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>> Anno 2013

La confusione del legislatore tra revocatoria e efficacia. Discrasia tra gli articoli 67, lettera e) e 69 bis l.f. - Effetti dirompenti nel concordato in bianco.

di Giuseppe Rebecca
portale IL CASO.it, Sezione III, 164

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. L’articolo 69 bis l.f. – 3. Effetti nel concordato “in bianco” – 4. Art. 67 lettera e) l.f. – 5. Revocabilità degli atti non autorizzati – 6. L’evidente errore – 7. Contrasto e prevalenza – 8. Articolo 67, lettera e) e lettere a), f), g) – 9. Conclusioni

1. In questo articolo analizziamo quello che a noi sembra un contrasto normativo non risolvibile: le due diverse e inconciliabili previsioni dettate dall’art. 69 bis, secondo comma (consecuzione delle procedure) e l’art. 67 terzo comma, lettere e) (revocatoria post concordato), che conferma la non revocabilità per gli atti compiuti in pendenza di concordato preventivo nel caso in cui sia poi sfociato in fallimento. Tenuto conto che l’articolo 69 bis fa retroagire gli effetti della revocatoria alla iscrizione della domanda di concordato preventivo, anche in bianco, nel Registro Imprese, mai si potrà applicare l’art. 67 lettera e), a nostro avviso. Ma procediamo con ordine, analizzando prima le diverse previsioni per approfondire alla fine l’aspetto inconciliabilità delle norme.

2. Il decreto “Sviluppo” (D.L. 83/2012 convertito, con modifiche nella Legge 134 del 7 agosto 2012) lo stesso decreto che ha introdotto il cosiddetto “concordato in bianco”, è intervenuto in modo specifico sulla questione della consecuzione delle procedure all’art. 69-bis, comma 2.

Così precisa tale secondo comma:

“Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segue “(sic.)” la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”.

È stato ora previsto normativamente quanto già la maggior dottrina e la giurisprudenza prevalente avevano peraltro interpretato.

Nel caso di consecuzione di procedure, e quindi nel caso in cui a un concordato faccia seguito una dichiarazione di fallimento, i termini per la revocatoria fallimentare si riferiscono alla prima procedura, e più precisamente alla pubblicazione della domanda di concordato preventivo.

È stata utilizzata l’espressione “termini” che parrebbe incongrua; più che di termini, si tratta infatti di tempi, di riferimenti temporali. Ma non c’è dubbio alcuno che si volesse fare riferimento proprio al periodo, in quanto gli articoli di legge esplicitamente richiamati si riferiscono appunto ad un periodo, non ad un termine.

Altra questione riguarda la data di riferimento. Ora si prevede di far riferimento alla data di pubblicazione nel registro delle imprese. Precedentemente il riferimento era discusso, e la tesi che a nostro avviso aveva la preferenza era la data di presentazione della domanda di concordato, che peraltro non andava allora iscritta nel Registro delle imprese.

Ci si può anche chiedere cosa succeda nel caso in cui il fallimento non faccia seguito alla procedura di concordato preventivo senza soluzione di continuità, nel senso che la procedura, ad esempio, non sia omologata, ma il fallimento sia dichiarato solo successivamente, magari anche dopo parecchio tempo.

Vista la norma, si applicherà il principio della consecuzione? Dal tenore letterale della norma si può ritenere di sì, anche se sul punto potrebbero essere sostenute tesi discordi. In ogni caso il Tribunale di Venezia, Sentenza 15/11/2011, estensore dottoressa Gabriella Zanon, ha ritenuto che un lasso di tempo di soli 28 giorni tra dichiarazione di improponibilità e dichiarazione di fallimento fosse ininfluente, a questi fini.

Ad ogni buon conto, con la nuova norma trova anche applicazione pratica la previsione normativa della decadenza dall’esercizio della causa di revocatoria.

