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>> Anno 2013

Sicurezza sul lavoro e modelli organizzativi nelle società: ripartizione delle responsabilità e richiesta delle esimenti ex D.Lgs. n. 231/2001

di Filippo Baggio, Giuseppe Rebecca e Guido Zanardi
Il Fisco, n.5 2013

 

Il legame esistente tra le contestazioni presentabili nei confronti degli amministratori per comportamenti colposi e quelle azionabili nei confronti delle società ex D.Lgs. n. 231/2001 per omissioni imputabili alla cosiddetta colpa dell’organizzazione, assume maggiore eviden­za nell’applicazione della normativa prevista per la tutela della sicurezza del lavoro e nella prevenzione degli infortuni. Al fine di delineare i principali soggetti interessati da doveri e re­sponsabilità, nel presente articolo sono stati esaminati i ruoli di garanzia che la normativa assegna al datore di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti, oltre alle condizioni necessarie per poter conferire le attività delegate.

1. Premessa

L’esame preliminare della struttura organizzati­va rappresenta l’elemento principale da conside­rare per poter garantire la corretta applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavo­ro e prevenzione degli infortuni.[1] All’interno delle diversità previste per l’esecuzione dei rispettivi ruoli e funzioni, il Testo Unico sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008) considera tutti i soggetti coinvolti parte integrante di un generale sistema di tutela. Doveri e responsabilità sono stati attribuiti al “datore di lavoro”, soggetto preposto alla valutazione dei rischi, all’attuazione delle misure di prevenzione, alla formazione e informazione dei dipendenti, ai preposti, figure intermedie incari­cate di dare attuazione alle prescrizioni indicate dal datore, ed, infine, ai lavoratori. Anche questi soggetti sono tenuti a svolgere le attività asse­gnate con diligenza, nel rispetto delle indicazio­ni impartite, per salvaguardare la salute propria e degli altri colleghi di lavoro. Di fronte alle diverse casistiche che si possono presentare nell’attuazione del D.Lgs. n. 81/2008, le principali questioni in merito ai ruoli e re­sponsabilità riguardano:

• l’individuazione dei soggetti incaricati, e/o delegati, a gestire la sicurezza del lavoro;

• i requisiti ed i presupposti per il conferimento di specifiche deleghe da parte del datore di lavoro al delegato;

• i poteri e le responsabilità trasferiti al delega­to; la responsabilità del datore di lavoro “re­siduale” del datore di lavoro; inefficacia della delega.

• la redazione per le società di Modelli orga­nizzativi redatti ex 30 del D.Lgs. n. 81/2008.

• la responsabilità amministrativa della società ex D.Lgs. n. 231/2001: presupposti ed esi­menti.

Oltre a interessare le società e gli enti imprendi­toriali in genere, alcuni degli argomenti sopra descritti assumono una rilevante valenza nella gestione della sicurezza sul lavoro anche per gli enti pubblici territoriali, seppur con specifi­che differenze. Nei seguenti paragrafi verranno brevemente approfondite le principali tematiche da considerare nella gestione della sicurezza e nella prevenzione degli infortuni, con particola­re attenzione alle diverse casistiche che si pos­sono presentare attenzione degli operatori, evi­denziando le differenze e le distinzioni nella ge­stione di tali aspetti a seconda del settore di ap­plicazione.

2. Le figure di garanzia: il “datore di lavoro”, il delegato, il dirigente e il preposto

Il primo aspetto da valutare nell’attuazione del D.Lgs. n. 81/2008 riguarda la definizione dei ruoli e delle responsabilità del soggetto preposto alla tutela della salute e alla prevenzione degli infortuni.

Ai sensi dell’art. 2, lettera b) (Definizioni) del D.Lgs. n. 81/2008, per “datore di lavoro” si inten­de il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, a secon­da del tipo e dell’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha responsabilità dell’organizzazione stessa, o dell’unità produttiva in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa.

Oltre alla figura del “datore di lavoro”, la norma­tiva ha inoltre definito il ruolo del “dirigente”, inteso quale persona che, nelle strutture azien­dali complesse, in ragione delle competenze pro­fessionali e di poteri gerarchici e funzionali ade­guati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa. È stato inoltre descritto il ruolo del “preposto”, quale persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico con­feritogli, sovrintende all’attività lavorativa e ga­rantisce l’attuazione delle direttive ricevute, con­trollandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.

I doveri del datore di lavoro, oltre che dei dirigen­ti ove nominati, sono descritti nel D.Lgs. n. 81/2008, e riguardano, in primo luogo, il dovere di adottare le misure generali di tutela della salu­te e della sicurezza dei lavoratori (art. 15 e 18). Come evidenziato nelle “definizioni” contenute nell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008, l’elemento discri­minante per l’individuazione del “datore di lavo­ro” è dato dalla verifica dei soggetto titolare, dei poteri decisionali e di spesa, attraverso i quali viene esercitato il ruolo di responsabile dell’orga­nizzazione, o della singola unità produttiva. Nelle società di ridotte dimensioni il ruolo di “datore di lavoro” viene ricoperto dal titolare dell’impresa o dall’amministratore unico; nelle realtà dotate di un organo gestionale collegiale, tale ruolo verrà assunto dall’intero organo deci­sionale titolare dei poteri gestionali e di spesa. Data la specificità dei doveri e degli oneri deri­vanti dalla corretta attuazione della normativa prevista per questa specifica materia, in molte società, si è provveduto a nominare un singolo soggetto responsabile per la gestione degli aspet­ti legati alla sicurezza sul lavoro (un ammini­stratore delegato, oppure un soggetto dotato di comprovata esperienza e professionalità). Tale opzione si presenta spesso quale scelta ne­cessaria in presenza di diversi sedi operative, ove, per la diversa ubicazione, viene ritenuta preferibile l’individuazione di un unico soggetto delegato alla gestione della sicurezza per uno o più stabilimenti. A questo unico soggetto viene trasferita la posizione di garanzia rappresentata dagli adempimenti e doveri spettanti al “datore di lavoro”.

Per poter essere efficace, la delega di funzioni (art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008) da parte del dato­re di lavoro, ove non espressamente esclusa, è tuttavia ammessa con i seguenti limiti e condi­zioni:

a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di pro­fessionalità ed esperienza richiesti dalla speci­fica natura delle funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle fun­zioni delegate;

e) che la delega sia accettata dal delegato per i­scritto.

