Patto di famiglia: criticità anche fiscali per i non assegnatari
di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 14 aprile 2020
Il patto di famiglia può essere sinteticamente definito come un contratto, da stipulare sotto la forma dell'atto pubblico, al quale devono partecipare tutti i legittimari, con il quale un soggetto (il disponente) "attribuisce" la titolarità di una azienda o di una partecipazione societaria a favore di uno o più dei suoi discendenti (legittimari assegnatari) i quali a loro volta dovranno procedere alla liquidazione di una somma a favore degli altri legittimari (legittimari non assegnatari, figli e coniuge del disponente).
Così prevede la legge n. 55 del 14 febbraio 2006 che però non ha trattato l'aspetto fiscale.
A ciò ha provveduto la successiva legge n. 296 del 27 dicembre 2006, che ha introdotto l'esenzione dall'imposta sulle successioni e donazioni per i trasferimenti di azienda o di partecipazioni (di controllo per le società di capitali) a favore del coniuge e/o dei discendenti del disponente.
Unica condizione, il mantenimento della azienda/partecipazione per almeno cinque anni.
Per esplicito richiamo, questa norma, di applicazione, generale, si applica anche ai patti di famiglia, con assegnazioni ai soli discendenti (coniuge escluso).
Per una analisi dettagliata dell'istituto, vedasi il documento della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Patto di famiglia: l'inquadramento tributario e civilistico, ottobre 2016.
Tra le varie problematiche sollevate da questo istituto, una, rilevante, riguarda chi debba liquidare i non assegnatari, necessariamente il legittimario assegnatario oppure in alternativa il
Patto di famiglia: chi deve liquidare i familiari non assegnatari?
Il patto di famiglia è utilizzato per "passare", con certe garanzie successorie, l'azienda e/o le partecipazioni ad uno o più figli, tacitando gli altri eredi legittimari (coniuge ed altri figli) con delle assegnazioni, ove invece non ci sia una esplicita rinuncia.
Ci si è chiesto se il legittimario assegnatario potesse essere sostituito dal disponente, richiamandosi anche alla relazione al disegno di legge, che appunto ciò prevedeva.
Però, ove questo fosse l'orientamento, la problematica della valutazione dell'azienda e/o delle azioni o quote societarie che, ai fini del patto famiglia, deve essere fatta con riferimento alla data della stipula dello stesso patto di famiglia, e nemmeno potrebbe essere diversamente, mal si concilia con questa impostazione.
Il procedimento proposto dal patto di famiglia (i legittimari non assegnatari, se non rinunciano, sono liquidati dei loro diritti) funziona bene solo con liquidazione da parte del beneficiario.
L'istituto non potrà invero mai funzionare, da un punto di vista pratico, con la liquidazione da parte del disponente, anche se in realtà così si sta facendo, nella pratica.
E ciò non per gli effetti del momento, ma per quanto potrà accadere all'apertura della successione.
Ne consegue che dapprima si dovrà determinare il valore dei beni oggetto della liquidazione (azienda e/o partecipazioni), dopodiché si dovranno calcolare le correlate quote spettanti ai legittimari per legge ed infine determinare le modalità di liquidazione (denaro e/o natura).
Pacificamente la liquidazione è obbligatoria, e non poteva che essere così, anche se ne è consentita, e a dire il vero non se ne comprende appieno la ragione, la rinuncia, in tutto o in parte, da parte dei legittimari.
La norma prevede che la liquidazione ai legittimari non assegnatari spetti agli assegnatari, ed è disposizione fin da subito criticata dalla dottrina, poiché nella realtà il beneficiario potrebbe non possedere risorse sufficienti per provvedere alla compensazione.
L'assegnatario, anche per la prevedibile giovane età, di norma ha un patrimonio limitato.
E' ben vero che gli è comunque concesso un determinato lasso di tempo per reperire cespiti da monetizzare o somme di danaro da destinare alla liquidazione dei non beneficiati dal patto, risorse che potrebbe anche trovare nella stessa azienda oggetto del patto, ma ciò, al di là dell'eventuale impoverimento dell'azienda, potrebbe non risultare facile.
Il ruolo delle garanzie agli eredi assegnatari
Altra problematica sono le garanzie che l'erede assegnatario può dare agli altri eredi in caso di differimento dell'onere.
