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>> Anno 2010

La tassazione delle liberalità indirette

di Maurizio Zanni, Giuseppe Rebecca e Diego Trentin
Il Fisco, N. 28 - 12 luglio 2010 

Il presente articolo ha lo scopo di delineare il trattamento fiscale, ai fini della “nuova” imposta di donazione, delle liberalità indirette. Con questo termine si è soliti indicare tutte quelle attribuzioni patrimoniali gratuite, fatte senza la formalità dell’atto pubblico, che intercorrono normalmente fra persone legate da vincoli familiari o affettivi e che perseguono le stesse finalità delle donazioni tipiche.

Nella pratica tali attribuzioni sfuggono in gran parte all’applicazione della suddetta imposta, in quanto raramente si traducono in atti scritti soggetti a registrazione.

Per ovviare a questo problema sono stati introdotti, con la legge n. 342/2000, gli istituti della registrazione volontaria e dell’accertamento delle liberalità indirette, sulla cui applicabilità, nell’ambito della “nuova” imposta di donazione, sussistono, tuttavia, dubbi ed incertezze interpretative.

1. Premessa

Con la reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni, avvenuta ad opera dell’art. 2 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, è ritornata d’attualità l’antica e discussa questione della tassazione delle liberalità indirette, ossia di tutti quegli atti di disposizione mediante i quali viene indirettamente raggiunto lo stesso effetto (arricchimento del donatario e correlato depauperamento del donante) della donazione tipica, ex art. 769 del c.c., senza però la forma solenne dell’atto pubblico.

Di liberalità indiretta si parla in una molteplicità di situazioni quali, ad esempio, la vendita di un bene ad un prezzo inferiore al suo valore di mercato (negotium mixtum cum donatione), il pagamento del debito altrui, la remissione del debito, l’intestazione di immobile sotto nome altrui, il versamento di somme di danaro su libretti bancari cointestati, etc.

Se da un lato non vi sono dubbi sul fatto che i suddetti atti di liberalità rientrino, al pari delle donazioni contrattuali tipiche, nella sfera applicativa dell’imposta di donazione, dall’altro si devono evidenziare le difficoltà del legislatore tributario a colpire, con la menzionata imposta, un fenomeno, quale quello in esame, che sfugge ad un inquadramento unitario, da un punto di vista civilistico, e che il più delle volte neanche si traduce in negozi scritti, rimanendo nell’ambito della mera fattualità giuridica.

Al fenomeno delle liberalità non donative, per la prima volta, sono state dedicate disposizioni fiscali esplicite dalla riforma del tributo successorio, riforma attuata con la legge 21 novembre 2000, n. 342.

In particolare, nel Testo Unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (D.Lgs. n. 346/1990) è stato inserito l’art. 56-bis, con il quale sono stati introdotti nell’ordinamento tributario l’istituto dell’accertamento delle liberalità indirette e quello della registrazione volontaria delle stesse.

Tuttavia, l’applicazione di tali istituti pone, oggi, dei problemi di coordinamento con le nuove norme sull’imposta di donazione, introdotte dal sopra citato D.L. n. 262/2006.

Come vedremo, rispetto a tali problematiche la dottrina si è divisa.

Da una parte vi è chi ritiene che il menzionato art. 56-bis non sia più vigente, a causa della sua incompatibilità con la nuova struttura e disciplina del tributo successorio; dall’altra vi è chi, invece, sostiene la sopravvivenza della norma e prospetta diverse soluzioni interpretative per la sua concreta applicazione.

Nel seguito si esaminano, quindi, le linee di confine fra imponibilità e non imponibilità delle liberalità indirette e si affrontano i problemi di coordinamento fra vecchie e nuove norme, al fine di stabilire l’entità dell’imposta di donazione dovuta sulle liberalità indirette che siano registrate volontariamente dal contribuente o da questi “confessate” nel corso di procedimenti volti all’accertamento di altre imposte.

Tuttavia, prima di addentrarci in tale disamina, appare utile, ai fini del presente lavoro, soffermarsi brevemente sull’inquadramento civilistico delle liberalità indirette allo scopo di coglierne i tratti distintivi rispetto alle donazioni tipiche ex art. 769 c.c.

2. Inquadramento giuridico delle liberalità indirette

L’ipotesi che le liberalità possano risultare da atti diversi da quello formale di donazione è espressamente contemplata sia nell’art. 737 del c.c., laddove si stabilisce che sono soggette alle norme in materia di collazione anche le donazioni indirette, sia nell’art. 809 del c.c., laddove si estendono alle liberalità che risultano “da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769” le disposizioni che regolano la revocazione della donazione per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché quelle sull’azione di riduzione per integrare le quote di legittima.

Il legislatore si è dunque preoccupato di estendere alle liberalità indirette la disciplina che risulta dalla c.d. norme materiali della donazione tipica, ma non ha individuato i tratti caratterizzanti di dette liberalità.

Tale compito è, quindi, rimesso all’interprete.

2.1. I tratti distintivi delle liberalità indirette e l’individuazione delle fattispecie più ricorrenti

Il fenomeno delle liberalità non donative comprende nella pratica una molteplicità di atti negoziali e non negoziali con caratteristiche e struttura molto eterogenee fra loro, accomunati solo dall’intento di una persona di farne strumento per attribuire ad altri, in via indiretta e per puro spirito di liberalità, un vantaggio patrimoniale.

