Il riporto delle perdite fiscali nelle operazioni straordinarie d'impresa
di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 17 - 26 aprile 2010
Il legislatore tributario ha dettato norme specifiche per disciplinare la possibilità di riporto e di utilizzazione delle perdite fiscali nell’ipotesi in cui l’impresa, alla quale le perdite si riferiscono, proceda a operazioni di riorganizzazione aziendale, quali tipicamente operazioni di fusione, di scissione e di conferimento d’azienda, ovvero cambi la propria forma giuridica, oppure venga assoggettata a liquidazione ordinaria o concorsuale. Si tratta di un quadro normativo piuttosto articolato, dal quale emerge soprattutto che, se da un lato l’ordinamento tributario riconosce la possibilità di compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali, dall’altro limita fortemente tale possibilità, allo scopo di contrastare manovre elusive volte al commercio delle ed. “bare fiscali”.
1. Premessa
La disciplina ordinaria in materia di utilizzo delle perdite fiscali, già analizzata in un nostro precedente intervento su questa rivista, [1] deve essere coordinata con le norme che regolano il riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni straordinarie d’impresa.
In questo articolo esamineremo, quindi, la sorte delle perdite fiscali nei casi di:
• fusione societaria;
• scissione societaria;
• aggregazione fra imprese realizzata attraverso conferimenti o cessioni d’azienda;
• trasformazione di società;
• liquidazione d’impresa volontaria e concorsuale.
Come si vedrà, se si escludono la trasformazione e la liquidazione, con riferimento alle quali non può profilarsi un utilizzo elusivo dell’istituto del riporto delle perdite, tutte le operazioni di riorganizzazione aziendale sopra menzionate sono state assoggettate a precise limitazioni in ordine alla possibilità di proseguire nel riporto delle perdite fiscali pregresse; ciò allo scopo di contrastare il fenomeno del commercio delle cosiddette “bare fiscali”.
Come correttamente osservato in dottrina,[2] nel nostro ordinamento tributario, più che esistere un divieto generalizzato di utilizzo “intersoggettivo” delle perdite fiscali, cioè di trasferire, mediante operazioni straordinarie, perdite a soggetti con utili e viceversa, esiste un principio di esclusione della possibilità di riportare le perdite fiscali pregresse, che opera soltanto in presenza di “fattispecie patologiche”, cioè laddove la società che ha in dote le perdite si presenti essenzialmente come una società decotta, carica solo di perdite fiscali e l’operazione straordinaria sia posta in essere al solo scopo di trasferire le sue perdite riportabili a una società in utile, per abbattere il reddito imponibile di quest’ultima.
Infatti, qualora la società, cui le perdite si riferiscono, soddisfi determinati requisiti di vitalità economica (da verificare attraverso un apposito test previsto dalla legge), la compensazione intersoggettiva di utili e perdite, nell’ambito di operazioni straordinarie, è pienamente consentita.
2. Le perdite fiscali nell’operazione di fusione
La società risultante dalla fusione (nella fusione per unione), ovvero quella incorporante (nella fusione per incorporazione), assume, ai sensi dell’art. 2504- bis del codice civile, i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, compreso, quindi, il diritto a riportare in diminuzione del proprio reddito le perdite fiscali ante fusione delle società fuse o incorporate.
Tuttavia, come accennato in premessa, allo scopo di contrastare il fenomeno elusivo della fusione di società fortemente redditizie con società dotate soltanto di elevate perdite fiscali, ma prive di ogni concreta operatività, il legislatore tributario ha condizionato la riportabilità delle perdite ante fusione alla sussistenza di determinate condizioni di vitalità economica in capo alle società cui le perdite stesse si riferiscono. L’art. 172, comma 7, del Tuir prevede, infatti, che il riporto è possibile soltanto nel caso in cui la società che ha in dote le perdite fiscali abbia contabilizzato, nel Conto economico relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, ricavi e proventi caratteristici, nonché spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, per un ammontare superiore al 40% di quello che risulta dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.
Indici di vitalità economica per il riporto delle perdite fiscali nella fusione
Indicatori di vitalità economica |
Valore richiesto per riporto delle perdite |
Ricavi e proventi dell’attività caratteristica dell’esercizio anteriore a quello di deliberazione della fusione |
> 40% della media ultimi due esercizi anteriori a quello di riferimento |
Spese per lavoro subordinato e relativi contributi dell’esercizio anteriore a quello di deliberazione della fusione |
> 40% della media ultimi due esercizi anteriori a quello di riferimento |
Attraverso, il calcolo dei suddetti indici si vuole, in sostanza, verificare che la società che ha subito le perdite non si sia depotenziata nel periodo precedente alla fusione.