Ricordiamo infatti che per i fallimenti dichiarati dal 16 luglio 2006 la decadenza per l’esercizio dell’azione revocatoria è fissata in 3 anni (precedentemente 5 anni) dalla dichiarazione del fallimento e comunque 5 anni dall’atto. Ci si era chiesto quando potesse applicarsi questo diverso termine. Ora si è chiarito, da un punto di vista pratico, quando potrebbe verificarsi questa applicazione del maggior termine; con la consecuzione delle procedure la norma trova così piena applicazione.

3. Con la previsione del cosiddetto concordato “in bianco” (art. 161, c. 6, l.f.), tenuto conto che tra presentazione della domanda e presentazione del piano possono passare anche 180 giorni, nel caso di successivo fallimento si viene ad estendere il periodo di riferimento per una eventuale azione di revocatoria fallimentare. Ci si riferisce ovviamente agli atti e ai pagamenti effettuati prima della iscrizione della domanda, che per gli atti compiuti post presentazione della domanda il riferimento sarà diverso, come vedremo.

4. Analizziamo ora l’articolo 67 lettera e) l.f., prescindendo, per il momento, sulla questione della inapplicabilità, approfondita più avanti, nel paragrafo 6.

L’articolo 67, terzo comma, lettera e) l.f. prevede che non siano revocabili “gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, (dell’amministrazione controllata), nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161”.

Ora tale articolo aveva l’obiettivo di rassicurare, per quanto possibile, i fornitori di beni e servizi di una impresa in concordato circa gli effetti in un possibile successivo fallimento.

Al di là della assai ardua classificazione degli atti compiuti, tra straordinari urgenti autorizzati (ma ovviamente compiutamente illustrati al Tribunale), ordinari, pagamento di debiti anteriori attestati e autorizzati, il tutto rappresentato dall’avverbio “legalmente”, tutti i restanti atti sono al di fuori dell’esenzione.

Ma anche sul “legalmente” si possono avanzare considerazioni diverse, nel senso che un significato attribuibile è che gli atti siano stati compiuti secondo le norme.

Tutti questi atti non sono revocabili.

Ricordiamo come gli atti che l’imprenditore può porre in essere post presentazione della domanda di concordato in bianco possono essere:

- atti di ordinaria amministrazione

- atti di straordinaria amministrazione (urgenti e autorizzati)

- pagamento di debiti pregressi (attestati e autorizzati)

In presenza di pagamenti o atti al di fuori di queste ipotesi, si tratta di pagamenti sicuramente revocabili, in un successivo fallimento, o meglio ancora inefficaci, come si vedrà. Pensiamo ad atti di straordinaria amministrazione non urgenti e non autorizzati, e atti di ordinaria amministrazione non considerabili tali dal Giudice.

Mentre per le due ipotesi che prevedono l’autorizzazione si tratta di un inquadramento facile (solo con l’autorizzazione si ha la non revocabilità), appare invece problematico l’inquadramento degli atti di ordinaria amministrazione.

Intanto è necessario che si tratti di atti che possano essere indiscutibilmente qualificati come tali. Ove potesse essere dimostrato che non si tratti di atto di ordinaria amministrazione, e quindi di atto che è stato compiuto senza la necessaria autorizzazione, sarebbe comunque revocabile.

Ma veniamo agli atti di ordinaria amministrazione, legittimamente o meglio “legalmente” attuabili.

Ci si può chiedere: per la non revocabilità, si deve rispettare qualche altro requisito? Ad esempio, che si tratti di pagamento effettuato nei normali termini d’uso? Sarà applicabile anche questa disposizione? Oppure anche che si tratti di un atto che potrebbe essere considerato coerente con la prospettata procedura?

A questo punto può risultare interessante anche analizzare la questione della revocabilità in generale, in presenza di un concordato in bianco.

Ciò anche alla luce del fatto che, per effetto della applicabilità del principio della consecuzione delle procedure, la richiesta di un concordato in bianco poi sfociato in fallimento indubbiamente amplia il periodo di riferimento della revocatoria, essendo revocabili gli atti anteriori alla presentazione dell’istanza stessa. Su questo punto specifico si veda il successivo approfondimento, anche con riferimento alla questione revocatoria/efficacia.

