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Recesso del socio nelle società di persone

di Giuseppe Rebecca e Linda Fabrello
Forum Fiscale - Il Sole 24 Ore, N.2 - 02/2006

Il trattamento fiscale delle somme corrisposte dalle società di persone al socio persona fisica che recede è uno dei vuoti normativi del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, anche dopo l'intervento cor­rettivo apportato dal D.Lgs. n. 247 del 18 novem­bre 2005 (correttivo Ires). Tale ulteriore disposi­zione, infatti, dichiara applicabile una norma che già era comunque ritenuta applicabile, chiarisce la quantificazione del reddito, peraltro confermando quanto già si faceva, e nulla dice invece per quanto concerne il trattamento riservato alle somme erogate dalla società.

La questione è stata oggetto di numerosi interventi da parte della dottrina e dell'Amministrazione finanziaria; nonostante ciò, si è tuttora in una situazione di incer­tezza. Analizziamo due aspetti, il trattamento fiscale delle somme ricevute dal socio persona fisica non imprenditore che recede da una società di persone e la possi­bilità, per la società, di considera­re componente negativo di reddi­to l'eventuale plusvalore liquidato.

Aspetti civilistici

Il socio persona fisica non imprenditore che rece­de da una società di persone (così come per le so­cietà di capitali) ha diritto alla liquidazione della propria quota sulla base di una situazione patri­moniale straordinaria redatta in riferimento alla data di recesso. Il valore della quota è quindi liqui­dato sulla base di valori effettivi (e non contabili), tenendo conto dei plusvalori latenti riferiti ai beni aziendali, dell'avviamento della società nonché del­la quota di utili in corso di formazione.

Secondo la dottrina prevalente, l'obbligo di liqui­dare la quota del socio che recede spetta alla società e non agli altri soci. La giurisprudenza ha ricono­sciuto, in qualche occasione, che la liquidazione dovesse essere effettuata dagli altri soci, anche se in prevalenza si sostiene che il diritto di credito del socio receduto deve essere fatto valere nei confron­ti della società (cfr. Cass., 1° aprile 2004, n. 6373).

Aspetti fiscali

Il trattamento civilistico del re­cesso non pone ormai particolari problematiche. Il trattamento fi­scale delle somme liquidate pre­senta invece ancora alcune que­stioni di incerta soluzione. Di nor­ma in capo al socio che recede si determina un reddito, costituito dalla parte eccedente il costo di acquisto o sottoscrizione del capi­tale; nello stesso tempo in capo alla società si determina un valore che deve trovare una adeguata col­locazione contabile e fiscale. Come si vedrà, sono stati espressi pareri contrastanti, sia dalla dot­trina che dalla giurisprudenza, in ordine alla natura da attribuire a tale «parte eccedente». La questione non è stata risolta nemmeno dalle disposizioni con­tenute nel D.Lgs. 247/2005.

Analizzeremo la questione prima dal punto di vista del socio che recede, e poi da quello della società che liquida la quota.

- Socio persona fisica

Al socio persona fisica che recede è riconosciuto un importo di norma superiore sia al valore conta­bile della quota, sia al valore fiscalmente ricono­sciuto della partecipazione. La somma liquidata (sia per il socio e che per la società) si compone di:

• una parte «patrimoniale» composta da quota proporzionale di capitale, di riserve e di utili già tassati (per effetto del principio di trasparen­za vigente nelle società di persone);

• una componente «reddituale» costituita dall'utile dell'esercizio in corso di formazione, dalle plus­valenze (al netto di minusvalenze) dei beni ma­teriali e immateriali e dall’avviamento ricono­sciuto dell’azienda.

Per la quantificazione del reddito tassabile in capo al socio receduto esistono riferimenti normativi, mentre per la qualificazione di tale reddito la que­stione non è ancora ben chiara.