Con riguardo alla nozione di ricavi e proventi caratteristici, ai fini dell’applicazione del test di vitalità economica in esame, debbono essere considerati tutti i componenti positivi di reddito che, in relazione all’attività svolta dalla società, abbiano natura ricorrente e si contrappongano ai costi caratteristici.[3] Ciò significa che assumono rilevanza:
• i ricavi delle vendite e delle prestazioni di cui alla voce Al) del Conto economico;
• i ricavi e proventi iscritti alla voce A5) del Conto economico, se riconducibili all’attività caratteristica;
• i proventi da partecipazione e gli altri proventi finanziari di cui, rispettivamente, alle voci CI 5) e CI 6) del Conto economico, sempre che facenti parte dell’attività tipica, come nel caso delle holding di partecipazione e, più in generale, dei soggetti che, svolgendo attività finanziaria non nei confronti del pubblico, sono iscritti nella sezione speciale ex art. 113 del Testo unico bancario, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, e, in conformità ai principi contabili nazionali,[4] rilevano nell’aggregato C) del Conto economico i componenti positivi e negativi attinenti all’attività finanziaria svolta.
Per quanto riguarda il secondo indicatore di vitalità economica, cioè quello delle spese del personale dipendente, si devono considerare i salari e stipendi nonché i contributi sociali di cui, rispettivamente, alle voci B9a) e B9b) del Conto economico.
L’Amministrazione finanziaria[5] si è pronunciata sull’applicazione del test di vitalità economica anche nell’ipotesi di società senza lavoratori subordinati, precisando che la mancanza assoluta di costi del personale in bilancio “non è, da sola, sintomo di scarsa vitalità aziendale”, e lasciando, dunque, intendere che il riporto delle perdite non è precluso laddove l’operatività della società portatrice delle perdite si possa desumere da altri fattori.
In tal caso, tuttavia, secondo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, si renderà necessario presentare un’istanza di interpello alla Direzione regionale competente, ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per ottenere la disapplicazione della norma antielusiva in esame.
Tale affermazione dell’Agenzia delle Entrate è di particolare interesse per le società immobiliari e per quelle finanziarie, spesso caratterizzate dalla mancanza, nei propri bilanci, di costi del personale, ma non per questo necessariamente prive di quella vitalità economica minima richiesta dalla normativa per il riporto delle perdite, in caso di fusione.
I tecnici dell’Agenzia delle Entrate sono pervenuti alle stesse conclusioni anche in ordine all’applicazione del test di vitalità economica nel caso in cui alla fusione partecipino società neo costituite, per le quali può mancare il biennio di riferimento, dal cui esame dipende, come abbiamo visto, la riportabilità delle perdite pregresse nell’ambito dell’operazione. Al riguardo è stato infatti affermato [6] che, laddove non vi siano i profili di elusività che la norma intende contrastare, è possibile ottenere, mediante apposita istanza, la disapplicazione della norma stessa. Diversamente le società neo costituite si troverebbero sempre nell’impossibilità di trasferire le proprie perdite alla società risultante dalla fusione.
Occorre, poi, svolgere qualche considerazione sulla questione del periodo temporale da assumere per la verifica della vitalità economica delle società partecipanti alla fusione. Si tratta, infatti, di un tema molto dibattuto in dottrina, dopo che l’Amministrazione finanziaria, in più di un’occasione, [7] ha sostenuto la tesi, secondo cui, nel caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, i requisiti di vitalità economica della società che ha in dote le perdite riportabili devono permanere fino al momento in cui la fusione viene deliberata, con la conseguenza, piuttosto onerosa sotto il profilo amministrativo, che gli activity test da effettuare sarebbero due: il primo, con riferimento all’esercizio antecedente a quello in cui la fusione è stata deliberata; il secondo, con riferimento all’intervallo temporale compreso fra l’inizio dell’esercizio e la data di delibera della fusione, con la necessità, per quanto riguarda questo secondo test, di procedere ad un ragguaglio ad anno dei ricavi caratteristici e delle spese per il personale dipendente relativi a tale intervallo di tempo, in modo tale che il confronto con la media degli ultimi due esercizi precedenti avvenga fra dati omogenei.
Pertanto, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, se, nella frazione di esercizio che precede la delibera di fusione, la società viene depotenziata, il riporto delle perdite non sarà comunque consentito, anche se il test di vitalità è pienamente superato con riferimento all’esercizio precedente. A nostro giudizio, si tratta di un orientamento non condivisibile,[8] non solo perché non trova riscontro nel dato letterale della norma, ma anche perché, come è stato giustamente osservato,[9] esso “ignora l’influenza della diversa durata dell’ultimo esercizio ed il peso dei fattori stagionali, nonché l’effetto dell’eventuale mutato assetto societario sull’andamento aziendale”.
