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Sconto di minoranza nel recesso del socio

di Giuseppe Rebecca
portale IL CASO.it, 10 novembre 2015

1. Introduzione

Nella determinazione del valore di una partecipazione, in una società di capitali, s.r.l. o s.p.a., si tiene normalmente conto di certi correttivi che si qualificano in “sconti di minoranza” oppure “premi di maggioranza”.

Ciò con l’evidente obiettivo di considerare, nella determinazione del valore, l’effetto che la partecipazione di cui si tratta può produrre.

Se la partecipazione è ininfluente, nella determinazione della volontà dell’assemblea, si parlerà di uno sconto di minoranza; se invece la partecipazione consente il controllo, conseguentemente si dovrà tener conto di questo effetto, valutandola adeguatamente.

2. Il recesso nelle sentenze di merito più recenti

Nel caso di recesso del socio, la recente giurisprudenza cerca di negare l’applicazione di ogni correttivo, per lo sconto di quote di minoranza [1].

Analizziamo qualche caso.

Iniziamo con il Tribunale di Roma, sentenza n. 8457 del 20 Aprile 2015 (in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

La fattispecie riguardava la valutazione delle quote in caso di recesso in una s.r.l.

Due erano i soci, uno all’ 85% e l’altro al 15%. Il socio con il 15% aveva diritto di recedere, per effetto di una scissione non proporzionale.

Contestando il valore indicato nello stesso progetto di scissione, il socio di minoranza si è rivolto al Tribunale, per la nomina di un esperto a ciò incaricato.

Nelle more della valutazione, viene sottoscritto un contratto di acquisto quote, al prezzo “minimo” stabilito dal progetto, con l’accordo di una revisione in base all’eventuale diverso valore che il perito o il giudice indicherà.

Nella fattispecie il giudice ha affermato che, alla luce dell’art. 2473 comma 3 c.c., la valutazione della quota è da effettuare in base a due criteri fondamentali: quello di mercato e quello proporzionale.

Più specificatamente, nell’utilizzo del criterio proporzionale, è esclusa, la possibilità di applicazione di sconti di minoranza (per i ridotti poteri connessi alla posizione di socio di minoranza) o di illiquidità (per la prevedibile assenza di mercato). La sentenza sostiene che la esigenza di “conformare” il reale valore della quota ceduta al “peso specifico” della stessa, attraverso i ricordati sconti, viene meno, nel caso specifico, in quanto la cessione è operata non in favore di soggetti terzi, in capo ai quali avrebbe potuto essere ipotizzato una minore appetibilità della partecipazione di minoranza, ma in favore del soggetto già titolare del residuo capitale sociale ed obbligato ad acquistarla nel contesto di un’operazione di scissione.

In definitiva, sconto di minoranza da non applicare, se per effetto del recesso acquista il socio di maggioranza.

L’anno precedente, abbiamo un interessante decreto del Tribunale di Padova, il decreto n. 980 del 22 maggio 2014 (in fallimentiesocietà.it).

Il caso riguardava sempre una s.r.l., con recesso esercitato dal socio titolare del 7,5%.

Contestato il valore proposto dalla società, il socio di minoranza ha depositato ricorso ex art. 2473, c. 3, per la nomina dell’esperto stimatore.

Il CTU nella fattispecie ha tenuto conto dell’avviamento, come previsto dallo stesso statuto, e ha valutato la società con il metodo misto patrimoniale - reddituale e capitalizzazione limitata.

Il CTU, tenuto conto del combinato disposto dell’art. 2473 c.c., che richiama il “valore di mercato” e dell’art. 1349 c.c. (riferito all’“equo apprezzamento dell’esperto”), in considerazione del particolare assetto societario, ha ritenuto di applicare, trattandosi appunto di una quota “di minoranza – uno “sconto per mancanza di controllo”, per l’assenza dei peculiari poteri conferiti – appunto – dal controllo societario [2].

In definitiva, il CTU sosteneva l’equiparazione recesso a cessione a terzi ai fini della valutazione[3].

Il Tribunale di Padova ha però negato l’applicazione del correttivo, in caso di recesso; non quindi di vendita.

Così si è espresso il Tribunale: “(..) la norma di legge, così come quella statutaria, riferiscono il valore di mercato non alle singole quote ma al patrimonio sociale nel suo complesso e pertanto, attesa l’inesistenza di un mercato dei patrimoni sociali nella loro interezza, essa non può che significare un riferimento al valore economico effettivo del patrimonio netto e, quindi, al capitale economico della società (…)”.