5. In un concordato in bianco possono anche verificarsi casi di pagamento di debiti anteriori effettuati senza la prescritta forma (attestazione e autorizzazione), il tutto maturato da uno stato di necessità e di ritenuta, ma a questo punto non comprovata, utilità.

Posto che ai fini del concordato si tratta di pagamenti che comportano la stessa non ammissibilità alla procedura, come considerare questi pagamenti in caso di fallimento? Revocabili tout court? Forse sì o forse meglio ancora inefficaci, come si illustrerà nell’analisi della lettera e) dell’art. 67 l.f..

La stessa discussione si potrebbe fare per gli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati (urgenti o meno); saranno revocabili in un successivo fallimento? Forse sì o forse meglio ancora inefficaci, come si illustrerà nell’analisi della lettera e) dell’art. 67 l.f..

E cosa dire degli atti compiuti regolarmente (e quindi di ordinaria amministrazione oppure di straordinaria amministrazione autorizzati o di pagamento di debiti pregressi autorizzati) qualora si sia in presenza di un atto in frode? Saranno comunque esentati, tali atti? Sul punto non sapremmo dare una risposta precisa.

E lo stesso si può dire in caso di abuso del diritto, nel senso che i presupposti per la concessione della procedura di concordato preventivo non esistevano per nulla, fin dall’inizio.

Gli atti non legalmente effettuati comportano, secondo la giurisprudenza nota, l’inammissibilità della domanda di concordato in bianco. Lo stesso D.L. del fare “ha espressamente previsto che il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 73 della legge fallimentare, deve riferirne immediatamente al tribunale che, verificata la loro sussistenza, deve dichiarare l’improcedibilità della domanda. L’articolo 173 della legge fallimentare fa riferimento agli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati e agli atti fraudolenti.

Per gli atti fraudolenti, l’improcedibilità potrà essere dichiarata solo se l’atto sia successivo al deposito della domanda, in base all’interpretazione che la Cassazione (sentenza 13818 del 2011) ha dato dell’articolo 173 della legge fallimentare. Questo perché, essendo sanzionabile, secondo tale interpretazione, solo la condotta del debitore volta a occultare situazioni di fatto idonee a influire sul giudizio dei creditori e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una diversa (negativa) valutazione della proposta, ogni decisione dovrebbe essere differita al momento del deposito del piano e della proposta. Il deposito del piano e della proposta costituisce quindi il termine ultimo per la disclosure su eventuali atti di frode compiuti prima del deposito della domanda, anche di quella con riserva”[1].

In una tabella sintetizziamo le varie questioni.

Concordato in bianco

Revocabilità degli atti in caso di successivo fallimento

Tipo di atto

Revocabilità

ordinaria amministrazione

è richiesta coerenza

NO

straordinaria amministrazione

urgente e autorizzato

NO

pagamento di debiti anteriori

attestati e autorizzati

NO

straordinaria amministrazione

non urgente

SI, anche perché non autorizzato

ordinaria amministrazione

non coerente

SI

pagamento debiti anteriori

non autorizzato

SI

atto in frode

SI

Le disposizioni che possono interessare la esenzione da revocatoria nel concordato in bianco sono contenute nell’art. 67 l.f., e in particolare al comma 3 lettere a), e), f), e g) che prevedono il non assoggettamento alla revocatoria per determinati atti.

6. Esaminiamo ora l’errore normativo a nostro avviso compiuto dal legislatore.

La lettera e) dell’art. 67 l.f. contrasta con l’articolo 69 bis l.f., ove al secondo comma si prevede appunto il principio della consecuzione delle procedure, in caso di concordato, anche in bianco, seguito da fallimento.