Norme di riferimento

Il trattamento fiscale riservato all'importo per­cepito dal socio che recede è disciplinato dalle se­guenti norme:

• art. 6, D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 (abrogato e contemporaneamente ripreso dal D.Lgs. 247/ 2005): «Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribu­ite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all'art. 16, comma 1, lettera l), del testo unico, valgono, in quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 44 dello stesso testo unico»;

• art. 20-bis, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 così come inserito dal D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247: «Art. 20-bis (Redditi dei soci delle società personali in caso di recesso, esclusione, riduzio­ne del capitale e liquidazione). 1. Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione com­presi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all'articolo 17, com­ma 1, lettera l), si applicano, in quanto compa­tibili, le disposizioni dell'articolo 47, comma 7, indipendentemente dall'applicabilità della tassa­zione separata»;

• art. 17, comma 1, lettera l), Tuir (ex 16, richiamato dal D.P.R. 42/1988): «L'imposta si applica separatamente sui seguenti redditi: l) redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società indicate nell'articolo 5 nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazio­ne, anche concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costi­tuzione della società e la comunicazione del recesso o esclusione, la deliberazione di ri­duzione del capitale, la morte del socio o l'ini­zio della liquidazione è superiore a cinque anni»;

• art. 47, comma 7, Tuir (ex art. 44, richiamato dal D.P.R. 42/1988), relativo agli «Uti-lida partecipazione»: «Le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di re­cesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche con­corsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l ac­quisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate»;

• art. 86, comma 5-bis, così come inserito dal D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247: «Nelle ipotesi dell'articolo 47, commi 5 e 7, costituiscono plus­valenze le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipa­zioni».

Ricordiamo come si sia discusso se il D.P.R. 42/ 1988 fosse stato o meno abrogato.[1] Noi riteneva­mo, in assenza di una abrogazione esplicita, che il D.P.R. 42/1988 sia ancora in vigore, per quanto non disposto diversamente.

Interviene ora il Legislatore per fugare ogni dub­bio, riformulando la disposizione e abrogando spe­cificatamente con l’art. 18, comma 4 del «corretti­vo», l'art. 6, D.P.R. 42/1988 evidentemente quindi ancora considerato in vigore.

Le differenze che si riscontrano sono, al di là del necessario cambiamento del numero degli articoli ai quali la norma fa riferimento (17 e 47 in luogo di 16 e 44), il che evidentemente non costituiva proble­matica alcuna, l’aggiunta di una frase finale: «indi­pendentemente dall'applicabilità della tassazione separata».

Come si vedrà, nulla di più rispetto a quanto già si poteva ritenere, ad oggi.

Per completezza, le disposizioni dell'art. 20-bis non hanno una decorrenza particolare, per cui entra­no in vigore con l’entrata in vigore del decreto le­gislativo, mentre questo aggiunto all'art. 86 Tuir ha natura interpretativa e quindi decorre dall'1.1.2004 (comma 13 dell'art. 6, D.Lgs. 247/2005).

La situazione può quindi essere così definita: le somme attribuite ai soci in caso di recesso sono definite come reddito di partecipazione (già ex art. 6, D.P.R. 42/1988 e ora ex art. 20-bis Tuir), sono soggette a tassazione separata (art. 17 Tuir, ex 16), e sono determinate in base alla disciplina relativa al recesso dei soci di società di capitali (art. 47, comma 7, Tuir; ex art. 44 e art. 86 Tuir, comma 5-bis, norma interpretativa).

Secondo tale ultima disposizione, l'ammontare da tassare riferito al socio è pari alla differenza tra la somma, o il valore normale dei beni in natura rice­vuti, e l’importo pagato per l’acquisto o la sottoscri­zione della quota.

Il valore effettivo della quota, come già detto, risulta da una situazione patrimoniale straordinaria redatta alla data di recesso.

Il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizio­ne della quota (costo fiscalmente riconosciuto) vie­ne determinato ai sensi dell’art. 68, comma 6, Tuir. Al costo originario di acquisto o sotto­scrizione, dovrà pertanto essere aggiunto il reddito imponibile tassato per trasparenza, i versamenti a fondo perduto, in conto capitale o a copertura di perdite, e dovranno essere detratti l'utile distribuito al socio (nei limiti dell’importo tassato per traspa­renza) e le eventuali perdite imputate per trasparen­za.

La differenza tra valore effettivo della quota e costo fiscalmente riconosciuto costituisce il reddi­to da recesso imponibile in capo al socio.

Si anticipa fin d’ora come non sia possibile af­francare il costo di acquisto o sottoscrizione ai sensi dell'art. 5, L. 28 dicembre 2001, n. 488 (e successive modifiche); in questo senso, C.M. 4 agosto 2004, n. 35/E.

Reddito di capitale o reddito d'impresa?

