Le anticipazioni bancarie nel concordato preventivo
di Giuseppe Rebecca
ilfallimentarista.it - 4 novembre 2019
Il caso
La banca ha il diritto di trattenere le somme eventualmente riscosse successivamente alla presentazione della domanda di concordato (in bianco o non), da parte dell’impresa che ha stipulato con tale istituto di credito un contratto di anticipazione con patto di compensazione? E così di portarle in compensazione con quanto anticipato prima dell’ammissione del debitore alla procedura?
Il caso è molto frequente e la risposta della giurisprudenza è altalenante, come pure l’atteggiamento della dottrina.
Anticipiamo subito che la Cassazione non ha ancora avuto modo di pronunciarsi in casi sorti successivamente alla modifica dell’art. 169 bis L.F. (D.L. 83/12 convertito in legge n. 183/12 entrato in vigore l’11 settembre 2012) che ha introdotto nel sistema del concordato preventivo una disciplina dei contratti in corso di esecuzione, fino ad allora assente. L’impresa debitrice può ora richiedere al Tribunale (o, dopo il decreto di ammissione ex art. 163 L.F., al Giudice Delegato) di essere autorizzata a sospendere oppure a sciogliere i contratti pendenti alla data di presentazione del ricorso.
Molto si è discusso in merito all’impatto del contratto di anticipazione bancaria in rapporto a questa norma, se cioè il contratto potesse essere sospeso o risolto; invero assente è stato il dibattito relativo al caso in cui l’impresa nulla abbia invece chiesto, sempre relativamente a questo contratto, caso che si presenta molto frequentemente.
Posto che la sola sospensione non apporta di fatto alcun beneficio effettivo, si tenga conto che in ogni caso per lo scioglimento (come pure per la sospensione) è dovuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno, in chirografo.
Ricordiamo come, ante riforma, lo scenario, in assenza appunto di una norma specifica, era sempre stato identificato nella inapplicabilità al concordato preventivo delle regole dettate per il fallimento dagli artt. 72 e ss. L.F. (“rapporti pedenti”).
Inquadramento giuridico
Come detto, tre sono le fattispecie che si possono ipotizzare, e gli effetti che possono derivare dalle varie opzioni sono tutt’ora molto discussi.
Ci si è chiesti se la richiesta di sospensione/scioglimento fosse compatibile già con il concordato in bianco, e le risposte sono state le più varie, prevalendo la tesi che, nel caso di richiesta di scioglimento (che la sospensione di fatto non comporta alcun vantaggio pratico) debbano comunque essere dettagliati i vantaggi che ne deriverebbero.
Per la applicazione della norma sui contratti in corso si è discusso sul fatto se in effetti una anticipazione bancaria sia un contratto in corso, ed in particolare se si debbano considerare come contratti a rapporti unilaterali o bilaterali.
Ed infine, il patto di compensazione che normalmente accompagna questi contratti, che sorte avrebbe, in presenza di una sospensione o scioglimento del contratto principale?
In ogni caso, la giurisprudenza maggioritaria ritiene, a nostro avviso correttamente, che in caso di sospensione/scioglimento del contratto anche il patto di compensazione, che ne è un accessorio, ne segua la stessa fine.
La giurisprudenza
La Cassazione, come già anticipato, non si è ancora pronunciata su casi insorti post 11 settembre 2012.
La più recente sentenza relativa a casi precedenti è la n. 10091 del 10 aprile 2019 (rel. Paola Vella, ne www.ilfallimentarista.it) che ha sostenuto che il patto di compensazione per l’anticipo erogato dalla banca sulle ricevute bancarie può essere operato anche dopo la presentazione della domanda di concordato dell’impresa. Decisione molto netta, ma riferita ad una fattispecie che a noi pare non completamente assimilabile ad un caso delle anticipazioni bancarie. Infatti si trattava di un incasso di titoli trattenuti in funzione di un mandato all’incasso. Nella sentenza la Cassazione, come precedentemente aveva fatto il Tribunale di Varese, cerca un riferimento, e lo trova nel patto di compensazione per le ricevute bancarie; ritenendo il caso assimilabile, ne è conseguita la sorte.
In merito, tre osservazioni.
