Vicenza, Giovedì 21 Novembre 2024

>> Anno 2010

Il riporto delle perdite fiscali nelle operazioni straordinarie d'impresa

di Giuseppe Rebecca e Maurizio Zanni
Il Fisco, N. 17 - 26 aprile 2010 

Il legislatore tributario ha dettato norme spe­cifiche per disciplinare la possibilità di riporto e di utilizzazione delle perdite fiscali nell’ipo­tesi in cui l’impresa, alla quale le perdite si ri­feriscono, proceda a operazioni di riorganiz­zazione aziendale, quali tipicamente opera­zioni di fusione, di scissione e di conferimento d’azienda, ovvero cambi la propria forma giu­ridica, oppure venga assoggettata a liquida­zione ordinaria o concorsuale. Si tratta di un quadro normativo piuttosto ar­ticolato, dal quale emerge soprattutto che, se da un lato l’ordinamento tributario riconosce la possibilità di compensazione intersoggetti­va delle perdite fiscali, dall’altro limita forte­mente tale possibilità, allo scopo di contrasta­re manovre elusive volte al commercio delle ed. “bare fiscali”.

1. Premessa

La disciplina ordinaria in materia di utilizzo delle perdite fiscali, già analizzata in un nostro prece­dente intervento su questa rivista, [1] deve essere co­ordinata con le norme che regolano il riporto del­le perdite nell’ambito delle operazioni stra­ordinarie d’impresa.

In questo articolo esamineremo, quindi, la sorte delle perdite fiscali nei casi di:

• fusione societaria;

• scissione societaria;

• aggregazione fra imprese realizzata attra­verso conferimenti o cessioni d’azienda;

• trasformazione di società;

• liquidazione d’impresa volontaria e concorsuale.

Come si vedrà, se si escludono la trasformazione e la liquidazione, con riferimento alle quali non può profilarsi un utilizzo elusivo dell’istituto del riporto delle perdite, tutte le operazioni di rior­ganizzazione aziendale sopra menzionate sono state assoggettate a precise limitazioni in ordi­ne alla possibilità di proseguire nel riporto delle perdite fiscali pregresse; ciò allo scopo di con­trastare il fenomeno del commercio delle cosid­dette “bare fiscali”.

Come correttamente osservato in dottrina,[2] nel nostro ordinamento tributario, più che esistere un divieto generalizzato di utilizzo “intersoggetti­vo” delle perdite fiscali, cioè di trasferire, median­te operazioni straordinarie, perdite a soggetti con utili e viceversa, esiste un principio di esclusione della possibilità di riportare le perdite fiscali pre­gresse, che opera soltanto in presenza di “fattispe­cie patologiche”, cioè laddove la società che ha in dote le perdite si presenti essenzialmente come una società decotta, carica solo di perdite fiscali e l’operazione straordinaria sia posta in essere al so­lo scopo di trasferire le sue perdite riportabili a una società in utile, per abbattere il reddito im­ponibile di quest’ultima.

Infatti, qualora la società, cui le perdite si riferi­scono, soddisfi determinati requisiti di vitalità economica (da verificare attraverso un apposito test previsto dalla legge), la compensazione inter­soggettiva di utili e perdite, nell’ambito di opera­zioni straordinarie, è pienamente consentita.

2. Le perdite fiscali nell’operazione di fusione

La società risultante dalla fusione (nella fusione per unione), ovvero quella incorporante (nella fusione per incorporazione), assume, ai sensi dell’art. 2504- bis del codice civile, i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, compreso, quindi, il diritto a riportare in dimi­nuzione del proprio reddito le perdite fiscali an­te fusione delle società fuse o incorporate.

Tuttavia, come accennato in premessa, allo sco­po di contrastare il fenomeno elusivo della fusione di società fortemente redditizie con so­cietà dotate soltanto di elevate perdite fiscali, ma prive di ogni concreta operatività, il legislatore tributario ha condizionato la riportabilità delle perdite ante fusione alla sussistenza di determi­nate condizioni di vitalità economica in capo al­le società cui le perdite stesse si riferiscono. L’art. 172, comma 7, del Tuir prevede, infatti, che il riporto è possibile soltanto nel caso in cui la società che ha in dote le perdite fiscali abbia contabilizzato, nel Conto economico re­lativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, ricavi e proventi caratteristici, nonché spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, per un ammontare superiore al 40% di quello che ri­sulta dalla media degli ultimi due esercizi an­teriori.

Indici di vitalità economica per il riporto delle perdite fiscali nella fusione

Indicatori di vitalità economica

Valore richiesto per riporto delle perdite

Ricavi e proventi dell’attività caratteristica dell’esercizio anteriore a quello di deliberazio­ne della fusione

> 40% della media ultimi due esercizi anteriori a quello di riferimento

Spese per lavoro subordinato e relativi contri­buti dell’esercizio anteriore a quello di delibe­razione della fusione

> 40% della media ultimi due esercizi anteriori a quello di riferimento

Attraverso, il calcolo dei suddetti indici si vuole, in sostanza, verificare che la società che ha subi­to le perdite non si sia depotenziata nel perio­do precedente alla fusione.

