Recesso del socio di società di persone. Aspetti fiscali
di Giuseppe Rebecca
Impresa Commerciale Industriale, N. 10/2004 - 31 Ottobre 2004
In questo articolo tratteremo dell’inquadramento tributario della somma che riceve un socio (persona fisica non imprenditore) di società di persone che recede dalla società. Tale somma costituisce reddito per il socio per la parte determinata dalla differenza tra costo di acquisizione della quota e somma riconosciuta per effetto del recesso, e sarà tassata separatamente, salvo opzione per la tassazione normale. Per quanto concerne la società, è discussa la possibilità di spesare il maggior valore pagato, rispetto ai dati contabili.
Come si vedrà, l’inquadramento tributario non è semplice né soprattutto univoco, al di là della semplicità del fatto impositivo in sé. Per il socio che recede si dovrà valutare se questo reddito, definito “reddito di partecipazione”, sia reddito di capitale, reddito diverso, oppure reddito della stessa natura di quello prodotto dalla società o associazione (di impresa o di lavoro autonomo).
Per la società è da valutare se si sia in presenza, in tutto o in parte, di un costo deducibile o meno.
Anticipiamo fin d’ora le nostre conclusioni. È un reddito definito di partecipazione (categoria reddituale inesistente), determinato e soprattutto tassato come reddito di capitale, soggetto a tassazione separata, salvo opzione per la tassazione ordinaria.
Ciò al di là di una interpretazione ministeriale non in linea con questa ricostruzione e in contrasto più o meno evidente con altre della stessa Amministrazione finanziaria.
1. Liquidazione della quota
Lo scioglimento del rapporto sociale, limitatamente ad un socio di società di persone, impone la definizione dei rapporti economici intercorrenti tra il socio stesso e la società. Si ha così la liquidazione della quota sociale a favore del socio receduto che, secondo quanto dispone l’art. 2289 del codice civile, va effettuata sulla base della situazione patrimoniale della società redatta con riferimento alla data in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale.
Si deve tenere conto dell’esito delle operazioni ancora in corso e dell’avviamento, dato che la liquidazione della quota deve essere determinata secondo l’effettiva consistenza economica del patrimonio sociale.
Si tratta di un inquadramento del tutto pacifico per le società di persone, mentre è stato a lungo discusso per le società di capitali. [1]
L’art. 2437 del codice civile, ante riforma del diritto societario, stabiliva infatti che la liquidazione della quota di società di capitali fosse effettuata sulla base del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio concluso (salvo il caso di S.p.a. con titoli quotati). Il valore della partecipazione veniva definito sulla base dei valori contabili, senza pertanto considerare l’avviamento e i plusvalori latenti.
Con la riforma del diritto societario, anche la somma liquidata al socio che esce da società di capitali deve essere espressione del valore di mercato della quota al momento della dichiarazione di recesso, tenuto conto dell’avviamento e delle operazioni in corso (art. 2437-fer de! codice civile per le S.p.a.; art. 2473, comma 3, del codice civile per le S.r.l.).
2. Liquidazione della quota: debito della società o dei soci?
L’obbligo di liquidare la quota fa capo direttamente alla società, e non ai singoli soci restanti, dato che la stessa società è soggetto di diritto ed è titolare di un patrimonio.[2]
Ciò è da ultimo confermato dalla Cassazione che, con la recentissima sentenza 1° aprile 2004, n. 6373, ha affermato che: “il principio secondo il quale le azioni per la liquidazione della quota del socio uscente vanno proposte nei confronti della società anche se di persone si applica anche al caso di azione proposta dall’ex socio per conseguire la quota di partecipazione agli utili inerenti ad operazioni in corso...”.
Altri hanno sostenuto, invece, che si sarebbe in presenza di un debito dei soci verso il socio recedente, [3] ma ciò, come si è visto, è contraddetto dalla giurisprudenza.
3. Questioni di carattere fiscale per il socio che recede - Inquadramento generale
Generalmente accade che al socio che recede sia liquidato un importo superiore ai valori contabili della società ed anche superiore al valore fiscalmente riconosciuto alla quota posseduta.