Che garanzie potrà avere l’erede non assegnatario, in sede di sottoscrizione del patto?
Infine da non sottovalutare l'aspetto temporale.
Il legittimario assegnatario viene, di norma, in possesso dell'azienda (in tutto o in parte) dal momento della stipulazione del patto, salvo accordi diversi; gli altri eredi potrebbero trovarsi nella condizione di dover attendere.
Appare evidente che potrebbero crearsi situazioni non sostenibili, proprio per impossibilità pratica di raffrontare valori temporali molto diversi tra loro, e con rendimento differito dei quali non si è tenuto conto, salvo esplicito accordo in tal senso.
Troppa diseguaglianza per i legittimari non assegnatari.
Si ritiene che la compensazione possa essere effettuata anche dal disponente stesso attraverso il cosiddetto patto verticale, opposto allo schema orizzontale nel quale l'imprenditore attribuisce l'azienda o le partecipazioni ad un discendente e sarà poi quest'ultimo a compensare i legittimari.
In estrema sintesi, nel patto verticale l'imprenditore assegna l'azienda o le partecipazioni societarie ad un discendente e provvede a liquidare gli altri.
E questo è proprio il caso, da taluni peraltro ritenuto anche non corretto, che come si è visto può dare origine a problematiche di assegnazione agli eredi. (Per un approfondimento anche su queste tematiche vedasi la ottima pubblicazione di Angelo Busani, Il Patto di Famiglia, Cedam, ottobre 2019).
Tra l'altro, nel caso in cui la liquidazione fosse effettuata direttamente dal disponente, non necessariamente si dovrà verificare la corrispondenza tra il valore del credito vantato dagli eredi verso l'assegnatario dell'azienda e il valore del bene trasferito dal disponente stesso.
Secondo alcuni, pertanto, ove tale valore (al netto di quanto attribuito ai legittimari non assegnatari) dovesse superare la quota di legittima sull'azienda o sulle partecipazioni societarie, l'eccedenza andrebbe trattata come liberalità.
E come tale soggetta comunque a collazione e all'azione di riduzione, al momento dell'apertura della successione.
In caso contrario, infatti, ne potrebbe derivare un pregiudizio per l'assegnatario; quest'ultimo, però, ove dovesse ritenere lesi i suoi diritti, molto semplicemente avrebbe potuto non partecipare all'atto, astenendosi dalla richiesta sottoscrizione.
In base alla norma attuale, infatti, è richiesta la sottoscrizione contemporanea da parte di tutti i legittimari, ed anche del coniuge, per la costituzione del patto di famiglia.
Nel caso in cui, invece, il valore liquidato dovesse essere inferiore rispetto alla quota di legittima sull'azienda o sulle partecipazioni societarie, il partecipante non assegnatario, accettando di ricevere quanto datogli, manifesterà così in modo del tutto inequivocabile l'intenzione di rinunciare alla liquidazione della sua quota di legittima, relativamente (e limitatamente) all'oggetto del patto di famiglia.
In conclusione, i partecipanti non assegnatari dell'impresa, ex art. 768 quater, secondo comma, c.c., avranno diritto sul valore di questi beni a una quota pari a quella individuata, in misura diversa a seconda della qualità e del numero dei legittimari, dagli artt. 537 e ss. c.c..
La base di calcolo per determinare il valore delle quote riservate ai non assegnatari dell'azienda è rappresentata esclusivamente dai beni attribuiti ex pacto.
Pertanto, una volta stabilito il valore dell'impresa, valore che appunto si considera quale parametro per la liquidazione della legittima spettante ai non assegnatari, al momento della stipula del patto di famiglia, i mutamenti di valore dell'azienda successivamente intervenuti non potranno ovviamente acquisire rilievo alcuno.
I partecipanti non beneficiati dal patto avranno così diritto a tale liquidazione.
La base di calcolo è coincidente con la massa patrimoniale costituita dai soli beni alienati tramite il patto e il valore della massa è da intendersi ancorato, anche nei confronti di legittimari sopravvenuti, alla valutazione effettuata dai contraenti al momento della stipula del patto stesso.
Ciò mal si concilia, ovviamente, con ipotesi di future azioni di riduzione, essendo necessariamente diversa la base di riferimento temporale.