Il fine di liberalità e l’attribuzione patrimoniale gratuita, cioè priva di controprestazioni, sono le connotazioni comuni all’istituto della donazione diretta e a quello della liberalità non donativa, mentre l’elemento che rende fra loro differenti questi due istituti risiede essenzialmente nello strumento giuridico di cui le parti si servono per attuare l’intento liberale, il quale, nella donazione diretta, è il contratto disciplinato dagli artt. 769 e seguenti del codice civile, mentre nelle liberalità indirette è un atto che pur avendo, in senso tecnico-giuridico, una causa diversa dalla donazione, produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio, l’arricchimento “animo donandi” della persona destinataria della liberalità.

Sotto il profilo della forma, le donazioni indirette sono sottratte al requisito dell’atto pubblico, rimanendo soggette alla forma richiesta ai fini della validità del negozio-mezzo impiegato per realizzare l’intento liberale.

Ciò detto, occorre osservare che sono numerosi gli atti o i comportamenti giuridici che la dottrina e la giurisprudenza hanno qualificato come liberalità indirette.

Va ricordata, anzitutto, la fattispecie, molto frequente nella pratica, del genitore che, in vena di generosità, intesta un bene immobile al figlio, pagando di tasca propria il prezzo d’acquisto[1].

Altra fattispecie ricorrente è quella del genitore che ripiana un debito contratto dal figlio, secondo la disposizione sull’adempimento del terzo, di cui all’art. 1180 del c.c., senza però chiedere il rimborso della somma pagata.

Si considera, poi, donazione indiretta la cointestazione di rapporti bancari il cui oggetto sia rappresentato da fondi di proprietà personale. Più precisamente, “costituisce donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di danaro depositata presso un istituto di credito, qualora la detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari”, atteso che “con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario” [2].

Ancora possiamo ricordare: la remissione del debito; il contratto a favore di terzi; la vendita effettuata a prezzo volutamente inferiore al valore di mercato del bene al fine di procurare un beneficio all’acquirente e l’ipotesi del genitore, possessore di una partecipazione totalitaria in una S.r.l. avente un valore economico molto più alto di quello nominale, che consente al figlio di entrare nella società, sottoscrivendo un’operazione di aumento di capitale senza versare alcun soprapprezzo.

Vale, infine, la pena di rammentare che la giurisprudenza ormai consolidata ritiene che rientri nell’ambito della donazione indiretta anche il comportamento tenuto da chi, volutamente, omette di esercitare un suo diritto reale o di credito al fine di lasciarlo cadere in prescrizione e procurare così ad altri un arricchimento patrimoniale per spirito di liberalità.

Liberalità indirette

Elementi caratterizzanti

- spirito di liberalità;

- attribuzione patrimoniale gratuita;

- impiego di un negozio-mezzo per realizzare l’intento liberale.

Forma

Non è richiesta la forma dell’atto pubblico, ma soltanto la forma necessaria per la validità del negozio-mezzo attraverso cui viene realizzata la liberalità indiretta.

Fattispecie più ricorrenti

Intestazione di immobile sotto nome altrui, pagamento di debito altrui, remissione del debito, contratto a favore di terzi, versamento di somme su conti cointestati, vendita di bene a prezzo inferiore al valore di mercato.

2.2. La donazione di denaro nulla e la remissione del debito

L’elargizione di somme di denaro o di assegni, piuttosto che la disposizione di un bonifico bancario effettuata a scopo di liberalità integrano la fattispecie della donazione diretta e non possono, pertanto, sottrarsi all’onere formale dell’atto pubblico imposto dalla legge, a meno che non si tratti di donazioni di modico valore, secondo le disposizioni di cui all’art. 783 c.c., nel qual caso, ai fini della validità del contratto, è richiesta la tradizione in luogo della forma solenne.

Peraltro, non si può non rilevare come nella pratica anche le donazioni di somme non di modico valore vengano per lo più effettuate senza l’intervento del notaio.

Se da un lato la dottrina ritiene che tali donazioni siano nulle e, quindi, improduttive di effetti, dall’altro occorre osservare che, sul piano pratico, esse raggiungono comunque l’intento perseguito dalle parti, ove non sussista l’interesse a far valere da taluno la loro nullità.

Al riguardo è stato osservato[3] che la nullità della donazione diretta implica un obbligo restitutorio a carico del beneficiario dell’elargizione, da cui può derivare una liberalità indiretta, allorché il disponente lasci, per puro spirito di liberalità, decorrere il termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione di rivendicazione della somma di denaro elargita, ovvero estingua l’obbligo restitutorio del beneficiario, anteriormente al decorso del termine prescrizionale, mediante una dichiarazione di remissione del debito ex art. 1236 c.c.

Tale dichiarazione consente alle parti di regolarizzare, sotto il profilo giuridico-formale, i loro rapporti conseguenti alla donazione nulla per carenza di forma, consolidando gli effetti con essa voluti, non potendosi procedere alla convalida della donazione stessa, stante la previsione dell’art. 1423 c.c., ai sensi del quale “il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”.

Relativamente alla struttura dell’atto di remissione del debito, va rilevato che al fine di poterlo qualificare come liberalità indiretta è necessario che, oltre all’autore della donazione, vi partecipi anche il debitore-beneficiario, in considerazione del fatto la donazione è un atto a struttura bilaterale, nel quale assumo rilievo sia l’interesse del donante ad attuare il proprio intento liberale e sia l’interesse del beneficiario a non ricevere l’atto di liberalità.