L’art. 69 bis comma 2, l.f. stabilisce per legge che, se alla domanda in C.P. segue il fallimento, il periodo sospetto ai fini della revocatoria decorre dal momento della pubblicazione della domanda di C.P. nel registro delle imprese (quindi retroagisce). Di conseguenza, nel caso di atti e pagamenti eseguiti nel corso della procedura di C.P., poi non andata a buon fine, non ha più senso prevedere l’esenzione dalla revocatoria fallimentare. Questi atti è come se fossero stati compiuti dopo la dichiarazione di fallimento, e non invece prima (e questo proprio per l’effetto dell’art. 69 bis, comma 2, l.f.). Gli atti compiuti dopo la dichiarazione di fallimento non sono mai soggetti a revocatoria fallimentare, ma piuttosto sono inefficaci, ai sensi dell’art. 44 l.f.. E si tenga conto che l’inefficacia ai sensi dell’art. 44 l.f. è più forte dell’inefficacia conseguente alla revocatoria fallimentare, in quanto:

a) opera di diritto;

b) non richiede la prova della scientia decoctionis;

c) non è soggetta a limiti di tempo per quanto riguarda decadenze e prescrizioni.

Certamente per gli atti “legalmente” effettuati, e quindi gli atti di ordinaria amministrazione e quelli di straordinaria urgenti e autorizzati doveva essere previsto qualcosa, ma questo qualcosa non era certamente l’esenzione da revocatoria, quanto piuttosto, se si può dire, la conferma della efficacia, visto che, a contrario, per gli altri atti si ha l’inefficacia. Mai però ipotesi di revocabilità quindi, a questi fini.

In definitiva, quindi, nel caso in cui un C.P. sfoci in fallimento, l’eventuale revocatoria fallimentare può colpire solo gli atti compiuti nel periodo sospetto antecedente alla presentazione della domanda di C.P., mentre quelli compiuti dopo la domanda di C.P., se non autorizzati o di ordinaria amministrazione non coerenti, saranno inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f..

Per gli atti “legalmente” compiuti, piuttosto che esenzione da revocatoria, comunque mai applicabile, andava invece specificato che restavano efficaci [2][3].

7. Si è detto dal contrasto tra art. 69 bis e art. 67, lettera e).

Ma quale delle due norme prevarrà, visto le diverse previsioni?

Non è facile dare una risposta.

A noi parrebbe che dovrebbe prevalere la previsione generale (e quindi l’art. 69 bis) piuttosto che un aspetto pratico (art. 67 lett. e), come principio generale, ma potrebbe anche essere sostenuto il contrario.

8. Ci si può anche chiedere: l’articolo 67 lettera e), posto che sia applicabile come invece non riteniamo, come considerarlo anche alla luce delle altre previsioni dello stesso art. 67? Si potrebbero applicare in ogni caso anche le disposizioni di cui alle lettere a), f) e g) oppure sono escluse?

Invero non si vede la ragione per cui dovrebbero essere escluse, se non per il fatto che siano sempre in ambito di revocatoria, e che se la stessa si rende inapplicabile, nel concordato poi sfociato in fallimento per gli atti compiuti post iscrizione della domanda nel Registro delle Imprese. Allo stesso modo in cui si riscontra non applicabile la lettera e) dell’art. 67, egualmente non si possono applicare le citate previsioni alternative.

Se mancano i presupposti per il verificarsi della revocatoria, mancano per tutte le diverse previsioni.

Per completezza le analizziamo comunque, anche se si tratta di un esercizio che ci pare inutile.

Art. 67, lettera a):
“pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”

A dire il vero questa è una fattispecie che riguarda l’impresa ante fallimento; può però riguardare anche la fattispecie del concordato in bianco, visto che gli atti di ordinaria amministrazione non sono oggetto di specifiche autorizzazioni. Forse la disposizione si può dimostrare superflua, nella fattispecie, essendoci un’altra norma specifica (appunto la successiva lettera e) dello stesso articolo 67 l.f., che esenta da revocatoria “gli atti, i pagamenti e le operazioni legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’art. 161”), ma comunque non si vede motivo per non considerarla. Ma le due disposizioni dicono proprio la stessa cosa? Forse no.