Con riguardo alla nozione di ricavi e proventi caratteristici, ai fini dell’applicazione del test di vitalità economica in esame, debbono essere considerati tutti i componenti positivi di reddito che, in relazione all’attività svolta dalla società, abbiano natura ricorrente e si contrapponga­no ai costi caratteristici.[3] Ciò significa che assumono rilevanza:

• i ricavi delle vendite e delle prestazioni di cui alla voce Al) del Conto economico;

• i ricavi e proventi iscritti alla voce A5) del Conto economico, se riconducibili all’attività caratteristica;

• i proventi da partecipazione e gli altri proven­ti finanziari di cui, rispettivamente, alle voci CI 5) e CI 6) del Conto economico, sempre che facenti parte dell’attività tipica, come nel caso delle holding di partecipazione e, più in gene­rale, dei soggetti che, svolgendo attività finan­ziaria non nei confronti del pubblico, sono i­scritti nella sezione speciale ex art. 113 del Testo unico bancario, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, e, in conformità ai principi con­tabili nazionali,[4] rilevano nell’aggregato C) del Conto economico i componenti positivi e ne­gativi attinenti all’attività finanziaria svolta.

Per quanto riguarda il secondo indicatore di vi­talità economica, cioè quello delle spese del personale dipendente, si devono considerare i salari e stipendi nonché i contributi sociali di cui, rispettivamente, alle voci B9a) e B9b) del Conto economico.

L’Amministrazione finanziaria[5] si è pronunciata sull’applicazione del test di vitalità economica anche nell’ipotesi di società senza lavoratori su­bordinati, precisando che la mancanza assolu­ta di costi del personale in bilancio “non è, da sola, sintomo di scarsa vitalità aziendale”, e lasciando, dunque, intendere che il riporto delle perdite non è precluso laddove l’operatività della società portatrice delle perdite si possa desume­re da altri fattori.

In tal caso, tuttavia, secondo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, si renderà necessario presentare un’istanza di interpello alla Direzione regionale competente, ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per ottenere la disapplicazione della norma antielusiva in esame.

Tale affermazione dell’Agenzia delle Entrate è di particolare interesse per le società immobiliari e per quelle finanziarie, spesso caratterizzate dalla mancanza, nei propri bilanci, di costi del perso­nale, ma non per questo necessariamente prive di quella vitalità economica minima richiesta dalla normativa per il riporto delle perdite, in caso di fusione.

I tecnici dell’Agenzia delle Entrate sono perve­nuti alle stesse conclusioni anche in ordine all’applicazione del test di vitalità economica nel caso in cui alla fusione partecipino società neo costituite, per le quali può mancare il biennio di riferimento, dal cui esame dipende, come ab­biamo visto, la riportabilità delle perdite pre­gresse nell’ambito dell’operazione. Al riguardo è stato infatti affermato [6] che, laddo­ve non vi siano i profili di elusività che la norma intende contrastare, è possibile ottenere, me­diante apposita istanza, la disapplicazione della norma stessa. Diversamente le società neo costi­tuite si troverebbero sempre nell’impossibilità di trasferire le proprie perdite alla società risultan­te dalla fusione.

Occorre, poi, svolgere qualche considerazione sulla questione del periodo temporale da as­sumere per la verifica della vitalità economica delle società partecipanti alla fusione. Si tratta, infatti, di un tema molto dibattuto in dottrina, dopo che l’Amministrazione finanzia­ria, in più di un’occasione, [7] ha sostenuto la tesi, secondo cui, nel caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, i requisiti di vita­lità economica della società che ha in dote le perdite riportabili devono permanere fino al mo­mento in cui la fusione viene deliberata, con la conseguenza, piuttosto onerosa sotto il profilo amministrativo, che gli activity test da effettuare sarebbero due: il primo, con riferimento all’e­sercizio antecedente a quello in cui la fusione è stata deliberata; il secondo, con riferimento all’intervallo temporale compreso fra l’inizio dell’esercizio e la data di delibera della fusione, con la necessità, per quanto riguarda questo se­condo test, di procedere ad un ragguaglio ad an­no dei ricavi caratteristici e delle spese per il personale dipendente relativi a tale intervallo di tempo, in modo tale che il confronto con la me­dia degli ultimi due esercizi precedenti avvenga fra dati omogenei.