Una volta accertata la sussistenza degli indici di vitalità economica, occorre ricordare che la normativa in rassegna prevede, altresì, dei limiti al quantum di perdite pregresse riportabili. Le perdite di ciascuna società partecipante alla fusione, comprese quelle della società incorporante, possono essere riportate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede il rispettivo patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio, ovvero dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’art. 2501-quater del codice civile, se il patrimonio netto da essa risultante è inferiore a quello dell’ultimo bilancio.
Inoltre, allo scopo di evitare che la limitazione quantitativa in esame potesse essere facilmente aggirata mediante l’effettuazione di operazioni di ricapitalizzazione, in vista dell’operazione di fusione, si è stabilito che, ai fini del computo delle perdite riportabili, il patrimonio netto è da considerare al netto dei conferimenti (sia in denaro che in natura) e dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi che precedono la data di riferimento della situazione patrimoniale ex art. 2501-quater del codice civile. La limitazione del patrimonio netto può essere sintetizzata nelle seguenti formule:
Se (PN - CV) > PF -> PR = PF
Se (PN - CV) < PF -+ PR = (PN - CV)
Ove:
PR: perdite riportabili;
PF: perdite fiscali;
PN:patrimonio netto contabile;
CV: conferimenti e versamenti degli ultimi 24 mesi.
Un’ulteriore limitazione quantitativa al riporto delle perdite è prevista dal terzo periodo del comma 7 dell’art. 172 del Tuir, in base al quale “Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione”.
In sostanza, in presenza di precedenti svalutazioni fiscali sulle azioni o quote della società incorporata, dedotte direttamente dalla società incorporante oppure da altra società, estranea alla fusione, che le abbia ad essa cedute, dopo l’esercizio cui si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione, le perdite fiscali riportabili dell’incorporata devono essere “sterilizzate” dell’importo di tali svalutazioni, allo scopo di evitare la cosiddetta doppia deduzione della perdita.
Tale disposizione è, comunque, destinata a perdere di attualità, atteso che, con la riforma Ires del 2003, è venuta meno - come è noto - la possibilità di dedurre le svalutazioni delle partecipazioni societarie, sicché la concreta applicazione della norma riguarda soltanto le svalutazioni effettuate sino al 31 dicembre 2003.
Limiti quantitativi al riporto delle perdite nella fusione
Limite del patrimonio netto |
Le perdite fiscali riportabili della società partecipante alla fusione non possono eccedere il relativo patrimonio netto risultante dal bilancio dell’esercizio anteriore a quello di deliberazione della fusione o, se inferiore, dalla situazione ex art. 2501-quater del codice civile |
Svalutazione delle partecipazioni |
Le svalutazioni fiscali sul valore delle partecipazioni nella società con le perdite riportabili, operate dalla società incorporante o partecipante alla fusione, vanno portate in diminuzione delle perdite riportabili |
Va poi segnalato che, in assenza di indicazioni normative, la dottrina si è interrogata sui criteri da adottare per individuare le perdite fiscali pregresse che, per effetto dei limiti quantitativi sopraddetti, non sono valorizzabili in capo alla società risultante dalla fusione. Il problema naturalmente si pone quando vi sono perdite formatesi in periodi di imposta diversi, atteso il vincolo temporale del quinquennio. L’adozione, in questo caso, di un criterio di imputazione proporzionale ci sembra la soluzione più corretta o quantomeno di maggior cautela, ma bisogna ricordare, in proposito, che l’ADC di Milano, nella norma di comportamento n. 160, si è espressa, invece, a favore dell’adozione di un critèrio discrezionale. In particolare, per detta Associazione sarebbe possibile imputare le perdite eccedenti i limiti del patrimonio netto e delle svalutazioni fiscali interamente a riduzione delle perdite più remote, oppure soltanto a quelle soggette al vincolo quinquennale, laddove fossero presenti anche perdite illimitatamente riportabili. Ricordiamo, infine, per completezza, che, per effetto delle modifiche apportate all’art. 172, comma 7, del Tuir dall’art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, in caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, le limitazioni al riporto delle perdite, che abbiamo sopra esaminato, esplicano i loro effetti anche con riferimento all’eventuale perdita fiscale relativa al periodo che intercorre fra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione.