Aspetti fiscali del patto di famiglia
La norma prevede l'esclusione da imposte per i trasferimenti attuati in seguito del patto di famiglia (per le partecipazioni in società di capitali, solo ove si passi il controllo) con l’obbligo di proseguire nell'attività per almeno 5 anni da parte del beneficiario
Ma le questioni sorgono per i legittimari non assegnatari.
Come trattarli, fiscalmente?
Tre sono i casi che possono verificarsi:
• la liquidazione è a loro effettuata dal disponente;
• la liquidazione è a loro effettuata dal beneficiario;
• rinuncia a quanto loro spettante.
In assenza di una specifica previsione normativa, ci si dovrà quindi riferire ai principi generali, anche se le soluzioni che si possono proporre non trovano uniformità di vedute.
Liquidazione ai legittimari non assegnatari effettuata dal disponente
In questo caso, posto che sia ammesso, (liquidazione degli assegnatari non legittimari da parte del disponente) si applicheranno le imposte sulle successioni e donazioni del 4%, ogni erede con le sue franchigie, con l'applicazione delle imposte ipotecarie e catastali se del caso.
Liquidazione ai legittimari non assegnatari effettuata dal beneficiario
In questo caso (liquidazione da parte del beneficiario), si hanno tre possibilità:
a. se si ritiene trattarsi di un modus apposto alla donazione principale, la assegnazione costituirà una autonoma donazione tra donatario e terzo beneficiario del modus, tassato come donazione (4% per il genitore, con franchigia di 1 milione e del 6% tra fratelli, con franchigia di euro 100.000); (in questo senso si è espressa Cass.19 dicembre 2018 n 32823 che commenteremo successivamente).
La base imponibile della donazione, posto che sia tassabile e non esente, non potrà comunque considerare in detrazione l'ammontare dell'onere; e questo per effetto del richiamato art. 58 del TUS dall'art.2, c 449 del DL 262/2006;
b. oppure se si aderisce alla tesi della natura solutoria della compensazione, dovrebbe applicarsi l'imposta di registro con l'aliquota del 3% ex art. 9 della tariffa del DPR 131/1986;
c. ove si dovesse ritenere che le compensazioni, ancorché operate dall'assegnatario, configurino in realtà una attribuzione gratuita proveniente dal disponente, esse dovrebbero scontare l'imposizione come donazioni indirette, con aliquote calcolate sulla base del rapporto di parentela tra disponente e legittimario (4%) (in questo senso, Consiglio Nazionale del Notariato, studio 43/2007/T, par.3.1 e tra gli altri Angelo Busani, Il Sole 24 Ore del 12 febbraio 2007).
In tutti i casi, applicazione delle imposte ipotecarie e catastali, in presenza di immobili.
Rinuncia da parte dei legittimari non assegnatari a quanto loro spettante
Per quanto concerne questo terzo caso (rinuncia), l'imposta di registro è dovuta in misura fissa.
Sul punto è intervenuta l'Amministrazione Finanziaria che, con Circolare dell'Agenzia delle Entrate n 3 del 22 gennaio 2008 par. 8.3.2 ha ritenuto di precisare che la eventuale agevolazione (esenzione) "si applica esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, e non riguarda anche l'attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto".
Tali ultime attribuzioni rientrano neH’ambito applicativo dell'imposta sulle successioni e donazioni.
Nella stessa linea di pensiero si è pronunciata la Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano (n. 11/2013) che ha ritenuto donazione dall'assegnatario al disponente la istituzione di una rendita vitalizia a favore del disponente stesso, rendita inserita nel patto di famiglia.
In ultimo, si osserva che i partecipanti al patto di famiglia non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali possono comunque rinunziare all'attribuzione in denaro o in natura loro spettante (articolo 768-quater, comma 2, del codice civile).
Tale rinunzia non ha effetti traslativi ed è, quindi, soggetta alla sola imposta di registro in misura fissa, dovuta per gli atti privi di contenuto patrimoniale (articolo 11 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR).
Tesi poi riconfermata dalla Circolare 18/E del 29 maggio 2013, par. 5.3.2.
Nulla dice l'Amministrazione Finanziaria se tale onere debba essere detratto da quanto trasmesso con patto di famiglia all'assegnatario, il che, se si è nell'ambito della esenzione, invero non crea problema alcuno.
