Cessione di azienda con costituzione di rendita vitalizia Aspetti civilistici e fiscali
di Giuseppe Rebecca ed Enrico Fiammengo
Il Fisco, N. 18/2003
1. Aspetti civilistici
1.1. Inquadramento del trasferimento di azienda
Il codice civile disciplina il trasferimento definitivo (vendita) dell’azienda in cinque articoli (dal 2556 al 2560), collocati subito dopo la nozione di azienda all’art. 2555.[1] In coda riserva due articoli al trasferimento transitorio dell’azienda, ossia all’usufrutto (art. 2561) e all’affitto (art. 2562). Detta inoltre una disciplina specifica (art. 2112, riscritto a decorrere dal 1° luglio 2001 ex art. 1 del D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18) sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda.
Il legislatore evita di disciplinare in modo specifico la circolazione dell’azienda, e delega il contenuto del contratto di trasferimento alla volontà pattizia delle parti. Ciononostante, in considerazione della complessità e della varietà di rapporti compresi nell’azienda (intesa come centro di imputazione di rapporti economici e giuridici), detta alcune norme di carattere generale che mirano sia a rispettare le disposizioni già previste per il passaggio di alcuni beni contenuti nell’azienda (art. 2556 del codice civile), sia a disporre la conti-
1.2. Inquadramento della rendita vitalizia
La rendita vitalizia è un contratto aleatorio[2] che trova la sua sede normativa nel codice civile (artt. 1872-1881) nel quadro dei contratti tipici. Esso ha per oggetto la prestazione periodica di una somma di denaro (o di una certa quantità di cose fungibili) per la durata della vita del beneficiario [o di un’altra persona].[3]
1.3. La fattispecie
Dal punto di vista civilistico, la costituzione di una rendita in capo al cedente relativamente alla vendita a titolo oneroso di un’azienda o di un ramo d’azienda costituisce esclusivamente una modalità di pagamento del prezzo. È pertanto un contratto di trasferimento di azienda in cui il cedente, a fronte della cessione dell’azienda, riceve dal cessionario l’impegno a corrispondergli una prestazione periodica (in denaro o in altre cose fungibili) prestabilita.
2. Aspetti fiscali - Imposte dirette
2.1. La disciplina in capo al cedente
Il legislatore tributario si è astenuto dal regolamentare l’ipotesi della cessione d’azienda con pagamento del prezzo mediante la costituzione di rendita vitalizia in capo al cedente aprendo così spazi interpretativi sull’applicazione corretta della disciplina fiscale da adottare per il cedente.
2.1.1. La tassazione diretta della rendita vitalizia
La disciplina delle imposte dirette da applicare alle rendite vitalizie è esente da discrezionalità interpretativa: ai sensi dell’art. 47, comma 1, lettera h), del Tuir, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 esse sono assimilate ai redditi di lavoro dipendente [4] e come tali pertanto vanno trattate.
2.1.2. La tassazione della plusvalenza ex art. 54, comma 5, del Tuir
Con la cessione di azienda, a fronte di una rendita vitalizia, il cedente realizza una plusvalenza soggetta a tassazione?
Il Tuir all’art. 54, comma 5, detta una disciplina specifica sulla tassazione della plusvalenza realizzata a seguito di cessione di azienda: “Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso consentendo poi la tassazione separata ove ne ricorrano i presupposti[5] ed escludendo esplicitamente i trasferimenti mortis causa o per atto gratuito a familiari.
Non vi sono dubbi, quindi, sulla tassazione della plusvalenza, se questa è certa e determinata.
La questione si incentra sul ritenere che, a fronte della cessione di un’azienda con costituzione di rendita vitalizia in capo al cedente, si possa realizzare una plusvalenza certa e determinata: parte della dottrina e la giurisprudenza ritengono infatti che una. delle due prestazioni (il prezzo pagato tramite rendita vitalizia) non sia determinabile in via preventiva in maniera certa, in quanto legata alla durata della vita del beneficiario.