L'art. 6, D.P.R. 42/1988 e l'art. 20-bis Tuir defi­niscono le somme liquidate al socio receduto come «redditi di partecipazione». Ricordiamo che le tipo­logie di reddito previste dal Tuir sono sei (art. 6 Tuir), e precisamente: redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, red­diti di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi. Non esiste una categoria autonoma di red­dito denominata «reddito di partecipazione»; gli unici riferimenti a questa particolare definizione sono contenuti (al di fuori del D.P.R. 42/1988 e ora nel­l'art. 20-bis) nella titolazione dell'art. 47 (ex 44) Tuir «Utili di partecipazione», articolo che si riferisce ai redditi di capitale, e poi nei mo­delli per la dichiarazione dei redditi. Si è quindi in presenza di un reddito la cui natura non è specifica­ta in modo chiaro da alcuna norma. Potrebbe trattar­si di reddito di capitale, o reddito diverso, o ancora reddito di impresa o di lavoro autonomo. Ognuna di queste tipologie di reddito sarebbe sottoposta ad un diverso trattamento fiscale, ed è pertanto necessario individuare a quale categoria il reddito da recesso appartenga, al fine di poter applicare la corretta tassazione.

In assenza di una qualificazione «legale», la dot­trina e la prassi amministrativa si sono divise. Si sono affermate due teorie alternative: la prima che qualifica il reddito da recesso come reddito di ca­pitale, mentre la seconda considera il reddito da recesso come reddito d’impresa.

I sostenitori della prima teoria[2] ritengono che il rinvio effettuato dall'art. 6, D.P.R. 42/1988 e ora dall’art. 20-bis Tuir, all’art. 47, comma 7, Tuir, non si limiti a definire le modalità di quantificazione del reddito imponibile a capo del socio uscente, ma ne indichi anche la categoria di appartenenza, sotto­ponendo i redditi da recesso allo stesso trattamento delle somme da recesso pagate ai soci di società di capitali. Così facendo, il reddito da recesso è equi­parato ai redditi di capitale. Questo è l'orientamen­to che, a parere nostro, dovrebbe essere seguito. Que­sta è anche la tesi sostenuta, seppur in modo ondi­vago, dell’Amministrazione finanziaria, sia ante Tuir[3] sia di recente.[4]

La seconda teoria considera il reddito da recesso quale reddito d’impresa. In questo caso la dottrina [5] sostiene che il rinvio fatto dall'art. 6, D.P.R. 42/1988 e ora dall'art. 20-bis Tuir non ha lo scopo di ricondurre i redditi da recesso nell'ambito dei red­diti di capitale, ma vale solo «ai fini della determi­nazione dei redditi di partecipazione», pertanto ha soltanto la finalità di quantificazione del reddito imponibile. Inoltre, l'utilizzo dell'espressione «red­dito di partecipazione», altrimenti senza senso, con­fermerebbe che si tratta di reddito di partecipazione in una società di persone, e quindi rientrerebbe nella categoria dei redditi di impresa, e non, invece, come utile di partecipazione da far rientrare nei redditi di capitale. In questo senso è intervenuta anche l'Am­ministrazione finanziaria.[6]

Alcuni autori forniscono anche altre giustifica­zioni; taluno[7] ha ritenuto che la volontà del Legi­slatore fosse quella di tenere distinto il trattamento del reddito da recesso delle società di persone da quello delle società di capitali. Prima di tutto per­ché, se si voleva ottenere l’equiparazione a livello quantitativo e qualitativo, sarebbe stato più sem­plice rinviare (nell'art. 6, D.P.R. 42/1988 e ora nel­l’art. 20-bis Tuir) la validità dell’art. 47 Tuir anche per le società di persone. Ma così non è stato. Inol­tre, in sede di riformulazione del Tuir, il Legislatore avrebbe potuto stabilire (anche se con un intervento «fuori campo») [8] che la disciplina degli «utili da partecipazione» delle società di capitali valesse an­che per le indennità da recesso corrisposte dalle società di persone. Così non è stato fatto, e quindi si sostiene che la volontà del Legislatore fosse quel­la di mantenere comunque distinto il trattamento del recesso per le società di persone da quelle di capitali, confermando la teoria per cui il reddito da recesso è reddito di impresa (o di lavoro autonomo).