Alla delega deve essere data adeguata e tempe­stiva pubblicità.

La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vi­gilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. Tale obbligo si intende assol­to in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’ art. 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008. Il soggetto delegato può, a sua volta, previa inte­sa con il datore di lavoro, delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul la­voro alle medesime condizioni sopra indicate. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al de­legante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate. L’attribuzione delle deleghe assume una notevo­le rilevanza nella definizione degli assetti orga­nizzativi delle società, soprattutto a causa delle implicazioni giuridiche, comprese quelle pe­nali, derivanti dal ruolo assunto. L’efficacia della delega attribuita dal datore di lavoro viene su­bordinata alla presenza di specifici presupposti, sia di natura forma che sostanziale. Viene ri­chiesta l’attribuzione di data certa alla procura, il possesso di professionalità ed esperienza in materia di sicurezza sul lavoro da parte del dele­gato, l’attribuzione allo stesso di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate.

Il datore di lavoro deve inoltre attribuire al dele­gato l’autonomia di spesa necessaria allo svol­gimento delle funzioni delegate; questo aspetto ri­veste spesso aspetti incerti riguardo la quantifica­zione del budget Da un lato, il potere di spesa deve garantire al delegato l’attuazione delle mi­sure e degli accorgimenti necessari per eseguire al pieno le funzioni delegate; di contro, il datore di lavoro deve poter inserire la programmazione delle spese all’interno del budget finanziario. La necessità di valutare entrambi gli aspetti e di tro­vare un punto di incontro è ben nota agli opera­tori, e spesso richiede specifica attenzione ove gli investimenti atti a garantire la sicurezza sul lavo­ro, compresi gli interventi strutturali e di manu­tenzione necessari, richiedono budget superiori agli importi attribuiti al delegato. Il budget deve infatti essere idoneo allo svolgi­mento dei compiti assegnati; oltre all’esame pre­ventivo degli interventi da eseguire, appare utile per il delegato inviare periodiche relazioni al da­tore di lavoro, avvisando con tempestività ri­guardo le iniziative e delle spese necessarie da sostenere per poter garantire la salute e la sicu­rezza sul lavoro.

La disponibilità di un autonomo potere di spesa rappresenta uno dei principali elementi richiesti per garantire l’effettività della delega; l’assenza del potere di spesa impedisce al delega­to di poter adempiere alle prescrizioni imposte dal D.Lgs. n. 81/2008, rendendo di fatto ineffica­ce la delega, esponendo ad un’eventuale conte­stazione penale il datore di lavoro. Da ultimo, la delega sia accettata dal delegato per iscritto; si presenta quindi inefficace la delega conferita dal datore di lavoro ma non accettata dal delegato per iscritto. Non è più consentito utilizzare la prova testimoniale o per fatti concludenti per dimostrare l’avvenuta accettazione dell’incarico da parte del delegato.

Nel conferimento della delega si consiglia di pre­vedere la redazione di relazioni riassuntive contenenti la sintesi delle attività eseguite, le cri­ticità rilevate, le attività svolte per garantire la formazione, l’informazione, l’aggiornamento, le misure migliorative attuate in conseguenza di infortuni, verifiche/ispezioni da parte degli enti competenti. L’onere di relazione il datore di la­voro riguardo le attività eseguite rappresenta un elemento necessario anche nel modello organiz­zativo all’interno del sistema di controlli redatto per garantire la separazione di ruoli e funzioni.

Il TU sulla sicurezza delinea la responsabilità anche del dirigente, inteso quale soggetto inca­ricato di eseguire funzioni organizzative e gestionali espressamente conferite dal datore di lavoro; ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, il ruolo di dirigente non richiede neces­sariamente l’inserimento di tale soggetto nella categoria contrattuale corrispondente. L’elemen­to discriminante è dato dall’individuazione del soggetto dotato di adeguate competenze profes­sionali e di poteri gerarchici che gli consentono di attuare le indicazioni fornite dal datore di la­voro nell’organizzazione dell’attività di impresa. Il dirigente ha l’onere inoltre di vigilare sulla corretta attuazione delle prescrizioni impartite. Secondo tale impostazione, il datore di lavoro è il responsabile dell’organizzazione dell’azienda, dotato dei poteri di spesa e gestionali necessari per poter attuare le misure e le prescrizioni im­poste dal TU sicurezza. Il Dirigente attua le indi­cazioni fornite dal datore nelle unità produttive, rimanendo tuttavia privo dei poteri gestionali e di spesa.

La posizione di responsabilità nella direzione delle attività lavorative della società, o di singole unità produttive, determina l’attribuzione a cari­co del dirigente, pur in assenza di una delega specifica, di una propria responsabilità. Secondo il TU sulla sicurezza, il ruolo ricoperto dal diri­gente determina per quest’ultimo l’obbligo di adempiere alle prescrizioni imposte nell’art. 18. L’attribuzione di tale responsabilità trova tuttavia un limite rappresentato dalle attribuzio­ni e dalle competenze attribuite dal datore di la­voro; occorre valutare caso per caso le compe­tenze attribuite al dirigente per comprendere il potere organizzativo effettivamente attribuito.

Specifiche competenze sono state inoltre previ­ste dall’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008 a carico del preposto, figura rappresentata dalla persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali ade­guati alla natura dell’incarico conferitogli, so­vrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllan­done la corretta esecuzione da parte dei lavora­tori ed esercitando un funzionale potere di ini­ziativa. Si tratta di una figura intermedia, inca­ricata di dare attuazione alle prescrizioni impo­ste dal dirigente, verificando la corretta esecu­zione delle attività realizzate dai lavoratori nel rispetto delle norme di sicurezza. Il preposto, secondo le loro attribuzioni e com­petenze, deve:

a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei disposi­tivi di protezione individuale messi a loro di­sposizione e, in caso di persistenza della inos­servanza, informare i loro superiori diretti;

b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni acceda­no alle zone che li espongono a un rischio gra­ve e specifico;

c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavo­ratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e im­mediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motiva­te, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavo­ro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condi­zione di pericolo che si verifichi durante il la­voro, delle quali venga a conoscenza sulla ba­se della formazione ricevuta;

g) frequentare appositi corsi di formazione.