Nel corso degli anni la giurisprudenza in più occasioni ha sostenuto che in questa fattispecie non si realizzi alcuna plusvalenza tassabile ai sensi dell’alt. 54, comma 5, del Tuir poiché non è determinato il corrispettivo complessivo dal quale detrarre il valore dell’azienda per determinare la plusvalenza.
La lettura operata dall’Amministrazione finanziaria è invece diametralmente opposta: l’indeterminatezza del valore della plusvalenza è facilmente superabile mediante procedimenti che consentano di attualizzare il valore della rendita al momento in cui la stessa è ritenuta imponibile.
2.2. La soluzione della dottrina: le tre alternative
La dottrina[6] individua tre soluzioni alternative di imponibilità fiscale per il cedente di un’azienda con costituzione di rendita vitalizia:
a) non si realizza alcuna plusvalenza tassabile ed ha rilevanza fiscale solo la rendita vitalizia per la parte conseguita in ciascun periodo d’imposta;
b) assume rilevanza fiscale solo la plusvalenza realizzata a seguito della cessione d’azienda (calcolata con metodi di matematica attuariale) concorrendo alla formazione del reddito del cedente nell’esercizio in cui è avvenuta la cessione, mentre la rendita vitalizia non ha rilevanza fiscale in quanto costituisce esclusivamente una forma di pagamento;
e) sia la plusvalenza che la rendita vitalizia hanno rilevanza fiscale.
La prima alternativa (la plusvalenza non è rilevante in capo al cedente) è quella prevalentemente accolta [7] e si fonda sul presupposto che la plusvalenza da sottoporre a tassazione non è determinabile nel suo ammontare e nella sua durata temporale e pertanto non ha rilevanza fiscale. In capo al cedente verrà tassata soltanto la rendita vitalizia di competenza di ciascun periodo d’imposta secondo le disposizioni dell’art. 47, comma 1, lettera h), del Tuir.
Con la seconda ipotesi (la plusvalenza è rilevante in capo al cedente),[8] partendo dall’assunto che la rendita vitalizia costituisce il corrispettivo della cessione, si calcola il valore della plusvalenza attualizzando le quote annuali della rendita determinata all’atto della sua costituzione. La plusvalenza così realizzata concorrerà alla formazione del reddito ai sensi dell’art. 54, comma 5, del Tuir.
La terza possibilità, rilevando come separati e distinti i momenti della realizzazione della plusvalenza (che avviene con la cessione dell’azienda) e dell’incasso della rendita vitalizia (che avviene secondo la cadenza prestabilita dalle parti) somma gli effetti fiscali della prima e della seconda ipotesi e prevede la tassabilità sia della plusvalenza che della rendita vitalizia.
2.3. La soluzione dell’Amministrazione finanziaria: la rilevanza della plusvalenza in capo al cedente
La Direzione regionale delle Entrate della Campania con la risoluzione n. 5792 del 29 luglio 1997 (in banca dati “il fiscovideo”), ha rilevato che le innovazioni introdotte dal Tuir rispetto al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, relativamente al momento impositivo della plusvalenza, sono da leggersi come volontà del legislatore di cambiare indirizzo in ordine alla modalità di tassazione dei redditi derivante da cessione di azienda con attribuzione di rendita vitalizia. L’Amministrazione finanziaria rileva che l’art. 54 del Tuir al comma 5 prevede che le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, concorrono a formare il reddito se “realizzate unitariamente” mediante cessione a titolo oneroso. L’art. 18 del Tuir stabilisce poi la tassazione separata dell’ammontare “conseguito od imputato” in conseguenza dell’operazione. L’utilizzo dei termini “realizzate” e “imputate” in luogo di “percepite” (presente nel D.P.R. n. 597/1973) ha indotto l’Amministrazione finanziaria a ritenere che il legislatore avrebbe ricondotto a tassazione le eventuali plusvalenze non più secondo il principio di cassa, ma secondo quello di competenza di cui all’art. 75 del Tuir. La stipula del contratto determinerebbe quindi il momento impositivo. Il quantum da assoggettare a tassazione è poi determinabile attraverso i calcoli di matematica attuariale.[9]
Un tale procedimento, da un lato, imprime la certezza e la determinabilità richieste dall’ari. 75 del Tuir e, dall’altro, evita una doppia imposizione in quanto la cessione con costituzione di rendita integrerebbe due autonomi presupposti: il realizzo della plusvalenza e il reddito vitalizio.