In sostanza, dalla dichiarazione in parola deve emergere non soltanto l’animus donandi del disponente che ha determinato la movimentazione finanziaria, ma anche la concorde volontà del beneficiario di ricevere la prestazione a titolo di liberalità.

All’atto in esame è opportuno attribuire data certa, o tramite l’intervento di un notaio oppure mediante scambio di corrispondenza con raccomandata a.r., senza busta, pur con tutte le problematiche che possono essere sollevate in quest’ultimo caso.

3. Le liberalità indirette nella “nuova” imposta di donazione

In via preliminare, va detto che l’impianto normativo del “nuovo” tributo successorio si caratterizza per il principio in base al quale, ove compatibile e per quanto non diversamente disposto dal D.L. n. 262/2006, torna applicabile la disciplina della “vecchia” imposta sulle successioni e donazioni recata dal D.Lgs. n. 346/1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, ossia al giorno precedente l’entrata in vigore della L. n. 383/2001 che, all’art. 13, aveva abrogato l’imposta.

In particolare, il presupposto impositivo è stato individuato, ex novo, dall’art. 2, comma 47, del citato D.L. n. 262/2006, il quale dispone testualmente che “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione …”.

Anche se tale norma, a differenza dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 346/1990, non menziona le “altre liberalità tra vivi”, la dottrina è pressoché unanime nel ritenere che le liberalità indirette restano tassabili nell’ambito del “nuovo” tributo successorio, in quanto le stesse costituiscono unaspecies del più ampio genus rappresentato dai “trasferimenti di beni e diritti a titolo gratuito”, espressamente richiamati dalla norma testè citata.

Va inoltre ricordato che, secondo la dottrina prevalente[4], restano soggette all’imposta di donazione le liberalità indirette attuate tramite la rinuncia e la costituzione di diritti reali di godimento, ovvero mediante la rinunzia a diritti di credito, nonché quelle aventi ad oggetto la costituzione di rendite o pensioni; ciò in quanto si deve ritenere ancora valido, nell’ambito della nuova disciplina del tributo, il principio, posto dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 346/1990, che assimila ai trasferimenti di beni e diritti l’oggetto delle liberalità appena menzionate.

Se da un lato è indubbio che le liberalità indirette ricadano nel presupposto impositivo del tributo successorio, dall’altro non si può non osservare come nella pratica siano rari i casi di effettiva imposizione delle stesse.

Le difficoltà oggettive che si incontrano nell’attrarre le liberalità in esame nell’orbita dell’imposta di donazione sono legate alla circostanza che, il più delle volte, tali liberalità neppure si traducono in contratti scritti, rimanendo nell’ambito dei meri comportamenti materiali, oppure risultano da documentazione scritta per la quale non è imposta la formalità della registrazione.

Altre volte esistono uno o più contratti scritti soggetti a registrazione, ma in essi non è enunciato il fine liberale che ne ha determinato la conclusione.

Tutto ciò mal si concilia con il meccanismo applicativo dell’imposta di donazione, il quale, basandosi sulle regole proprie del tributo di registro, presuppone, ai fini della tassazione della liberalità, l’esistenza di un negozio giuridico scritto ove l’intento liberale sia stato espressamente esplicitato.

4. L’accertamento e la registrazione volontaria delle liberalità indirette

Il legislatore tributario ha sempre rinunciato a prevedere specifici poteri di accertamento in ordine al tributo successorio, che consentissero all’Amministrazione finanziaria di rilevare, in via presuntiva, il carattere liberale dei trasferimenti di ricchezza non formalizzati in atti giuridicamente qualificati, allo scopo di assoggettarli all’imposta di donazione.

La ragione di tale scelta rinunciataria risiede nel fatto che la previsione di un’attività di controllo sui passaggi di ricchezza potenzialmente a carattere liberale, non solo si sarebbe tradotta in una pesante intromissione del Fisco nella sfera privata dei contribuenti, ma sarebbe stata anche poco proficua, attese le difficoltà oggettive che gli uffici finanziari avrebbero incontrato nell’accertamento del fine di liberalità, specie con riferimento alle movimentazioni finanziarie che avvengono nella cerchia dei rapporti familiari, la cui causa giustificativa (prestito o donazione) non è chiara, talvolta, nemmeno alle parti interessate, oppure viene definita solo a distanza di tempo.

Tuttavia, preso atto dell’insufficienza dei meccanismi procedurali del tributo di registro al fine di colpire il fenomeno delle liberalità indirette, con la legge n. 342/2000 il legislatore tributario ha inserito nel D.Lgs. n. 346/1990 l’art. 56-bis, con cui si concedeva al contribuente la seguente alternativa:

- registrare volontariamente la liberalità indiretta, corrispondendo l’imposta di donazione con le aliquote, allora vigenti, del tre, cinque e sette per cento, previste dall’art. 56 del D.Lgs. n. 346/1990 per attribuzioni patrimoniali eccedenti la franchigia dell’epoca (350 milioni di vecchie lire);

- subire la tassazione del sette per cento (sempre per trasferimenti di ricchezza superiori a 350 milioni di vecchie lire), qualora non si fosse proceduto alla registrazione volontaria della liberalità indiretta e l’esistenza della stessa venisse “confessata” dal contribuente ai funzionari delle Entrate nel corso di procedimenti volti all’accertamento di tributi.