Pertanto, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, se, nella frazione di esercizio che precede la delibe­ra di fusione, la società viene depotenziata, il ri­porto delle perdite non sarà comunque consenti­to, anche se il test di vitalità è pienamente supe­rato con riferimento all’esercizio precedente. A nostro giudizio, si tratta di un orientamento non condivisibile,[8] non solo perché non trova ri­scontro nel dato letterale della norma, ma anche perché, come è stato giustamente osservato,[9] es­so “ignora l’influenza della diversa durata dell’u­ltimo esercizio ed il peso dei fattori stagionali, nonché l’effetto dell’eventuale mutato assetto so­cietario sull’andamento aziendale”.

Una volta accertata la sussistenza degli indici di vitalità economica, occorre ricordare che la normativa in rassegna prevede, altresì, dei limi­ti al quantum di perdite pregresse riportabili. Le perdite di ciascuna società partecipante alla fusione, comprese quelle della società incorpo­rante, possono essere riportate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede il rispettivo patrimonio net­to risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio, ov­vero dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’art. 2501-quater del codice civile, se il patrimonio netto da essa risultante è inferiore a quello dell’ultimo bilancio.

Inoltre, allo scopo di evitare che la limitazione quantitativa in esame potesse essere facilmente aggirata mediante l’effettuazione di operazioni di ricapitalizzazione, in vista dell’operazione di fusione, si è stabilito che, ai fini del computo delle perdite riportabili, il patrimonio netto è da considerare al netto dei conferimenti (sia in denaro che in natura) e dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi che precedono la data di riferimento della situazione patrimoniale ex art. 2501-quater del codice civile. La limitazione del patrimonio netto può essere sintetizzata nelle seguenti formule:

Se (PN - CV) > PF -> PR = PF

Se (PN - CV) < PF -+ PR = (PN - CV)

Ove:

PR: perdite riportabili;

PF: perdite fiscali;

PN:patrimonio netto contabile;

CV: conferimenti e versamenti degli ultimi 24 mesi.

Un’ulteriore limitazione quantitativa al ri­porto delle perdite è prevista dal terzo periodo del comma 7 dell’art. 172 del Tuir, in base al quale “Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla socie­tà incorporante o da altra società partecipante al­la fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammon­tare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’im­presa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione”.

In sostanza, in presenza di precedenti svalu­tazioni fiscali sulle azioni o quote della società incorporata, dedotte direttamente dalla società incorporante oppure da altra società, estranea alla fusione, che le abbia ad essa cedute, dopo l’esercizio cui si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione, le perdite fiscali riportabili dell’incorporata devono essere “sterilizzate” dell’importo di tali svalutazioni, allo scopo di e­vitare la cosiddetta doppia deduzione della perdita.

Tale disposizione è, comunque, destinata a per­dere di attualità, atteso che, con la riforma Ires del 2003, è venuta meno - come è noto - la pos­sibilità di dedurre le svalutazioni delle parteci­pazioni societarie, sicché la concreta applicazio­ne della norma riguarda soltanto le svalutazioni effettuate sino al 31 dicembre 2003.

Limiti quantitativi al riporto delle perdite nella fusione

Limite del patrimonio netto

Le perdite fiscali riportabili della società parte­cipante alla fusione non possono eccedere il re­lativo patrimonio netto risultante dal bilancio dell’esercizio anteriore a quello di deliberazione della fusione o, se inferiore, dalla situazione ex art. 2501-quater del codice civile

Svalutazione delle partecipazioni

Le svalutazioni fiscali sul valore delle partecipa­zioni nella società con le perdite riportabili, o­perate dalla società incorporante o partecipante alla fusione, vanno portate in diminuzione delle perdite riportabili

Va poi segnalato che, in assenza di indicazioni normative, la dottrina si è interrogata sui criteri da adottare per individuare le perdite fiscali pregresse che, per effetto dei limiti quantitativi sopraddetti, non sono valorizzabili in capo alla società risultante dalla fusione. Il problema naturalmente si pone quando vi so­no perdite formatesi in periodi di imposta diver­si, atteso il vincolo temporale del quinquennio. L’adozione, in questo caso, di un criterio di imputazione proporzionale ci sembra la so­luzione più corretta o quantomeno di maggior cautela, ma bisogna ricordare, in proposito, che l’ADC di Milano, nella norma di comportamento n. 160, si è espressa, invece, a favore dell’ado­zione di un critèrio discrezionale. In particolare, per detta Associazione sarebbe possibile imputare le perdite eccedenti i limiti del patrimonio netto e delle svalutazioni fiscali interamente a riduzione delle perdite più remo­te, oppure soltanto a quelle soggette al vincolo quinquennale, laddove fossero presenti anche perdite illimitatamente riportabili. Ricordiamo, infine, per completezza, che, per ef­fetto delle modifiche apportate all’art. 172, comma 7, del Tuir dall’art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, in caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, le limitazioni al ri­porto delle perdite, che abbiamo sopra esamina­to, esplicano i loro effetti anche con riferimento all’eventuale perdita fiscale relativa al periodo che intercorre fra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione.