Da un punto di vista operativo, ciò implica che, anche in caso di retrodatazione degli effetti fiscali, si dovrà determinare, per ciascuna società partecipante alla fusione (compresa quella incorporante)[10], il risultato fiscale relativo alla suddetta frazione di esercizio. Tale risultato, ove negativo, andrà sottoposto, al pari delle altre perdite fiscali pregresse, ai limiti nell’an e nel quantum previsti dall’art. 172 del Tuir, con la conseguenza che esso non potrà confluire nel reddito della società risultante dalla fusione, in caso di mancato superamento del test di vitalità economica.
3. Le perdite fiscali nell’operazione di scissione
Il riporto delle perdite fiscali pregresse nell’ambito dell’operazione di scissione societaria risulta disciplinato mediante un rinvio, seppure con qualche adattamento, alle disposizioni dettate per le fusioni.
Il comma 10 dell’art. 173 del Tuir stabilisce, infatti, che “Alle perdite fiscali delle società che partecipano alla scissione si applicano le disposizioni del comma 7 dell’art. 172, riferendosi alla società scissa le disposizioni riguardanti le società fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante ed avendo riguardo all’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dal progetto di scissione di cui all’art. 2506-bis del codice civile, ovvero dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 2506-ter del codice civile”.
Prima ancora di vagliare la riportabilità delle perdite in base ai limiti e alle condizioni previsti per la fusione, si pone, nel caso della scissione, il problema della ripartizione delle perdite riportate dalla scissa fra le società coinvolte nell’operazione.
Mentre nella fusione societaria il diritto di riportare le perdite pregresse delle società fuse o incorporate confluisce in un unico soggetto, la società risultante dalla fusione o incorporante, nella scissione, invece, all’effetto di sezionamento del patrimonio della società scissa, connaturato all’operazione stessa, consegue la necessità di ripartire le perdite fiscali pregresse fra più soggetti, cioè fra le società beneficiarie, in caso di scissione totale, ovvero fra la scissa e la/e beneficiaria/e in ipotesi di scissione parziale.
La dottrina è pressoché unanime nel ritenere che la ripartizione in parola debba avvenire secondo il criterio generale di attribuzione delle cosiddette “posizioni fiscali soggettive”, previsto dal comma 4 dell’art. 173 del Tuir. In sostanza, muovendo dalla considerazione che le perdite fiscali rappresentano una posizione soggettiva che non può che riferirsi in maniera indistinta al patrimonio della scissa, complessivamente inteso (derivando esse da una indistinta contrapposizione di componenti reddituali positivi e negativi), si ritiene che, a decorrere dalla data in cui la scissione ha effetto, le perdite fiscali pregresse della società scissa debbano essere attribuite alle società beneficiarie e, in caso di scissione parziale, anche alla stessa società scissa, in proporzione delle rispettive quote del patrimonio netto contabile trasferite alle società beneficiarie o rimaste in capo alla società scissa, in caso di scissione parziale.[11] Ciò detto, non si può fare a meno di notare che la scelta del legislatore di disciplinare il riporto delle perdite fiscali nella scissione societaria, rinviando sic et simpliciter alle norme sulla fusione, non agevola particolarmente l’interprete nella comprensione dell’ambito di applicazione dell’assetto normativo di riferimento. L’attuale formulazione del comma 10 dell’art. 173 del Tuir non lascia dubbi sul fatto che le limitazioni al riporto delle perdite di cui al comma 7 all’art. 172 del Tuir si debbano applicare anche nei confronti delle società beneficiarie preesistenti, con riferimento alle perdite fiscali da queste accumulate prima della scissione.
Ci si è, invece, interrogati sulla applicabilità o meno delle suddette limitazioni alle perdite pregresse della scissa attribuite alle società beneficiarie di nuova costituzione, cioè alle società che nascono per effetto dell’operazione di scissione stessa.
Un’interpretazione strettamente letterale del citato comma 10 dell’art. 173 non consente di sostenere alcuna differenziazione nel trattamento di tali perdite fra l’ipotesi in cui la società beneficiaria sia costituita per effetto della scissione e quella in cui la beneficiaria sia preesistente.
Sotto il profilo dell’interpretazione logico sostanziale della norma si evidenzia, tuttavia, che, nell’ipotesi di società beneficiaria di nuova costituzione, non vi può essere quel rischio di compensazione intersoggettiva delle perdite, noto anche come “commercio di bare fiscali” che il legislatore ha voluto contrastare con la normativa de qua.