3. Attività non delegabili e obbligo di vigilanza in presenza di attività delegate

Come già evidenziato, ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro ha la facol­tà di delegare ad uno specifico soggetto provvi­sto di comprovata professionalità l’esecuzione delle attività e degli adempimenti richiesti dal Testo unico in argomento per garantire la sicu­rezza sul lavoro. Vi sono tuttavia alcune attività non possono essere oggetto di delega[2] e che de­vono essere eseguite direttamente dal datore di lavoro. L’art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008 dispo­ne che il datore di lavoro non può delegare le se­guenti attività:

a) la valutazione di tutti i rischi con la conse­guente elaborazione del documento previsto dall’art. 28;

b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

La valutazione dei rischi per la salute e la sicu­rezza del lavoratore, oltre alla designazione del responsabile del servizio di prevenzione e prote­zione dei rischi, rappresentano attività che devo­no essere eseguite direttamente dal datore di la­voro; nelle società di rilevanti dimensioni, tali attività devono essere quindi eseguite dall’orga­no provvisto dei poteri amministrativi ed esecutivi.[3]

Oltre alle attività proprie del datore di lavoro (non delegabili), si presentano rilevanti le attivi­tà di vigilanza che rimangono in capo a quest’ul­timo pur in presenza di una specifica delega; secondo quanto disposto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, il conferimento di una specifica de­lega al delegato non esime completamente il da­tore di lavoro dalla vigilanza sull’adempimento delle prescrizioni necessarie a garantire la sicu­rezza sul lavoro. Si tratta di un onere residuale giustificato dalla necessità di evitare che la dele­ga possa giustificare il completo disinteresse da parte del titolare delle funzioni delegate. A tal fine, la norma prevede che l’esecuzione del­l’attività di vigilanza da parte del datore di lavo­ro si intende assolta in caso di adozione ed effi­cace attuazione del modello di verifica e control­lo di cui all’art. 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008. [4]

Secondo quanto stabilito nell’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, l’attività di vigilanza verrà considera­ta eseguita correttamente solamente se la società ha preventivamente adottato un modello orga­nizzativo contenente un idoneo sistema di con­trollo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’e­ventuale modifica del modello organizzativo do­vranno essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavo­ro, ovvero in occasione di mutamenti nell’orga­nizzazione e nell’attività in relazione al progres­so scientifico e tecnologico. In sintesi, l’obbligo di vigilanza rimasto in capo al datore di lavoro delegante si intende adempiu­to se la società ha adottato un modello di orga­nizzazione e controllo idoneo a garantire la cor­retta attuazione delle procedure redatte a tutela della salute dei lavoratori e per prevenire la realizzazione degli infortuni sul lavoro. Si tratta del medesimo modello richiesto per ri­chiedere l’esimente in capo alla società dall’ap­plicazione della responsabilità amministrativa delle società normata dal D.Lgs. n. 231/2001.

La modalità di esercizio dell’attività di vigilanza è stata approfondita nella circolare emessa dal Ministero del lavoro, contenente chiarimenti sul sistema di controllo per le aziende provviste di Modelli organizzativi redatti ex art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008. Con tale circolare sono state definite con maggior precisione le prescrizioni da seguire in materia di sistema disciplinare e nel sistema di controllo ex art. 30, comma 4, del D.Lgs. 81/2008 da adottare da parte delle società dotate di modelli organizzativi conformi alle Li­nee Guida Uni-Inail (edizione 2001) o alle BS OSHAS 18001:2007.

In particolare, la citata norma stabilisce che: “Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tem­po delle condizioni di idoneità delle misure adot­tate. Il riesame e l’eventuale modifica del mo­dello organizzativo devono essere adottati, quan­do siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di muta­menti nell’organizzazione, e nell’attività in rela­zione al progresso scientifico e tecnologico”. Al riguardo, il Ministero ha evidenziato che: “qualora, l’azienda si sia dotata di un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro con­forme ai requisiti delle Linee Guida UNI-INAIL o delle BS OSHAS 18001:2007, essa attua il pro­prio sistema di controllo secondo quanto richie­sto al comma 4 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 81/2008, attraverso la combinazione di due pro­cessi che sono strategici per l’effettività e la con­formità del sistema di gestione stesso: Monitoraggio/Audit interno e Riesame della Dire­zione. Si evidenzia però come tali processi rap­presentino, un sistema di controllo idoneo ai fini di quanto previsto al comma 4 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 81/2008 solo qualora prevedano il ruolo attivo e documentato, di tutti i soggetti della struttura organizzativa aziendale per la si­curezza, anche dell’Alta Direzione[5] (intesa come posizione organizzativa eventualmente sopra stante il datore di lavoro) nella valutazione degli obiettivi raggiunti e dei risultati ottenuti, oltre che delle eventuali criticità riscontrate in termi­ni di tutela della salute e della sicurezza sul la­voro. Cori il termine ‘documentato’ si intende che la partecipazione dell’Alta Direzione sia comprovata da atti e documenti aziendali”. Dall’esame congiunto dell’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 e della circolare emessa dal Ministero del lavoro, emerge con chiarezza il ruolo attivo di vigilanza e di indirizzo che deve essere svol­to dai vertici dell’organizzazione aziendale (monocratico o collegiale).

Pur in presenza di deleghe conferite ex art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, alle figure poste nei più al­ti livelli direzionali dell’organizzazione rimane in capo il compito di valutare gli obiettivi ed i ri­sultati raggiunti, compresa la correttezza della gestione complessiva del rischio da parte del de­legato nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Si tratta del medesimo principio confer­mato nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. IV penale, n. 10702 del 1° febbraio 2012.[6]

La definizione dell’ambito delle responsabilità residuali rimaste a carico del delegante riveste una particolare rilevanza nelle società di capi­tali. Nella ripartizione funzionale delle deleghe, il consiglio di amministrazione può provvedere a delegare l’esercizio di determinate funzioni ad un unico amministratore delegato ex art. 2381 del codice civile; qualora fossero delegate a un unico amministratore l’esercizio delle attività necessarie a garantire l’attuazione degli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro, appare utile e­videnziare come la Corte di Cassazione abbia sancito la permanenza di un dovere i vigilanza in capo agli altri amministratori. Nella sentenza espressa dalla IV sezione penale, n. 38991 del 10 giugno 2010, è stato stabilito che: “Nelle società di capitali, il conferimento di delega gestoria a uno dei componenti del consiglio di ammini­strazione non vale a escludere la responsabilità degli altri membri per il caso di morte o lesioni derivanti dalla violazione sistematica degli ob­blighi inerenti la sicurezza del lavoro e la pre­venzione degli infortuni, permanendo in capo ai deleganti un generale dovere di vigilanza e un onere di intervento sostitutivo in caso di manca­to esercizio della delega”.[7]