Da un punto di vista operativo, ciò implica che, anche in caso di retrodatazione degli effetti fiscali, si dovrà determinare, per ciascuna società partecipante alla fusione (compresa quella in­corporante)[10], il risultato fiscale relativo alla suddetta frazione di esercizio. Tale risultato, ove negativo, andrà sottoposto, al pari delle altre perdite fiscali pregresse, ai limiti nell’an e nel quantum previsti dall’art. 172 del Tuir, con la conseguenza che esso non potrà confluire nel reddito della società risultante dalla fusione, in caso di mancato superamento del test di vitalità economica.

3. Le perdite fiscali nell’operazione di scissione

Il riporto delle perdite fiscali pregresse nell’am­bito dell’operazione di scissione societaria risul­ta disciplinato mediante un rinvio, seppure con qualche adattamento, alle disposizioni dettate per le fusioni.

Il comma 10 dell’art. 173 del Tuir stabilisce, in­fatti, che “Alle perdite fiscali delle società che partecipano alla scissione si applicano le dispo­sizioni del comma 7 dell’art. 172, riferendosi alla società scissa le disposizioni riguardanti le so­cietà fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante ed avendo riguardo all’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bi­lancio o, se inferiore, dal progetto di scissione di cui all’art. 2506-bis del codice civile, ovvero dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 2506-ter del codice civile”.

Prima ancora di vagliare la riportabilità delle perdite in base ai limiti e alle condizioni previsti per la fusione, si pone, nel caso della scissione, il problema della ripartizione delle perdite ri­portate dalla scissa fra le società coinvolte nell’operazione.

Mentre nella fusione societaria il diritto di ripor­tare le perdite pregresse delle società fuse o in­corporate confluisce in un unico soggetto, la so­cietà risultante dalla fusione o incorporante, nel­la scissione, invece, all’effetto di sezionamento del patrimonio della società scissa, connaturato all’operazione stessa, consegue la necessità di ripartire le perdite fiscali pregresse fra più sog­getti, cioè fra le società beneficiarie, in caso di scissione totale, ovvero fra la scissa e la/e benefi­ciaria/e in ipotesi di scissione parziale.

La dottrina è pressoché unanime nel ritenere che la ripartizione in parola debba avvenire se­condo il criterio generale di attribuzione delle cosiddette “posizioni fiscali soggettive”, pre­visto dal comma 4 dell’art. 173 del Tuir. In sostanza, muovendo dalla considerazione che le perdite fiscali rappresentano una posizione soggettiva che non può che riferirsi in maniera indistinta al patrimonio della scissa, comples­sivamente inteso (derivando esse da una indi­stinta contrapposizione di componenti redditua­li positivi e negativi), si ritiene che, a decorrere dalla data in cui la scissione ha effetto, le perdite fiscali pregresse della società scissa debbano es­sere attribuite alle società beneficiarie e, in caso di scissione parziale, anche alla stessa società scissa, in proporzione delle rispettive quote del patrimonio netto contabile trasferite al­le società beneficiarie o rimaste in capo alla so­cietà scissa, in caso di scissione parziale.[11] Ciò detto, non si può fare a meno di notare che la scelta del legislatore di disciplinare il riporto delle perdite fiscali nella scissione societaria, rinviando sic et simpliciter alle norme sulla fu­sione, non agevola particolarmente l’interprete nella comprensione dell’ambito di applicazione dell’assetto normativo di riferimento. L’attuale formulazione del comma 10 dell’art. 173 del Tuir non lascia dubbi sul fatto che le li­mitazioni al riporto delle perdite di cui al com­ma 7 all’art. 172 del Tuir si debbano applicare anche nei confronti delle società beneficiarie preesistenti, con riferimento alle perdite fi­scali da queste accumulate prima della scis­sione.

Ci si è, invece, interrogati sulla applicabilità o meno delle suddette limitazioni alle perdite pre­gresse della scissa attribuite alle società benefi­ciarie di nuova costituzione, cioè alle società che nascono per effetto dell’operazione di scissione stessa.

Un’interpretazione strettamente letterale del ci­tato comma 10 dell’art. 173 non consente di so­stenere alcuna differenziazione nel trattamento di tali perdite fra l’ipotesi in cui la società bene­ficiaria sia costituita per effetto della scissione e quella in cui la beneficiaria sia preesistente.

Sotto il profilo dell’interpretazione logico so­stanziale della norma si evidenzia, tuttavia, che, nell’ipotesi di società beneficiaria di nuova costi­tuzione, non vi può essere quel rischio di com­pensazione intersoggettiva delle perdite, noto anche come “commercio di bare fiscali” che il legislatore ha voluto contrastare con la normati­va de qua.

