L'accertamento in rettifica delle perdite fiscali
Il Fisco, N. 20 - 17 maggio 2010
Negli ultimi anni, l’Agenzia delle Entrate ha inasprito le attività di controllo e accertamento nei confronti dei contribuenti che hanno dichiarato perdite fiscali per più annualità. In questo articolo analizziamo le conseguenze, sul piano sanzionatone, dell’esposizione in dichiarazione di perdite fiscali superiori a quelle effettive, nonché i termini a disposizione degli uffici finanziari per rettificare le perdite fiscali eventualmente non spettanti.
1. L’attività di controllo sulle perdite fiscali
1.1. La reiterata dichiarazione di perdite quale indice di evasione d’imposta
Considerato che l’obbiettivo di un’impresa commerciale è, in generale, la massimizzazione del profitto economico, le imprese che chiudono più esercizi in perdita fiscale rappresentano delle posizioni quantomeno anomale e, perciò, “sospette” agli occhi del Fisco, anche se, in un contesto di grave crisi economico-finanziaria come quello attuale, cresce la probabilità per le aziende di soffrire realmente di risultati reddituali di segno negativo.
La diffidenza del Fisco nei confronti della reiterata dichiarazione di perdite emerge con chiarezza dalla lettura di alcune recenti circolari dell’Agenzia delle Entrate recanti gli indirizzi operativi per lo sviluppo dell’attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale. Nello specifico, ci riferiamo:
• alla circ. n. 13/E del 9 aprile 2009,[1] in cui, con riferimento alle imprese di minori dimensioni [2] e ai lavoratori autonomi, l’Amministrazione finanziaria ha individuato nella presenza di perdite fiscali dichiarate per più annualità uno dei maggiori indicatori di rischio di evasione, da utilizzarsi, perciò, ai fini della selezione delle posizioni da sottoporre a verifica nel corso del 2009;
• alla circ. n. 20/E del 16 aprile 2010,[3] nella quale, con riguardo alla categoria dei cosiddetti “grandi contribuenti”,[4] l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato come, ai fini dell’individuazione delle posizioni da controllare tramite attività istruttorie esterne, particolare attenzione debba essere rivolta dagli uffici finanziari alla “genesi di perdite fiscali, in quanto le stesse potrebbero rappresentare indicatori sintetici dell’avvenuta attuazione di schemi di pianificazione fiscale aggressiva”.
È bene, inoltre, rammentare che, anche secondo la Corte di Cassazione,[5] la circostanza che un’impresa dichiari, per diversi anni di seguito, rilevanti perdite fiscali rappresenta una condotta commerciale anomala, in contrasto con i principi di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento, idonea a giustificare da parte dell’Amministrazione finanziaria una rettifica della dichiarazione dei redditi, secondo il metodo induttivo, a meno che l’impresa non dimostri concretamente l’effettiva sussistenza delle perdite fiscali dichiarate.
1.2. I controlli sull’entità e sulla natura delle perdite
Gli uffici finanziari controllano la reale esistenza e consistenza delle perdite fiscali riportabili, al fine di individuare eventuali utilizzi di perdite fittizie, cioè ottenute deducendo spese inesistenti, od omettendo la contabilizzazione di ricavi, oppure ricorrendo a qualche alchimia contabile.
I controlli sull’esatta quantificazione delle perdite dichiarate possono, inoltre, riguardare l’osservanza delle disposizioni di legge che prevedono una riduzione dell’ammontare delle perdite stesse, laddove l’impresa abbia conseguito proventi esenti da imposta [6] o si avvalga di regimi di esenzione degli utili, ovvero eserciti attività che fruiscono della parziale o totale detassazione del reddito.[7] L’Amministrazione finanziaria verifica, poi, che l’utilizzo delle perdite fiscali sia avvenuto in conformità alle regole previste dagli artt. 8 e 84 del Tuir ed, in particolare, che siano stati rispettati dal contribuente i vincoli temporali cui è soggetta la ricuperabilità delle perdite pregresse. [8] A questo proposito, va ricordato che, al fine di mantenere memoria delle perdite non compensate, è prevista la compilazione di un apposito prospetto nella dichiarazione dei redditi,[9] in cui il contribuente deve indicare separatamente le perdite riportabili senza limiti di tempo da quelle soggette, invece, al vincolo quinquennale, distinguendo quest’ultime in base al rispettivo anno di formazione.
Occorre dire, peraltro, che la compilazione di tale prospetto, secondo l’opinione dell’Amministrazione finanziaria, [10] non può essere considerata una condizione necessaria ai fini della recuperabilità delle perdite.