Si ritiene, quindi, che i limiti al riporto delle perdite non debbano applicarsi quando la beneficiaria è di nuova costituzione. [12]
In dottrina si è, poi, discusso anche in merito alla questione dell’applicabilità o meno delle limitazioni al riporto a quella porzione di perdite pregresse che, in ipotesi di scissione parziale, rimane in capo alla società scissa. La maggior parte dei commentatori è sempre stata orientata a ritenere che tali perdite non dovessero essere sottoposte al vaglio delle condizioni di vitalità, atteso che, con riferimento alla società scissa, non può sussistere quel pericolo di compensazione intersoggettiva tra le perdite di una cosiddetta “bara fiscale” e gli utili di una società attiva, che la normativa in esame vuole contrastare.
Tale orientamento è stato, recentemente, fatto proprio anche dall’Agenzia delle Entrate, secondo cui l’utilizzo delle perdite pregresse che restano nella disponibilità della società scissa non va sottoposto ad alcuna limitazione, atteso che -non realizzandosi in capo alla società stessa alcuna concentrazione soggettiva - tali perdite non possono essere compensate con risultati positivi realizzati da altri soggetti.
4. Le aggregazioni fra imprese diverse da fusioni e scissioni
Il quadro delle norme antielusive, in materia di riporto delle perdite fiscali, è completato dalla disposizione di cui al comma 3 dell’art. 84 del Tuir, introdotta dal legislatore per limitare la compensazione “intersoggettiva” di perdite realizzata attraverso operazioni di aggregazione aziendale diverse da quelle di fusione e di scissione, come il conferimento e la cessione d’azienda. In base a detta disposizione, che, in forza del richiamo contenuto nel comma 3 dell’art. 8 del Tuir all’art. 84, si applica anche alle S.n.c. e alle s.a.s., il riporto delle perdite fiscali è precluso quando ricorrono, in capo alla società che ha in dote le perdite, entrambe le seguenti condizioni ostative:
• trasferimento o acquisizione da parte di terzi della maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie;
• modificazione dell’attività principale in fatto esercitata nei periodi di imposta in cui le perdite sono state realizzate.
Nella relazione ministeriale al D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, che ha introdotto nel Tuir la norma in commento, è esplicitato che l’obiettivo della disposizione è quello di impedire l’utilizzo elusivo dell’istituto del riporto delle perdite fiscali che si verifica quando l’azionista di una società profittevole acquisisce il controllo di una società carica solo di perdite (ed. “bara” fiscale) per spostare su di essa i rami d’azienda più redditizi, al solo scopo di compensare le perdite della ex “bara”con gli utili conseguiti da questa. Si è osservato[13] che, in questo caso, “il soggetto che riporta le perdite è nominalmente lo stesso ma, nella sostanza, diverso da quello che ha realizzato le perdite”.
Con riguardo alla prima delle due condizioni ostative sopra richiamate, ci sembra importante ricordare che, ai fini della presunzione di elusività, non è indispensabile il trasferimento della proprietà delle azioni o quote della società che ha in dote le perdite, potendo il controllo essere acquisito, ad esempio, anche attraverso il trasferimento del diritto di usufrutto sulle partecipazioni,[14] atteso che la norma, con riferimento all’acquisizione della maggioranza delle partecipazioni, usa l’espressione “comunque acquisita”. Per ciò che attiene, invece, alla verifica della seconda condizione ostativa, segnaliamo che affinché scatti il divieto di riporto è richiesto che la modificazione dell’attività principale svolta nei periodi d’imposta di formazione delle perdite intervenga in un lasso temporale vicino all’operazione di trasferimento od acquisizione della società. Più precisamente, il cambiamento dell’attività principale, cioè di quella da cui deriva la maggior parte dei ricavi, assume rilevanza se interviene nel periodo d’imposta in corso al momento del trasferimento od acquisizione della società, ovvero nei due successivi od anteriori.
Attesa la ratio della norma in esame, la preclusione al riporto non si applica nell’ipotesi in cui l’operazione di trasferimento o di acquisizione abbia per oggetto una società in condizioni di vitalità economica.
Più in dettaglio, è stabilito che il riporto è ammesso quando la società, cui le perdite si riferiscono, nel biennio precedente a quello di trasferimento, abbia avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità e per la quale dal Conto economico dell’esercizio precedente a quello di trasferimento risultino un ammontare di ricavi e proventi caratteristici, e un ammontare di spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi contributi, superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. In ordine alle nozioni di “ricavi e proventi caratteristici” e “spese per prestazioni di lavoro subordinato” si rimanda a quanto già detto sopra, con riferimento all’applicazione del test di vitalità economica per il riporto delle perdite fiscali nell’operazione di fusione.