L’elemento che potrebbe distinguere le due fattispecie è proprio l’avverbio “legalmente”.

Si potrebbe allora dare questa interpretazione, trovando una giustificazione alla possibile sovrapposizione delle fattispecie. La lettera a) è di applicazione più ampia rispetto alla lettera e) dell’art. 67 l.f..

Se il pagamento risulta effettuato entro i termini d’uso, indipendente quindi, a questo punto, dal rispetto del “legalmente”, sarà esentato.

Ma invero possono identificarsi pagamenti effettuati in termini d’uso che non siano anche legalmente effettuati? Probabilmente sì. Si pensi, ad esempio, agli atti normali, anche di ordinaria amministrazione, che ben potrebbero non essere coerenti con il richiesto concordato. La lettera a) li ricomprende, tra le esenzioni. L’art. 161 invece li esclude.

Si osserva sin d’ora, comunque, che la lettera e) indica anche gli atti e le garanzie, fattispecie che non rientrano nella lettera a) che appunto si riferisce solo ai pagamenti di beni e servizi.

Per quanto concerne i “pagamenti di beni e servizi” si osserva come l’espressione non possa comunque riferirsi al pagamento di debiti, tra cui i debiti bancari (ad esempio il mutuo). Si deve trattare di pagamenti legati ad acquisti di beni o servizi[4].

Per la qualificazione dei “termini d’uso” il legislatore ha utilizzato una formulazione del tutto ambigua.

L’opinione maggioritaria è per ritenere che l’espressione “termine d’uso” vada riferita ai pagamenti, altri invece hanno ritenuto che si riferisca alle forniture, di beni o servizi, altri ancora all’esercizio dell’impresa.

L’espressione va poi riferita, sempre secondo la tesi maggioritaria, al tempo dell’adempimento e alle relative modalità.

Vediamo qualche sentenza, relativamente a questi aspetti:

- Tribunale di Monza, 24/04/2012 ne www.ilcaso.it:

Dalla massima: “Il concetto di “termini d’uso” fa riferimento alle condizioni di tempo e di modo dei pagamenti normalmente in uso tra i contraenti e in concreto pattuiti tra le parti, a condizione che siano mezzi fisiologici e usuali di pagamento. Dal punto di vista cronologico possono, pertanto, considerarsi usuali i termini di pagamento in concreto adottati tra le parti nel regolamento negoziale da esse stipulato, piuttosto che quelli normalmente adottati da operatori del settore, mentre non possono definirsi tali prassi patologiche e forme anomale di pagamento non concordate sin dall’inizio del rapporto negoziale. (Nel caso di specie, sono stati ritenuti assoggettabili a revocatoria i pagamenti effettuati in ritardo rispetto alle scadenze pattuite)”.

- Tribunale di Milano, 3/05/2012 ne www.ilcaso.it:

Per l’operatività della causa di esenzione è necessario che il pagamento sia stato effettuato, oltre che con mezzi ordinari, nei tempi previsti dal regolamento negoziale accettato dalle parti.

- Tribunale di Milano, 24/12/2012 ne www.ilcaso.it:

“La locuzione “nei termini d’uso”, contenuta nell’art. 67 co. 3 lett. a) legge fallimentare, deve essere intesa in un duplice profilo, attinente sia al tempo sia alle modalità del pagamento, ed impone di attenersi al criterio della regolarità dell’adempimento, implicando quindi la contestualità e/o la normalità dello scambio, con la conseguenza che devono ritenersi esenti da revocatoria i pagamenti avvenuti regolarmente alla loro scadenza in relazione alla prassi commerciale, mentre non possono beneficiare dell’esenzione in parola i pagamenti effettuati in ritardo, a maggior ragione se avvenuti a seguito di solleciti”.