Al fine di adempiere al dovere di vigilanza resi­duale, appare necessario adottare specifiche de­libere contenenti:

1. la nomina del delegato in conformità alle prescrizioni richieste dall’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, oltre all’obbligo di presentare al dele­gante, con cadenza periodica, relazioni rias­suntive contenenti le attività di formazione e prevenzione eseguite per garantire la sicurezza sul lavoro, gli obiettivi raggiunti, le criticità e­merse;

2. l’attuazione di un adeguato sistema di con­trollo in attuazione di un modello organizza­tivo e gestionale conforme alle prescrizioni contenute nell’art. 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008.

In sintesi:

Pur in presenza di delega conferita dal datore di lavoro al delegato nel rispetto delle prescrizioni contenute nell’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008, le attività che devono essere svolte direttamente dal datore di lavoro riguardano:

a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’art. 28;

b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

Oltre alle attività non delegabili, rimane in capo ai più alti livelli dirigenziali il compito di valutare gli obiettivi ed i risultati raggiunti, comprese le criticità riscontrate, nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Il conferimento di delega gestoria a uno dei componenti del consiglio di amministrazione, od altro dirìgente com­petente, non vale a escludere la responsabilità residuale degli altri membri per il caso di morte o lesioni derivanti dalla violazione sistematica degli obblighi inerenti la sicurezza del lavoro e la prevenzione degli infortuni. Rimane in capo ai deleganti un generale dovere di vigilanza e un onere di intervento sostitutivo in caso di mancato esercizio della delega. La vigilanza si esplica anche mediante l’utilizzo di sistemi di verifica e controllo, disciplinati nell’art. 30, comma 4 del D.Lgs. n. 81/2008 in materia di modelli organizzativi e di controllo.

Oltre all’autonoma responsabilità posta in capo al datore di lavoro, il TU sulla sicurezza prevede ulteriori responsa­bilità poste a capo di altri soggetti per il ruolo di garanzia ricoperto; si tratta dei dirigenti e dei preposti, quali sog­getti titolari di responsabilità derivanti dalle attività di attuazione e controllo delle direttive impartite secondo le at­tribuzioni e competenze loro conferite.

4. L’obbligo di vigilanza del datore di lavoro e i Modelli organizzativi redatti ex art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008

Ai sensi dell’art. 16 del TU sicurezza, la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in ca­po al datore di lavoro in ordine al corretto esple­tamento da parte del delegato delle funzioni tra­sferite. Come accennato in precedenza, il pre­supposto di tale responsabilità deriva dalla ne­cessità di garantire che «il datore di lavoro, pur in presenza di poteri affidati al delegato, prosegua l’attività di verifica in merito al corretto a­dempimento delle attività delegate.

Si ricorda, altresì, che l’attività di vigilanza viene ritenuta eseguita se la società ha adottato un ef­ficace attuazione del modello di verifica e con­trollo di cui all’ art. 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008.

Il modello di organizzazione e controllo a cui viene fatto riferimento rappresenta il documento richiesto quale condizione necessaria per richie­dere l’esimente dall’applicazione della responsa­bilità amministrativa delle società ex D.Lgs. n. 231/2001. Tale documento prevede la valutazio­ne dei rischi a cui si trova esposta la società, e la conseguente adozione delle misure necessa­rie a prevenirne la realizzazione; i reati con­testabili sono molti; fra questi sono compresi anche quelli derivanti dalla violazione della nor­mativa in materia di sicurezza sul lavoro. Il controllo finalizzato l’attuazione del modello di organizzazione rappresenta quindi l’attuazio­ne del dovere di vigilanza residuale posto a cari­co del datore di lavoro in presenza di delega.

5. La responsabilità amministrativa della società ex D.Lgs. n. 231/2001: presupposti ed esimente

L’aspetto organizzativo e gestionale rappresenta un elemento necessario nella redazione di una adeguata struttura amministrativa; nella prassi, dopo aver provveduto ad individuare gli obblighi e i doveri attribuiti al datore di lavoro e, ove pre­visto, ai delegati, le società provvedono a redige­re una struttura organizzativa idonea a riparti­re deleghe e funzioni.

Tale modello, oltre a garantire l’adeguato livello di controlli imposto dalla normativa di settore, rappresenta uno dei principali elementi che po­trebbero consentire alla società di richiedere l’e­simente in caso di contestazione di reati com­messi in violazione delle normativa descritta nel D.Lgs. n. 231/2001.

Come noto, il D.Lgs. n. 231 del 2001, prevede l’autonoma responsabilità penale della società nel caso in cui un soggetto posto in direzione apicale, o subordinata, commetta determinati re­ati nell’interesse o a vantaggio dell’ente.[8] La fina­lità principale di tale provvedimento è rappre­sentata dall’introduzione di un modellò sanzionatorio applicabile anche al soggetto colletti­vo portatore dell’interesse economico alla base della commissione del reato; questo a condizio­ne che il comportamento illecito sia espressione della politica aziendale, o per lo meno espres­sione di “colpa di organizzazione”. L’elenco dei reati presupposto è stato gradual­mente ampliato nel corso degli ultimi anni; sono state inserite numerose tipologie di reato, com­presi i reati contro la pubblica amministrazione, i reati derivanti dalla violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, i reati contro l’industria e il commercio, in materia ambienta­le, i reati contro la persona, i reati societari, in­formatici, l’utilizzo di lavoratori extracomunitari irregolari, la corruzione fra privati, eccetera. All’interno dei reati rilevanti ai fini della norma­tiva in esame sono compresi sia i reati commessi a titolo doloso, sia quelli commessi a titolo col­poso; all’interno di questi ultimi sono compresi i reati di omicidio colposo[9] e di lesioni gravi-gravissime colpose[10] commesse in violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro[11] (art. 25-septies [12] del D.Lgs. n. 231/2001); da ultimo, i re­ati di corruzione, concussione, traffico di influ­enze, corruzione fra privati.