Altre ragioni portate a sostegno di tale tesi sono ricercate nella simmetria di imposizione; si sostiene così che il reddito di recesso tassato interamente in capo al socio nello stesso tempo costituisce com­ponente negativo deducibile per la società. La sua natura è quindi la stessa.

È sicuramente condivisibile l'affermazione secon­do la quale il Legislatore si è interessato dell'aspet­to quantitativo; meno sostenibile sono le tesi che il Legislatore voglia tenere distinti i diversi trattamen­ti e che, trattandosi di reddito di partecipazione, si sia nell'ambito del reddito d'impresa o di lavoro autonomo. Allo stesso modo si può sostenere che si tratta, invece, di reddito di capitale. Ed è questa la tesi, come già detto, a cui diamo maggiore credito.

A seguito dell'approvazione del D.Lgs. 247/2005 «correttivo Ires», numerosi interpreti[9] hanno so­stenuto come l'introduzione dell'art. 20-bis nel Tuir abbia definitivamente risolto la questione sulla na­tura del reddito da recesso percepito da socio perso­na fisica. Si sostiene che il correttivo, sia nella sua stesura definitiva, sia in riferimento alla relazione illustrativa, specifichi di fatto che i redditi percepiti dal socio che recede dalla società di persone siano qualificabili come reddito di impresa. In realtà le disposizioni dell’art. 1 del correttivo non dicono nulla di nuovo, come già detto; l'introduzione del nuovo art. 20-bis Tuir non introduce una novità, dato che riporta la stessa identica disposizione del­l'art. 6, D.P.R. 42/1988 (abrogato dall'art. 18, com­ma 4, del correttivo) con la sola aggiunta della frase finale: «indipendentemente dall 'applicabilità della tassazione separata», frase che però non pare ag­giungere nulla di significativamente nuovo, se non una riconferma di quanto già era chiaro. Tali inter­preti sostengono inoltre che le specificazioni conte­nute nella relazione illustrativa del decreto, e in par­ticolare la frase «la disposizione qualifica come reddito di partecipazione, e quindi come reddito d'impresa, il differenziale percepito all'atto del­l'evento (recesso, liquidazione,eccetera)» sia la con­ferma che il reddito in esame è di impresa e non di capitale. Non è così, non è detto dalla legge che si tratti di reddito di impresa. Al massimo poteva es­sere detto che il reddito è della stessa natura di quello prodotto dalla società (di impresa o professionale), non di certo di impresa tout court. Si tratta di una affermazione comunque imprecisa, e a nostro avvi­so oltretutto anche errata.

Se l’intenzione effettiva del Legislatore era quella di parificare il reddito da recesso al reddito di impresa, la strada più ovvia era quella di espli­citarlo chiaramente nelle disposizioni dell'art. 20-bis, cosa che non è stata fatta, e non nella sola re­lazione illustrativa. L'uniformità di pareri dottrinari che si è ora creata a supporto della teoria del reddito da recesso come reddito di impresa, a nostro parere non sembra trovare delle valide giustificazioni. Sul­la base delle norme analizzate, si può sostenere che si tratti di redditi di capitale, esattamente come prima del recente intervento del Legislatore. Rite­niamo pertanto che le disposizioni, dell’art. 20-bis, identiche alle precedenti, non risolvano, e nemme­no avrebbero potuto risolvere, la questione. La si­tuazione di incertezza che poteva esistere anterior­mente al correttivo, quindi, permane.

Trattamento fiscale

Seguendo l'impostazione da noi data, il reddito da recesso è un reddito di partecipazione (art. 6, D.P.R. 42/1988 e ora art. 20-bis Tuir), categoria non specificamente prevista dalla legge, determi­nato come reddito di capitale (art. 47 Tuir) e tassato per cassa, separatamente (art. 17 Tuir ed ora anche art. 20-bis), salvo diversa opzione per la tassazione ordinaria.

La tassazione separata è applicabile allorché dalla costituzione della società alla data di recesso siano trascorsi almeno cinque anni.

