Revocatoria delle rimesse bancarie, i tempi brevi penalizzano, ma non cancellano, l’istituto
di Giuseppe Rebecca e Giuseppe Sperotti
portale Il quotidiano del fisco / Sole24ore, 27 agosto 2014
È opinione comune che la revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie non interessi più, di fatto. Si pensa che sia scomparsa, e che costituisca solo un retaggio della situazione ante riforma. In due parole, la revocatoria sarebbe un po’ vintage.
Da un punto di vista pratico, poi, è già stato detto tutto, tutto è chiaro e definito, e le sentenze ad oggi note hanno chiarito ogni dubbio. Ma non è così perché si tratta di fattispecie ancora viva ed attuale.
Pur con la evidente limitazione dovuta alla riduzione a metà del periodo di riferimento (da un anno a sei mesi), la revocatoria ha ancora una sua valenza e può trovare applicazione in molte procedure concorsuali. È ben vero che i curatori per il momento trascurano queste azioni, come è comunemente riscontrabile nella pratica, ma ciò è in gran parte dovuto ad un loro comportamento specifico.
Certo il dimezzamento del periodo e i nuovi riferimenti quantitativi hanno comportato una forte riduzione degli importi revocabili, ma non per questo l’azione revocatoria è sparita del tutto.
Quanto alla interpretazione delle norme, non c’è ancora assolutamente nulla di definitivo, di consolidato. La giurisprudenza è ancora scarna, ma le problematiche non mancano di certo. Si tratta di un vero e proprio puzzle, ma alla fine si riuscirà a comporlo, ne siamo certi. Le sentenze di Tribunale ad oggi note su questa specifica questione danno una chiara dimostrazione di quanto fin qui detto: ci sono poche azioni revocatone, e le interpretazioni giurisprudenziali non sono consolidate, con tesi assai differenziate.
La “nuova” azione revocatoria delle rimesse bancarie è inevitabilmente, come già anticipato, una azione a portata ridotta, tenuto conto delle limitazioni temporali e quantitative poste dalla norma.
Il periodo di riferimento è stato infatti ridotto da un anno a sei mesi e il quantum, pur con qualche problematica anche di rilevante impatto, è ora determinato dall’articolo 70 della legge fallimentare nel differenziale tra il massimo importo a debito nel periodo sospetto e il saldo al momento del fallimento (il cosiddetto “rientro”).
In definitiva si ritiene che uno solo sia il vero problema di base che deve ancora trovare adeguata concorde soluzione: come conciliare quello che potrebbe anche sembrare inconciliabile, e cioè il nuovo articolo 67 con il nuovo articolo 70 della legge fallimentare. La nostra conclusione, già da molti condivisa, è che prevalga, almeno dall’1 gennaio 2008, l’articolo 70 della legge fallimentare e quindi è revocabile, al massimo, il differenziale tra il massimo importo a debito e il saldo al momento del fallimento. L’articolo 67 legge fallimentare che fa riferimento alle rimesse che hanno comportato una riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria, di norma non troverà concreta applicazione; sarà solo di supporto al prevalente criterio base stabilito dall’articolo 70 legge fallimentare. In definitiva, la disposizione dell’articolo 67 si dimostrerà spesso del tutto inutile.
Il rientro è dato dalla differenza tra il debito massimo raggiunto nel semestre precedente il fallimento e il saldo finale del conto. In pratica, è la parte del proprio credito che la banca ha recuperato in violazione della par condicio creditorum. La riforma della legge fallimentare del 2005 ha stabilito che sono revocabili solo le rimesse bancarie che hanno ridotto in modo “consistente” e “durevole” l’esposizione del fallito. In base al correttivo applicabile dal 2008, poi, è stato stabilito che la revocatoria non può superare il rientro. Il curatore deve:
1) verificare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca;
2) chiedere alla Centrale Rischi le rilevazioni degli ultimi 3 anni della società;
3) fare una analisi con grafici degli elaborati;
4) per ogni banca: esame dell’estratto conto dell’ultimo anno, copia affidamenti, copia produzione effetti, documenti in generale;
5) per fallimenti dichiarati dall’1/01/2008, se è verificata la conoscenza dell’insolvenza, fare la differenza tra il massimo scoperto e il saldo finale, in base al saldo disponibile (tenere conto di eventuali fogli e/o di anticipi export);
6) per fallimenti dichiarati dal 17/03/2005 al 31/12/2007, fare il conteggio per avere un riferimento in più;
7) posto che ci sia un rientro, accertare l’esistenza di più rimesse che hanno ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione. Fare i conteggi con più opzioni per importi e tempi, applicando il metodo del LIFO o FIFO degli accrediti;
8) verifica operatività di cessione dei crediti (se notificati o meno al debitore ceduto) e anticipi su fatture. In caso di modalità non consuete, il periodo revocabile diventa di 1 anno.