La responsabilità ha natura sostanzialmente penale in quanto deriva dalla commissione di un reato, viene accertata con procedimento penale e determina l’applicazione di sanzioni di natura sia patrimoniale che interdittiva rappresentate dal­l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospen­sione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’ille­cito, il divieto di contrattare con la pubblica am­ministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un servizio pubblico, l’esclusione da age­volazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’e­ventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

L’applicazione della sanzione nei confronti della società risponde all’esigenza di responsabilizza­re l’ente per i reati colposi cagionati dal persona­le apicale o dai propri dipendenti; in questo mo­do, l’applicazione della sanzione ex D.Lgs. n. 231/2001 intende colpire l’organizzazione a­ziendale, quale unico soggetto deputato a ga­rantire la prevenzione nella gestione delle attivi­tà aziendali, anche dalla realizzazione dei reati colposi commessi nell’esercizio dell’attività im­prenditoriale.

Le tipologie di reati contestabili agli enti non comprendono in modo esaustivo le contestazio­ni utilizzate dalle Procure; come di recente evi­denziato da autorevole dottrina,[13] le norme mag­giormente utilizzate dalle Procure riguardano non tanto le contestazioni di omicidio colposo, quanto gli addebiti per la commissione di delitti contro la pubblica incolumità, come l’art. 437 del codice penale in merito alla rimo­zione dolosa, od omissione dolosa, di cautele contro gli infortuni sul lavoro, oppure l’omissio­ne colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro (art. 451 del codice penale). Al verificarsi di uno dei “reati presupposto” rile­vanti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, verranno aperti due distinti procedimenti, uno a carico dell’autore materiale del reato (persona fisica), l’altro a carico della società nel cui interesse o vantaggio è stato commesso il reato. Entrambi i soggetti dovranno nominare i rispettivi legali e produrre, ognuno per proprio conto, le proprie memorie difensive.

La peculiarità delle disposizioni introdotte dalla norma è che, secondo quanto previsto dalla nor­mativa, i reati indicati negli artt. 24 e seguenti del D.Lgs. n. 231/2001 si intendono sempre commessi a favore della società, a meno che la stessa non possa dimostrare, attraverso un’a­deguata organizzazione posta in essere allo sco­po, che il reato è stato commesso dal soggetto eludendo il modello di organizzazione e control­lo. Il sistema di prevenzione aziendale costitui­sce la principale finalità delle disposizioni emes­se in materia di responsabilità di impresa ed è l’unico metodo utilizzabile dalla società per po­ter richiedere la mancata applicazione delle san­zioni.

Al verificarsi di uno di tali reati, la società dovrà strutturare la propria difesa dimostrando l’as­senza della cosiddetta colpa dell’organizzazione. Per sostenere questa argomentazione, dovrà pro­durre tutti gli elementi a disposizione sostenere la propria estraneità dall’accaduto. Nel caso in cui l’autore del reato sia un soggetto in posizione apicale la responsabilità dell’ente è presunta, salvo prova dell’adozione di un adeguato model­lo organizzativo idoneo a prevenire i reati della medesima categoria a cui appartiene quello con­testato. Nel caso in cui l’autore del reato sia un soggetto in posizione subordinata la responsabi­lità dell’ente dipende dall’eventuale violazione degli obblighi di direzione e di adeguato control­lo sul collaboratore.

Per poter dimostrare l’assenza di responsabi­lità derivanti dalla “colpa di organizzazione”, la società dovrà dimostrare:

• di aver adottato ed efficacemente attuato un Modello di Organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello realiz­zato;

• di aver affidato il compito di vigilare sul fun­zionamento e l’osservanza del Modello e di se­guire il suo aggiornamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziati­va e controllo (Organismo di Vigilanza);

• che i soggetti hanno commesso il reato elu­dendo fraudolentemente il Modello;

• che non vi è stata omessa o insufficiente vigi­lanza da parte dell’organismo di controllo in ordine al Modello.

In presenza di contestazioni presentate sulla base dell’asserita violazione della normativa antinfor­tunistica (art. 25 septies del D.Lgs. n. 231/2001), è lo stesso art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008 che descrive i modelli organizzativi e gestionali idonei ad ave­re efficacia esimente dalla responsabilità ammi­nistrativa delle persone giuridiche. Le condizioni minime sono rappresentate dall’adozione, e at­tuazione, di un modello di organizzazione in gra­do di assicurare un sistema aziendale per l’adem­pimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:

a) al rispetto degli standard tecnico-struttu­rali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biolo­gici;

b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;

c) alle attività di natura organizzativa, quali e­mergenze, primo soccorso, gestione degli ap­palti, riunioni periodiche di sicurezza, con­sultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

d) alle attività di sorveglianza sanitaria;

e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;

f) alle attività di vigilanza con riferimento al ri­spetto delle procedure e delle istruzioni di la­voro in sicurezza da parte dei lavoratori;

g) alla acquisizione di documentazioni e certi­ficazioni obbligatorie di legge;

h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.

Il modello organizzativo e gestionale deve preve­dere idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività sopra indicate; deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dal­la natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzio­ni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disci­plinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’eventuale modifica del mo­dello organizzativo devono essere adottati, quan­do siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mu­tamenti nell’organizzazione e nell’attività in rela­zione al progresso scientifico e tecnologico. In sede di prima applicazione, i modelli di orga­nizzazione aziendale definiti conformemente al­le Linee guida Uni-Inail per un sistema di ge­stione della salute e sicurezza sul lavoro (Sgsl) del 28 settembre 2001 o al British Standard O-HSAS 18001:2007 si presumono conformi ai re­quisiti di cui al presente articolo per le parti cor­rispondenti.

Al riguardo, maggiori chiarimenti interpretativi sono stati espressi nella circolare del Ministero del lavoro emessa in data 11 luglio 2011. Il Mi­nistero ha evidenziato che, pur in presenza di un sistema di gestione della salute sicurezza sul lavo­ro conforme ai requisiti delle linee Guida Uni-Inail o delle BS OHSAS 18001:2007, il controllo interno deve essere attuato in conformità a quan­to previsto nell’art. 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008.

