Cessione di quote al valore nominale
di Giuseppe Rebecca
portale IL CASO.it, 20 novembre 2015
1. Premessa
La cessione da parte di una persona fisica di quote di società, di persone o di capitale, ad un valore inferiore al valore effettivo, o comunque anche ad un valore inferiore alla frazione di capitale netto, può comportare dei rischi, sotto l’aspetto fiscale? E l’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di contestare il corrispettivo indicato?
L’art. 68, c. 6 del TUIR (D.P.R. n. 917/1986) prevede infatti che la cessione di una partecipazione societaria possa dar luogo ad una plusvalenza (redditi diversi), costituita “dalla differenza tra il corrispettivo percepito ovvero la somma od il valore dei beni rimborsati ed il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione”, aumentato degli oneri ivi indicati. Si prevede esplicitamente il corrispettivo percepito, e non il valore effettivo. La questione è tutta qui, come vedremo.
2. Il corrispettivo
La norma citata fa quindi esplicito riferimento al “corrispettivo” percepito; il valore normale costituisce il criterio di riferimento, per la quantificazione del corrispettivo, solo qualora lo stesso sia “in natura”.
Per inciso, osserviamo come anche per le imprese, per queste cessioni, occorra sempre assumere il “corrispettivo” conseguito (arti 85 e 86 del D.P.R. n. 917/1986).
Per le persone fisiche non esiste una norma che sancisca per queste cessioni l’esistenza di un “negozio misto cum donatione”, mentre tale previsione si ha per le imprese in genere, per i beni (comprese quindi anche le partecipazioni) “destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”. In questi casi la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo dei beni stessi (art. 86, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986), ovvero si comprende tra i ricavi (nel caso si tratti di beni, comprese le partecipazioni, che danno luogo a ricavi) il valore normale dei beni “destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” (art. 85, comma 2).
3. Persona fisica cedente
Analizziamo il caso della cessione di quote di società da parte di socio persona fisica, non imprenditore.
In presenza di una significativa differenza di valore, tra corrispettivo e valore nominale con una contemporanea presenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe rettificare il valore della cessione.
Nella prassi operativa, per la determinazione del prezzo si può far riferimento:
- al valore nominale della quota (corrispondente alla percentuale del capitale sociale) oppure
- al costo fiscale per il cedente oppure
- al valore della quota di patrimonio netto (trascurando i plusvalori latenti sulle immobilizzazioni, l’avviamento e l’eventuale quota di utile dell’anno in formazione),
oppure si applicano criteri intermedi.
In occasione di meri riassetti di quote tra soci (es. il prezzo, scontato, tiene anche conto dell’apporto da parte del socio acquirente) oppure di cessione tra familiari è prassi assai diffusa determinare il prezzo di cessione sulla scorta del valore nominale delle quote (o del mero costo fiscale delle stesse per il cedente), azzerando così di fatto il capital gain in capo al cedente.
4. Il presupposto impositivo
La norma assoggetta a tassazione, ex art. 67 e 68 TUIR, le somme effettivamente conseguite dal cedente nel periodo d’imposta.
L’elemento rilevante è unicamente il corrispettivo incassato, a nulla influendo l’elemento psicologico che ha portato a cedere ad un prezzo eventualmente inferiore a quello di mercato. E’ stato osservato come, nel campo delle imposte dirette, tutte le volte in cui il legislatore si sia voluto sottrarre a tale principio, lo abbia espressamente previsto. Si veda, ad esempio, la tassazione in base al cd. “valore normale”, nel transfer pricing, ex art. 110 Tuir. Invero l’art. 9 del Tuir, c. 4, prevede quanto segue: “il valore normale è determinato:
a) per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese;
b) per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all’ammontare complessivo dei conferimenti.”
Ma questa norma riguarda la determinazione del valore normale delle partecipazioni, la cui applicazione è limitata ad altre fattispecie (cessioni con corrispettivo “in natura”, conferimenti in società, ecc.), fattispecie tutte specificatamente individuate. Non è neppure stata prevista una norma a possibile tutela del contribuente, mettendolo così al riparo dall’accertamento, purché sia dichiarato un valore minimo da assoggettare a tassazione, come previsto invero per determinate specifiche fattispecie in materia di imposte indirette (v. art. 52 D.P.R. 131/86 in materia di imposta di registro). Evidentemente non serviva.
Si può quindi concludere come non si ritenga possibile un accertamento basato esclusivamente sulla questione del prezzo di mercato di una partecipazione, al di là del corrispettivo dichiarato in atto.
5. Cosa può fare l’Agenzia?
Un forte disallineamento dei valori può essere indubbiamente un indizio utile, per l’Amministrazione Finanziaria, ma certamente non una prova sufficiente.
Ricordiamo come, oramai nel passato, si fosse data preferenza nella selezione delle posizioni dei contribuenti da esaminare, alle cessioni avvenute tra soggetti collegati da rapporti di parentela o di compartecipazione nella società (Nota 5/11/1999 prot. 185903). Ma servono prove, elementi concreti.