Ciò significa che il contribuente che si dimentica di indicare, nel prospetto in parola, le perdite non compensate non decade dal diritto al riporto delle stesse, ma incorre semplicemente in una violazione formale, per la quale l’Agenzia delle Entrate potrebbe applicare la sanzione amministrativa da euro 258 a euro 2.065, prevista dall’art. 8, comma 1, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Infine, con riguardo alle perdite relative ai primi tre esercizi dell’impresa, che siano state qualificate in dichiarazione come illimitatamente riportabili, è plausibile che gli organi verificatori vadano ad accertare se tali perdite si riferiscano effettivamente a una nuova iniziativa produttiva, essendo questa una condizione oggettiva imprescindibile ai fini del riporto illimitato delle perdite.
I principali controlli del Fisco sulle perdite
Controlli relativi all’entità delle perdite |
Verifiche volte ad accertare: • la reale esistenza e consistenza delle perdite dichiarate, attraverso un esame analitico dei documenti e delle scritture contabili; • l’applicazione delle disposizioni che prevedono una riduzione delle perdite riportabili, in presenza di proventi esenti o di regimi di detassazione degli utili o del reddito. |
Controlli relativi al riporto delle perdite |
Verifiche volte ad accertare: • l’osservanza delle regole di compensazione, ex artt. 8 e 84 del Tuir e, in particolare, del vincolo quinquennale al riporto; • l’effettiva sussistenza delle condizioni previste per il riporto illimitato. |
2. Le sanzioni relative all’accertamento in rettifica delle perdite fiscali
La normativa sulle sanzioni amministrative per violazioni in materia di imposte dirette, contenuta nel D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, non indica espressamente le conseguenze, sotto il profilo sanzionatone della dichiarazione di perdite maggiori di quelle accertate. Non sembra, infatti, corretto ricondurre tale violazione tributaria alla fattispecie della presentazione di dichiarazione infedele, delineata dall’art. 1, comma 2, del decreto sopra menzionato, il quale sanziona soltanto il contribuente che abbia indicato in dichiarazione “un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante”. Peraltro, laddove si volesse forzare il testo di tale norma per ricomprendere, nel suo ambito oggettivo di applicazione, anche l’ipotesi, qui in esame, della rettifica in diminuzione della perdita fiscale, saremmo in presenza di una violazione di fatto non sanzionabile, atteso che la base di commisurazione della sanzione per infedele dichiarazione dei redditi è rappresentata dalla maggiore imposta dovuta o dal minor credito spettante a seguito dell’accertamento. È, infatti, evidente che, nel caso di accertamento in rettifica della perdita fiscale dichiarata, si ha evasione d’imposta soltanto se detta perdita sia stata riportata a nuovo e utilizzata per compensare i redditi imponibili dei periodi di imposta successivi a quello della sua formazione.
In sostanza, in presenza di perdite fiscali, la partita con il Fisco si gioca “a valle”, quando, cioè, le perdite sono utilizzate per ridurre il carico fiscale degli esercizi successivi a quello in cui sono state realizzate e non, invece, quando esse sono meramente dichiarate e riportate a nuovo. È, quindi, da ritenersi che la sanzione per infedele dichiarazione dei redditi, prevista dal citato art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997, debba essere applicata con riguardo alla presentazione della o delle dichiarazioni in cui è avvenuta la compensazione della perdita oggetto di rettifica, mentre con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita stessa è stata esposta,( l’Agenzia delle Entrate potrebbe applicare la sanzione per dichiarazione inesatta, prevista dall’art. 8, comma 1, del decreto testé citato.[11]
Va, infine, osservato che, laddove, invece, per effetto dei rilievi formulati dall’Ufficio, l’impresa dovesse passare, con riferimento all’annualità oggetto di accertamento, da una situazione di perdita fiscale a una di reddito imponibile, si renderà applicabile la sanzione amministrativa per infedele dichiarazione dei redditi con riferimento alla dichiarazione in cui è stata indicata la perdita accertata.
L’accertamento dovrà, inoltre, essere esteso alla o alle annualità in cui la perdita inesistente e, per questo, annullata dall’Ufficio, sia stata eventualmente utilizzata in compensazione.
Le sanzioni amministrative correlate all’accertamento in rettifica delle perdite fiscali
Fattispecie |
Sanzioni applicabili |
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Accertamento di una perdita inferiore a quella dichiarata dal contribuente |
Perdita non utilizzata in compensazione |
• sanzione da euro 258 a euro 2.065 per dichiarazione inesatta (art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997) |
Perdita utilizzata in compensazione |
• sanzione da euro 258 a euro 2.065 con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita eccedente è stata indicata (art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997) • sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito con riferimento alla o alle dichiarazioni in cui la perdita è stata utilizzata (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997) |
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Accertamento di un reddito imponibile con riferimento ad una annualità per la quale è stata dichiarata una perdita |
Perdita non utilizzata in compensazione |
• sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita inesistente è stata dichiarata (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997) |
Perdita utilizzata in compensazione |
• sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita inesistente è stata dichiarata e alla o alle dichiarazioni in cui la perdita stessa è stata utilizzata (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 471/1997). |
3. I termini per l’accertamento delle perdite fiscali
È necessario verificare entro quali termini
l’Amministrazione finanziaria può effettuare accertamenti sulle perdite fiscali oggetto di compensazione.