Le attività necessarie sono rappresentate dall’Audit interno e dal riesame della direzione. Nel documento, il Ministero ha voluto eviden­ziare che il sistema di controllo interno deve prevedere il coinvolgimento di tutti i soggetti in­teressati alla sicurezza, compresa l’attività vigi­lanza post a carico dell’Alta Direzione (intesa co­me posizione organizzativa aziendale eventual­mente sopra stante il datore di lavoro). L’organo posto al vertice della gestione societaria deve quindi essere sempre coinvolto e rappresentare parte attiva nella gestione della vigilanza e nel­le risultanze delle attività di audit interno ed i­spettive realizzate per verificare la corretta at­tuazione delle disposizioni dettate per la gestio­ne della sicurezza. A tal fine, dovranno quindi essere documentare le attività realizzate per va­lutare gli obiettivi raggiunti, i risultati ottenuti e le criticità riscontrate.

Una volta adottati i sistemi per la gestione della sicurezza conformi alle Linee guida sopra indi­cate, le società dovranno adottare adeguati si­stemi disciplinari per garantire l’attuazione del modello.

6. La sicurezza sul lavoro negli enti pubblici territoriali: responsabilità e procure

Gli approfondimenti descritti nei paragrafi pre­cedenti riguardano la gestione della sicurezza sul lavoro di interesse per le società e per le im­prese in genere; alcuni aspetti assumono rilevan­za anche per la gestione della sicurezza negli enti pubblici territoriali, seppur con alcune significative differenze.

Gli enti pubblici territoriali sono soggetti alle prescrizioni previste dal D.Lgs. n. 81/2001, in materia di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro. Le disposizioni del D.Lgs n. 81/2008, e­messo in materia di tutela della salute e della si­curezza nei luoghi di lavoro, si applicano a qual­siasi tipologia di attività, sia privata che pubbli­ca, e a tutte le tipologie di rischio. Nell’art. 2, comma 1, lettera b), contenente le “definizioni”, è stato precisato che “nelle pubbliche ammini­strazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del de­creto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [14] per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funziona­rio non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio a­vente autonomia gestionale, individuato dall’or­gano di vertice delle singole amministrazioni te­nendo conto dell’ubicazione e dell’ambito fun­zionale degli uffici nei quali viene svolta l’atti­vità, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di in­dividuazione non conforme ai criteri sopra indi­cati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo”.

Appare evidente che, in assenza di specifiche de­leghe, o di deleghe prive dei requisiti minimi ne­cessari, l’organo al vertice di ciascuna Ammini­strazione pubblica riveste la figura di respon­sabile della sicurezza sul lavoro. Ne conse­gue che, in assenza di specifiche deleghe, che i Sindaci, i Presidenti di Provincia, di Regio­ne, eccetera, devono espletare le incombenze e gli obblighi imposti dal D.Lgs. n. 81/2008, assu­mendosi anche conseguenti responsabilità, an­che penali, derivanti dalla mancata/incompleta osservanza delle prescrizioni previste in materia di sicurezza sul lavoro.

Gli organi di vertice possono nominare il datore di lavoro per la sicurezza; per avere efficacia,[15] l’attribuzione delle deleghe deve essere eseguita nel rispetto di precise prescrizioni. Il funziona­rio destinatario della delega:

1. deve essere un responsabile preposto a un uf­ficio avente autonomia gestionale;

2. deve essere individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni, tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività;

3. deve essere dotato di autonomi poteri deci­sionali e di spesa.

4.

La soddisfazione dei requisiti sopra descritti per l’efficacia delle deleghe presenta alcune difficol­tà applicative, maggiori rispetto alle deleghe conferite nel settore privato. Ogni singola ammi­nistrazione deve valutare tali condizioni al fine di garantire l’esercizio da parte del “delegato” l’esercizio di una propria autonomia gestionale, decisionale e di spesa. Tali poteri dovranno at­tribuiti espressamente nella delega. L’ente pubblico dovrà verificare sulla base del­l’organigramma le funzioni apicali a cui potreb­be essere affidata la delega per la sicurezza; oltre all’autonomia gestionale, la figura dirigenziale individuata dovrà essere dotata di una propria autonomia gestionale e di un autonomo potere di spesa. La definizione specifica di tale potere, compresa la quantificazione del limite massimo consentito, presenta nella prassi alcune difficol­tà applicative. Nella delega infatti il vertice del­l’amministrazione deve conferire autonomia di spesa al delegato, tuttavia deve essere anche inse­rito l’ammontare massimo utilizzabile; que­sto per poter rispettare i limiti di spesa previsti dalla normativa per gli enti pubblici. L’inserimento di limiti esigui impedirebbe l’eser­cizio concreto delle spese e degli investimenti necessari a garantire un corretto esercizio dei poteri delegati. Di contro, in assenza di un pote­re di spesa sufficientemente capiente per poter far fronte alle esigenze necessarie, il delegato do­vrà evidenziare all’organo di vertice amministra­tivo la necessità di interventi strutturali necessa­ri per garantire la sicurezza. In assenza del pote­re di spesa necessario per far fronte alle spese necessarie per far fronte alle situazioni in cui si verifichi l’assenza delle condizioni imposte dalla normativa, il delegato dovrà adottare i provve­dimenti più opportuni, compresa la chiusura dei locali e/o la sospensione delle attività, sal­vo informare direttamente il delegante riguardo le criticità emerse.

Nell’assegnazione della delega, la definizione del potere di spesa e la comunicazione fra l’organo titolare del potere (delegante) ed il delegato (fun­zionario preposto) rappresentano due elementi da considerare con particolare attenzione.

7. Differenze utilizzate per definire il “datore di lavoro” e il soggetto “delegato” per gli enti pubblici e negli enti privati

Di particolare interesse si presenta la differenza utilizzata nel D.Lgs. n. 81/2008 per definire il “datore di lavoro” negli enti pubblici. Nell’art. 2 (definizioni) è stato precisato che “nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, [16] per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il fun­zionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministra­zioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambi­to funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo”.

A differenza di quanto previsto nel settore priva­to, ove rimangono in capo al datore di lavoro do­veri non delegabili e obblighi di vigilanza, nel settore pubblico il conferimento della delega consente di trasferire anche il ruolo di “da­tore di lavoro” al funzionario delegato, con ogni conseguente onere.