L’intenzione del legislatore era quella di far emergere gli incrementi patrimoniali derivanti da liberalità indirette in sede di verifiche fiscali riguardanti non il tributo successorio, bensì le imposte sul reddito, con particolare riferimento all’accertamento sintetico contemplato dall’art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973.

Si osservi che, nel caso in cui la dichiarazione del contribuente in ordine alla liberalità indiretta ricevuta non fosse stata spontanea ma, in un certo senso, “coartata”, in quanto resa al fine di contrastare l’accertamento sintetico in corso, l’imposta di donazione veniva calcolata applicando l’aliquota prevista per gli estranei, cioè l’aliquota (all’epoca) massima del sette per cento, a prescindere dal rapporto di parentela o di coniugio eventualmente esistente fra il disponente ed il beneficiario,

Tale previsione aveva evidentemente una finalità latu sensu sanzionatoria, ove si consideri che le liberalità indirette avvengono per lo più fra persone legate fra loro da vincoli di parentela e che per la registrazione volontaria erano previste aliquote d’imposta molto più basse.

4.1 Il problema delle aliquote applicabili

Come accennato in premessa, il problema che oggi si pone in merito all’applicazione dell’art. 56-bis è quello del suo coordinamento con il nuovo sistema di aliquote e franchigie, previsto dall’art. 2, commi 49 e 49-bis, del D.L. n. 262/2006.

La norma al vaglio si presenta, infatti, completamente sfasata rispetto alla nuova disciplina dell’imposta di donazione, in quanto per la tassazione delle liberalità indirette “scoperte” dal Fisco nel corso di accertamenti riguardanti altri tributi, non solo prevede l’applicazione di un’aliquota (sette per cento) che non corrisponde più a quella massima (otto per cento) oggi vigente; ma anche considera una franchigia unica di 350 milioni di vecchie lire per ciascun beneficiario quando, invece, oggi sono previsti vari importi di franchigia.

A ciò si aggiunga che, per la tassazione delle liberalità indirette registrate volontariamente, l’art. 56-bis prevede, attraverso il rinvio all’art. 56, l’applicazione di aliquote (3, 5 e 7%) non più vigenti, in quanto espressamente abrogate dall’art. 2, comma 52, del D.L. n. 262/2006.

A causa di tali imperfezioni di coordinamento normativo, parte della dottrina è giunta a sostenere che la norma in esame debba considerarsi non più vigente nell’ambito della “nuova” imposta di donazione, facendo leva sul disposto dell’art. 2, comma 50, del D.L. n. 262/2006, in base al quale le disposizioni del D.Lgs. n. 346/1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, si applicano soltanto se ed in quanto compatibili con le nuove norme.

Tale conclusione ci sembra tuttavia eccessivamente rigoristica e formale.

Pare, invece, più corretto sostenere la sopravvivenza della norma in commento, anche se lo sforzo interpretativo che si deve compiere per applicarla è notevole.

Invero, per quanto concerne la possibilità di registrazione volontaria delle liberalità indirette, prevista dal comma 3 dell’art. 56-bis, l’adeguamento di tale disposizione alla nuova disciplina dell’imposta di donazione risulta abbastanza agevole, ove si ritenga che il rinvio alle aliquote di cui all’art. 56 (norma abrogata, nei commi da 1 a 3, dal D.L. n. 262/2006) si possa intendere in senso formale e non materiale e, perciò, riferibile alle nuove aliquote e franchigie previste dall’art. 2 del decreto appena citato[5].

Con riferimento, invece, alle liberalità indirette dichiarate dal contribuente nel corso di procedimenti volti all’accertamento di tributi, si osserva che un’interpretazione meramente letterale del comma 2 dell’art. 56-bis indurrebbe a sostenere che tali liberalità vadano tassate continuando ad applicare, anche in vigenza della nuova disciplina recata dal D.L. n. 262/2006, la franchigia unica di 180.759,91 euro e l’aliquota unica del 7%, anche in presenza di rapporti di parentela stretti.

Secondo tale impostazione, l’art. 56-bis, commi 1 e 2, si porrebbe su un piano di autonomia rispetto al restante impianto impositivo e sarebbe, perciò, in grado di coesistere con il nuovo sistema di aliquote e franchigie.

Riteniamo, peraltro, che tale soluzione interpretativa non sia corretta per ragioni di carattere logico-sistematico.

Infatti, seguendo questa impostazione, nel caso di liberalità indirette fra persone non legate fra loro da rapporti di coniugio o di parentela sarebbe conveniente non registrare volontariamente la donazione, in quanto ove si dovesse “confessare” la stessa nel corso di un accertamento sintetico verrebbe applicata un aliquota inferiore a quella dell’otto per cento, oggi prevista per i trasferimenti a “tutti gli altri soggetti”, oltre che una franchigia non prevista per detti trasferimenti.

Sembra, allora, più appropriata la tesi di chi, sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della norma de qua, ritiene che le liberalità indirette emerse nel corso di procedimenti volti all’accertamento di tributi debbano essere tassate tenendo conto delle diverse franchigie oggi esistenti [6], in luogo della precedente cifra fissa di 350 milioni di vecchie lire contemplata nella norma, e applicando l’aliquota massima oggi vigente, cioè quella dell’8%, prescindendo dal rapporto di parentela eventualmente esistente fra le parti.