In conclusione l’Amministrazione finanziaria ritiene che sia quantificabile una plusvalenza (tassabile ai sensi dell’art. 54 del Tuir) da cessione di azienda anche se il cedente percepisce esclusivamente una rendita vitalizia e che tale plusvalenza sia determinabile attraverso l’applicazione di formule di matematica attuariale.
2.4. La soluzione della giurisprudenza tributaria: la non rilevanza della plusvalenza in capo al cedente
La Commissione tributaria Centrale ha statuito fin dalla decisione n. 1206/1990[10] che nel caso in cui il corrispettivo di una cessione di azienda sia rappresentato da una rendita vitalizia è impossibile determinare la plusvalenza, non potendo la stessa essere quantificata, stante l’indeterminatezza del contratto.
Nello stesso senso, più recentemente, la Commissione tributaria centrale si è nuovamente espressa con le decisioni n. 3101/1997 [11] e n. 3384/1999.[12]
La soluzione prospettata dalla giurisprudenza tributaria parte dalla definizione di plusvalenza dettata dall’art. 54, comma 2, del Tuir: “la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato ... “ e ritiene impossibile l’esistenza della plusvalenza in quanto non determinabile secondo la disposizione normativa che prevede che essa sia determinata dalla differenza tra quanto percepito ed il valore complessivo dell’azienda. Nel caso di pagamento del prezzo attraverso rendita vitalizia, il prezzo è indeterminato, essendo incerta per definizione la durata del vitalizio e quindi non può sussistere alcuna ipotesi di tassazione.
Vi è poi un ulteriore elemento rilevato dalla giurisprudenza tributaria. La rendita vitalizia che il cedente annualmente percepisce in dipendenza della cessione di azienda è tassata quale reddito di lavoro dipendente [cui è assimilata ai sensi dell’art. 47, comma 1, lettera h), del Tuir] e pertanto il cedente è tenuto ad esporre nella dichiarazione annuale dei redditi l’importo incassato a detto titolo nel corso del periodo di imposta di riferimento. Nel caso in cui si volesse rilevare una plusvalenza tassabile al momento della cessione si avrebbe - in relazione al corrispettivo pattuito - una duplice tassazione, cioè una prima volta con la tassazione della plusvalenza e successivamente una seconda tassazione in sede delle annuali dichiarazioni dei redditi, il che non è consentito dall’ordinamento (art. 67 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). [13]
In conclusione la giurisprudenza tributaria ritiene che l’eventuale plusvalenza che si dovesse realizzare nel caso di cessione di azienda con attribuzione di rendita vitalizia non è quantificabile e, di conseguenza, non è possibile assoggettarla a tassazione. [14]
2.5. Conclusioni sugli aspetti fiscali - Imposte dirette
La chiarezza del legislatore tributario non lascia spazi interpretativi circa l’assimilazione della rendita vitalizia al reddito di lavoro dipendente, che pertanto è tassata ai sensi dell’art. 47, comma 1, lettera h), del Tuir.
Per quanto concerne invece la tassabilità della plusvalenza, ai sensi dell’art. 54, comma 5, del Tuir
i presupposti per l’emergere di materia imponibile derivante dalla cessione d’azienda sono:
- che vi sia una cessione di azienda;
- il realizzo unitario della plusvalenza;
- l’onerosità della cessione.
Nel caso di cessione di azienda con costituzione di una rendita vitalizia non vi sono dubbi circa la cessione di azienda e l’onerosità della cessione. In dottrina è invece dibattuto il presupposto del realizzo unitario della plusvalenza prevedendo tre possibili alternative in capo al cedente:
- la irrilevanza della plusvalenza e la rilevanza della rendita vitalizia;
- la rilevanza della plusvalenza e l’irrilevanza della rendita vitalizia;
- la rilevanza sia della plusvalenza che della rendita vitalizia.