È prevista la possibilità di delegare al funzionario preposto qualsiasi attività in materia di sicurezza sul lavoro, dalla valutazione dei rischi, all’esame dell’assetto organizzativo, alla formazione, rego­lamento disciplinare da redigere secondo i- requi­siti art. 30, comma 4 e seguenti, del TU. Questo concetto trova già rispondenza anche nella passata giurisprudenza con la sentenza del­la Corte di Cassazione n. 35137/2007, dove è sta­to stabilito che, all’interno del Comune, il Sinda­co è direttamente responsabile per l’inosservan­za della normativa antinfortunistica a meno che non abbia delegato uno dei funzionari dell’Ente Locale, nominandolo ufficialmente datore di la­voro. In caso di mancata indicazione - prosegue la Corte - la conseguenza è “il permanere in capo al soggetto titolare della responsabi­lità politica - nella specie il Sindaco - della qualità di datore di lavoro e ciò ovviamente an­che ai fini della responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica”.

In questa prospettiva appare evidente la necessi­tà di curare la forma e i contenuti degli atti di nomina. Il funzionario prescelto deve essere in possesso dei poteri di gestione[17] e di spesa.[18] La possibilità da parte dell’ente di vertice di de­legare le responsabilità derivanti dagli adempi­menti previsti per la sicurezza sul lavoro, e di chiedere quindi l’applicazione dell’esimente, era già stata affermata in alcune sentenze. Secondo quanto disposto dalla Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 35137/2007, “in tema di prevenzio­ne degli infortuni sul lavoro all’internò Comune, affinchè il sindaco vada esente da responsabilità in base all’art. 2, lett. b) del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, è necessario che questi proceda al­l’individuazione dei soggetti cui attribuire la qualifica di datore di lavoro, conseguendone in difetto il permanere in capo all’organo di dire­zione politica della qualifica datoriale con attri­buzione della relativa responsabilità in materia antinfortunistica”. Nella fattispecie esaminata era stata contestata ad un sindaco la mancata redazione del documento di valutazione dei, ri­schi, oltre alla mancata designazione del respon­sabile del servizio di prevenzione e protezione e la nomina del medico competente. Nella medesima sentenza, la Corte ha evidenzia­to che: “In materia di sicurezza e salute di lavo­ratori, l’art. 2 lettera b) del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, dispone che nelle pubbliche am­ministrazioni per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione ovvero il funzionario non avente qualifica diri­genziale nei soli casi in cui quest’ultimo sia pre­posto ad un ufficio avente autonomia gestionale’ “. Per la pratica attuazione di tale norma occorre che gli organi di direzione politica - nella fatti­specie il sindaco - procedano all’individuazio­ne dei soggetti ai quali attribuire la qualifica di datore di lavoro di cui alla disposizione stes­sa, in conformità peraltro a quanto agli stessi organi imposto dall’art. 30 del D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242, contenente modifiche e integrazio­ni al D.Lgs. n. 626 del 1994. Ove tale indicazione non ci sia stata permane, in capo al soggetto ti­tolare della responsabilità politica, la qualità di datore di lavoro e ciò ovviamente anche ai fini della responsabilità per la violazione della nor­mativa antinfortunistica.

Una volta definite le condizioni e i presupposti per eseguire il trasferimento al funzionario delegato delle responsabilità e degli obblighi da seguire per dare attuazione alle prescrizioni in materia di si­curezza sul lavoro, il delegato dovrà adempiere a tutte le attività indicate nel D.Lgs. n. 81/2008 affi­date al datore di lavoro, meglio descritte negli artt. 15 (misure generali di tutela), art. 18 (Obblighi del datore di lavoro e del dirigente), art. 30 (Mo­delli di organizzazione e di gestione). Il responsabile per la sicurezza dovrà inoltre a­dottare un modello organizzativo conforme a quanto previsto nell’art. 30, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008; dovrà quindi essere redatto mediante “un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio” e, quindi, con una precisa articolazione di funzioni e di ruoli, nonché un sistema disci­plinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

8. Conclusioni

Sia gli enti pubblici che le società hanno la ne­cessità di provvedere all’adozione e all’attuazio­ne delle misure necessarie a prevenire la realizzazione di reati da parte dei propri di­pendenti; solamente l’adozione di provvedimenti idonei a prevenire tali comportamenti consente l’esonero dall’addebito di responsabilità perso­nale agli organi competenti e/o delegati negli en­ti pubblici, e a carico del patrimonio della socie­tà per i reati previsti dal D Lgs. n. 231/2001. Le nuove norme anticorruzione evidenziano la simmetria riscontrata nell’adozione delle proce­dure idonee a evitare la commissione di reati da parte di funzionari e, dirigenti e dipendenti ap­partenenti sia agli enti pubblici che privati; simi­li impostazioni sono già presenti nella definizio­ne e nella gestione delle misure necessarie a ga­rantire l’attuazione delle prescrizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro prevista dal D.Lgs. n. 81/2008.

Sulla base di queste ultime modificazioni, sia nelle società che negli enti locali, assumono va­lenza le attività di valutazione dei rischi, l’a­dozione delle procedure necessarie a garantire una corretta formazione e informazione, l’at­tuazione delle procedure organizzative, un ade­guato sistema di responsabilizzazione e di at­tribuzione delle deleghe funzionali. L’ultimo im­portante elemento è rappresentato dalla necessi­tà di attuare e documentare l’attività di internal audit, finalizzata a garantire la corretta attuazio­ne delle misure adottate.



[1] L'esame dell'organizzazione dell'ente assume una rilevanza ancora maggiore a seguito dell'entrata in vigore del nuovo piano anticorruzione, applicato sia negli enti pubblici che

alle società, secondo quanto previsto dalla L. n. 190 del 6 novembre 2012.

[2] Cass. pen., Sez. IlI, 13 marzo 2012, n. 11425: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (già prima del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17) il datore di lavoro non pote­va delegare, neanche nell'ambito di imprese di grandi di­mensioni, l'attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e la designazione del responsa­bile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi".

[3] Cass. pen., Sez. IV, sent. 10 dicembre 2008, n. 4123: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi dell'art. 17 D.Lgs. n. 81 del 2008 il datore di lavoro non può delegare, neanche nell'ambito d'imprese di grandi di­mensioni, l'attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e la designazione del responsa­bile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi)".