Si ritiene, quindi, che i limiti al riporto delle per­dite non debbano applicarsi quando la bene­ficiaria è di nuova costituzione. [12]

In dottrina si è, poi, discusso anche in merito al­la questione dell’applicabilità o meno delle limi­tazioni al riporto a quella porzione di perdite pregresse che, in ipotesi di scissione parziale, rimane in capo alla società scissa. La maggior parte dei commentatori è sempre stata orientata a ritenere che tali perdite non do­vessero essere sottoposte al vaglio delle condi­zioni di vitalità, atteso che, con riferimento alla società scissa, non può sussistere quel pericolo di compensazione intersoggettiva tra le perdite di una cosiddetta “bara fiscale” e gli utili di una società attiva, che la normativa in esame vuole contrastare.

Tale orientamento è stato, recentemente, fatto proprio anche dall’Agenzia delle Entrate, secon­do cui l’utilizzo delle perdite pregresse che re­stano nella disponibilità della società scissa non va sottoposto ad alcuna limitazione, atteso che -non realizzandosi in capo alla società stessa alcuna concentrazione soggettiva - tali perdi­te non possono essere compensate con risultati positivi realizzati da altri soggetti.

4. Le aggregazioni fra imprese diverse da fusioni e scissioni

Il quadro delle norme antielusive, in materia di riporto delle perdite fiscali, è completato dalla di­sposizione di cui al comma 3 dell’art. 84 del Tuir, introdotta dal legislatore per limitare la compen­sazione “intersoggettiva” di perdite realizzata attraverso operazioni di aggregazione aziendale diverse da quelle di fusione e di scissione, come il conferimento e la cessione d’azienda. In base a detta disposizione, che, in forza del ri­chiamo contenuto nel comma 3 dell’art. 8 del Tuir all’art. 84, si applica anche alle S.n.c. e alle s.a.s., il riporto delle perdite fiscali è precluso quando ricorrono, in capo alla società che ha in dote le perdite, entrambe le seguenti condizioni ostative:

• trasferimento o acquisizione da parte di terzi della maggioranza delle partecipazio­ni aventi diritto di voto nelle assemblee ordi­narie;

• modificazione dell’attività principale in fatto esercitata nei periodi di imposta in cui le perdite sono state realizzate.

Nella relazione ministeriale al D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, che ha introdotto nel Tuir la norma in commento, è esplicitato che l’obiettivo della disposizione è quello di impedire l’utilizzo elusi­vo dell’istituto del riporto delle perdite fiscali che si verifica quando l’azionista di una società profittevole acquisisce il controllo di una società carica solo di perdite (ed. “bara” fiscale) per spostare su di essa i rami d’azienda più redditizi, al solo scopo di compensare le perdite della ex “bara”con gli utili conseguiti da questa. Si è osservato[13] che, in questo caso, “il soggetto che riporta le perdite è nominalmente lo stesso ma, nella sostanza, diverso da quello che ha rea­lizzato le perdite”.

Con riguardo alla prima delle due condizioni o­stative sopra richiamate, ci sembra importante ricordare che, ai fini della presunzione di elusi­vità, non è indispensabile il trasferimento della proprietà delle azioni o quote della società che ha in dote le perdite, potendo il controllo essere acquisito, ad esempio, anche attraverso il trasfe­rimento del diritto di usufrutto sulle partecipa­zioni,[14] atteso che la norma, con riferimento all’acquisizione della maggioranza delle parteci­pazioni, usa l’espressione “comunque acquisita”. Per ciò che attiene, invece, alla verifica della se­conda condizione ostativa, segnaliamo che affin­ché scatti il divieto di riporto è richiesto che la modificazione dell’attività principale svolta nei pe­riodi d’imposta di formazione delle perdite inter­venga in un lasso temporale vicino all’operazione di trasferimento od acquisizione della società. Più precisamente, il cambiamento dell’attività principale, cioè di quella da cui deriva la mag­gior parte dei ricavi, assume rilevanza se inter­viene nel periodo d’imposta in corso al momento del trasferimento od acquisizione della società, ovvero nei due successivi od anteriori.

Attesa la ratio della norma in esame, la preclu­sione al riporto non si applica nell’ipotesi in cui l’operazione di trasferimento o di acquisizione abbia per oggetto una società in condizioni di vitalità economica.

Più in dettaglio, è stabilito che il riporto è ammes­so quando la società, cui le perdite si riferiscono, nel biennio precedente a quello di trasferimento, abbia avuto un numero di dipendenti mai infe­riore alle dieci unità e per la quale dal Conto e­conomico dell’esercizio precedente a quello di tra­sferimento risultino un ammontare di ricavi e proventi caratteristici, e un ammontare di spese per prestazioni di lavoro dipendente e relativi con­tributi, superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. In ordine alle nozioni di “ricavi e proventi carat­teristici” e “spese per prestazioni di lavoro su­bordinato” si rimanda a quanto già detto sopra, con riferimento all’applicazione del test di vitali­tà economica per il riporto delle perdite fiscali nell’operazione di fusione.