La giurisprudenza si è pressoché allineata nel ritenere che sussista una oggettiva impossibilità nel quantificare la presunta plusvalenza e che pertanto essa non possa essere assoggettata a tassazione.
Vi sono invece decisioni dell’Amministrazione finanziaria in senso diametralmente opposto che, utilizzando la matematica attuariale, ritengono determinabile la plusvalenza e pertanto concludono per la sua tassabilità.
3. Aspetti fiscali - Imposte indirette
3.1. Iva
La cessione di azienda e di rami di azienda, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera b), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non è considerata cessione di beni e pertanto è esclusa dall’ambito di applicazione dell’Iva.
3.2. Imposta di registro, catastale e ipotecaria
Le cessioni di aziende o di rami di aziende sono soggette ad imposta proporzionale di registro, con i criteri valutativi ed accertativi degli artt. 50, comma 3, 51, comma 2, e 52 del D.P.R. n. 633/1972.
Per i beni oggetto di cessione, l’imposta di registro si applica ad aliquota del 3 per cento per la parte mobiliare e del 7-8 per cento per la parte immobiliare (cui si aggiungono le imposte ipotecarie e catastali pari ad aliquota complessiva del 3 per cento).
Nel caso di cessione dell’azienda con costituzione di rendita vitalizia, per determinare il prezzo di cessione si può ricorrere alla attualizzazione della rendita stessa secondo metodi matematici, determinando così un valore su cui applicare le aliquote delle imposte di registro, catastale e ipotecaria.
4. Conclusioni
L’ipotesi di cessione di azienda a titolo oneroso mediante costituzione di una rendita vitalizia non è disciplinata né dalla normativa civilistica, né da quella tributaria.
Sul piano civilistico si ricorre alla disciplina dei singoli contratti (cessione di azienda e rendita vitalizia) e si considera la rendita vitalizia una modalità di versamento del prezzo pattuito.
Sul piano delle imposte dirette non vi sono dubbi che la rendita vitalizia debba essere tassata in capo al cedente come reddito assimilato a quello di lavoro dipendente.
La tassazione dell’eventuale plusvalenza realizzata in capo al cedente è invece questione dibattuta. Queste sono le tesi avanzate:
- la dottrina, pur preferendo la soluzione della non rilevanza della plusvalenza in capo al cedente, non esclude l’ipotesi della tassabilità della plusvalenza, anche in aggiunta alla tassazione della rendita vitalizia come reddito assimilato al lavoro dipendente, spingendosi quindi a scontrarsi con la possibilità di una duplice tassazione del corrispettivo della cessione d’azienda, dapprima come plusvalenza e poi come rendita vitalizia;
- l’Amministrazione finanziaria sostiene la rilevanza fiscale sia della plusvalenza (calcolata applicando le regole della matematica attuariale) che della rendita vitalizia,
- la giurisprudenza si è invece definitivamente uniformata nell’escludere la tassabilità della plusvalenza in quanto indeterminabile nell’entità, limitando la rilevanza fiscale alla rendita vitalizia.
[1] Codice civile
Art. 2555
Nozione
L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
nuità dell’attività aziendale (artt. 2557 e 2558 del codice civile), sia, e soprattutto, a tutelare i terzi ossia clienti, fornitori, creditori, debitori in buona fede (artt. 2559 e 2560 del codice civile) e lavoratori dipendenti (art. 2112 del codice civile).
[2] Codice civile
Art. 1880
Modalità di pagamento della rendita (primo comma)
La rendita vitalizia costituita mediante contratto è dovuta al creditore in proporzione del numero dei giorni vissuti da colui sulla vita del quale è costituita.
[3] Codice civile
Art. 1873
Determinazione della durata
La rendita vitalizia può costituirsi per la durata della vita del beneficiario o di altra persona.
Essa può costituirsi anche per la durata della vita di più persone.