Si tratta di una soluzione inconfutabile sul piano logico-sistematico, perché consente di mantenere la funzione latu sensu sanzionatoria della norma, che però si basa, visibilmente, su operazioni di ortopedia interpretativa.

La questione è, dunque, piuttosto controversa e sarebbe perciò auspicabile un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate.

4.2 L’autodenuncia del contribuente

Relativamente all’applicazione della previsione dell’art. 56-bis, occorre osservare che, nonostante l’ampia nozione di “procedimenti diretti all’accertamento di tributi” utilizzata dal legislatore, l’ipotesi principale in cui il contribuente può avere interesse a denunciare alle autorità fiscali le liberalità indirette ricevute è quella in cui sia in corso, nei sui confronti, un accertamento sintetico per incrementi patrimoniali ex art. 38 del D.P.R. n. 600/73.

In pratica, una volta accertata, con i poteri di indagine utilizzabili ai fini delle imposte sui redditi, una situazione patrimoniale non compatibile con i redditi dichiarati dal contribuente, questi può essere chiamato dall’Amministrazione finanziaria a renderne conto.

In tali casi, ove non sussista la possibilità di bloccare l’accertamento sintetico con prove contrarie quali redditi esenti o evasi in annualità non più accertabili o plusvalenze non tassabili, sarà sempre conveniente per il contribuente dichiarare la liberalità indiretta ricevuta al fine di vincere la presunzione di aver sostenuto le spese patrimoniali con redditi non dichiarati.

Infatti, la tassazione della liberalità indiretta sarà senz’altro più mite di quella che graverebbe, altrimenti, sul maggior reddito derivante dall’accertamento sintetico, sia perché la liberalità, che per lo più intercorre fra persone legate da stretti vincoli parentali, usufruirà delle franchigie sia perché le aliquote dell’imposta di donazione sono decisamente più basse di quelle dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

La dichiarazione concernente la liberalità indiretta ricevuta potrà essere resa già durane l’attività di verifica dell’Ufficio, nel qual caso essa sarà inserita nel processo verbale del procedimento.

Qualora, invece, al contribuente sia già stato notificato un avviso di accertamento sintetico, la dichiarazione in parola potrà essere resa tramite apposita denuncia all’Ufficio che ha notificato l’avviso.

Vale, infine, la pena di evidenziare che quand’anche risulti dalle indagini finanziarie l’esistenza di una liberalità indiretta, l’Amministrazione finanziaria non potrà accertarla senza una dichiarazione del contribuente, al quale la legge consente la scelta alternativa di lasciar andare avanti l’accertamento in materia di imposte sul reddito, oppure di dichiarare la liberalità informale ricevuta, bloccando in questo modo l’accertamento in corso ed affrontando l’onere del tributo successorio.

5. Le liberalità indirette collegate ad atti di trasferimento di immobili o aziende.

L’ultima norma che occorre esaminare, in ordine all’applicabilità dell’imposta di donazione alle liberalità indirette, è quella contenuta nell’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990, ai sensi del quale “ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”.

Non sussistono dubbi sulla attuale vigenza di tale disposizione, posto che si tratta di norma contenuta nel decreto legislativo n. 346/1990, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, e non incompatibile con le nuove disposizioni dettate, in materia di tributo successorio, dal sopra citato art. 2 del D.L. n. 262/2006.

La disposizione in commento sancisce, in sostanza, l’irrilevanza, ai fini dell’imposta di donazione, delle liberalità indirette la cui esistenza sia riscontrata nell’ambito di un atto di trasferimento di un’azienda o di un immobile, in quanto l’atto contenga, per esempio, l’indicazione che il prezzo della compravendita è stato pagato con denaro donato da un familiare o da un terzo, oppure che il prezzo è stato pagato direttamente da questi.

Si tratta di una disposizione che, incentivando la esteriorizzazione di talune liberalità, favorisce, evidentemente, la trasparenza dei trasferimenti patrimoniali nell’ambito delle famiglie, con particolare riferimento al fenomeno, assai frequente nella pratica, dell’intestazione al figlio dell’immobile acquistato col denaro dei genitori.

È, quindi, possibile per gli acquisti immobiliari finanziati da terzi dichiarare in atto che il pagamento è avvenuto a cura del soggetto “donante”, senza subire la tassazione della liberalità indiretta che emerge da tale dichiarazione, ciò che sarebbe stato particolarmente iniquo, attesi i già numerosi oneri tributari che gravano sui trasferimenti immobiliari.

L’aspetto di maggiore problematicità della previsione normativa qui al vaglio è quello attinente alla nozione di “collegamento” che deve sussistere fra la liberalità non donativa e l’atto traslativo oneroso assoggettabile ad I.V.A. o registro proporzionale, al fine di poter escludere l’applicazione del tributo successorio.

Non è, infatti, chiaro se il collegamento funzionale fra la liberalità e l’acquisto dell’immobile o dell’azienda possa risultare soltanto da elementi univoci, quali l’intervento in atto del disponente piuttosto che una dichiarazione espressa dell’acquirente circa la provenienza della liquidità utilizzata per pagare l’alienante, o se, invece, possa essere desunto anche sulla base di elementi oggettivi, quali, ad esempio, un bonifico bancario effettuato all’acquirente da un suo familiare in prossimità del rogito notarile, oppure l’utilizzo di assegni riferibili a conti correnti di familiari dell’acquirente.

In dottrina sembra prevalere l’impostazione meno restrittiva.