Per quel che riguarda la giurisprudenza, le due ultime sentenze in tema di revocatoria prodotte nel 2014 sono quelle del Tribunale di Bergamo e di Milano. Il Tribunale di Milano (giudice Francesca Maria Mammone) con sentenza 3 giugno 2014 si è occupato di un caso del tutto particolare, cioè di un c/c tenuto in vita solo per consentire i versamenti da parte del correntista. In questo caso è stata esclusa l’applicabilità dell’articolo 67, comma 3 n. 2 e dell’articolo 70 legge fallimentare.
I versamenti sono stati ritenuti revocabili quali pagamenti di debiti scaduti ex articolo 67, comma 2, legge fallimentare.
Anche la tesi dell’ipotizzata carenza di interesse da parte della curatela, in considerazione della natura ipotecaria del credito, è stata respinta, sulla base di consolidata giurisprudenza.
II Tribunale di Bergamo, con sentenza del giudice Mauro Vitiello del 28 aprile 2014, ha analizzato la revocatoria delle rimesse bancarie a tutto campo.
È la prima sentenza abbastanza completa e dà indicazioni condivisibili su molti dei punti toccati, eccetto uno: il riferimento al fido.
Ricordiamo che l’articolo 67 della legge fallimentare, limita la revocabilità alle rimesse che hanno ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione. La sentenza ribadisce la necessità di far riferimento al caso specifico:
“Tali parametri possono essere integrati dall’entità massima dell’esposizione debitoria del conto corrente nel semestre antecedente al fallimento, dall’entità media delle rimesse (ed eventualmente anche dei prelevamenti) sul conto, nel periodo sospetto o nel periodo immediatamente antecedente al semestre, dall’ammontare dell’esposizione debitoria nel momento in cui la rimessa della cui consistenza si tratta è stata effettuata, infine dall’importo massimo di cui possa essere chiesta la restituzione, così come individuato applicando il principio di cui all’articolo 70, ultimo comma legge fallimentare”. Per quanto concerne la consistenza, quindi, i criteri di riferimento possono essere l’entità massima dell’esposizione, l’entità media delle rimesse, eventualmente tenuto conto dei prelievi, riferite ai 6 mesi ante fallimento, e l’entità del rientro. Come si vede, sono criteri molto vari, quindi con piena discrezionalità del giudice.
Quanto alla durevolezza, lo è il versamento, con effetto di riduzione consistente dell’esposizione, non compensato da successivi prelievi, anche di importo diverso, ma non sufficiente da ridurre il versamento al di sotto della soglia.
L’articolo 70 legge fallimentare è applicato anche alla procedure ante correttivo, e quindi ante 1/01/2008, evidentemente considerando la norma interpretativa e con effetto retroattivo.
Un punto su cui si dissente è il riferimento al fido, anche con la nuova revocatoria, quando invece tutta la costruzione normativa è per l’esclusione di tale limite. Siamo quindi in presenza di una sentenza abbastanza completa, ma non del tutto condivisa dalla dottrina.
Illustriamo, infine, un aspetto particolare, ancora non trattato: il saldo finale.
Ex articolo 70 legge fallimentare, l’importo revocabile è dato dalla differenza tra la maggiore esposizione del periodo e l’ammontare residuo della posizione al momento del fallimento. Ma quale sarà il saldo al momento della dichiarazione di fallimento cui fare riferimento?