- Tribunale di Milano, 1/03/2013 ne www.ilcaso.it:

“I “termini d’uso” di cui all’art. 67 co. 3 lett. b) l.f. attengono sia alle modalità di pagamento, sia ai termini di pagamento che in concreto e ordinariamente le parti hanno previsto e attuato durante lo svolgimento del rapporto.

La prova di tali elementi va ricavata, in primo luogo, dalle modalità contrattuali con cui sono stati regolati i pagamenti in precedenti rapporti negoziali, ovvero dalle modalità con cui sono stati regolati i pagamenti nel contratto in oggetto ovvero in mancanza di specifica pattuizione o regolamentazione (orale o scritta), dalla prassi praticata nel settore e sul territorio. Non può invece prendersi a parametro di riferimento la modalità di estrinsecazione del rapporto tra le parti, ove la stessa sia difforme da quanto contrattualmente previsto”.

- Tribunale di Bergamo, 14/11/2012 ne www.ilfallimentarista.it:

“Sono esenti dall’azione revocatoria, ex art. 67, comma 3, lett. a) l. fall., solo i pagamenti relativi a forniture di beni e servizi attinenti alla vita ordinaria e corrente dell’impresa, a condizione che siano eseguiti “nei termini d’uso”; ne restano, quindi, esclusi quelli afferenti ad operazioni straordinarie e/o estranee all’oggetto tipico dell’attività d’impresa ed all’ordinario esercizio dell’azienda”.

- il Tribunale di Busto Arsizio, 2/07/2012 ne www.ilfallimentarista.it invece sostiene che “è preferibile l’interpretazione dell’art. 67, comma 3, lett. a) l. fall. per cui non sono revocabili i pagamenti relativi all’acquisizione di beni o servizi che sono necessari ad una conduzione normale, ovvero usuale dell’azienda; i “termini d’uso” vanni riferiti, nella costruzione sintattica del testo normativo e in conformità alla ratio legis, alle modalità di conduzione dell’impresa e non alle modalità dei pagamenti delle forniture”.

In sintesi, posto che il legislatore è stato ambiguo, le interpretazioni giurisprudenziali più recenti sono per considerare pagamenti effettuati nei termini d’uso:

- pagamenti regolati alla scadenza contrattuale (non quelli effettuati in ritardo o sollecitati) (contra Busto Arsizio);

- pagamenti effettuati in base alle modalità contrattuali;

- pagamenti efferenti ad operazioni ordinarie.

Art. 67, lettera e):
“gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, (dell’amministrazione controllata), nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161”

Questa è la disposizione di riferimento, in quanto appunto si richiama anche al concordato in bianco. Si deve trattare di atti e pagamenti posti in essere legalmente; in presenza di atti legalmente compiuti, nessuna revocabilità.

La questione di base sta tutta nell’interpretazione dell’avverbio “legalmente”. Secondo il vocabolario della Crusca, legalmente significa “secondo legge”.

Ora, quali sono questi pagamenti?

In gran parte li abbiamo già analizzati precedentemente.

Riprendiamo le varie questioni.

Abbiamo già visto la differenza con la lettera e); qui si prevedono anche atti e garanzie, quanto invece alla lettera a) si prevedono solo pagamenti.

Alla lettera a) si prevedono “termini d’uso”; qui “legalmente”. È di tutta evidenza che non sono la stessa cosa.

Quando gli atti e i pagamenti sono effettuati legalmente? Quando è rispettata la legge, appunto. E quindi si dovrà trattare di pagamenti ed atti relativi a:

- atti di ordinaria amministrazione;

- atti di straordinaria amministrazione autorizzati (e pertanto solo quelli urgenti);

- pagamento di debiti anteriori attestati e autorizzati.

Null’altro; qualsiasi altro atto ne sarà escluso.

Ma il vero problema sono gli atti di ordinaria amministrazione, ed in particolare se siano effettivamente tali, e, una volta che ciò sia acclarato, se ed in quanto siano coerenti con la procedura di concordato, così da farne derivare la “coerenza”.