Potrebbero però esserci problematiche particolari qualora non si fosse nell'area esenzione.
E' stato peraltro osservato (nello studio della FNDC, cit.) che "qualora l'onere, qualificato quale donazione dall’art.58 del TUS, sia da adempiersi nei confronti di soggetti individuati, ebbene il valore di tale onere non può essere scomputato dal valore dell'atto principale. Al proposito corre l'obbligo di evidenziare che una parte della dottrina più recente considera detta previsione come una sorta di refuso e pertanto essa non dovrebbe essere applicata".
Sentenza della Cassazione n. 32823 del 18 dicembre 2018
La Cassazione al momento si è pronunciata una sola volta, su queste tematiche, appunto con la sentenza n. 32823 del 18 dicembre 2018, sentenza che commenteremo di seguito, non condivisa dalla maggiore dottrina.
La Cassazione ha sostenuto essere soggetta alla imposta sulle donazioni "la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall'assegnatario dell'azienda o della partecipazione ai legittimari non assegnatari; quest'ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all'aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario".
Il caso riguardava un patto di famiglia nel quale la madre, disponente, aveva trasferito le azioni di controllo di una società ad uno dei figli, con previsione di attribuzioni compensative a carico di quest'ultimo e in favore della di lui sorella non assegnatala.
La Cassazione ha ritenuto di dare risalto alla correlazione necessaria tra l'art. 58, c 1 del D.lgs 246/1990 e i combinati effetti degli artt. 768 quater e 793 cc.
La CTR di Milano (sentenza n 41/222011 del 6 maggio 2011) aveva ritenuto corretto il trattamento fiscale adottato dal contribuente "(tassazione come donazione del disponente)", rilevando che:
“l'atto di liquidazione in denaro delle azioni dall'assegnatario alla legittimaria fosse avvinto da causa unitaria con la donazione avente ad oggetto il trasferimento di tali azioni, integrando in sostanza anch'esso una donazione (seppure indiretta perché eseguita tramite il figlio assegnatario) dalla madre disponente alla figlia".
Larga parte della dottrina si è pronunciata contro la tesi della Cassazione, ritenendo piuttosto trattarsi di compensazione patrimoniale avente natura solutoria. Tra tutti, Andrea Fedele (ne Rivista di Diritto Tributario del 22 gennaio 2019), contestando la sentenza, si domanda come sia "possibile qualificare come liberalità proveniente dall'assegnatario la liquidazione dei legittimari virtuali che il primo deve effettuare (ex art. 768 quater, c 2 cc)? La doverosità dell'attribuzione esclude, evidentemente, qualsiasi intento liberale dell'assegnatario".
Angelo Busani (Il patto di famiglia, Cedam, 2019, p 680) afferma che, "anche se effettuata dal legittimario assegnatario, la liquidazione del legittimario non assegnatario si intende come se fosse effettuata dal disponente, con la conseguenza che a essa si applica il trattamento tributario proprio di una donazione stipulata tra il disponente e il legittimario non assegnatario".
Inoltre, in subordine, si tratta di attività imposta dalla legge, e pertanto non rappresentativa di manifestazione di capacità contributiva.
Conclusioni sul patto di famiglia: molte incertezze e poche tutele
Il patto di famiglia è un istituto che non ha ancora trovato adeguata attuazione, in Italia, e questo per una serie di motivi.
Il primo, e a nostro avviso il principale motivo, al di là di una diffusa ritrosia del mondo imprenditoriale ai passaggi generazionali, deriva dalla scarsa tutela che potrebbe riguardare i legittimari non assegnatari i quali spesso potrebbero non avere alcun interesse a partecipare ad un atto di questo tipo.
Il secondo motivo riguarda la liquidazione ai legittimari non assegnatari, chi debba effettuarla (solo l'assegnatario oppure può farla anche il disponente?) e come dovrà essere considerata, fiscalmente.
Secondo la Cassazione si tratterebbe di un modus, e quindi da assoggettare ad imposta, ma con riferimento, per aliquote e franchigia, all'assegnatario; secondo altri, invece, si tratterebbe di un modus da tassare come donazione del disponente, e quindi da tassare come tale.