“Ritenuto pertanto che il riferimento normativo al rimborso della quota in proporzione del patrimonio sociale esclude di per sé la possibilità che possano venire in considerazione premi di maggioranza o sconti di minoranza che riguardano e possono venire in considerazione solo nell’ambito della negoziazione di una quota in relazione al prezzo convenuto in uno scambio isolato ove rilevano posizioni di interesse soggettivo e di forza contrattuale dei soggetti coinvolti”.

In conclusione, il Tribunale di Padova ha ritenuto che in caso di recesso non vada applicato correttivo alcuno, al valore della società.

3. Qualche considerazione

L’articolo 2473, c. 3 del c.c. per le s.r.l. così prevede, relativamente al recesso:

“i soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale. Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’articolo 1349”.

Per le S.p.A. non quotate, sempre nel caso di recesso, abbiamo l’art. 2437 ter, c. 2 “il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni”.

Il c. 6 prevede poi il caso del disaccordo; “in caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’art. 1349”.

In tutte e due le previsioni normative si fa riferimento al “valore di mercato” al momento del recesso. E’ quindi di tutta evidenza che dovrà tener conto del valore di mercato, appunto, e non di altri valori. Quindi valore effettivo dei beni, tenuto conto delle prospettive reddituali.

Ciò ovviamente salvo eventuali diverse previsioni statutarie in merito, che prevarrebbero.

Ma il vero problema è se il valore di mercato sia della società o piuttosto della quota; questa è la vera questione.

Nel caso di valutazione della società, trattandosi di valutare una quota, ne deriverebbe una semplice operazione matematica; valutato l’intero, il valore della quota corrisponde alla percentuale della quota stessa.

Qualora invece si ritenesse di valutare la quota in sé, subentrano altre condizioni. Che interesse ha il terzo ad acquistarla sul mercato, in base ai diritti che la quota dà. E in questo caso è di tutta evidenza che entrano in gioco i premi di maggioranza e gli sconti di minoranza.

Letteralmente la norma pare riferirsi al valore di mercato dell’intero, escludendo quindi qualsiasi variazione per premio o sconto. Ma ove così fosse, resterebbe da giustificare la posizione in cui si troverebbe il socio che recede rispetto al socio che vende.

La dottrina appare divisa sul punto.

Per la mera applicazione della formula matematica si sono espressi, per le s.p.a. non quotate:

- Paciello, Recesso da s.p.a., premio di maggioranza e sconto di minoranza, in Riv. Dir. Comm. 2013, II, 365 e ss.;

- Toffoletto, La valutazione di azioni e quote in caso di recesso: note a margine del contributo di Mauro Bini, in Soc., 2014, 26 e ss.;

- Bini, Il valore di liquidazione delle azioni di società non quotate a fini di recesso, in Soc., 2014, 14 e ss..

Per la tesi contraria, tra tutti:

- Fleisher-Maugeri, Problemi giuridici in tema di valutazione delle azioni del socio recedente tra diritto tedesco e diritto italiano, in Soc., 2013, 78 e ss;

- Di Cataldo, il recesso del socio di società per azioni, in AA.VV, Il nuovo diritto delle società, Liber amico rum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, Torino, 2007, III, 233;

- De Nova, Il diritto di recesso del socio di società per azioni come opzione di vendita, in Riv. Dir priv., 2004, 329.

4. Un approfondimento

Appare evidente che il mercato apprezzerà di più una quota che permetta di avere il controllo di una società piuttosto che una quota ininfluente, sotto questo punto di vista.

E per controllo si deve intendere controllo di diritto o anche di fatto, così come specificato dall’art. 2359 c.c..

E questo al di là della percentuale assoluta; in questo caso anche una percentuale ridotta potrebbe risultare importante, consentendo l’acquisizione del controllo da parte di altri soci.

In ogni caso sono da applicare anche le eventuali previsioni statutarie.

Invero parte della dottrina ritiene che ci sia sostanziale differenza, per le srl, rispetto alle spa, circa l’applicazione del premio di maggioranza o dello sconto di minoranza.[4]

In particolare, un Autore evidenzia che “l’oggetto della valutazione non è la quota, ma il patrimonio della società (….). Il legislatore ha evidentemente ritenuto che, nella presumibile assenza di alcun riferimento reale derivante da trasferimenti di partecipazioni precedenti, fosse più corretto in questo tipo sociale riferirsi direttamente al valore del patrimonio”.[5]