Il reddito sarà sottoposto a tassazione separata (ove sussistano le condizioni citate, salvo opzione per tassazione ordinaria), e l'importo sottoposto ad imposizione sarà pari al 40 per cento del reddito da recesso (differenza tra la somma ricevuta e il costo fiscale della partecipazione), se la partecipa­zione è qualificata. In caso di partecipazione non qualificata, la tassazione sarà pari al 100 per cento del reddito, con l’applicazione della ritenuta secca del 12,50 per cento a titolo di imposta.[10]

Se il reddito da recesso venisse comparato al reddito d’impresa, l’imposizione fiscale seguireb­be il criterio di competenza (imputazione per tra­sparenza) con tassazione separata (ove sussistano le condizioni, salvo opzione per tassazione ordina­ria), e sarebbe applicata all'intero ammontare del reddito da recesso a prescindere dal fatto che la partecipazione sia qualificata o meno.

Un caso concreto

S.n.c. costituita da più di 5 anni Socio A:

• 30% del capitale (quota posseduta da due anni)

• costo fiscale quota 4.300 (post finanziamento c/capitale)

Valori di bilancio:

Capitale netto 2.500

Utili di bilancio esercizi precedenti non distribuiti (post acquisto quote) 4.900

Finanziamento soci c/capitale (ante acquisto quota) 6.100

Utile in formazione 370

Totale 13.870

Utili fiscali dichiarati nel periodo: 5.200 (a fronte di 4.900 contabili)

Distribuzione utili nel periodo: 0

Valori di mercato della società: 38.000

Valore di mercato della quota: 38.000 x 30% = 11.400

Per il socio che recede, ai fini della tassazione separata, non è richiesto il possesso almeno quinquen­nale delle quote della società, ma solo l'esistenza ultraquinquennale della società. Il reddito da recesso viene determinato nel seguente modo:

• quota 30% 11.400

• costo acquisto quota - 4.300

• quota utili del periodo (si cons. utili fiscali) 5.200 x 30% -1.560

Plusvalore per il socio A 5.540

(L'utile in formazione non incide, se non nella determinazione del valore della quota)

Tassazione:

5.540 x 40% = 2.216 x aliquota Irpef personale, tassazione separata, salvo opzione per la tassazione ordinaria.

Se si fosse trattato di partecipazione non qualificata, ritenuta secca del 12,50% su 5.540.

- Società

La seconda problematica non ancora del tutto risolta riguarda la corretta contabilizzazione della somma liquidata da parte della società.

Il recesso di un socio da società di persone fa sorgere in capo alla società un debito nei confronti del socio. Siamo quindi in presenza di un recesso «tipico».[11]

La liquidazione della somma da recesso provoca una riduzione, in modo proporzionale, del capitale e delle riserve; la quota di utile in formazione costi­tuisce, secondo orientamento prevalente, costo d’esercizio. La questione sta nella contabilizzazione della rimanente differenza, i cosiddetti «plusvalori latenti». Questi potrebbero essere considerati come:

• costo;

• avviamento;

• riduzione di riserve;

• riduzione del costo della partecipazione degli altri soci in via del tutto eccezionale.

L’ipotesi di avviamento può essere scartata in quanto non pagato e perciò non iscrivibile. La pos­sibilità di ridurre le quote dei soci rimanenti, consi­derando le somme come «credito verso gli altri soci», non può essere applicata in quanto, come già detto, il debito che sorge al momento del recesso è della società e non dei soci. Restano da valutare le alter­native della riduzione delle riserve esistenti e quella dell’imputazione di tutto a costo. Nel primo caso si verificherebbe una sorta di rivalutazione dei beni nell’attivo con contropartita la diminuzione delle riserve, e ciò non provocherebbe riflessi sul conto economico (opzione neutrale). Nel secondo caso si crea una componente negativa di reddito che con­correrà alla determinazione del reddito di esercizio e poi, alla formazione del reddito imponibile d’im­presa.

Le indicazioni fornite dall’Amministrazione finan­ziaria, ad oggi, sono contrastanti. A testimonianza sono le risposte a due interpelli fornite dall'Agenzia delle entrate per il tramite delle Dre di Campania e Lombardia, dove l’Amministrazione sostiene, sep­pur in periodi diversi, tesi diametralmente opposte.[12] La risposta all'interpello della Dre Campania dell'ottobre 2003 prevede l'intera deducibilità dei «plusvalori latenti», sulla base del principio di sim­metria e divieto di doppia imposizione. [13] Mentre nella risposta all'interpello della Dre Lombardia del maggio 2005 non si ammette la deducibilità delle somme in questione, considerando il recesso come una «sistemazione degli assetti societari» che ri­guarderebbe solo i rapporti tra i soci e non il reddito prodotto dalla società.