In particolare è stato affermato che, stante il silenzio della norma, la prova del collegamento in parola può essere data “adducendosi un qualsivoglia elemento che corrobori la funzionalità dell’atto liberale all’acquisto dell’immobile o dell’azienda”[7].

È stato, poi, correttamente osservato che le liberalità indirette non tassate per effetto della norma in esame non erodono la franchigia eventualmente spettante al beneficiario, in quanto la loro irrilevanza ai fini del tributo successorio non deriva dall’applicazione di alcuna franchigia, bensì da una norma che ne dispone l’esclusione in senso proprio.

Infine, va messo in evidenza che la norma in commento pone quale condizione per l’irrilevanza impositiva della liberalità indiretta che il trasferimento sconti l’I.V.A. oppure l’imposta proporzionale di registro.

Pertanto, l’esclusione da imposta di donazione non opera nel caso, ad esempio, del padre che fornisce al figlio la provvista per acquistare un immobile situato all’estero, magari nella città estera dove il figlio si è trasferito per lavoro.

In questo caso, infatti, l’atto di compravendita immobiliare attraverso cui viene attuata la donazione indiretta, se formato in Italia, non è soggetto ad I.V.A., per mancanza del presupposto di territorialità, ed è soggetto a registrazione con pagamento dell’imposta di registro non in misura proporzionale ma in quella fissa di € 168, ai sensi dell’art. 1 della tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986.

La donazione indiretta che risulta dall’atto di compravendita sarà, pertanto, assoggetta, in tale ipotesi, al regime ordinario di tassazione ai fini dell’imposta sulle donazioni, con la conseguente applicazione dell’aliquota del 4% sulla parte di valore dell’immobile che eccede la franchigia applicabile.

Nel caso, poi, in cui l’atto di compravendita dovesse essere formato all’estero, va notato che, in base all’art. 2 del D.P.R. n. 131/1986, non vi sarebbe l’obbligo di registrazione in termine fisso in Italia, sennonché l’art. 55, comma 1-bis del D.lgs. n. 346/1990 prevede la registrazione obbligatoria anche per gli atti aventi ad oggetto donazioni, sia dirette che indirette, formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti in Italia e, quindi, la liberalità indiretta sconterebbe comunque l’imposta sulle donazioni in Italia.

La donazione sembrerebbe, invece, non avere rilevanza impositiva in Italia qualora il figlio non fosse più fiscalmente residente in Italia, attesa l’assenza dell’obbligo di registrazione dell’atto formato all’estero.

Altra fattispecie in cui non dovrebbe trovare applicazione la norma di esclusione in commento è quella in cui la liberalità indiretta sia collegata all’acquisto di beni immobili strumentali nell’esercizio di un’impresa, di un’arte o di una professione, esenti da I.V.A. ex art. 10, n. 8- ter del D.P.R. n.633/1972 e soggetti all’imposta fissa di registro.

6. I rapporti tra D.P.R. n. 131/1986 e D.Lgs. n. 346/1990 in occasione della registrazione di liberalità indirette

Si è visto che lo schema al quale normalmente si riconduce la liberalità indiretta è quello del negozio indiretto e cioè uno schema negoziale caratterizzato da un “negozio-fine” e cioè la donazione, e da un “negozio-mezzo” e cioè il negozio attraverso cui, di volta in volta, si veicola l’intento liberale; la liberalità indiretta quindi non sembra tanto un negozio unitario (caratterizzato cioè da una specifica causa unitaria) quanto più uno schema contrattuale in cui la causa del “negozio-fine” si sottomette alla causa del “negozio-mezzo”.

L’intento del presente paragrafo è quello di analizzare i possibili rapporti tra imposta di registro od I.V.A. ed imposta di donazione in sede di registrazione di una liberalità indiretta. A tal fine riprenderemo un esempio già fatto in precedenza, e cioè quello della dichiarazione di remissione del debito a seguito di donazione nulla (§ 2.2).

È indubbio che la liberalità indiretta sia astrattamente sottoposta all’imposta di donazione.

La circostanza è infatti confermata, come abbiamo sopra visto, dall’art. 1 comma 4-bis che espressamente statuisce “[...] ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione [...]”.

Nel caso delle liberalità indirette però spesso il “negozio-mezzo” costituisce autonoma fattispecie soggetta ad imposta di registro; ad esempio la remissione del debito è espressamente contemplata dall’art. 6 della prima parte della tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986 e deve essere dunque registrata “in termine fisso” con l’aliquota dello 0,5%.

Ove la remissione del debito (soggetta ad imposta di registro) fosse finalizzata al compimento di una liberalità indiretta (soggetta ad imposta di donazione), ci domandiamo quale dei seguenti sia il corretto regime impositivo per la fattispecie in esame:

(a) ogni negozio deve essere tassato secondo il regime suo proprio, quindi il “negozio-mezzo” sconterà l’imposta di registro, il “negozio-fine” l’imposta di donazione;

(b) l’intero schema negoziale (quindi “negozio-mezzo” e “negozio-fine”) deve considerarsi attratto nell’ambito dell’imposta di donazione, a prescindere dal fatto che l’importo dovuto all’Agenzia delle Entrate per il pagamento dell’imposta di registro sia astrattamente più elevato di quello dovuto per l’imposta di donazione.

Chiariamo con un esempio.