Nell’importo liquidato al socio che recede da una società di persone confluiscono i seguenti valori:
- quota di capitale, di riserve e di utili già iscritti in bilancio;
- quota dell’utile in corso di formazione nell’esercizio;
- quota di avviamento;
- quota di plusvalori, al netto di minusvalenze.
L’importo riconosciuto è tassabile in capo al socio che recede per la parte eccedente il costo di acquisto ovvero di sottoscrizione del capitale, indipendentemente dai valori che lo compongono.
Nello stesso tempo, in capo alla società si determina un valore che deve trovare una adeguata collocazione contabile e fiscale. Come si vedrà successivamente, in ordine alla natura da attribuire a tale differenza sono stati espressi pareri contrastanti, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Vediamo innanzitutto il trattamento riservato al socio che recede.
Nei confronti del socio, il reddito derivante dalla liquidazione della quota sarà determinato dalla differenza tra costo fiscalmente riconosciuto alla partecipazione stessa e la somma attribuita.
Trattandosi di società di persone, il valore è influenzato anche dai redditi e dalle perdite del periodo di possesso della quota: questi ultimi vanno sommati algebricamente al costo di acquisto, al netto degli utili effettivamente distribuiti al socio (art. 68, comma 6, “Plusvalenze” del Tuir, ex 82). È opportuno segnalare che l’esclusione dell’applicazione di tale previsione dettata dal previgente del Tuir per le società immobiliari e le finanziarie (al costo di acquisto delle quote di tali società non si sommavano gli utili e le perdite del periodo; si trattava di esclusione sicuramente incostituzionale, e pertanto illegittima) è stata eliminata dalla riforma tributaria, con decorrenza 2004, cosicché oggigiorno tutte le società di persone sono trattate allo stesso identico modo, sotto l’aspetto tributario. E ciò, si deve necessariamente intendere, anche per gii utili pregressi per le società finanziarie e immobiliari. Non c’è infatti alcuna norma che disponga diversamente.
Le disposizioni di legge che riguardano la fattispecie del socio che recede da società di persone sono le seguenti (si riportano gli articoli del Testo unico ora vigente; tra parentesi gli articoli ante 2004):
1) Art. 17; comma 1, lettera I) (ex art. 16). “1. L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi:
“... I) redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società indicate nell’art. 5 nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione, anche concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso o dell’esclusione, la deliberazione di riduzione del capitale, la morte del socio o l’inizio della liquidazione è superiore a cinque anni”.
2) Art. 47, comma 7 (ex art. 44, comma 3, prima parte) “Utili da partecipazione”:
“7. Le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”.
3) Art. 6, D.P.R. n. 42/1988:
"1. Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all’art. 16, comma 1, lettera I), del testo unico, valgono in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 44 dello stesso testo unico” (i riferimenti sono agli articoli anfe nuovo del Tuir)".
L’inquadramento normativo parrebbe quindi abbastanza chiaro: si tratta di reddito di partecipazione (lo dice l’art. 6 del D.P.R. n. 42/1988), categoria di reddito peraltro non specificatamente prevista dalla norma, determinato come reddito di capitale (art. 47, comma 7, del Tuir), da tassare separatamente [art. 17, comma 1, lettera /)] salvo opzione per la tassazione ordinaria. Costruzione forse non molto felice, sicuramente di non immediata percezione, ma sufficientemente definita nei presupposti di base.
In ogni caso non è ben chiaro perché si sia utilizzata l’espressione “redditi di partecipazione”, trattandosi di una caratterizzazione del reddito che esula dalle tipologie indicate dallo stesso Tuir. Questo particolare aspetto sarà trattato nel paragrafo successivo.
Al di là dell’inquadramento di tale reddito, una osservazione sulla sua quantificazione, per il socio e per la società.
Siamo su due piani differenti; per la società i plusvalori sono di una determinata entità, per il socio di una entità diversa. La perfetta coincidenza (solo teorica) si ha nel caso in cui il socio abbia partecipato alla costituzione della società, non abbia mai acquistato quote e non abbia proceduto ad alcuna rivalutazione della partecipazione. In tutti gli altri casi i valori necessariamente differiscono.
4. Redditi di partecipazione
Si è detto che si tratta di “reddito di partecipazione”; è da valutare cosa ciò possa significare.