La prima è che comunque si tratta di un OBITER DICTUM, di un caso del tutto differente, e non assimilabile. Tra l’altro, i titoli non sono certamente equiparabili a versamenti da parte di terzi. I titoli erano di proprietà dell’impresa.
La seconda è che non si fa riferimento alla nuova formulazione dell’art. 169 bis, ma ad un caso sorto prima dell’11 settembre 2012.
La terza è che nella sentenza si fa riferimento ad un orientamento costante della Cassazione, che invero non c’è. Abbiamo sì le richiamate sentenze n. 7194/97, 2539/98, 17999/11 e 8752/11, ma abbiamo altresì sentenze contrarie, la n. 22277/17, 10548/09, 578/07, a S.U. n. 7751/99, 9030/95, 11988/90, 3879/85 e 1182/81. Queste ultime non richiamate.
Quindi un bel parterre di sentenze contrarie alla tesi qui sostenuta.
In ogni caso, lo ripetiamo, tutte le sentenze, sia a favore che contro, sono riferite a casi antecedenti la variazione normativa dell’art. 169 bis L.F..
La sentenza n. 22277 del 25 settembre 2017, sempre riferita ad un caso sorto ante 2012, ha chiarito che il patto di compensazione non si applica invece post concordato: “A differenza della cessione di credito, infatti, il mandato all'incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, bensì l'obbligo di quest'ultimo di restituire al mandante la somma riscossa, e tale obbligo non sorge al momento del conferimento del mandato, ma soltanto all'atto della riscossione del credito, con la conseguenza che, qualora quest'ultima abbia avuto luogo dopo la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, non sussistono i presupposti per la compensazione”. Chiarissimo.
Come è stato osservato, se non fosse così, si arriverebbe anche ad un evidente paradosso.
Mentre in presenza di una cessione di credito, non è sufficiente che si sia perfezionato il contratto per renderlo opponibile alla massa, risultando necessaria anche la notifica o l’accettazione del debitore ceduto, nel caso di mandato all’incasso con il patto di compensazione risulterebbe sufficiente a far valere il patto la semplice sottoscrizione del contratto. È evidente che così non può essere. Non si può compensare un credito con un debito sorto post presentazione della domanda di concordato preventivo. Si tratta di norme imperative, di carattere cogente, non derogabili con un semplice patto contrattuale.
Nello stesso senso, si ha anche la già citata Cassazione precedente (n. 10548/09, n. 578/07, n. 7751/99, n. 9030/95) oltre a numerose corti di merito. Citiamo solo le due più recenti:
- Tribunale di Treviso, 20 giugno 2019 (ne ilfallimentarista.it);
- Tribunale di Bologna, 22 maggio 2019 (ne ilfallimentarista.it).
Bisogna però osservare che ci sono anche sentenze contrarie, che si sono quindi pronunciate per l’applicabilità del patto di compensazione post ingresso alla procedura; per la Cassazione, prima della n. 10091/19, le sentenze n. 3336/16, n. 17999/11, n. 8752/11. Per le corti di merito, le due ultime sentenze sono:
- Tribunale di Modena, 1 marzo 2018 (ne expartecreditoris.it),
- Tribunale di Trento, 6 luglio 2017 (ne ilcaso.it).
In conclusione
Possiamo affermare che non esiste quindi una unica tesi condivisa, circa l’applicabilità o meno del patto di compensazione, in presenza della presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo, per le somme incassate dall’istituto di credito successivamente alla presentazione, da parte dell’impresa finanziata, della domanda stessa. E questo al di là della eventuale richiesta di sospensione o scioglimento del contratto.
La Cassazione non si è ancora pronunciata su casi insorti successivamente alla variazione dell’art. 169 bis L.F., che tratta appunto dei contratti in corso in presenza di concordato preventivo.
Tenuto conto delle incertezze giurisprudenziali, è auspicabile un intervento normativo, in merito.
Ma ove non si sia perfezionata una cessione di credito opponibile alla massa, ma si sia solamente in presenza di un mandato all’incasso, ancorché con patto di compensazione, lo stesso deve ritenersi inapplicabile, per via dell’intervenuta procedura concorsuale. Non sono compensabili crediti di massa con altre posizioni pregresse; e questo anche in assenza di una specifica richiesta di scioglimento del contratto. E diremmo anche indipendentemente dalla variazione di cui all’art. 169 bis L.F..
ticolo di fatto applicabile.