In questo senso, così come rilevato dalla circolare del 2010 dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Vasto, si sono pronunciati CTR Lazio sentenza n. 157 del 12 dicembre 2002 e CTR Liguria con sentenza n. 4 del 12 aprile 2005. Sempre su tale aspetto abbiamo un intervento da parte del Comando Generale della Guardia di Finanza (Circ. prot. 1/360000 del 20/10/1998): “nel caso di cessione della partecipazione, sia che essa dia luogo a plusvalenze, sia, soprattutto, nel caso in cui la vendita generi minusvalenze, deve essere esaminata l’intera operazione allo scopo di accertare se il prezzo praticato sia congruo. Ciò non significa, naturalmente, che i verbalizzanti possono sindacare il corrispettivo praticato dalle parti in regime di libera contrattazione ma soltanto che il prezzo fatturato e contabilizzato sia quello effettivamente pagato dall’acquirente. A tal riguardo, può essere appurato, ad esempio, se il compratore è in qualche modo collegato all’impresa verificata ovvero legato da vincoli di parentela o affettivi con la controparte, le modalità di pagamento, acquisendo, per quanto possibile, i relativi mezzi (copie di assegni, bonifici, ecc.) - salvo il ricorso agli accertamenti bancari in caso di elementi indiziari “di sospetto” - gli effetti sui rispettivi redditi imponibili ...., i tempi della vendita, le motivazioni della stessa come risultanti dagli atti societari, il lasso di tempo intercorso tra l’originario acquisto e la vendita”.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi due possibilità, qualora dovesse ritenere di accertare un maggiore valore:
1) ricercare e utilizzare altre prove o indizi sulla possibile evasione;
2) oppure sostenere la simulazione della vendita
Quanto agli indizi, dovranno essere gravi, precisi e concordanti, accompagnati se dal caso da altri elementi indiziari (soprattutto) dei movimenti bancari.
6. La norma antielusione
Si ritengono inapplicabili alla fattispecie le disposizioni antielusive di cui all’art. 37 bis D.P.R. n. 600/1973.
La specifica cessione non è operazione elusiva, mentre parrebbe esserlo se collegata ad altro atto giuridico, se non sostenuto da valide ragioni economiche.
A tale proposito è interessante richiamare il parere del Comitato Consultivo sulla norme antielusione, il cui parere n. 6 del 10 aprile 2003 ha specificato che “l’intendimento dei soci di cedere le proprie partecipazioni ad un prezzo pari al costo fiscalmente riconosciuto di per sé non è sindacabile dall’Amministrazione Finanziaria in quanto la determinazione del corrispettivo nell’ambito della libera contrattazione tra le parti risponde ai principi di una piena libertà decisionale”; e più altrove “la cessione, perfezionabile ad un prezzo non congruo rispetto all’effettivo valore delle azioni, è resa di fatto possibile dalla circostanza che i soci intendono vendere a loro stessi” così come “la decisione dei cedenti di garantire una dilazione di pagamento sine die alla società debitrice”; pertanto “le ragioni economiche non appaiono del tutto apprezzabili da un punto di vista economico-gestionale poiché il raggiungimento del controllo della società partecipata poteva essere agevolmente conseguito anche tramite patti tra i soci senza procedere alla cessione delle quote” dal momento che “finalità ultima dei soci non è tanto quella di percepire un corrispettivo a fronte della consegna di beni, quanto quella di avvalersi della soluzione fiscalmente più vantaggiosa - la mancata emersione di plusvalenze tassabili - con cui conferire alla propria società gli strumenti (le quote di maggioranza) per esercitare a sua volta il controllo ai sensi dell’art. 2359 n. 1 c.c.”; ciò configura “un’ipotesi di aggiramento delle disposizioni di legge che disciplinano il conferimento di beni a valore normale, se effettuato da persone fisiche non esercenti attività commerciali, ai sensi dell’art. 9 del TUIR” da cui “deriverebbe un indebito vantaggio tributario identificabile nella mancata emersione di una plusvalenza tassabile in capo alle persone fisiche”. (indicazione tratta sempre dall’analisi dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Vasto)
Lo stesso dicasi per l’abuso del diritto, per il quale dovrebbero valere le stesse osservazioni.
7. Il Notariato
Anche il Notariato è intervenuto con lo studio n. 852 - 2014/T, ove sono trattati più aspetti, tra cui appunto anche la cessione di quote al valore nominale. L’analisi prosegue facendo una specificazione circa i soggetti (cessioni tra familiari oppure con estranei), l’attività svolta (immobiliare plusvalente o operativa), la storicità della società e il tipo di società.
Nel caso di quote di società di persone, infatti, si deve tener presente il deprezzamento che può subire la quota per effetto della responsabilità illimitata del socio. Come pure del particolare meccanismo di determinazione del valore fiscale della quota. A norma dell’art. 68 comma 6 del TUIR, il valore fiscale delle quote viene infatti aumentato dei redditi fiscali imputati e ridotto degli utili effettivi distribuiti, il che può anche comportare dei disallineamenti.
In ogni caso l’analisi non approfondisce la questione che sta alla base del problema.
8. Altre considerazioni
In ogni caso la sola differenza tra il corrispettivo percepito e il netto contabile non giustifica un accertamento; servono anche altre presunzioni qualificate.
Nel passato, la Cassazione (sentenza n. 15520 del 6 novembre 2002) ha condiviso la tesi dell’Ufficio che aveva accertato un maggiore valore, in presenza di una cessione seguita dopo poco ad altra cessione, a prezzo quasi triplicato.
Per l’impossibilità di un accertamento, nel caso di cessione all’ impresa di una quota di società, vedasi Commissione Tributaria Regionale di Torino n. 11 del 9 maggio 2000 (ne il fisco).
9. Conclusioni
I redditi diversi, tra i quali rientra la cessione di una partecipazione eventualmente plusvalente, prevedono la tassazione della differenza tra il costo della partecipazione, aumentato degli oneri specifici, e il corrispettivo percepito. Per le società di persone, inoltre, tenendo conto degli utili dichiarati nel frattempo, al netto delle distribuzioni. Qualora il corrispettivo dichiarato non sia plusvalente, sarà l’Amministrazione Finanziaria a dover provare, anche alla luce di previsioni certe, precise e concordate, che il corrispettivo era superiore. Non è quindi sufficiente la semplice differenza di valore tra quanto percepito e quanto valutato o valutabile sulla base degli elementi sostanziali.