[4] L’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47 ha cancellato la previgente disposizione dell’alt. 48-bis, comma 1, lettera e), del Tuir per la quale “Le rendite costituiscono reddito per il 60 per cento dell’ammontare lordo percepito nel periodo d’imposta” e pertanto le rendite costituiscono oggi reddito al 100 per cento del loro ammontare lordo percepito nel periodo d’imposta. Ai sensi del successivo art. 16 la disposizione si applica per i contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2001, data di effetto del predetto decreto.
[5] Ai sensi dell’art. 16, comma 1, lettera g), e comma 2, del Tuir possono essere tassate separatamente le “plusvalenze, compreso il valore di avviamento, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni ...” da persone fisiche.
L’art. 1 del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358 ha disciplinato l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessione di azienda prevedendo che “Le plusvalenze realizzate mediante la cessione di aziende possedute per un periodo non inferiore a tre anni e determinate secondo i criteri previsti dall’articolo 54 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, possono essere assoggettate ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con l’aliquota del 19 per cento…”
[6] Cfr. per tutti Leo, Monacchi, Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Giuffrè, Milano, 1999.
[7] Leo, Monacchi, Schiavo, op. cit.
[8] Monarca, op. cit.
[9] Cfr. risoluzione della Direzione regionale della Campania 29 luglio 1997, n. 5792: “Individuato il momento impositivo delle plusvalenze in questione in base al principio di competenza, ancorché soggette a tassazione separata, si rende necessario quantificare ... l’importo del corrispettivo conseguito a fronte della cessione; occorre, cioè, attualizzare il valore capitale della rendita vitalizia in modo da poter determinare la plusvalenza da tassare”.
[10] Cfr. decisione della C.T.C. 15 febbraio 1990, n. 1206 (in “il fisco” n. 12/1990, pag. 1946), massima: “Affinché il valore di avviamento possa essere tassato a norma dell’art. 54 del D.P.R. 597 del 1973 è necessario che con la cessione dell’azienda sia stata realizzata e percepita una plusvalenza. Ne consegue che non è assoggettabile a tassazione il valore dell’avviamento conseguito con la cessione di un’azienda qualora il corrispettivo della stessa sia costituito da una rendita vitalizia il cui importo annuo deve essere dichiarato dal cedente nella dichiarazione annuale dei redditi, quale reddito di lavoro dipendente, con separata indicazione delle ritenute alla fonte operate dal cessionario a norma degli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 600 del 1973”.
[11] Cfr. decisione della C.T.C. 12 maggio-11 giugno 1997, n. 3101 (in banca dati “il fiscovideo”}, massima: “Nell’ipotesi di cessione di farmacia con costituzione di una rendita vitalizia, non avendo il cedente introitato plusvalenze, il valore dell’avviamento non può essere tassato autonomamente, mentre l’importo della rendita vitalizia è soggetto a tassazione come reddito assimilabile a quello di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 47, lettera e), del D.P.R. n. 597 del 1973”.
[12] Cfr. decisione della C.T.C. 9 aprile 1999, n. 3384: “... resta in ogni caso insuperabile il rilievo ... circa l’impossibilità di procedere alla determinazione di una plusvalenza, in ipotesi di cessione di azienda contro la costituzione di una rendita vitalizia, stante l’oggettiva indeterminatezza dell’entità complessiva del corrispettivo pattuito, da cui poter detrarre il valore dei beni aziendali, onde ottenere per differenza una plusvalenza tassabile separatamente”.
[13] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni ed integrazioni
Art. 67
Divieto della doppia imposizione (primo comma)
La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi.
[14] Cfr. sentenza della Commissione tributaria regionale di Roma, Sez. V, n. 149/05/00 del 3 aprile 2000: la “... cessione di azienda dietro corrispettivo di una rendita vitalizia ... , di per sé, ha natura aleatoria e quindi non è riconducibile a plusvalenza certa e tassabile dovendo invece essere correttamente considerata imponibile soltanto la rendita vitalizia annua”.