Trasferimento del controllo della società e modifica dell’attività principale |
-> |
Divieto di riporto delle perdite se non sono rispettati gli indici di vitalità economica |
Indici di vitalità economica
Indici di natura contabile |
Ricavi caratteristici risultanti dal CE. dell’esercizio precedente a quello di trasferimento del controllo > 40% dell’ammontare pari alla media degli ultimi due esercizi anteriori Spese del personale risultanti dal CE. dell’esercizio precedente a quello di trasferimento del controllo > 40% dell’ammontare pari alla media degli ultimi due esercizi anteriori |
Indice di natura extracontabile |
Numero dei dipendenti mai inferiore alle 10 unità nel biennio precedente a quello di trasferimento del controllo |
5. Le perdite fiscali nella trasformazione
L’art. 170 del Tuir, nel disciplinare gli aspetti fiscali della trasformazione societaria omogenea, nulla dice in merito alla sorte delle perdite fiscali relative al periodo compreso fra l’inizio dell’esercizio e la data di effetto della trasformazione nonché ai precedenti periodi d’imposta, nell’ipotesi in cui la società proceda al cambiamento della propria veste giuridica, trasformandosi da società di persone in società di capitali o viceversa.
Tale problematica, in passato a lungo dibattuta in dottrina, è stata oggetto di importanti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, [15] sia per quanto riguarda l’ipotesi di trasformazione progressiva da società di persone in società di capitali, sia con riguardo a quella, meno frequente nella pratica, di trasformazione regressiva da società di capitali in società di persone. In particolare, con riferimento all’operazione di trasformazione progressiva, è stato chiarito che le perdite ante trasformazione non possono essere utilizzate dalla società di capitali risultante dalla trasformazione per compensare redditi propri negli esercizi successivi all’operazione, in quanto le perdite prodotte da una società di persone vengono, come è noto, automaticamente imputate per trasparenza ai soci, in proporzione delle loro quote di partecipazione agli utili, e soltanto i soci sono legittimati ad utilizzarle in compensazione, secondo modalità che variano a seconda del regime contabile della società, relativo al periodo di formazione della perdita.[16] L’Agenzia delle Entrate è intervenuta,[17] poi, anche sulla questione del riporto delle perdite fiscali in ipotesi di trasformazione regressiva, cioè da società di capitali in società di persone, affermando che il cambiamento del regime impositivo, che consegue all’operazione, non impedisce di riconoscere in capo alla società di persone, che risulta dalla trasformazione, le perdite prodotte dalla società stessa prima del cambiamento della propria forma giuridica. In pratica, le perdite pregresse ante trasformazione sono gestite unicamente dalla società di persone, la quale prowederà ad utilizzarle per diminuire i propri redditi, prima di imputare gli stessi ai soci, in forza del principio di trasparenza. Tale orientamento dell’Agenzia delle Entrate ha trovato attuazione, già da qualche anno, nel Modello UNICO delle società di persone.
In particolare, nel Modello UNICO 2010-SP le eccedenze di perdite d’impresa di esercizi precedenti, eventualmente formatisi in capo alla società di capitali prima della trasformazione in società di persone, devono essere indicate nel rigo RH12.
Trattamento perdite pregresse nella trasformazione omogenea
Tipologia di trasformazione |
Regola di riporto |
Trasformazione progressiva |
Le perdite pregresse sono utilizzabili solo dai soci cui sono attribuite per trasparenza |
Trasformazione regressiva |
Le perdite pregresse sono riportabili in capo alla società di persone e non possono essere attribuite direttamente ai soci |
Anche il trattamento delle perdite fiscali pregresse in ipotesi di trasformazione eterogenea non è stato disciplinato dal legislatore. Al riguardo, segnaliamo che, con riferimento al caso della trasformazione della società di capitali in ente non commerciale, sembrerebbe prevalere in dottrina l’orientamento secondo cui il riporto delle perdite sarebbe consentito, nel rispetto dei limiti temporali previsti dalla normativa vigente, soltanto qualora l’ente prosegua, naturalmente in via secondaria, l’attività commerciale esercitata dalla società di capitali, dal momento che le perdite della pregressa attività commerciale possono essere compensate soltanto con redditi d’impresa.