Le tipologie di reddito sono infatti sei, come indicato all’art. 6 del Tuir, e precisamente: redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi. Con la riforma tributaria nulla è variato, in merito.
Il “reddito di partecipazione” non è una categoria di reddito; la dizione la troviamo utilizzata in due soli ambiti, al di fuori del D.P.R. n. 42/1988: in un certo qual modo nella titolazione dell’art. 47 (ex 44) del Tuir “Utili di partecipazione” (è stata usata l’espressione “utili” anziché “reddito”), articolo che si riferisce ai redditi di capitale, e poi nei modelli per le annuali dichiarazioni fiscali.
Non siamo però in presenza di una tipologia di reddito, questo è pacifico.
Siamo quindi in assenza di una norma che ci indichi di che natura di reddito si tratti, relativamente alle somme incassate. .
Si dovrà pertanto preventivamente analizzare questo reddito al fine di attribuirgli una natura ben determinata, potendo trattarsi di reddito di capitale, di reddito diverso oppure di reddito della stessa natura di quelli prodotti dalla società (di impresa o di lavoro autonomo).
È pacifico che inquadramenti diversi portano a imposizioni differenti.
Nel caso di redditi di capitale il trattamento sarà una imposizione secca del 12,50 per cento, in presenza di partecipazioni non qualificate, oppure con aliquote Irpef piene (Ire in futuro) sul 40 per cento del totale, ove però si sia optato per la tassazione ordinaria, che in effetti la fattispecie è tassata con la tassazione separata.
Stessa identica cosa in presenza di redditi diversi.
Già si nota una prima incongruenza, essendo prevista la tassazione separata per una fattispecie che potrebbe essere tassata anche con una ritenuta a titolo di imposta del 12,50 per cento. Sul punto non si sono osservati commenti, al momento.
Certo le tre disposizioni di legge precedentemente esaminate non agevolano.
Il D.P.R. n. 42/1988 precisa che si applicano “in quanto compatibili” le disposizioni di cui all’art. 44 del Tuir (ora 47).
Cosa ciò possa significare non è del tutto chiaro.
Infatti, mentre è detto con chiarezza che la tassazione sarà effettuata per trasparenza, non è chiarito di che natura di reddito si tratti.
Tale reddito è da inquadrare necessariamente tra le sei categorie di redditi previste dal Tuir.
Ove lo si consideri come reddito di capitale, sarà seguito il criterio della cassa e i’imposizione, come già detto, varierà tra il 12,50 per cento in presenza di partecipazioni non qualificate (con conseguente inapplicabilità, tutta da motivare, della tassazione separata) e la tassazione separata sul 40 per cento dell’imponibile in presenza di partecipazioni qualificate. Questo è il nostro orientamento. Ove si reputasse invece essere in presenza di normali redditi (tesi che non si condivide assolutamente), si seguirebbe il criterio della competenza (imputazione per trasparenza), con tassazione-separata, e base imponibile intera (100 per cento).
Si pone infine anche un problema di coordinamento con l’art. 2, comma 1-ò/s, del D.Lgs. 12 dicembre 2003 n. 344: “Norme di coordinamento”.
Tale disposizione ha inserito il comma 1-b/s all’art. 27 del D.P.R. n. 600/1973 prevedendo che la ritenuta del 12,50 per cento applicabile nei casi di reddito di capitale, sia applicata sull’intero importo ricevuto, ove non si comunichi il valore fiscalmente riconosciuto alla partecipazione stessa.
Si tratta invero di una disposizione dettata per le società di capitali, ed è da chiedersi se ed in che modo sia applicabile anche a società di persone. C’è incertezza, sul punto.
5. D.P.R. n. 42/1988 - Abrogato?
Come si è visto, il trattamento da riservare alle somme liquidate in caso di recesso da società di persone è esplicitamente previsto dal D.P.R. n. 42/1988, non dal Tuir; anche la nuova versione del Tuir nulla aggiunge, in merito.
Da taluno[4] si è posta la questione se, stando così le cose, il D.P.R. n. 42/1988 sia stato di fatto abrogato o meno.
Posto che non c’è alcuna abrogazione espressa, potrebbe trattarsi di abrogazione tacita, ove le nuove disposizioni fossero di fatto in contrasto con le precedenti, oppure fosse stata dettata una normativa differente. Così non è; non ravvisando nuove disposizioni, ne consegue che si ritiene di dover confermare la validità e la piena applicabilità delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 42/1988.