Trasferimento del controllo della società e modifica dell’attività principale

->

Divieto di riporto delle perdite se non sono rispettati gli indici di vitalità economica

Indici di vitalità economica

Indici di natura contabile

Ricavi caratteristici risultanti dal CE. dell’esercizio precedente a quello di trasferimento del controllo > 40% dell’ammontare pari alla media degli ultimi due esercizi anteriori

Spese del personale risultanti dal CE. dell’esercizio precedente a quello di trasferimento del controllo > 40% dell’ammontare pari alla media degli ultimi due esercizi anteriori

Indice di natura extracontabile

Numero dei dipendenti mai inferiore alle 10 unità nel biennio precedente a quello di trasferimento del controllo

5. Le perdite fiscali nella trasformazione

L’art. 170 del Tuir, nel disciplinare gli aspetti fi­scali della trasformazione societaria omo­genea, nulla dice in merito alla sorte delle per­dite fiscali relative al periodo compreso fra l’inizio dell’esercizio e la data di effetto della tra­sformazione nonché ai precedenti periodi d’im­posta, nell’ipotesi in cui la società proceda al cambiamento della propria veste giuridica, tra­sformandosi da società di persone in società di capitali o viceversa.

Tale problematica, in passato a lungo dibattuta in dottrina, è stata oggetto di importanti chiari­menti da parte dell’Agenzia delle Entrate, [15] sia per quanto riguarda l’ipotesi di trasformazione progressiva da società di persone in società di capitali, sia con riguardo a quella, meno fre­quente nella pratica, di trasformazione regressi­va da società di capitali in società di persone. In particolare, con riferimento all’operazione di trasformazione progressiva, è stato chia­rito che le perdite ante trasformazione non possono essere utilizzate dalla società di capi­tali risultante dalla trasformazione per com­pensare redditi propri negli esercizi successivi all’operazione, in quanto le perdite prodotte da una società di persone vengono, come è noto, automaticamente imputate per trasparenza ai soci, in proporzione delle loro quote di parte­cipazione agli utili, e soltanto i soci sono legit­timati ad utilizzarle in compensazione, secon­do modalità che variano a seconda del regime contabile della società, relativo al periodo di formazione della perdita.[16] L’Agenzia delle Entrate è intervenuta,[17] poi, an­che sulla questione del riporto delle perdite fi­scali in ipotesi di trasformazione regressiva, cioè da società di capitali in società di persone, affermando che il cambiamento del regime im­positivo, che consegue all’operazione, non im­pedisce di riconoscere in capo alla società di persone, che risulta dalla trasformazione, le per­dite prodotte dalla società stessa prima del cam­biamento della propria forma giuridica. In pratica, le perdite pregresse ante trasformazio­ne sono gestite unicamente dalla società di per­sone, la quale prowederà ad utilizzarle per diminuire i propri redditi, prima di imputare gli stessi ai soci, in forza del principio di trasparenza. Tale orientamento dell’Agenzia delle Entrate ha trovato attuazione, già da qualche anno, nel Mo­dello UNICO delle società di persone.

In particolare, nel Modello UNICO 2010-SP le eccedenze di perdite d’impresa di esercizi prece­denti, eventualmente formatisi in capo alla so­cietà di capitali prima della trasformazione in società di persone, devono essere indicate nel rigo RH12.

Trattamento perdite pregresse nella trasformazione omogenea

Tipologia di trasformazione

Regola di riporto

Trasformazione progressiva

Le perdite pregresse sono utilizzabili solo dai soci cui sono attribuite per trasparenza

Trasformazione regressiva

Le perdite pregresse sono riportabili in capo alla società di persone e non possono essere attribuite direttamente ai soci

Anche il trattamento delle perdite fiscali pre­gresse in ipotesi di trasformazione eteroge­nea non è stato disciplinato dal legislatore. Al riguardo, segnaliamo che, con riferimento al caso della trasformazione della società di capita­li in ente non commerciale, sembrerebbe preva­lere in dottrina l’orientamento secondo cui il ri­porto delle perdite sarebbe consentito, nel ri­spetto dei limiti temporali previsti dalla norma­tiva vigente, soltanto qualora l’ente prosegua, naturalmente in via secondaria, l’attività com­merciale esercitata dalla società di capitali, dal momento che le perdite della pregressa attività commerciale possono essere compensate soltan­to con redditi d’impresa.