Nel caso in cui, invece, l’ente non commerciale, risultante dalla trasformazione, non. prosegua l’attività d’impresa della società commerciale, si ritiene che le perdite fiscali pregresse debbano. considerarsi inutilizzabili, in quanto viene a mancare il reddito d’impresa con cui compensarle. [18]
Infine, con riguardo all’ipotesi di trasformazione da ente non commerciale in società di capitali, sembra essersi ormai consolidata, in dottrina, l’opinione secondo cui la società di capitali che risulta dalla trasformazione possa utilizzare le perdite fiscali pregresse che l’ente trasformato abbia realizzato svolgendo un’attività d’impresa.[19]
Trattamento perdite pregresse nella trasformazione eterogenea
Tipologia di trasformazione |
Regola di riporto |
Trasformazione da società di capitali in ente non commerciale |
Le perdite pregresse sono riportabili in capo all’ente solo se vi è continuazione dell’attività commerciale |
Trasformazione da ente non commerciale in società di capitali |
Possono essere riportate le perdite derivanti da un’attività d’impresa svolta dall’ente trasformato |
6. Le perdite fiscali nella liquidazione d’impresa
Dall’esame delle disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell’art. 182 del Tuir, emerge che il trattamento delle perdite fiscali nell’ambito della liquidazione volontaria d’impresa è diverso a seconda del regime fiscale del soggetto cui le perdite si riferiscono e del momento di formazione della perdita, cioè a seconda che questa sia maturata prima della liquidazione o nel corso di quest’ultima.
Per quanto riguarda le società di capitali, le perdite relative ai periodi di imposta anteriori alla data di inizio della procedura di liquidazione e, a tale data, ancora riportabili, possono essere compensate, entro il quinquennio, con i redditi degli esercizi intermedi della liquidazione ovvero in sede di conguaglio finale, anche se sono trascorsi più di cinque esercizi dalla loro formazione.[20]
Se, invece, manca l’operazione di conguaglio, ad esempio perché la liquidazione si protrae oltre i cinque esercizi dalla sua apertura, torna applicabile il limite temporale ordinario di cui all’art. 84 del Tuir, con la conseguenza che le perdite anteriori alla liquidazione non utilizzate nel corso dela stessa, entro i cinque anni dalla loro formazione, diventano fiscalmente irrilevanti. Per quanto riguarda, invece, le perdite intermedie, cioè quelle realizzate durante la procedura di liquidazione, è stato precisato,[21] nel silenzio della norma, che le stesse sono compensabili secondo i criteri ordinari di cui all’art. 84 del Tuir, a prescindere dal fatto che la durata della liquidazione si protragga o meno oltre i cinque esercizi.
Utilizzo delle perdite nella liquidazione delle società di capitali
Periodo di formazione della perdita |
Trattamento della perdita |
Perdite anteriori alla liquidazione |
Possono essere utilizzate nel corso della procedura, nei limiti temporali ordinari, o in sede di conguaglio finale, anche oltre il limite dei 5 anni |
Perdite intermedie |
Si applicano le regole ordinarie dell’art. 84 del Tuir |
Relativamente alla disciplina del riporto delle perdite fiscali in ipotesi di liquidazione volontaria delle imprese individuali e delle società di persone, va detto che, mentre, in relazione alle perdite maturate prima della liquidazione non vi sono regole particolari da seguire, nel senso che si applica la disciplina generale prevista dall’art. 8 del Tuir, per quanto attiene, invece, alle perdite maturate nel corso delle procedura di liquidazione, occorre tener presente la previsione dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 182 del Tuir, secondo la quale “se la liquidazione si chiude in perdita si applicano le disposizioni dell’articolo 8”. Tale norma è stata interpretata dalla dottrina maggioritaria nel senso che le perdite prodotte negli esercizi intermedi di liquidazione restano, per così dire, “sospese” e che soltanto la perdita che dovesse risultare dalla chiusura della liquidazione può essere imputata all’imprenditore individuale ù ripartita fra i soci, in caso di società di persone.
In sostanza, secondo tale interpretazione, le perdite intermedie non avrebbero rilevanza fiscale provvisoria, come è invece previsto per gli utili dei periodi intermedi.
Restada vedere se l’irrilevanza fiscale delle perdite in rassegna permanga anche nel caso in cui la liquidazione dell’impresa individuale o della società di persone non si chiuda entro tre esercizi dal suo avvio, atteso che, in tal caso, in base al disposto dell’art. 182 del Tuir, i redditi dei periodi intermedi diventano definitivi. La questione è piuttosto controversa in dottrina, anche se sembra prevalere l’orientamento secondo cui l’irrilevanza fiscale delle perdite intermedie opererebbe a prescindere dalla durata della liquidazione.[22]
Utilizzo delle perdite nella liquidazione di imprese individuali e società di persone
Periodo di formazione della perdita |
Trattamento delle perdita |
Perdite anteriori alla liquidazione |
Si applica la disciplina prevista dall’art. 8 del Tuir |
Perdite intermedie |
Non trovano riconoscimento fiscale. È rilevante soltanto l’eventuale perdita relativa all’intera procedura di liquidazione |
Infine, per quanto riguarda il trattamento delle perdite fiscali nell’ipotesi di liquidazione concorsuale dell’impresa, si deve ricordare che, secondo quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate,[23] le eventuali perdite maturate nei periodi d’imposta che precedono l’inizio del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa possono essere utilizzate, entro il termine del quinquennio, per diminuire l’eventuale risultato reddituale positivo relativo all’intera procedura concorsuale. È stato, altresì, chiarito che, in caso di ritorno in bonis dell’imprenditore fallito, le suddette perdite possono essere utilizzate, entro il quinto periodo d’imposta successivo, anche per ridurre gli eventuali redditi della nuova impresa esercitata dall’imprenditore.