Stando quindi al primo modulo delia riforma tributaria, l’unico ad oggi approvato, nulla dovrebbe essere cambiato.
Per la non applicabilità delle disposizioni del D.P.R. n. 42/1988 si sono invece pronunciati altri Autori, [5] ancorché giungano poi a ritenere l’applicabilità delle stesse disposizioni.
Sul punto è intervenuto anche Carlo Oneto[6] il quale ha ben riassunto la situazione. Le disposizioni dettate dal D.P.R. n. 42/1988 restano valide, ancorché si dovrà tenere conto della diversa numerazione degli articoli, al verificarsi di due condizioni:
“1) che la nuova norma disponga in maniera identica rispetto alla precedente;
2) che la nuova norma non abbia già recepito il cambiamento normativo”.
7. Questioni di carattere fiscale per il socio che recede - Aspetti pratico-operativi
Si è visto come manchi una specifica previsione normativa circa la natura del reddito ottenuto dal socio che recede da società di persone. In ogni caso si deve innanzitutto determinare l’entità globale di questo reddito, raffrontando il costo fiscalmente riconosciuto alla quota e l’importo attribuito. Al costo fiscalmente riconosciuto vanno aggiunti gli utili (fiscali) imputati per trasparenza e detratte le perdite (sempre fiscali) e le distribuzioni di utili (queste ultime fino a concorrenza degli utili ripartiti).
Vediamo una esemplificazione pratica.
S.n.c. costituita da più di 5 esercizi con questi dati:
Capitale netto |
1.000 |
Utili di bilancio relativi ad esercizi precedenti |
|
(post acquisto quote) non distribuiti |
3.000 |
Finanziamento soci in conto capitale |
2.000 |
Utili in formazione nel periodo |
100 |
Totale voci del capitale netto contabili |
6.100 |
Quota del recedente 50 per cento
Costo acquisto quota (post finanziamento in conto capitale) 4.000
Utile fiscale dichiarato relativamente a periodi successivi all’acquisto 4.000 in tutto (contro i 3.000 iscritti in contabilità). Non ci sono state distribuzioni di utili.
Valutazione di mercato della società 20.000, per cui la quota vale 10.000 (20.000 x 50%). Per il socio che recede (non è necessario che siano trascorsi cinque esercizi dall’acquisto della quota, ai fini della tassazione separata, essendo il requisito dettato solo per l’esistenza della società) si ha un reddito determinato nel seguente modo:
Costo acquisto quota 4.000 Utili fiscali imputabili negli esercizi di possesso della quota stessa (4.000: 2) 2.000 Totale costo fiscale 6.000 Valore attribuito per il recesso 10.000 Plusvalore 4.000
Parte di questo reddito è costituita dall’utile in formazione (100 : 2 = 50); l’eccedenza di 3.950 è costituita da effettivo plusvalore.
Il socio sarà così tassato su 4.000 con l’aliquota derivante dall’applicazione della tassazione separata, salvo opzione per la tassazione ordinaria. Come sarà tassato? In base a quanto già detto, trattandosi di redditi di capitale, in caso di partecipazione qualificata l’imposta sarà sul 40 per cento dell’importo totale. In caso di partecipazione non qualificata, applicazione della ritenuta secca del 12,50 per cento sull’importo totale.
7. Qualche aspetto per la società
La liquidazione della quota al socio persona fisica da parte della società comporta una correlata contabilizzazione.
È pacifico che il recesso ridurrà, in modo proporzionale, il capitale e le riserve; l’utile in formazione attribuito costituirà poi costo dell’esercizio. Fin qui le cose paiono abbastanza definite, anche se si riscontrano opinioni diverse.
La vera questione riguarda la differenza, come contabilizzarla: se contabilizzarla quale costo, se contabilizzarla quale avviamento, se invece azzerare, in tutto o in parte, le altre riserve, oppure, infine, in via residuale, se variare il costo della partecipazione degli altri soci.
A nostro avviso i presupposti per l’iscrizione all’attivo della voce avviamento (pagamento di un importo specifico) non ci sono assolutamente, per cui è una opzione che si ritiene di dover scartare.