Al riguardo, si segnala che, secondo alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe legittimo procedere alla rettifica dell’utilizzo di perdite fiscali non spettanti, anche qualora le stesse si riferiscano a periodi di imposta non più accertabili; ciò in quanto, ai fini della decorrenza dei termini per l’accertamento, previsti dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rileverebbe l’anno di utilizzo in compensazione delle perdite fiscali e non quello della loro formazione. A sostegno di tale tesi, viene addotta la circostanza che la perdita fiscale dichiarata non può incidere sul debito d’imposta fintantoché non viene portata in diminuzione di redditi imponibili. Quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate non ci sembra tuttavia corretto.
Anzitutto, si deve osservare che il citato art. 43, nel prevedere i termini di decadenza dell’attività di accertamento, non distingue l’ipotesi in cui la rettifica dell’Ufficio abbia per oggetto una perdita fiscale da quella in cui la rettifica riguardi, invece, un reddito imponibile. Inoltre, va rilevato che la tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria è in evidente contrasto con le esigenze di stabilità e di rapidità nella definizione dei rapporti tributari, atteso che essa implica una inammissibile dilatazione dei termini ordinari per l’accertamento, che risulterebbero di fatto più che raddoppiati, laddove la perdita fosse utilizzata nell’ultimo anno del quinquennio di riportabilità della stessa. Nel caso di utilizzo di perdite illimitatamente riportabili, si arriverebbe, addirittura, alla conseguenza assurda di dover riconoscere all’Amministrazione finanziaria un potere di accertamento di durata illimitata.
Il contribuente potrebbe essere costretto a difendersi in relazione a periodi di imposta assai risalenti, atteso che la contestazione in ordine alla consistenza della perdita implica necessariamente una rettifica delle poste che l’hanno determinata.
Sulla scorta delle considerazioni sopra esposte, si deve, perciò, ritenere che il termine per l’accertamento in rettifica di una perdita fiscale non possa che decorrere dalla presentazione della dichiarazione in cui la perdita stessa è stata quantificata e qualificata come limitatamente o illimitatamente riportabile. Il momento di utilizzo in compensazione della perdita è, invece, rilevante ai fini del recupero della maggiore imposta dovuta e dell’applicazione della sanzione per infedele dichiarazione, ma per poter rettificare la dichiarazione interessata dall’utilizzo della perdita oggetto di riporto non deve risultare già prescritto il periodo d’imposta in cui la perdita stessa è stata generata.
Nel senso che le perdite fiscali vanno contestate da quando sono state dichiarate, e non con decorrenza successiva, si è espressa la Commissione tributaria regionale del Veneto, Sezione VI, nella sent. n. 18 del 12 giugno 2007. La Commissione ha, infatti, accolto il ricorso in appello di un contribuente che aveva sollevato l’eccezione di intervenuta decadenza dei termini di accertamento in relazione a un avviso di rettifica, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva provveduto a disconoscere, nel 2005, una perdita fiscale risalente al 1996, perché generata interamente da proventi esenti da imposta, e a recuperare, per l’anno 2001, un reddito imponibile azzerato grazie all’utilizzo di detta perdita. I giudici di appello hanno evidenziato che, dal 1° gennaio 2003, l’Amministrazione finanziaria non poteva più fare accertamenti sulla perdita dell’anno 1996 e che, quindi, l’Ufficio era intervenuto su un esercizio (il 2001) che poteva ancora essere accertato, rettificando, però, una perdita già divenuta definitiva nell’anno in cui è stato emesso l’avviso di accertamento, cioè il 2005. L’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva affermato, nella fattispecie, che l’accertamento in rettifica era possibile con riferimento all’utilizzo, e non alla formazione della perdita, in quanto veniva contestata solo la qualificazione della perdita come riportabile, non la sua entità. Peraltro, come è stato correttamente osservato nella sentenza dei giudici di 2° grado, la quantificazione e la qualificazione della perdita come riportabile rappresentano due momenti imprescindibili e strettamente consequenziali fra loro, i quali non possono assolutamente essere distinti. Riportare negli esercizi successivi una perdita significa stabilirne l’entità e, al tempo stesso, riconoscerne la natura di perdita limitatamente o illimitatamente riportabile. Di conseguenza i termini per l’accertamento della consistenza e della riportabilità della perdita non possono che essere gli stessi.