Con riferimento al computo del limite temporale del quinquennio, si deve tener conto che, ai sensi dell’art. 183 del Tuir, il periodo compreso tra l’inizio e la chiusura della procedura concorsuale rappresenta un unico periodo d’imposta, quale che sia la sua durata e anche se vi è stato esercizio provvisorio.
[1] Si veda M Zanni-G. Rebecca, L'utilizzo delle perdite fiscali: la disciplina generale, in "il fisco" n. 15/2010, fascicolo n. 1, pag. 2290.
[2] Vedi G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele-V. Russo, La disciplina delle perdite, Collana Temi di reddito d'impresa, Casi con¬troversi e soluzioni operative, Ipsoa, 2007, pag. 69.
[3] Cfr. le risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate 10 aprile 2008, n. 143/E e 13 luglio 2009, n. 183/E, entrambe in banca dati “fisconline” .
[4] Si veda il documento interpretativo n. 1 del principio contabile n. 12.
[5] Si veda ris. dell'Agenzia delle Entrate 29 ottobre 2002, n. 337/E, in banca dati “fisconJine”.
[6] Si veda ris. n. 337/E del 2002, cit
[7] Si veda risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate 24 ottobre 2006, n. 116/E, in banca dati “fisconJine” e 10 aprile 2008, n. 143/E, cit.
[8] La posizione dell'Agenzia delle Entrate è stata criticata anche da Assonime, nella circ. n. 31 del 31 maggio 2007, e dall'Associazione italiana Dottori Commercialisti, nella norma di comportamento n. 176 del 2009, in banca dati “fisconline”.
[9] Cfr. nota di comportamento n. 176/2009 dell'ADC, cit.
[10] Si veda circ. Agenzia delle Entrate 4 agosto 2006, n. 28/E, in banca dati “fìsconline”.
[11] Ricordiamo che l'applicazione della regola generale della proporzionalità nella ripartizione delle perdite fiscali della società scissa era espressamente prevista dal previgente art.123-bis, comma 10, del Tuir, tramite un rinvio al comma 4 dello stesso articolo.
Nella formulazione dell'art. 173, comma 10, del nuovo Tuir, il richiamo al comma 4 è stato, invece, espunto, forse perché ritenuto pleonastico dal legislatore.
[12] In questo senso, si vedano la ris. Agenzia delle Entrate 30 giugno 2009, n. 168/E e là circ. 9 marzo 2010, n. 9/E.
[13] Si veda G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele-V. Russo, La disciplina delle perdite, op. cit, pag. 69.
[14] Cfr. circ. Agenzia delle Entrate 19 dicembre 1997, n: 320/E, in banca dati “fisconline”.
[15] Si veda ris. Agenzia delle Entrate 16 maggio 2005, n. 60/E, in banca dati “fisconline”.
[16] si veda M. Zanni-G. Rebecca, L’utilizzo delle perdite fiscali: la disciplina generale, cit.
[17] Si veda ris. n. 60/E del 2005, cit.
[18] In questo senso cfr., fra gli altri, G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele- V. Russo, La disciplina delle perdite, op. cit, pag. 249.
[19] In questo senso si veda, fra gli altri, G. Cristofori, Operazioni di finanza straordinaria, in “Il Sole 24 Ore”, 2009, pag. 951.
[20] Sul punto si vedano le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate 23 aprile 2002, n. 124/E e 1° marzo 2004, n. 29/E, entrambe in banca dati “fisconline”.
[21] Si veda ris. Agenzia delle Entrate n. 124/E del 2002, cit.
[22] In tal senso cfr. P. Ceppelini-R. Lugano, Testo Unico delle imposte sui redditi, in "Il Sole-24 Ore", 2005, pag. 1098. In senso contrario, invece, G. Vasapolli-A. Vasapolli, Dal Bilancio d'esercizio al reddito d'impresa, Ipsoa, 2006, pagg. 1137 e seguenti.
[23] Si veda la circ. 22 marzo 2002, n. 26/E, in banca dati “fisconline”.