Tabella

Differenza anche lessicale lettera a) ed e) dell’art. 67 l.f.

lettera a)

lettera e)

espressioni utilizzate

pagamenti

atti, pagamenti, garanzie

di beni e servizi

effetti

in termini d’uso

“legalmente”

Art. 67, lettera f):
“i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”

Anche per questa fattispecie vedasi quanto già osservato. In presenza di atti di ordinaria amministrazione, di atti di straordinaria amministrazione autorizzati (e per esserlo devono anche essere urgenti) o di pagamento di debiti anteriori attestati e autorizzati, nessun problema.

Negli altri casi, si tratta di pagamenti revocabili, al di là delle motivazioni che possono aver addotto ad effettuare i relativi pagamenti.

Art. 67, lettera g):
“i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali (di amministrazione controllata) di concordato preventivo”

Si tratta, di tutta evidenza, di atti necessari per l’accesso alla procedura e pertanto bene ha fatto il legislatore ad escluderli dalla revocatoria. Si rientra tra gli atti di ordinaria amministrazione, e si rimanda alle varie sentenze ivi commentate.

9. Sulla eventuale revocabilità degli atti, dei pagamenti e delle garanzie in caso di concordato “in bianco” sfociato in fallimento, si pongono varie problematiche.

La prima è come considerare gli atti e i pagamenti relativi ad atti di straordinaria amministrazione non urgenti e non autorizzati. Inefficaci, diremmo.

La seconda è come fare dei distinguo per gli atti di ordinaria amministrazione, nel senso sia di poterli indiscutibilmente inquadrare come tali, anche a posteriori, sia nel ritenerli coerenti con un piano che al momento della presentazione della domanda ancora non c’era. E questo per poter rientrare nella previsione specificata dall’avverbio “legalmente”.

Infine , ed è l’aspetto più rilevante, si è segnalato lo scivolone normativo. Tenuto conto del nuovo articolo 69 bis l.f. sulla consecuzione delle procedure, la lettera e) dell’art. 67 l.f. (e si consideri che si tratta di due disposizioni oggetto di variazioni introdotte con lo stesso provvedimento normativo) pare superflua o meglio ancora errata. Andava detto che gli atti “legalmente” compiuti in presenza di un concordato “in bianco” sono efficaci, in caso di successivo fallimento, non, come invece affermato, non revocabili.

La differenza non è di poca cosa, come si è visto.

E i fornitori successivi alla presentazione della domanda di concordato preventivo, invece di essere rassicurati, sono così lasciati in balia dei diversi orientamenti giurisprudenziali.

Difficile pare, in questa situazione, poter dare delle indicazioni utili ed univoche alle imprese.

Differenza tra art. 67 lett. e) e art. 44 l.f.

Revocatoria ex art. 67 l.f.

Inefficacia ex art. 44 l.f.

- Opera su richiesta

- Opera di diritto

- Prova della scientia decoctionis

- Nessuna prova della scientia decoctionis

- Limite temporale per decadenza e prescrizione

- Nessun limite temporale per decadenza e prescrizione



[1] Giovanni Nardecchia, “Verifiche ampie sull’ammissibilità della domanda”, Il Sole 24 Ore, 26/08/2013.

[2] Argomento suggerito dall’Avv. Alessandro Albè di Busto Arsizio (VA).

[3] Una esemplificazione:

- 1° febbraio 2013: domanda di C.P.;

- 10 maggio 2013: compimento di atti autorizzati;

- 10 giugno 2013: compimento di atti non autorizzati;

- 20 settembre 2013: fallimento dell’impresa.

Gli atti autorizzati (del 10 maggio) saranno validi ed efficaci; gli atti non autorizzati (del 10 giugno) saranno invece inefficaci ai sensi dell’art. 44 l.f., ma non soggetti a revocatoria!

[4] Sul punto, rimandiamo anche al nostro, Le operazioni bancarie esenti da revocatoria, ne il Diritto Fallimentare n. 5/2009.

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