particolar modo alla Circ. 31/E dell’Agenzia, si riferiscono limitatamente agli errori derivanti dalla mancata imputazione di costi o ricavi nel corretto esercizio di competenza.

Inoltre, come evidenziato da Assonime[9], il tema affrontato dall’Agenzia riguarda solamente gli errori che il contribuente ha commesso da un punto di vista fiscale, a proprio danno o a proprio vantaggio, in esercizi precedenti. In mancanza di indicazioni, ci si chiede, quindi, se i chiarimenti forniti dall’Amministrazione possano trovare spazio anche nel caso in cui il contribuente imputi erroneamente componenti di reddito che dovrebbero concorrere a formare il reddito per competenza in esercizi successivi. Non è infrequente infatti che sorgano, ad esempio, delle fatture da ricevere, rilevate in chiusura d’esercizio, per un ammontare superiore a quello successivamente fatturato a causa di errori o frodi. In tale prospettiva sembrerebbe corretto applicare la procedura in esame anche nelle ipotesi prospettate.

Sotto un altro profilo, il meccanismo previsto dall’Amministrazione pare limitato anche alle sole ipotesi di correzione di errori contabili derivanti dalla violazione del principio di competenza. Non sembrerebbe applicabile, infatti, agli errori di competenza fiscale [10].

In considerazione di tutto ciò, si ritiene che, nonostante nel nostro ordinamento non siano previste disposizioni specifiche che possano legittimare il trattamento differenziato per la fattispecie degli errori contabili, sarebbe condivisibile riconoscere la procedura prevista dalla Circolare in esame, anche per sanare tutti gli errori di determinazione del reddito d’impresa. Sul punto è auspicabile un ulteriore chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Conclusioni

Concludendo, si ricorda che qualora emergesse un fatto non considerato negli esercizi precedenti, ma fosse ad essi imputabile secondo il principio di competenza, la correzione degli errori dovrà seguire nel più breve tempo possibile. Gli amministratori quindi dovranno dimostrare di non aver ignorato il fenomeno ed imputare la correzione al conto economico nell’esercizio in corso, che avrà il valore sostanziale di sopravvenienza. Tale soluzione, prevista dal citato principio Oic n. 29, è coerente con il principio di continuità degli esercizi, considerato anche che il valore del patrimonio netto del bilancio dell'esercizio (n + 1) non diverge da quello che si avrebbe qualora fosse riapprovato un bilancio corretto dell'esercizio (n). Ovviamente, la nota integrativa dovrà descrivere accuratamente tutte le correzione resasi necessarie.



[1] F. Bava, A. Devalle, I nuovi OIC, Eutekne, Aprile 2015.

[2] N. VILLA, I nuovi principi contabili OIC, ItaliaOggi, p.166.

[3] Fondazione Accademia Romana di Ragioneria, Nota operativa n. 8/2013, p. 3.

[4] Circ. n. 31/E del 24 settembre 2013.

[5] L’art. 2 del DPR 322 del  1998 stabilisce che le dichiarazioni possono  essere  integrate  per  correggere  errori  od omissioni che abbiano determinato l’indicazione: di un maggior reddito o un maggior imponibile, di un maggior debito d’imposta, di un minor credito. Come più volte  chiarito dall’Agenzia, però, mediante  dichiarazione  integrativa  possono essere corretti anche errori materiali o di calcolo  presenti  nella dichiarazione  originaria,  possono  essere  indicati  oneri  deducibili o detraibili sostenuti dal contribuente ma per errore non  riportati,  possono essere indicati componenti negativi omessi o detrazioni o crediti  d’imposta spettanti,  eliminati  componenti  positivi  erroneamente   indicati (cfr. circolari n. 6/E del 2006, 8/E/2010, e risoluzioni  n.  41/E  del  2012,  n. 132/E del 2010, n. 459/E del 2008, n. 24/E del 2007, n. 325/E del 2002).

[6] Per gli altri esempi vedasi Circ. n. 31/E del 24 settembre 2013.

[7] Per la visione di ulteriori casi particolari si rimanda alla Circ. 31/E del 24/09/2013.

[8] Cfr. Corte di Cassazione n. 1648 del 24 gennaio 2013 e n. 10981 del 13 maggio 2009.

[9] Circ. n. 20/2014.

[10] Eutekne, S. Latorraca, Ambito di applicazione limitato per la correzione degli errori in UNICO, 8 giugno 2015.

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