Invero, leggendo la Relazione illustrativa alla riforma del diritto societario, la quale con riferimento all’art. 2473 c.c. evidenzia come l’obiettivo di tale norma sia quello di assicurare che la valutazione della quota sia il più aderente possibile al suo valore di mercato. “Se un valore di mercato della partecipazione – effettivo o teorico – sussiste, esso dovrebbe tenere conto della consistenza della stessa in relazione agli assetti proprietari, e quindi, ad esempio, di eventuali premi di controllo. Questa circostanza deporrebbe a favore della possibilità di tenere conto in applicazione del criterio legale di valutazione della quota, di premi e sconti di maggioranza o minoranza”.[6]

Un autore[7] così conclude: “V’è, quindi, una differenza tra la libera negoziabilità della quota, per la quale possono venire in giuoco il premio di maggioranza o lo sconto di minoranza, e la valutazione della quota in caso di recesso. E ciò porta a concludere che il “valore di mercato” (terzo comma, secondo periodo) non si riferisca alla quota, bensì al “patrimonio sociale” (terzo comma, primo periodo); sicché, nel valutare la quota, si dovrà ricavare, more geometrico, il valore dalla stessa mediante un semplice calcolo matematico, suddividendo il valore del patrimonio sociale per la percentuale della quota detenuta dal socio che ha esercitato il recesso”.

E questo è stato il senso delle due sentenze citate.

5. La Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti

Sul punto è recentemente intervenuta alla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti con un documento datato 30 aprile 2015.

“Il valore di mercato” esprime il valore economico effettivo (fair value) del patrimonio sociale nel suo complesso. [8] Tale interpretazione è confermata dalla lettura della Relazione al d.lgs. n. 6/2003, che nel par. 11 afferma che la disciplina dettata dal comma 3 dell’art. 2473 c.c. “tende ad assicurare che la misura della liquidazione della partecipazione avvenga nel modo più aderente possibile al suo valore di mercato; ed introduce un procedimento volto a superare le soluzioni penalizzanti tutt’ora adottate nel diritto vigente, ove le soluzioni penalizzanti sono quelle della liquidazione in base al valore contabile della partecipazione ai sensi del previgente art. 2437 c.c.”.

Circa le applicabilità di variazioni, in aumento o in diminuzione, così si è espresso lo studio: “La valorizzazione della partecipazione avviene in proporzione della partecipazione che il socio recedente possiede nella società e quindi nel patrimonio sociale; data la diretta proporzionalità tra valore del patrimonio sociale e valore della partecipazione, a differenza di quanto avviene nel caso di cessione di partecipazioni, non si dovrebbe tener conto di premi di maggioranza o sconti di minoranza, né tantomeno di eventuali diritti particolari del socio potranno influenzare il valore della partecipazione che lo stesso ha nella società.[9] Secondo tale orientamento dottrinario, la valutazione, ai fini del recesso, non dovrebbe, pertanto, essere influenzata dall’ipotesi in cui dalla partecipazione derivi un controllo della società, ed allora al suo normale valore non dovrà essere sommato il cd. “premio di maggioranza”; dunque, anche nel caso di una partecipazione minoritaria, non dovrebbe essere effettuato lo “sconto di minoranza”.[10]

Si evidenzia come in dottrina si riscontrino orientamenti non univoci sul tema; secondo alcuni autori non si può escludere in linea di principio la possibilità di tenere conto, nella valutazione della partecipazione, delle singole peculiarità che caratterizzano la liquidazione della medesima; in particolare, viene sostenuto che in caso di partecipazione minoritaria si possa tener conto degli sconti di minoranza legati ai ridotti poteri attribuiti dalla medesima e degli sconti di liquidità legati alla mancanza di mercato e di negoziabilità della stessa; [11] in tale ultimo caso, è giustificata l’applicazione di una decurtazione dovuta alla difficoltà di negoziazione di una partecipazione che risulti di minoranza, in conseguenza della carenza di potenziali acquirenti che non rendono la partecipazione liquidabile”[12].

Queste le conclusioni dello studio, conclusioni che lasciano aperta ogni soluzione: “va sottolineato perciò che, in assenza di condivisi Principi di Valutazione, entrambe le posizioni mostrano spunti di condivisibilità che lasciano all’interprete la scelta”.

Per le S.p.A., invece, così si esprime la Fondazione:

“Quanto già osservato per la valutazione delle partecipazioni di s.r.l. vale anche per le azioni di società non quotate, in particolare, con riferimento all’applicabilità o meno di premi di maggioranza o sconti di minoranza;[13] da una lettura delle relative disposizioni civilistiche inerenti le modalità di determinazione del valore sia delle partecipazioni di s.r.l. che delle azioni di società non quotate, si evince che la differenza è solo termologica (riferendosi al patrimonio sociale nel primo caso, ed alla consistenza patrimoniale della società ed alle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni, nel secondo)”.

