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Diritti reali di godimento: la nuova tassazione non convince

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 27 febbraio 2024

La legge di bilancio 2024 ha introdotto significative variazioni nella tassazione dei diritti reali immobiliari.

 

La nuova norma sulla cessione dei diritti reali di godimento

Dall’1 gennaio 2024 le cessioni di questi diritti (uso, servitù, abitazione, enfiteusi, usufrutto e superficie) da parte di privati o società semplici sono sempre considerate operazioni speculative, ed in quanto tali produttrici di redditi diversi.

Questo indipendentemente dalla provenienza del bene, ed anche per beni posseduti da oltre 5 anni. Quindi praticamente sempre.

Le incongruenze

Tre sono le incongruenze che tali norme comportano, incongruenze che ben potrebbero portare anche ad una dichiarazione di incostituzionalità.

Prima incongruenza: cessione di diritto parziale

La prima incongruenza è una evidente stortura. La cessione di un diritto parziale reale, ad esempio il diritto di superficie, è tassata sempre, anche se riferita a terreni agricoli posseduti da molti anni.

Mentre per questi beni la cessione dell’intero non è pacificamente tassata, lo diviene la cessione parziale. Difficile trovare una giustificazione logica a tutto ciò; come si fa a tassare una cessione parziale, quando la cessione di tutto il bene non lo è?

Abbiamo marginalmente già trattato della questione in nostri precedenti articoli, sempre ne Commercialista Telematico; ne ha recentemente trattato anche Luciano Sorgato, “Cessione diritti reali di godimento : fiscalmente costa di più della cessione di piena proprietà” del 22 febbraio 2024, articoli ai quali rimandiamo.

Si pensi proprio ad un terreno agricolo, posseduto da oltre 10 anni; la cessione di tale terreno da parte di un privato o di una società semplice non rappresenta mai operazione tassabile, e quindi non sarà mai foriera di un reddito diverso.

Invece la cessione di un diritto di superficie su tale terreno diventa operazione tassabile, foriera di un reddito diverso. La cessione dell’intero è esclusa da tassazione, mentre vi rientra la cessione parziale.

Non pare che possa essere sostenuta, questa impostazione. Appare evidente la disparità di trattamento, che ben potrebbe essere eccepita ai fini di una declaratoria di possibile incostituzionalità.

Seconda incongruenza: determinazione reddito tassabile

La seconda incongruenza è la determinazione del reddito tassabile. Per i redditi diversi di cui all’articolo 68 del TUIR la tassazione riguarda la differenza tra il corrispettivo percepito e il costo sostenuto per la acquisizione del bene.

Quindi per operazioni speculative, ad esempio cessione di un terreno edificabile, sarà tassata questa differenza, al 26%. Con costo di acquisto rivalutato in base al costo della vita.

Per la cessione di un diritto di superficie su tale bene, dal corrispettivo percepito saranno possibile detrarre solo le spese (art. 71 del TUIR), e non siamo sicuri che nella voce spese sia ricompreso il costo del bene, ovviamente rapportato al totale. In definitiva, potrebbe essere tassato l’intero importo

Terza incongruenza: aliquote fiscali applicabili

La terza incongruenza riguarda le aliquote fiscali applicabili. Mentre nel caso della vendita dell’intero bene il plusvalore sarà tassato al 26%, nel caso della cessione del diritto parziale saranno applicate le normali aliquote progressive IRPEF.

Quindi, troppe differenze non giustificabili, a nostro avviso, differenze di imponibile e di tassazione.

Non pare che il tutto derivi da un disegno organico, da una impostazione generale, quanto piuttosto ad un allineamento a tesi dell’Agenzia delle Entrate sull’usufrutto. Da ultimo espresse con la risposta ad interpello n 381 del 2023.

 

L’Agenzia delle Entrate sull’usufrutto, nel 2023

Riprendiamo quanto già riportato in un nostro precedente intervento sul tema:

“Così ha affermato l’Agenzia delle Entrate, nella risposta ad interpello n. 381/2023:

«Dal punto di vista fiscale, l’articolo 67, comma 1, lett. h), del testo unico delle imposte dirette (di seguito TUIR), approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 stabilisce che sono redditi diversi, se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, quelli «derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili».

Con la risoluzione 12 gennaio 1993, n. 20, relativa al corretto trattamento fiscale da riservare alla concessione trentennale di un diritto di usufrutto su un immobile da parte di una persona fisica, è stato chiarito che:

«ai fini dell’imposizione tributaria diretta è del tutto irrilevante la questione posta in ordine all’uso del termine ”concessione” dal momento che il presupposto impositivo, preveduto dall’art. 81 [ora articolo 67], comma 1, lett. h) del D.P.R. 917/86, si realizza in capo al cedente il diritto reale di godimento, dovendosi intendere il termine ”concessione” adoperato in senso atecnico in riferimento a tutti gli atti giuridici aventi l’effetto di trasferire ad altri la potenzialità reddituale di un immobile».

In sostanza, in applicazione del citato articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR, il corrispettivo percepito dal proprietario persona fisica a fronte della costituzione del diritto di usufrutto costituisce reddito diverso da tassare ai sensi del successivo articolo 71 del medesimo TUIR.

Tale articolo stabilisce, in particolare, al comma 2, che:

«I redditi di cui alle lettere h), i) e l) del comma 1 dell’art. 67 sono costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione».

«Ai sensi del successivo articolo 68, comma 1, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra i «corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo».

Nel caso in esame, in base alla normativa e alla prassi sopra richiamata, il corrispettivo percepito dall’Istante per la parte riferita alla costituzione del diritto di usufrutto genera reddito diverso di cui al citato articolo 67, comma 1, lett. h), del TUIR, costituito, ai sensi del successivo articolo 71, comma 2, dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione.

Ai fini della tassazione, la risoluzione 10 ottobre 2008, n. 379/E ha chiarito che, nel caso della costituzione di tale diritto, si applica quanto previsto dall’articolo 9, comma 5, del TUIR, ai sensi del quale:

«Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società».

In definitiva, il ragionamento è basato sulla datata risoluzione del 1993.

Si applica quindi sempre nel caso di cessione del diritto di usufrutto l’articolo 67, comma 1, lettera h), anche in assenza dei presupposti di cui alla lettera b) (terreno edificabile o immobile posseduto da meno di 5 anni, e non utilizzato direttamente per la maggior parte del periodo).

Conclusione

La nuova previsione normativa sulla cessione dei diritti reali non ci convince: crea situazioni non sostenibili, sotto l’aspetto logico, e disparità di trattamento non giustificabili, a nostro avviso. Ne ipotizziamo un revirement, che ci auguriamo a breve.

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