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Governo e ministero dell’Economia hanno perso la ragione?

di Giuseppe Rebecca
portale Lettera43.it, 9 dicembre 2013

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Le finanze dell’Italia sono da tempo allo stremo, tipica situazione che per le aziende è preludio di una qualche procedura concorsuale.

I disoccupati, per lo più giovani, aumentano sempre più, e ora superano i 3 milioni. Solo lo spread, e non si capisce poi perché, continua ad essere abbastanza basso (sui 240 punti il 6/12/2013).

Il debito pubblico ammonta ad oltre 2.068 milioni di Euro, pari al 133,3% del PIL, secondi solo alla Grecia (169,1% del PIL), nell’Europa.

Anche Portogallo e Spagna, da sempre considerati in situazione peggiore della nostra, fanno ora meglio di noi.

Per non parlare di Francia (debito pubblico al 93,5% del PIL), e Germania (79,8% del PIL), nel secondo trimestre 2013.

In questa situazione, che drammaticamente continua a peggiorare, anche a causa della mancata riduzione delle spese e della contemporanea riduzione delle entrate, ovvia conseguenza dell’andamento del mercato, cosa hanno fatto Governo e Ministero dell’Economia?

Al di là delle continue chiacchiere pubbliche, divenute un gergo fastidioso, che ormai non interessano più a nessuno, si sono persi dietro all’IMU.

Discussioni di mesi, anche accese, in tutte le sedi, per poi trovarci di fronte all’annullamento dell’IMU soltanto per la prima casa (ma non per tutti) con contestuali aumenti, anche maggiori, di altre imposte, pure sulla casa.

Quante risorse sprecate, e quanto tempo perso, per nulla, mentre l’economia va a rotoli. Pare quasi che l’obiettivo fosse: non parliamo dei veri problemi, tanto non riusciremmo mai a risolverli.

Ma il colmo è stato raggiunto con gli acconti di imposta, per cercare di tamponare il buco finanziario causato dall’IMU.

A solo un giorno lavorativo dalla scadenza del versamento (2 dicembre 2013) sono state cambiate (ma il testo definitivo non era allora ancora noto) le percentuali degli acconti e le scadenze.

L’acconto IRES per gli enti creditizi, finanziarie e assicurazioni, passa al 128,5% (ma potrebbe diventare anche del 130%), mentre l’aliquota diviene pari al 36%, con una addizionale dell’8,5%.

Per le società, la percentuale dell’acconto sarà del 102,5%.

E questi versamenti sono stati prorogati al 10 dicembre, mentre per i privati restano confermate date e percentuali (100%).

Ma non si sono resi conto che così facendo è stata persa anche quella poca residua credibilità che un Governo “placebo” poteva avere?

Acconti che superano il 100% sembrano tutt’altro che acconti; si tenga poi presente che lo Stato esige le imposte in anticipo, rispetto non solo alla realizzazione dell’utile, quanto anche al relativo incasso. Ma tutto ciò ha una logica?

Lo Stato non concede dilazioni di pagamento, se non con gli interessi; esige tutto subito, appunto in anticipo. È un socio molto particolare, che poco dà e molto richiede. E le poche imprese che vanno bene hanno un bell’aggravio in più, non sempre sostenibile.

Viene anche da chiedersi come mai Governo e Camere diano sempre più spazio agli uffici ministeriali, delegando di fatto la funzione legislativa. Sono infatti gli uffici che propongono i provvedimenti “zibaldone”, quasi su campionario delle loro esigenze.

La confusione legislativa è al massimo, come al minimo il rispetto del contribuente e dello statuto che lo riguarda.

Poco manca perché anche in Italia si inneschi la rivolta fiscale, come in Francia.

Ma per essere propositivi, possiamo intanto suggerire al Ministro Saccomanni e al Suo entourage, che quello comanda, qualche idea un po’ meno monstre.

1) Pagamento delle imposte in anticipo

Potrebbe essere consentito il pagamento delle imposte in via anticipata, concedendo una riduzione pari al tasso dei BOT o dei BTP. I contribuenti potrebbero così scegliere se investire le loro risorse nel debito dello Stato, come massicciamente già fanno, oppure in imposte anticipate; nel corso degli anni, poi, attingerebbero dal loro “tesoretto”.

Il tutto potrebbe essere forfettarizzato con uno sconto dell’1,50%, poca cosa, ma pur sempre apprezzabile

In Belgio, così è stato fatto, ormai circa 20 anni fa.

2) Limitare le agevolazioni in agricoltura

Si dovrebbe porre un limite massimo di fatturato per la tassazione delle aziende agricole (imprese individuali e società semplici) in base al reddito agrario. L’attuale utilizzo di questa agevolazione appare infatti del tutto improprio. Un caso per tutti: molte tra le più importanti cantine vitivinicole italiane vendono a prezzi elevati, ovviamente loro vini di qualità, senza legittimamente pagare le imposte, limitate dal riferimento al reddito agrario per le società semplici che gestiscono il business per conto dell’impresa commerciale.

3) Trasformazione agevolata delle società

Consentire a regime la trasformazione agevolata delle società commerciali in società semplici.

4) Permute immobiliari

Perché non agevolare il privato che cede il proprio bene all’impresa che lo ristruttura?

Molte operazioni si sbloccherebbero, con benefici effetti per tutto il mercato immobiliare.

5) Revisione del trattamento fiscale riservato alla Chiesa

Ci si riferisce all’IMU, alla parziale esenzione IRES e a contributi vari. Una revisione si impone, da tempo.

6) Redditometro

Nel modello Unico prevedere una riga ove dichiarare un reddito da redditometro, senza particolari specificazioni.

Oggi, chi volesse magari ravvedersi, non sa proprio dove dichiarare un reddito senza natura specifica. Tanto, che male fa, a dichiarare? Paga le imposte, e così almeno fino a un certo limite è coperto, anche se manca un riferimento specifico ad una tipologia di reddito. Le entrate aumenterebbero, anche se non di molto, e per contro non si intravvedono aspetti negativi.

7) Detrazioni 10%

Si potrebbe allargare la deducibilità o la detrazione di certi oneri per le persone fisiche, peraltro limitandole al 10% o al 20%.

Ci sarebbe più interesse a richiedere le fatture per prestazioni/acquisti deducibili.

Certo che, a fronte di una situazione della finanza pubblica assolutamente disastrosa, le scelte ad oggi intraprese sono comunque solo dei maldestri palliativi. Il disastro è alle porte, basta attendere.

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