6. Il Comitato Triveneto dei Notai

Sul punto è intervenuto anche il Comitato Triveneto dei Notai, nei loro orientamenti in materia di atti societari pubblicati in settembre 2015.

Per le Spa è stato ritenuta valida una clausola statutaria che prevedesse esplicitamente, nel caso di recesso, l’applicazione di un premio di maggioranza o di uno sconto di minoranza. Si tratta dell’orientamento H.H.8-S.p.A. – Recesso.[14]

Manca invero un commento, ma la previsione è chiara e netta.

Lo statuto può prevedere ciò. Ma non è detto che, ove lo statuto non lo preveda, non si possa applicare. Certo, la previsione toglie ogni incertezza.

7. Conclusione per il recesso

La recente giurisprudenza pare negare l’applicazione di correttivi, in caso di recesso del socio.

La dottrina è invece divisa, sul tema, come ha confermato anche il recente studio della Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti.

8. Le altre fattispecie

 

Fino a qui abbiamo analizzato la questione sotto l’ottica del recesso, per il quale ci sono appunto delle previsioni di legge specifiche (gli articoli 2473 cc per le srl e 2437 cc per le Spa).

Tutto ciò manca invece nelle previsioni delle altre fattispecie quali la vendita.

Appare pacifico che in questo caso il correttivo è da applicare, pena lo stravolgimento della logica economica.

Una quota di maggioranza varrà proporzionalmente di più di una quota di minoranza, appare ovvio. Unica cosa non determinata è la percentuale di rettifica, che ovviamente dipende dal mercato.

Mediamente si sono viste applicazioni di un percentuale del 20%, con un range dal 15% al 25%, ma molto dipende, come è ovvio, dalla forza contrattuale delle parti e dall’interesse di terzi.

Se poi si dovesse trattare di cessione tra soci, se chi acquista diventa socio di controllo valuterà la partecipazione in un certo modo. Se invece il controllo è già in mano all’acquirente, applicherà lo sconto perché si tratta di quota di minoranza.



[1] Ovviamente in presenza di un recesso dovrebbe di fatto essere inapplicabile l’ipotesi di un premio di maggioranza, per evidente contrasto. Chi recede di norma non è socio di maggioranza.

[2] Da “L’applicazione degli “sconti di minoranza” o “Premi di maggioranza” nella determinazione del valore della partecipazione del socio recedente di una s.r.l., nel “Fallimento e Società”, iI CTU evidenziava che tale sconto rifletteva l’assenza dei poteri conferiti dal controllo, e tenuto conto della compagine societaria, atteso che la maggioranza assoluta del capitale (pari al 90%) era detenuta da un unico soggetto, che ai sensi dello statuto poteva esercitare un controllo assoluto sullo svolgimento della vita sociale (essendo i quorum costitutivi e deliberativi pari alla maggioranza assoluta del capitale sociale). Pertanto il CTU rilevava che, da un lato, chiunque tra i soci avesse acquisito tale quota non avrebbe modificato il proprio status individuale di controllo; dall’altro, la conclusione sarebbe stata la medesima se ad acquisire la quota fosse stato un terzo soggetto.

[3] Nella fattispecie, così aveva determinato il valore della quota di minoranza della società:

sconto % = 1 – 1 (1+premio %)

dove il premio di controllo, in questa situazione, è calcolato attraverso la seguente formula:

premio % = 2% / % quota.

Invero non siamo riusciti a capire in toto la formula incidente.

[4] Da ultimo, Marco Greggio, cit. p. 13. Tra gli altri: Iovenitti, il nuovo diritto di recesso, p. 458.

[5] Marco Greggio, cit.

[6] Marco Greggio. Il riferimento è a Ventoruzzo, Recesso della società a responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente, in Nuova Giur. Civ. e Comm., 2005.

[7] Marco Greggio, cit.

[8] Cfr. Il recesso del socio nelle società di persone e nelle società di capitale – Commissione di diritto societario Odec Roma (a cura di) R. Fidanza – O. Tagliaferro, gennaio 2012, p. 17: “La scelta del Legislatore di individuare nel valore di mercato il solo ed indefettibile criterio legale di valutazione risponde alla esigenza di garantire al socio uscente, alla società ed ai creditori sociali, in breve a tutti gli interessi coinvolti, il riferimento, ai fini del processo estimativo, ad un valore esterno ed indipendente non influenzabile in astratto da alcuna delle parti interessate”.