Non restano che le altre alternative, peraltro opposte, della riduzione delle altre riserve eventualmente esistenti (opzione neutrale), oppure dell’imputazione di tutto a costo.
È importante segnalare, in carenza di previsioni normative, come le istruzioni ministeriali al quadro RK della dichiarazione Unico SP 2000 e 2001 prevedessero due casi, uno in sequenza all’altro:
- le somme eventualmente liquidate al socio receduto sono componente negativa deducibile per la società;
- analogamente sono deducibili le eventuali somme liquidate agli eredi.
Si tratta di una previsione chiara e inequivocabile: le maggiori somme pagate al socio che recede costituiscono costo dell’esercizio.
Senza alcuna motivazione, dal 2002 tale previsione è scomparsa nelle istruzioni ministeriali, ed è rimasta solo la seconda affermazione, quella che inizia con “analogamente”, avverbio che molto stranamente è rimasto.
La stessa espressione “analogamente” presuppone necessariamente l’esistenza di qualcosa di già detto, mentre nella fattispecie concreta non c’è più nulla, non essendo stata riportata la prima previsione, ma solo la seconda. L’estensore delle istruzioni probabilmente non avrà fatto caso a questo aspetto.
Con Unico 2004 (SP, quadro SK) è stata poi depennata anche la seconda previsione, che è stata riportata quindi solo per due esercizi, nel 2002 e 2003.
Torniamo all’esemplificazione precedente. Il reddito per il socio è stato indicato in 4.000.
Vediamo quale può essere l’impatto economico in capo alla società.
La società liquida al socio complessivamente 10.000; questa voce sarà così composta:
- Capitale (1.000: 2) 500
- Utile di bilancio relativo ad esercizi
precedenti non distribuiti (3.000: 2)[7] 1.500
- Utile in formazione (100: 2) 500
- Finanziamento soci c/capitale (2.000: 2) 1.000 I parziale 3.050
Resta da imputare la differenza
rispetto al liquidato di 10.000
e quindi 6.950
Tutto ciò andrà a costituire costo dell’esercizio, assieme al 50 di quota utile del periodo; complessivamente, quindi, 7.000 di costo.
In luogo di una somma in denaro, a titolo di liquidazione, al socio receduto possono essere assegnati beni di proprietà della società.
Qualora venga assegnato un bene immobile (atto ovviamente da assoggettare alle specifiche imposte di trasferimento), il valore lo si raffronterà con il costo fiscalmente riconosciuto delle quote possedute, che si ridurrà in misura pari al valore normale dei beni ricevuti.
Se il valore normale del bene assegnato corrisponde al costo fiscalmente riconosciuto alla partecipazione non si crea alcun problema di carattere fiscale in capo al socio che recede.
Tuttavia il caso più frequente è quello in cui il bene ricevuto dal socio vale più del valore fiscalmente riconosciuto alla partecipazione. Sorgono in questo modo gli stessi problemi interpretativi esaminati con riferimento al rimborso al socio di una somma in denaro. Si assiste infatti alla formazione di un reddito tassato in capo al percettore. Sempre in questa ipotesi, per quanto concerne la società, da una parte si avrà la rilevazione della plusvalenza (scrittura ininfluente ai fini fiscali), e dall’altra ci sarà la rilevazione di un costo. A nostro avviso, primariamente andrà compensato il costo con la correlata plus. È ben vero che, se si ritiene di essere in presenza di un costo deducibile, non pare possibile, da un punto di vista fiscale, compensarlo con una plus non tassabile, ma l’origine stessa di tale plusvalenza potrebbe imporre questo comportamento. Il punto necessiterebbe di ulteriori approfondimenti.
8. L’orientamento dell’Amministrazione finanziaria
L’Amministrazione finanziaria è intervenuta più volte su questa fattispecie, in modo che taluno ha ritenuto contrastante.
Riprendiamo cosa è stato sostenuto ante Tuir, a normativa invero differente.