La rettifica di una perdita utilizzata in compensazione non può prescindere dalla verifica di quei dati, relativi all’esercizio di realizzazione della perdita stessa, che hanno rilevato ai fini della sua quantificazione, come, ad esempio, il conseguimento di proventi esenti, che, in base all’art. 84 del Tuir, vanno a diminuire la perdita riportabile.
Laddove, quindi, non sia possibile contestare l’entità della perdita fiscale compensata, per intervenuta decadenza dei termini per l’accertamento del periodo d’imposta in cui la perdita stessa è stata prodotta, si dovrà ritenere egualmente decaduta anche l’azione di accertamento per attribuire alla perdita una natura diversa (ossia di perdita non riportabile) rispetto a quella indicata in dichiarazione.
Se da un lato la tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria non può, per le ragioni sopra dette, essere accolta, dall’altro non si può fare a meno di rilevare come la disciplina in esame si possa prestare, almeno in astratto, a dei comportamenti scorretti da parte del contribuente. Alludiamo, nello specifico, alla dichiarazione di perdite fiscali non reali e al loro utilizzo in anni in cui le stesse non sono più accertabili. Le conseguenze sanzionatone di tale comportamento, alla luce di quanto detto in precedenza, appaiono piuttosto limitate. Infatti, ove la perdita dichiarata in misura superiore a quella effettiva dovesse essere rettificata dall’Ufficio, prima di un suo utilizzo in compensazione, non si renderebbe applicabile alcuna sanzione per violazioni sostanziali, ma, semmai, soltanto quella fissa da euro 258 a euro 2.065, prevista per le dichiarazioni irregolari. Va, peraltro, osservato che le compensazioni di perdite fiscali oltre il periodo di accettabilità delle stesse non sono, in realtà, molto frequenti. Ciò è dovuto al fatto che il contribuente non può scegliere l’esercizio in cui compensare le perdite
pregresse, essendo previsto che, in presenza di redditi imponibili, le perdite disponibili debbano essere necessariamente utilizzate per l’intero importo che trova capienza in essi. Salvo, quindi, le situazioni di perdite protrattesi per più anni - che, comunque, sono sotto i riflettori del Fisco - è difficile che l’utilizzo della perdita avvenga a distanza di molti anni dalla sua formazione.
4. Conclusioni
I controlli degli uffici finanziari sulla consistenza e sulla riportabilità (limitata o illimitata) delle perdite fiscali devono essere effettuati entro il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui le perdite stesse sono state dichiarate dal contribuente, a nulla rilevando, sotto il profilo della decorrenza dei termini per l’accertamento, il momento di utilizzo delle perdite.
Nel caso in cui, entro il suddetto termine, non sia pervenuto alcun accertamento, la perdita fiscale dichiarata diventa definitiva e il Fisco non può più contestarne l’utilizzo.
La compensazione delle perdite con i redditi imponibili assume, invece, rilevanza ai fini della determinazione delle maggiori imposte dovute e delle correlate sanzioni amministrative. Si ritiene che la dichiarazione di perdite eccedenti quelle effettive possa configurare:
• la violazione formale di dichiarazione irregolare, ex art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997, con riferimento alla dichiarazione in cui la perdita è stata esposta;
• la violazione sostanziale di infedele dichiarazione, ex art. 1, comma 2, del decreto appena citato, con riguardo alla o alle dichiarazioni in cui la perdita rettificata è stata computata in diminuzione di redditi imponibili.
[1] In banca dati “fisconline”.
[2] Si tratta delle imprese con volume d’affari Iva o di ricavi dichiarati non superiore a 5.164.568 euro.
[3] In banca dati “fisconline”.
[4] Sono i soggetti che hanno conseguito un volume d’affari Iva o di ricavi dichiarati non inferiore a 200 milioni di euro.
[5] Si veda la sent. 2 ottobre 2008, n. 24436, in banca dati “fisconline”.
[6] Si vedano gli artt. 56, comma 2, e 84, comma 1, del Tuir.
[7] Si vedano gli artt. 83, comma 1, e 84, comma 1, del Tuir.
[8] Per un esame delle regole di utilizzo e di riporto delle perdite fiscali, si veda M. Zanni-G. Rebecca, L’utilizzo delle perdite fiscali: la disciplina generale, in “il fisco” n. 15/2010, fascicolo n. 1, pag. 2290.
[9] Il prospetto delle perdite è contenuto nel quadro RS del Modello UNICO 2010.
[10] Si veda la ris. 5 novembre 1976, n. 1429 - Min. finanze -Imposte dirette, in banca dati “fisconline”.
[11] In tal senso, R. Fanelli, Sanzioni fiscali, previdenziali e societarie, Ipsoa, 2008, pag. 159.