Tizio dona al figlio Caio la somma di €. 1.500.000,00 senza che la liberalità sia formalizzata nell’apposita forma dell’atto pubblico con testimoni.

Si tratta quindi di donazione nulla per difetto di forma e su Caio grave un obbligo restitutorio. Al fine di regolarizzare la situazione Tizio rimette a Caio il suo debito. Accettando la teoria sub a), ove la finalità liberale sia dichiarata o comunque evidente, in sede di registrazione tale atto sconterà un’imposta di registro dell’ammontare di €. 7.500,00 (pari a 1.500.000,00*0,5%) ed un imposta di donazione pari a €. 20.000,00 (pari al valore della donazione al netto della franchigia, €. 500.000,00*4%).

Accettando, invece, la teoria sub b), la remissione del debito sconterà soltanto l’imposta di donazione di €. 20.000,00.

Quale ricostruzione trova maggiore conformità con il dettato normativo? La risposta non è univoca; è però possibile tentare una ricostruzione.

L’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990 nel prevedere un’ipotesi di esenzione dal pagamento dell’imposta per le liberalità indirette collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, quando gli atti collegati siano soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale o ad I.V.A, sembra a contrario deporre per la tesi sub a).

Detto in altri termini, se è un soggetto (“donatario indiretto”) non è tenuto al pagamento dell’imposta di donazione ove l’atto collegato ( “negozio-mezzo”) sia soggetto ad un’altra imposta (imposta di registro con aliquota proporzionale o I.V.A.) ed abbia un particolare oggetto (il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende) e fermo restando il pagamento di tale imposta, è possibile dedurre che nei casi di liberalità indirette non rientranti nel campo di esenzione, fermo restando il pagamento dell’imposta per il “negozio-mezzo” (e quindi dell’imposta di registro o dell’I.V.A.) la liberalità indiretta sia soggetta anche all’imposta di donazione.

L’art. 56-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 346/1990 (ove si ritenga che lo stesso non sia stato implicitamente abrogato in considerazione delle profonde modifiche apportate con il D.L. n. 262/2006) sembra invece deporre per la tesi sub b) dal momento che non fa riferimento alcuno al “negozio-mezzo” e tratta lo schema della liberalità indiretta come un unicum.

Ci sembra da appoggiare la tesi sub b) e cioè, rilevato che un negozio costituisce una liberalità indiretta, riteniamo che lo stesso sia da attrarre integralmente nell’alveo della disciplina di cui al D.Lgs. n. 346/1990, tranne nel caso di esenzione di cui all’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990, ipotesi nella quale trova applicazione la tassazione del “negozio-mezzo”.

La ricostruzione sub a) ci pare invece peccare nel generalizzare un’ipotesi del tutto particolare. Le liberalità indirette sono normalmente (ma non necessariamente) caratterizzate:

(1) dal coinvolgimento di due sole parti, e cioè il “donante-indiretto” ed il “beneficiario-indiretto” (è opportuno ricordare che giuridicamente le parti rimangono due anche ove vi sia una molteplicità di donanti o di donatari);

(2) dalla coincidenza delle parti tra il “negozio-mezzo” ed il “negozio-fine”.

Nell’esempio della remissione del debito a seguito di donazione nulla si ritrovano entrambi i caratteri; infatti vi sono due sole parti (il genitore Tizio ed il figlio Caio) e vi è coincidenza tra le parti del “negozio-mezzo” e quelle del “negozio-fine”.

Le ipotesi di liberalità indiretta contemplate dall’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990 sembrano invece non adeguarsi ai requisiti ora individuati. Rientra infatti tipicamente nel campo di esenzione l’acquisto di immobile (o di azienda) da parte di un soggetto ove il prezzo sia pagato da altri (normalmente un genitore) o direttamente al venditore ovvero fornendo al beneficiario una apposita provvista.

In questi casi il “negozio-fine” è una donazione (normalmente) tra genitore e figlio, mentre il “negozio-mezzo” è una compravendita tra un soggetto estraneo al “negozio-fine” ed il beneficiario della stessa. In sostanza i soggetti coinvolti sono tre (“donante-indiretto”, “donatario-indiretto”/acquirente e venditore) e non vi è coincidenza tra le parti del “negozio-mezzo” e quelle del “negozio-fine”; il “donante-indiretto” infatti non è parte in senso tecnico del contratto di compravendita mentre il venditore non rientra nel campo del “negozio-fine” .

Senza l’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990 sarebbe possibile applicare in maniera “acritica” il principio secondo cui l’intera fattispecie di una liberalità indiretta soggiace solo all’imposta di donazione; nel caso visto sopra sarebbe di conseguenza tassato soltanto il “negozio-fine” tra il genitore che fornisce il danaro necessario per l’acquisto ed il figlio; con un’evidente disparità, sul piano fiscale, rispetto ad una normale compravendita.

Ci pare dunque che l’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990 abbia proprio la funzione di impedire che nei casi in esso contemplati trovi applicazione il principio generale per cui le liberalità indirette debbono ritenersi esclusivamente soggette all’imposta di donazione, stabilendo al contempo che agli stessi debba applicarsi esclusivamente il regime fiscale relativo al “negozio-mezzo”; secondo tale ricostruzione l’art. 1, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 346/1990 può dunque anche essere letto a contrario come una legittimazione del principio per cui, al di fuori dei casi dallo stesso contemplati, le liberalità indirette sono soggette alla sola imposta di donazione.