Con la risoluzione n. 9/849 del 12 giugno 1978 è stato specificato che, nel caso di recesso, le somme percepite eccedenti il capitale versato costituiscono redditi diversi (da dichiararsi allora ex art. 76 del D.P.R. n. 597/1973), anche per la parte relativa all’utile in formazione. Quanto all’intento speculativo, necessario presupposto per l’applicabilità di tale articolo, la successiva R.M. 9/540 del 13 marzo 1979 aveva specificato che doveva essere verificato caso per caso.
Sempre in pari data, con risoluzione n. 318, relativamente alla liquidazione di una quota all’erede di un socio di una società di fatto, è stato specificato che la plus rispetto al valore contabile costituisce reddito diverso, in questo caso non però ex art. 76 del D.P.R. n. 597/1973, bensì ex art. 80.
Quanto alla società, questa ben poteva considerare la quota di utile del periodo (la risoluzione in effetti solo a questo si riferisce) come elemento negativo del reddito.
In vigenza del Tuir abbiamo la prima risoluzione nel 1995, e precisamente la Risoluzione n. 127/E del 24 maggio 1995.
Il caso riguardava un professionista receduto da una associazione professionale nel corso dell’anno. L’associazione gli aveva riconosciuto un determinato importo per la “valorizzazione dei servizi professionali... (prodotti) in seno all’associazione nel periodo compreso fra il 1 ° gennaio e la data del recesso”.
Nella richiesta è stato chiaramente specificato che “la somma concordata ed attribuita al contribuente non integra finalità di realizzo patrimoniale tra gli associati”.
In buona sostanza, la richiesta riguardava il trattamento da riconoscere agli utili del periodo, esclusivamente agli utili.
La risposta non poteva che essere quella data: il reddito (che nella risoluzione, come pure nella domanda, non è mai qualificato) è tassato con la tassazione separata, ricorrendone i presupposti (associazione costituita da più di 5 anni) con la possibilità di opzione per la tassazione ordinaria.
La risoluzione chiarisce poi che tale importo andrà a ridurre, come componente negativo di reddito, l’entità dell’utile in formazione della associazione; è stato anche specificato che le ritenute di acconto non spetteranno al socio receduto, spettando ai soli soci al 31 dicembre, come pure agli stessi spetta il reddito finale, dal quale è già stato detratto quanto versato al socio receduto.
Successivamente si ha la circolare n. 98/E/2000, punto 1.5.7, del 17 maggio 2000.[8]
Con tale circolare è stato specificato che gli importi corrisposti “a titolo di indennità di recesso costituiscono, invece, un componente negativo deducibile ai fini della determinazione del reddito prodotto dall’associazione e, per il percipiente, indennità da assoggettare a tassazione separata a norma dell’art. 16, comma 1, lettera I), del Tuir”. È poi precisato che tali somme vanno indicate nel quadro RM (quadro relativo alla tassazione separata). Ove non ci fossero i presupposti (società costituita da meno di 5 anni), tassazione normale, come reddito professionale (quadro RE) (come si può notare, quindi, in questo caso per l’Amministrazione finanziaria si è in presenza di redditi qualificati come redditi di lavoro autonomo!).
Queste due interpretazioni ministeriali, pur essendo relative a presupposti differenti (nel primo caso, si tratta della quota dell’utile del periodo, nel secondo, di indennità di recesso, non meglio determinata) trovano una identica soluzione, per quanto concerne la società: costo deducibile. Per quanto concerne il socio, nessuna qualificazione nella prima risoluzione, redditi di lavoro autonomo, ove non applicabile la tassazione separata, nella seconda.
Taluno[9] aveva visto un cambio di interpretazione nella circolare n. 189/E del 21 settembre 1999. Non pare così, essendo anche questa interpretazione da inquadrare nell’alveo delle precedenti.
Il punto 1.5 della circolare si riferisce all’assegnazione agevolata di beni nell’ambito delle società di persone. È stato esplicitamente riconosciuto che, nel caso di assegnazione di beni, l’eccedenza rispetto al valore fiscalmente riconosciuto alla partecipazione è tassata.
Si fa riferimento all’art. 44 del Tuir, così come richiamato dall’art. 6 del D.P.R. n. 42/1988, e a dire il vero non poteva essere diversamente.