Nel caso in cui, invece, l’ente non commerciale, risultante dalla trasformazione, non. prosegua l’attività d’impresa della società commerciale, si ritiene che le perdite fiscali pregresse debbano. considerarsi inutilizzabili, in quanto viene a mancare il reddito d’impresa con cui compen­sarle. [18]

Infine, con riguardo all’ipotesi di trasformazione da ente non commerciale in società di ca­pitali, sembra essersi ormai consolidata, in dot­trina, l’opinione secondo cui la società di capita­li che risulta dalla trasformazione possa utilizza­re le perdite fiscali pregresse che l’ente trasfor­mato abbia realizzato svolgendo un’attività d’im­presa.[19]

Trattamento perdite pregresse nella trasformazione eterogenea

Tipologia di trasformazione

Regola di riporto

Trasformazione da società di capitali in ente non commerciale

Le perdite pregresse sono riportabili in capo all’ente solo se vi è continuazione dell’attività commerciale

Trasformazione da ente non commerciale in società di capitali

Possono essere riportate le perdite derivanti da un’attività d’impresa svolta dall’ente trasformato

6. Le perdite fiscali nella liquidazione d’impresa

Dall’esame delle disposizioni contenute nei com­mi 2 e 3 dell’art. 182 del Tuir, emerge che il trat­tamento delle perdite fiscali nell’ambito della liquidazione volontaria d’impresa è diverso a seconda del regime fiscale del soggetto cui le perdite si riferiscono e del momento di forma­zione della perdita, cioè a seconda che questa sia maturata prima della liquidazione o nel cor­so di quest’ultima.

Per quanto riguarda le società di capitali, le per­dite relative ai periodi di imposta anteriori alla data di inizio della procedura di liquidazione e, a tale data, ancora riportabili, possono essere compensate, entro il quinquennio, con i redditi degli esercizi intermedi della liquidazione ovve­ro in sede di conguaglio finale, anche se sono trascorsi più di cinque esercizi dalla loro formazione.[20]

Se, invece, manca l’operazione di conguaglio, ad esempio perché la liquidazione si protrae oltre i cinque esercizi dalla sua apertura, torna applica­bile il limite temporale ordinario di cui all’art. 84 del Tuir, con la conseguenza che le perdite ante­riori alla liquidazione non utilizzate nel corso dela stessa, entro i cinque anni dalla loro formazio­ne, diventano fiscalmente irrilevanti. Per quanto riguarda, invece, le perdite inter­medie, cioè quelle realizzate durante la proce­dura di liquidazione, è stato precisato,[21] nel si­lenzio della norma, che le stesse sono compen­sabili secondo i criteri ordinari di cui all’art. 84 del Tuir, a prescindere dal fatto che la durata della liquidazione si protragga o meno oltre i cinque esercizi.

Utilizzo delle perdite nella liquidazione delle società di capitali

Periodo di formazione della perdita

Trattamento della perdita

Perdite anteriori alla liquidazione

Possono essere utilizzate nel corso della procedura, nei limiti temporali ordinari, o in sede di congua­glio finale, anche oltre il limite dei 5 anni

Perdite intermedie

Si applicano le regole ordinarie dell’art. 84 del Tuir

Relativamente alla disciplina del riporto delle perdite fiscali in ipotesi di liquidazione volonta­ria delle imprese individuali e delle società di persone, va detto che, mentre, in relazione alle perdite maturate prima della liquidazione non vi sono regole particolari da seguire, nel senso che si applica la disciplina generale previ­sta dall’art. 8 del Tuir, per quanto attiene, inve­ce, alle perdite maturate nel corso delle pro­cedura di liquidazione, occorre tener presen­te la previsione dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 182 del Tuir, secondo la quale “se la li­quidazione si chiude in perdita si applicano le disposizioni dell’articolo 8”. Tale norma è stata interpretata dalla dottrina maggioritaria nel senso che le perdite prodotte negli esercizi intermedi di liquidazione restano, per così dire, “sospese” e che soltanto la perdita che dovesse risultare dalla chiusura della liqui­dazione può essere imputata all’imprenditore individuale ù ripartita fra i soci, in caso di socie­tà di persone.

In sostanza, secondo tale interpretazione, le perdite intermedie non avrebbero rilevanza fiscale provvisoria, come è invece previsto per gli utili dei periodi intermedi.

Restada vedere se l’irrilevanza fiscale delle per­dite in rassegna permanga anche nel caso in cui la liquidazione dell’impresa individuale o della società di persone non si chiuda entro tre eser­cizi dal suo avvio, atteso che, in tal caso, in base al disposto dell’art. 182 del Tuir, i redditi dei pe­riodi intermedi diventano definitivi. La questione è piuttosto controversa in dottrina, anche se sembra prevalere l’orientamento se­condo cui l’irrilevanza fiscale delle perdite in­termedie opererebbe a prescindere dalla durata della liquidazione.[22]

Utilizzo delle perdite nella liquidazione di imprese individuali e società di persone

Periodo di formazione della perdita

Trattamento delle perdita

Perdite anteriori alla liquidazione

Si applica la disciplina prevista dall’art. 8 del Tuir

Perdite intermedie

Non trovano riconoscimento fiscale. È rilevante sol­tanto l’eventuale perdita relativa all’intera procedu­ra di liquidazione

Infine, per quanto riguarda il trattamento delle perdite fiscali nell’ipotesi di liquidazione con­corsuale dell’impresa, si deve ricordare che, se­condo quanto indicato dall’Agenzia delle Entra­te,[23] le eventuali perdite maturate nei periodi d’im­posta che precedono l’inizio del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa possono essere utilizzate, entro il termine del quinquennio, per diminuire l’eventuale risultato reddituale positivo relativo all’intera procedura concorsuale. È stato, altresì, chiarito che, in caso di ritorno in bonis dell’imprenditore fallito, le suddette perdite possono essere utilizzate, entro il quinto periodo d’imposta successivo, anche per ridurre gli eventuali redditi della nuova impresa eser­citata dall’imprenditore.