[9] Cfr. M. Caratozzolo, Criteri di valutazione delle azioni del socio recedente nelle s.p.a. (II parte) in Le Società, n. 11/2005, pp. 1340-1347; Cfr. L. Lanzio, Il recesso del socio di s.r.l., in Le Società 2/2004, pp. 150-156; V. Calandra Buonaura, op. cit., pp. 291 ss; Il recesso e l’esclusione del socio nella s.r.l. e nella s.p.a., Giappichelli, Torino, 2005, pp. 55 e ss..

[10] Cfr. M. Caratozzolo, op. cit. pp. 1340-1347 che afferma che “il riferimento dell’art. 2473 al rimborso in proporzione del patrimonio sociale (diverso da quello dell’art. 2437 ter “tenuto conto della consistenza patrimoniale”) esclude già in partenza qualsiasi considerazione di premi di maggioranza e sconti di minoranza”. Su simili motivazioni cfr. anche A. Baldissera, Profili critici relativi al recesso nella società a responsabilità dopo la riforma del 2003, Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Economia Aziendale, Paper n. 94/2009 p. 20, secondo cui in aderenza al metodo patrimoniale puro accolto: “pare che il dato testuale induca a escludere che nella valutazione della partecipazione vi sia un obbligo di valorizzazione degli elementi di cui sopra: atteso che il rimborso deve avvenire “in proporzione del patrimonio sociale”, si ravvisa in questo un criterio matematico pressoché chiuso, in forza del quale il valore di rimborso è determinato “pro quota”, ossia come frazione del valore complessivo del patrimonio societario misurato a valori di mercato”. In tal senso si veda anche P.M. Iovenitti, Il nuovo diritto di recesso: aspetto valutativi, in Rivista delle Società, 2005 fasc. 2-3 pp. 478-479.

[11] Cfr. P. Revigliono, Tecniche di liquidazione del socio recedente. S.r.l. pratica, caso e crisi, Atti del convegno Roma 21.02.2009, n. 3/2009. Sulla rilevanza degli sconti di minoranza cfr. R. Marcello, La valutazione della quota del socio recedente, in Il Fisco 23/2010, p. 3640, secondo cui “nell’ipotesi in cui una partecipazione minoritaria venga scambiata tra “soggetti indipendenti”, il relativo valore potrebbe non coincidere con il capitale economico pro quota, in quanto al suddetto valore è applicabile uno sconto di minoranza per ridotti poteri e/o uno sconto di liquidità per assenza di mercato (lack of marketability)”.

[12] Cfr. R. Marcello, La valutazione della quota del socio recedente, in Il Fisco 23/2010, p. 3641 secondo cui “la partecipazione al capitale di una società a responsabilità limitata potrebbe costituire un investimento non prontamente e convenientemente liquidabile, per carenza di potenziali acquirenti. In questi casi, si dovrebbe tenere, altresì, conto – ai fini della determinazione del valore economico della partecipazione – della condizione che penalizza la posizione dell’investitore, trovando pertanto giustificazione l’applicazione di uno sconto c.d. di liquidità”.

[13] Cfr. Organismo italiano di Valutazione, Principi Italiani di Valutazione – Bozza per la pubblica consultazione, 1 Dicembre 2014, p. 204 secondo cui “ Essendo la valutazione riferita all’azienda nel suo complesso, non sono applicabili né premi di maggioranza, né sconti di minoranza. Sono invece da considerare quegli sconti che si applicano all’impresa nel suo complesso (entità level discount), quali ad esempio gli sconti sul NAV (net asset value) nel caso di società finanziarie di partecipazione o delle società immobiliari, gli sconti per la dipendenza da persone chiave (key person discount), gli holding discount, ed eventualmente, nei casi di business che assorbono cassa e richiedono futuri finanziamenti, gli sconti per mancanza di liquidità ”.

[14] H.H.8 (previsione di un premio di maggioranza o di uno sconto di minoranza nella clausola statutaria di valorizzazione delle azioni per il caso di recesso – 1° pubbl. 9/15 – motivato 9/15).

Con riferimento alle cause convenzionali e derogabili di recesso, è legittimo che lo statuto di una società per azioni non quotata disponga che, in sede di liquidazione delle azioni del socio recedente, si preveda un “premio di maggioranza”, da attribuirsi nel caso in cui la partecipazione azionaria del socio uscente garantisca una posizione di controllo in seno alla società, oppure uno “sconto di minoranza”, da applicarsi nell’opposta ipotesi in cui il “pacchetto azionario” sia ininfluente ai fini del controllo societario”.

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