Si ha infine la circolare n. 54/E del 19 giugno 2002. Tale circolare tratta dello scioglimento della società di persone che prosegue l’attività come ditta individuale; la somma percepita dai soci usciti costituisce reddito per la parte che eccede il costo di acquisto, reddito tassabile ex art. 44, comma 3, del Tuir (ora 47, comma 7) e definito come “redditi di capitale”.
La circolare esclude esplicitamente che tale reddito possa essere inquadrato come reddito da partecipazione (categoria che, come si è visto, non esiste), ma lega questa previsione al fatto che si tratta, in definitiva, di una liquidazione.[10]
Sono stati segnalati[11] gli interventi, su questi punti, della Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia (nota del 13 luglio 2000, n. 60044, assolutamente restrittiva) mentre in parte più aperta si era dimostrata la Direzione Regionale del Piemonte, assieme alla Lombardia (che evidentemente ha poi cambiato parere), nell’intervento MAP 10 maggio 2000, risposta 11.10.
La Direzione Regionale Lombardia, con la nota n. 60044, ha confermato che si è in presenza di costo deducibile per la parte correlata all’utile in formazione; non così però, ha precisato, per tutte le altre voci. Si andrà a diminuire il patrimonio, e, ove questo fosse insufficiente, secondo la Direzione Regionale ciò “comporterà l’intervento dei soci superstiti che, di fatto, a causa del recesso indicato, incrementeranno la propria quota di partecipazione alla società”.
Soluzione questa del tutto particolare, non convincente.
La risposta al MAP riguardava solo il trattamento da riservare al socio che recede, per il quale si è confermato che il trattamento tributario è lo stesso per ogni somma attribuitagli.
Possiamo quindi così riassumere gli interventi dell’Amministrazione finanziaria.
Il parere dell’Amministrazione finanziaria sul trattamento dei plusvalori |
||
Ante Tuir |
Tipologia di reddito per il socio che recede |
Effetti per la società |
Ris. n. 9/849 del 12 giugno 1978 |
Reddito diverso, in presenza dei presupposti (art. 76) |
- |
Ris. n. 9/540 del 13 marzo 1979 |
Idem |
- |
Ris. n. 318 dei 13 marzo 1979 |
Per gli eredi del socio, redditi diversi ex art. 80 |
La quota di utile del periodo è costo |
Tuir |
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Ris. n. 127/E del 24 maggio 1995 |
Gli utili del periodo sono soggetti a tassazione separata, in presenza dei presupposti |
Costo per la società |
Circ. n. 189/E del 21 settembre 1999 |
Idem |
- |
Circ. n. 98/E/2000 del 17 maggio 2000 |
L’indennità di recesso è tassata separatamente; ove la società avesse meno di 5 anni, reddito di lavoro autonomo (o di impresa) |
Costo per la società |
MAP 10 maggio 2000 |
Il trattamento tributario per il socio che recede è lo stesso per ogni importo ricevuto |
|
Direzione Regione Lombardia Nota n. 60044 13 luglio 2000 |
- |
Costo solo per la parte di utile del periodo |
Circ. n. 54/E del 19 giugno 2002 |
Reddito di capitale |
- |
Per quanto concerne il socio, la circolare n. 54/E del 2002 specifica che si è in presenza di un reddito di capitale, la risoluzione n. 127/E del 1995 e la circolare n. 189/E del 1999 non dicono nulla, mentre la circolare n. 98/E del 2000 ha ritenuto di specificare, seppure indirettamente, che, ove non ci fossero i presupposti per l’applicazione della tassazione separata, si sarebbe in presenza di un reddito della stessa natura di quello posseduto dalla società (o di impresa o professionale).
Per quanto concerne la società, si sono pronunciate per la imputazione a costo della quota dell’utile di periodo la risoluzione del 1995 e la circolare n. 98/E del 2000; la circolare n. 189/E del 1999 e la n. 54/E del 2002 nulla invece dicono, mentre la Direzione Regionale Lombardia ha limitato la deducibilità alla sola parte dell’utile in formazione.
9. Conclusione
La fattispecie recesso di socio persona fisica non imprenditore da società di persone non è inquadrata in modo del tutto determinato, sotto l’aspetto tributario.
È precisato come si determina l’imponibile legato alla fattispecie, si precisa che si tassa tutto con la tassazione separata, ma non è specificato quale sia la tipologia di reddito.