Di primo acchito, si sarebbe portati a considerare il saldo risultante dall’Estratto Conto, appunto alla data del fallimento.
Ma in realtà più correttamente andrebbe considerato il saldo che è stato oggetto o sarà oggetto di ammissione allo stato passivo. Quello sarà il saldo da considerare salvo peraltro quanto si dirà appresso. Appare infatti ovvio che se degli importi dovessero essere esclusi dal saldo, ai fini dell’ammissione al passivo, quello stesso saldo andrà considerato ai fini della revocatoria. Non è infatti razionalmente sostenibile l’ipotesi di poter considerare due saldi diversi, quello dell’estratto conto e quello dell’ammissione; unico dovrà essere tale importo, salvo verificare l’addebito delle competenze. Qualora poi l’azione revocatoria fosse iniziata prima della definitiva ammissione al passivo della banca, si potrà sempre variare il saldo finale oggetto di citazione.
Non risulta però che questo sia l’atteggiamento seguito, sembrando più semplicistico il riferimento all’estratto conto, come si è detto.
Ma c’è dell’altro, in particolare ci si riferisce agli addebiti di interessi e di competenze. Vanno ad incrementare tout court il saldo finale?
Inizialmente pensavamo di si, come sembrerebbe normale. La norma parla di “ammontare residuo delle pretese alla data in cui si è aperto il concorso”, dato finora inteso come saldo al momento del fallimento, e se la banca ha addebitato interessi e competenze, si considererà il saldo che ne risulta. Ma non ne siamo del tutto sicuri.
Una esemplificazione pratica può essere di ausilio per introdurre il tema. Si ipotizza il seguente caso, volutamente esasperato:
- maggiore esposizione del periodo 100
- addebito di interessi e commissioni qualche giorno prima del fallimento 50
- esposizione al momento del fallimento: 00!
Applicando l’articolo 70 della legge fallimentare, cosa risulta come importo revocabile? La risposta immediata è: zero, appunto, dato da 100-100. Ma la risposta non convince. Infatti, la banca, addebitando le competenze, è come se si fosse pagata, ai fini della revocatoria.
Prima dell’addebito il rientro era evidente, era appunto di 50. E fino a quel giorno, quello era il rientro. Se si addebitano le competenze, può essere logico che si azzeri o comunque si riduca il rientro? Così facendo la banca sarebbe trattata come un qualsiasi fornitore, i cui pagamenti nei normali termini d’uso non sono revocabili. Ed allora, volendo equiparare le due situazioni, si potrebbe arrivare a queste considerazioni: se gli interessi sono stati addebitati nei normali termini d’uso, alle consuete scadenze trimestrali, nulla quaestio. Qualora invece fossero stati oggetto di un addebito non consueto, ad esempio alla chiusura del conto o comunque in via anticipata, ecco allora che probabilmente l’addebito non dovrebbe essere considerato.
Ma a questo punto il discorso può allargarsi. E tutti gli addebiti precedenti, è giusto considerarli? Diremmo di si, anche se qualche problematica potrebbe emergere pure per tali addebiti.
Il punto merita comunque un approfondimento, che vorremmo stimolare. Non parrebbe infatti razionale far dipendere una riduzione degli importi revocabili da un addebito di interessi. E ciò creerebbe anche disparità di trattamento, tra banche che hanno addebitato gli interessi e altre che non lo hanno fatto.
Del resto, qualora la banca avesse girato il conto a sofferenza, il saldo del c/c normale sarebbe appunto zero. Non per questo qualcuno pensa di essere autorizzato a considerare quale saldo finale il saldo zero causato dal passaggio a sofferenza.
Ma in realtà dovrà considerarsi invece il saldo che è stato oggetto o sarà oggetto di ammissione allo stato passivo. Quello sarà il saldo, salvo la questione degli addebiti di interessi e competenze.
E se il conto è stato movimentato da addebiti di interessi e competenze, si potranno considerare solo se avvenuti nella scadenza consueta.