Pur con tutte le precauzioni derivanti dalla relativa “novità” della ricostruzione effettuata, possiamo riassumere come segue quello che riteniamo essere il regime di tassazione delle liberalità indirette, con riferimento al rapporto tra la tassazione del “negozio-mezzo” e quella del “negozio-fine”:

(1) liberalità indirette non aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, quando gli atti collegati siano soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale o ad I.V.A: deve ritenersi che vadano soggette alla sola imposta di donazione (esclusa quindi la tassazione del “negozio-mezzo”);

(2) liberalità indirette aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, quando gli atti collegati siano soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale o ad I.V.A: sono soggette alla sola imposta (registro od I.V.A.) relativa al “negozio-mezzo”.

7. Sintesi conclusiva

L’analisi sin qui condotta ci porta alle seguenti considerazioni conclusive.

Il fenomeno delle liberalità indirette è rimasto certamente tassabile nell’ambito della “nuova” imposta di donazione, in quanto lo stesso rientra nell’ampia nozione di “trasferimenti gratuiti” che il legislatore tributario del 2006 ha ritenuto di utilizzare ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo del tributo.

Le liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione devono sempre essere assoggettate all’imposta di donazione, salvo quelle collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’I.V.A.

Le altre liberalità indirette, quelle cioè non enunciate espressamente in atti soggetti a registrazione, confluiscono nella fattispecie delle liberalità indirette non formalizzate, accertabile e tassabile alle condizioni previste dall’art. 56-bis del D.Lgs. n. 346/1990.

In sostanza queste liberalità restano ignote al Fisco finché non siano volontariamente registrate, oppure “confessate” dal beneficiario nell’ambito di una procedura di accertamento sintetico, allo scopo di non vedersi qualificare come reddito non dichiarato l’incremento patrimoniale legato alle liberalità indirette ricevute.

L’attuale applicabilità dell’art. 56-bis non è, tuttavia, pacifica in dottrina, a causa di problemi di coordinamento con il nuovo sistema di aliquote e franchigie previsto dal D.L. n. 262/2006.

Al riguardo sono state proposte diverse soluzioni interpretative.

In assenza di chiarimenti, sul punto, da parte dell’Agenzia delle Entrate e presupponendo, comunque, ancora vigente la summenzionata norma, ci sembra appropriato ritenere che:

- in caso di registrazione volontaria delle liberalità indirette, si debbano applicare le nuove franchigie ed aliquote previste dall’art. 2, commi 49 e 49- bis, del D.L. n. 262/2006;

- in caso di accertamento delle liberalità indirette, si debba applicare, invece, a prescindere dal grado di parentela del beneficiario, l’aliquota massima vigente, pari all’otto per cento, sulla parte eccedente la franchigia prevista dall’art. 2, commi 49 e 49-bis, del D.L. n. 262/2006.

Tabella di sintesi sulla tassazione delle liberalità indirette ai fini dell’imposta di donazione

Fattispecie

Tassazione

  • Liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione
  • Liberalità indirette registrate volontariamente ex art. 56- bis,comma 3, del D.Lgs. n. 346/1990

Si applicano le aliquote e le franchigie previste dall’art. 2, commi 49 e 49-bis, del D.L. n. 262/2006.

· Liberalità indirette “confessate” nel corso di accertamenti afferenti altri tributi

La questione è dubbia. Sembrerebbe corretto applicare l’aliquota massima dell’8 per cento, a prescindere dal rapporto di parentela del beneficiario, e considerare i vari importi di franchigia previsti dall’art. 2 del D.L. n. 262/2006.

Non sono previste sanzioni specifiche.

· Liberalità indirette collegate ad atti di trasferimento o di costituzione di diritti immobiliari o di trasferimento di aziende assoggettati ad I.V.A. o ad imposta proporzionale di registro

Non si applica l’imposta di donazione.



[1] Tale forma di liberalità non donativa può realizzarsi mediante diversi meccanismi e sarà oggetto di specifica analisi in un prossimo intervento, anche per ciò che attiene ai relativi aspetti fiscali. Qui ci limitiamo a ricordare che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata, qualunque sia lo schema negoziale utilizzato per realizzare il fine di liberalità, oggetto della donazione non è il denaro impiegato per l’acquisto dell’immobile, bensì l’immobile stesso.

[2] Cfr. Cass., 10 aprile 1999, n. 3499.

[3] Si veda lo studio n. 107-2009/C del Consiglio Nazionale del Notariato.

[4] Cfr., fra gli altri, S. Ghinassi, Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio, in Rassegna Tributaria 2/2010, p. 400.

[5] In questo senso si è espresso il Consiglio nazionale del Notariato nello studio n. 168-2006/T.

[6] Le franchigie vigenti sono le seguenti: 1.000.000 di euro per le donazioni a favore del coniuge e dei parenti in linea retta; 100.000 euro per le donazioni a favore dei fratelli e delle sorelle; 1.500.000 euro se il beneficiario della donazione è una persona portatrice di handicap riconosciuto grave ai sensi della L. n. 104/1992.

È opportuno, inoltre, ricordare che, con la circolare 22 gennaio 2008 n. 3/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, ai fini delle determinazione della franchigia fruibile, devono essere considerate tutte le donazioni pregresse fatte dal donante al donatario, comprese quelle relative al periodo di abrogazione dell’imposta di donazione.

[7] Così S. Ghinassi, op. cit., p. 428.

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