Con riferimento al computo del limite tempo­rale del quinquennio, si deve tener conto che, ai sensi dell’art. 183 del Tuir, il periodo compre­so tra l’inizio e la chiusura della procedura con­corsuale rappresenta un unico periodo d’impo­sta, quale che sia la sua durata e anche se vi è stato esercizio provvisorio.



[1] Si veda M Zanni-G. Rebecca, L'utilizzo delle perdite fisca­li: la disciplina generale, in "il fisco" n. 15/2010, fascicolo n. 1, pag. 2290.

[2] Vedi G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele-V. Russo, La disciplina delle perdite, Collana Temi di reddito d'impresa, Casi con¬troversi e soluzioni operative, Ipsoa, 2007, pag. 69.

[3] Cfr. le risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate 10 aprile 2008, n. 143/E e 13 luglio 2009, n. 183/E, entrambe in banca dati “fisconline” .

[4] Si veda il documento interpretativo n. 1 del principio con­tabile n. 12.

[5] Si veda ris. dell'Agenzia delle Entrate 29 ottobre 2002, n. 337/E, in banca dati “fisconJine”.

[6] Si veda ris. n. 337/E del 2002, cit

[7] Si veda risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate 24 ottobre 2006, n. 116/E, in banca dati “fisconJine” e 10 aprile 2008, n. 143/E, cit.

[8] La posizione dell'Agenzia delle Entrate è stata criticata anche da Assonime, nella circ. n. 31 del 31 maggio 2007, e dall'Associazione italiana Dottori Commercialisti, nella norma di comportamento n. 176 del 2009, in banca dati “fisconline”.

[9] Cfr. nota di comportamento n. 176/2009 dell'ADC, cit.

[10] Si veda circ. Agenzia delle Entrate 4 agosto 2006, n. 28/E, in banca dati “fìsconline”.

[11] Ricordiamo che l'applicazione della regola generale della proporzionalità nella ripartizione delle perdite fiscali della società scissa era espressamente prevista dal previgente art.123-bis, comma 10, del Tuir, tramite un rinvio al comma 4 dello stesso articolo.

Nella formulazione dell'art. 173, comma 10, del nuovo Tuir, il richiamo al comma 4 è stato, invece, espunto, for­se perché ritenuto pleonastico dal legislatore.

[12] In questo senso, si vedano la ris. Agenzia delle Entrate 30 giugno 2009, n. 168/E e là circ. 9 marzo 2010, n. 9/E.

[13] Si veda G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele-V. Russo, La discipli­na delle perdite, op. cit, pag. 69.

[14] Cfr. circ. Agenzia delle Entrate 19 dicembre 1997, n: 320/E, in banca dati “fisconline”.

[15] Si veda ris. Agenzia delle Entrate 16 maggio 2005, n. 60/E, in banca dati “fisconline”.

[16] si veda M. Zanni-G. Rebecca, L’utilizzo delle perdite fisca­li: la disciplina generale, cit.

[17] Si veda ris. n. 60/E del 2005, cit.

[18] In questo senso cfr., fra gli altri, G. Ferranti-B. Izzo-L. Miele- V. Russo, La disciplina delle perdite, op. cit, pag. 249.

[19] In questo senso si veda, fra gli altri, G. Cristofori, Operazioni di finanza straordinaria, in “Il Sole 24 Ore”, 2009, pag. 951.

[20] Sul punto si vedano le risoluzioni dell’Agenzia delle Entra­te 23 aprile 2002, n. 124/E e 1° marzo 2004, n. 29/E, en­trambe in banca dati “fisconline”.

[21] Si veda ris. Agenzia delle Entrate n. 124/E del 2002, cit.

[22] In tal senso cfr. P. Ceppelini-R. Lugano, Testo Unico delle imposte sui redditi, in "Il Sole-24 Ore", 2005, pag. 1098. In senso contrario, invece, G. Vasapolli-A. Vasapolli, Dal Bi­lancio d'esercizio al reddito d'impresa, Ipsoa, 2006, pagg. 1137 e seguenti.

[23] Si veda la circ. 22 marzo 2002, n. 26/E, in banca dati “fisconline”.

Stampa