[4] Art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008 - Modelli di organizzazione e di gestione.

"Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad ave­re efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al D.Lgs. 8 giu­gno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l'adempi­mento di tutti gli obblighi giuridici relativi:

a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge re­lativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;

b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;

c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodi­che di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

d) alle attività di sorveglianza sanitaria;

e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;

f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;

g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni ob­bligatorie di legge;

h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.

2. Il modello organizzativo e gestionale di cui al comma 1 deve prevedere idonei sistemi di registrazione dell'avve­nuta effettuazione delle attività di cui al comma 1.

3. Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell'or­ganizzazione e dal tipo di attività svolta, un'articolazio­ne di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure in­dicate nel modello.

4. Il modello organizzativo deve altresì prevedere un ido­neo sistema di controllo sull'attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizio­ni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l'even­tuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al pro­gresso scientifico e tecnologico.

5. In sede di prima applicazione, i modelli di organizza­zione aziendale definiti conformemente alle Linee gui­da UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo per le parti corrispondenti. Agli stessi fini ulteriori modelli di organizzazione e gestione aziendale possono essere in­dicati dalla Commissione di cui all'articolo 6. 5-bis. La commissione consultiva permanente per la sa­lute e sicurezza sul lavoro elabora procedure sempli­ficate per la adozione e la efficace attuazione dei mo­delli di organizzazione e gestione della sicurezza nel­le piccole e medie imprese. Tali procedure sono rece­pite con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.

6. L'adozione del modello di organizzazione e di ge­stione di cui al presente articolo nelle imprese fino a 50 lavoratori rientra tra le attività finanziabili ai sen­si dell'articolo 11".

[5] Riguardo alla definizione di Alta Direzione si rinvia al par. n. 4.2 delle procedure BS OSHAS 18002:2008), ove viene intesa quale massimo livello direzionale dell'organizza­zione.

[6] Cass. pen., Sez. IV, 1° febbraio 2012, n. 10702; "Nel pre­scrivere che 'la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferi­te', e che 'l'obbligo di cui al primo periodo si intende as­solto in caso di adozione ed efficace attuazione del model­lo di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4', l'art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 contempla a carico del delegante un obbligo di vigilanza distinto rispetto a quello del delegato, e, in particolare, impone al delegante una vigilanza che, quale ne sia l'esatta estensione, non comporta il controllo momento per momento delle moda­lità di svolgimento delle singole lavorazioni, ma riguarda precipuamente la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato". In "Diritto e Pratica del lavoro" n. 20/2012, pag. 1306.

[7] In "Giur. It." n. 8-9/2011, pag. 1879.

[8] "La sussistenza dell'interesse richiede di valutare se l'azione sia stata compiuta con l'obiettivo di realizzare una utilità futura per l'ente; deve essere valutato l'elemento soggettivo dell'autore antecedente al compimento della condotta con­testata. Il vantaggio viene considerato come l'effettiva e rea­le utilità economica di cui ha beneficato l'ente per effetto della condotta sanzionata. La valutazione è pertanto ogget­tiva e viene effettuata ex post. La dottrina e recente giuri­sprudenza sono orientate nel considerare compatibili i cri­teri di imputazione di interesse e/o vantaggio anche in pre­senza di reati colposi. L'elemento di raccordo fra presenza, o meno, dell'interesse per l'ente verrebbe ad essere rappre­sentato dall'esercizio dell'attività imprenditoriale realizzata dall'agente nel corso del quale l'evento reato è accaduto.

[9] Art. 589 del codice penale - Omicidio colposo: "Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni".

[10] Art. 590 del codice penale - Lesioni personali colpose: "Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione perso­nale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309 (lire seicentomila ). Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 (lire duecentoquarantamila) a euro 619 (un milione e duecentomila); se è gravissima, della reclu­sione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 (li­re seicentomila) a euro 1.239 (due milioni e quattrocen­tomila). Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circola­zione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortu­ni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni".

[11] Trib. Novara, 1° ottobre 2010: "In tema di responsabilità da reato degli enti, il criterio di imputazione di cui all'art. 5, D.Lgs. n. 231/2001 può essere correlato anche ai reati colposi previsti dall'art. 25 septies, rapportando l'interesse o il vantaggio non all'evento delittuoso, ma alla condotta violativa di regole cautelari che ha reso possibile la consu­mazione del reato. Non è possibile ravvisare l'interesse o vantaggio in re ipsa nello stesso ciclo produttivo in cui si è realizzata la condotta causalmente connessa all'infor­tunio, con conseguente sussistenza automatica dei pre­supposti della responsabilità amministrativa dell'ente, so­lo perché il reato è stato commesso nello svolgimento del­la sua attività, ma è sempre necessario procedere a una verifica in concreto", in "Corriere del Merito", 2011, 403.

[12] Art. 25-septies - Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commesse con la violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro. "In relazione al delitto di cui all'articolo 589 del Codice penale, commesso con violazione dell'art. 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 123 del 2007 in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a un anno. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all'articolo 589 del Codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. In relazione al delitto di cui all'articolo 590, terzo comma, del Codice penale, commesso con violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi".

[13] Intervento dell'avv. Prof. Francesco Centonze, durante il Convegno organizzato dalla Camera Penale di Milano ri­guardo La responsabilità delle persone giuridiche con ri­ferimento ai reati ambientali e in materia di sicurezza sul lavoro, dell'I 1 settembre 2012.

[14] Art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001: "Per amministra­zioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni del­lo Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministra­zioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti auto­nomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanita­rio nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposi­zioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI".

[15] In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, la delega non avrà effi­cacia e la figura di "datore di lavoro" verrà a coincidere con l'organo di vertice dell'ente.

[16] Art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001: "Per amministra­zioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni del­lo Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministra­zioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti auto­nomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanita­rio nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposi­zioni di cui al presente decréto continuano ad applicarsi'

anche al CONI".

[17] Art. 4. comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 - Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità. "Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti am­ministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'ammi­nistrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spe­sa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati".

[18] Secondo quanto disposto nell'art. 107 del D.Lgs. n. 267/2000 (Funzioni e responsabilità della dirigenza) sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare (...)

gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa, gli atti di amministrazione e gestione del personale, eccetera.

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