Si può sostenere di essere in presenza di redditi di capitale.
In questo caso, la tassazione spazia dal 12,5 per cento (partecipazioni non qualificate) all’lrpef (o Ire) sul 40 per cento dell’intero reddito, con applicazione della tassazione separata.
Come si è visto, gli interventi dell’Amministrazione finanziaria non aiutano in modo univoco a determinare il giusto inquadramento. Ricordiamo comunque la più recente circolare, la n. 54/E del 19 giugno 2002 la quale ha chiarito che si è in presenza di un reddito di capitale (ancorché poi legasse il tutto al fatto che si era in presenza di una liquidazione).
Per la società, salvo l’isolato parere negativo della Direzione Regionale della Lombardia, si viene a creare un Costo fiscalmente deducibile.
Qualche margine di residua incertezza comunque permane, nella costruzione della corretta imposizione della fattispecie recesso di persona fisica da società di persone. Il Tuir nulla ha variato, in merito.
[1] Anche la giurisprudenza, per le società di capitali, da tempo si ispira al principio che riconosce al socio uscente ciò che egli otterrebbe se, invece del solo suo legame, si sciogliesse l’intera società e si vendesse l’azienda ancora produttiva di utili. Tra gli altri, Trib. Milano, 17 ottobre 1988, in “Giur. comm.”, 1990, II, pag. 500; Trib. Bari, 15 ottobre 1988, in “Nuova giur. civ. comment.”, 1990, I, pag. 140; Cass., 23 luglio 1969, n. 2772, in “Foro it.”, 1969, I, c. 2833 e in “Dir. Fall.”, 1970, II, pag. 420.
[2] in giurisprudenza, Cass. 26 aprile 2000, n. 291; in dottrina, L. Miele, Quota liquidata al socio receduto da società di persone, in “Corr. Trib.”, n. 30/2000, pag. 2157.
[3] Tra gli altri, Ilario Scafati, Le novità sui dividendi e proventi assimilati, in “Corr. Trib.”, n. 5/2004, pagg. 350 e seguenti.
[4] Tra gli altri, Angelo Rabatti e David Ceccarelli, Affitto d’azienda: quali novità dopo la riforma, “Amministrazione & Finanza” n. 12/2004, pag. 30.
[5] Luca Miele e Gian Paolo Ranocchi, Deducibilità e valutazione della partecipazione: i riflessi sul piano fiscale dell ‘esercizio del recesso, “Guida alla riforma fiscale”, n. 5/2004, Il Sole-24 Ore, pag. 34. Tali autori affermano, poi, che si tratta di redditi di capitale, e noi si concorda, e che l’opzione è per la tassazione separata (mentre invece è proprio il contrario; l’eventuale opzione è per la tassazione ordinaria).
[6] “Il Sole-24 Ore”, 30 giugno 2004, “Innovazioni Ires da coordinare”.
[7] Si ritiene di ridurre gli utili di bilancio, non quelli fiscali. L’argomento merita comunque un approfondimento, al momento non attuato.
[8] Sull’argomento si veda anche Luca Miele, Recesso del socio e duplicazione d’imposta, in “Corr. Trib.”, n. 37/2002, pag. 3315. Nello stesso senso anche circolare del Centro Studi Ragionieri del 24 novembre 2003.
[9] Ceppellini - Lugano, La nuova Ires, “Il Sole-24 Ore”, pag. 13.
[10] Il 16 giugno 2004 l’Agenzia delle Entrate ha emanato la circolare n. 26 con nuovi chiarimenti in materia ribadendo che in caso di recesso, relativamente però a società di capitali, “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate e ciò vale anche per la parte di tali eccedenze che derivano da riserve di capitale”. Con la stessa circolare viene “ulteriormente precisato ... che l’art. 47, comma 7, del Tuir fa riferimento al recesso tipico che comporta l’annullamento delle azioni o quote. Qualora, invece, il recesso avvenga con modalità diverse, ossia mediante acquisto da parte degli altri soci si configura un’ipotesi che va inquadrata più propriamente nell’ambito degli atti produttivi di redditi diversi di natura finanziaria, sempreché si tratti di cessioni a titolo oneroso”.
[11] Ceppellini - Lugano, La nuova Ires, cit, pag. 14.