Precedentemente l’Amministrazione finanziaria era intervenuta, sul punto, con le istruzioni del modello Unico SP 2000. Al Quadro RK si prevede­va che le somme eventualmente liquidate dalla so­cietà al socio nei cui confronti si scioglie il rapporto sociale, costituivano una componente negativa de­ducibile dal reddito della società. La stessa dizione era riportata nel modello Unico SP 2001.

Per i modelli Unico SP 2002 e Unico SP 2003 la deducibilità era prevista solo per i casi di scioglimento del rapporto sociale dovuti al decesso del socio, e quindi solo con riferimento agli eredi e non già al socio. A partire dal modello Unico SP 2004 è stato eliminato ogni riferimento, ed oggi non ab­biamo quindi richiamo alcuno.

Per risolvere la questione si sarebbe potuto spe­cificare qualcosa in merito nelle disposizioni del D.Lgs. 247/2005 (correttivo Ires), ma nessuna indi­cazione è stata data.

Anche se può apparire strano riconoscere alle somme attribuite al socio in sede di recesso la na­tura di costi inerenti alla produzione del reddito d'impresa, l'orientamento prevalente, che peraltro condividiamo, ritiene che le somme in questione debbano essere considerate costi di esercizio. Le motivazioni si ritrovano nel concetto di simmetria e nel divieto di doppia imposizione (art. 67, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 163 Tuir per cui ciò che è tassato in capo al socio deve poter essere deducibile per la società.[14]

L’altra tesi, piuttosto penalizzante per la società, sostiene che le somme liquidate al socio receduto non costituiscano costi dell’esercizio ma siano clas­sificate come operazioni «sul capitale». Le motiva­zioni principali stanno nel fatto che gli atti tra socie­tà e soci non possono essere produttivi di reddito, in quanto sono operazioni che riguardano gli assetti societari e i rapporti tra i soci e non hanno riflesso sul conto economico. In aggiunta, il recesso non rientrerebbe tra le operazioni di scambio con terze economie, e quindi non avrebbe nessuna relazione con l’attività svolta dalla società: le somme pagate sarebbero quindi prive del requisito di inerenza di cui all'art. 109, comma 5, Tuir

Un caso concreto

Riprendendo l'esempio relativo al socio, questi sono gli effetti per la società:

Valore liquidato al socio receduto 11.400

Scomposizione dell'importo:

capitale netto 2.500 x 30% - 750

riserve esercizi precedenti 4.900 x 30% - 1.470

Finanziamento soci c/capitale 6.100 x 30% - 1.830

Differenza 7.350

Contabilmente la società avrà un costo di 7.350, di cui 111 (370 x 30%) dato dall'utile in formazione (somma ritenuta in ogni caso, dal prevalente orientamento, come costo d'esercizio deducibile). Si può notare come l'utile in capo al socio già precedentemente valutato (5.540) sia diverso dal costo sostenuto dalla società (7.350). Questo perché per la società il costo si calcola tenendo come base i valori contabili, mentre per il socio, il riferimento è il prezzo di acquisto della quota, prezzo sul quale la società nulla ha a che vedere. Avendo basi di raffronto diverse, i valori, di conseguenza, sono diversi. Ed è normale che così sia.

Affrancamento del valore delle partecipazioni

L’affrancamento del valore della partecipazione in base all’art. 5, L. 448/2001, e successive proro­ghe, è stato ritenuto inapplicabile dall'Amministra­zione finanziaria ai fini del recesso e dell’esclusio­ne, in quanto riferito solo ai redditi diversi.

La C.M. 31 gennaio 2001, n. 12/E così ha speci­ficato: «Il valore “rideterminato” non può, invece, essere utilizzato ai fini della determinazione dei redditi di capitale. È il caso, ad esempio, dei pro­venti percepiti per effetto del rimborso di partecipa­zioni o di altri investimenti aventi natura partecipa­tiva, a seguito di recesso o esclusione del socio o della liquidazione della società (art. 44, comma 3, Tuir), in quanto le lettere c) e c-bis) dell'articolo 81, a differenza della successiva lettera c-ter), non comprendono tra i presupposti di realizzo delle plus­valenze anche il rimborso di partecipazioni».

Questa circolare, oltre a negare la possibilità di rideterminazione trattandosi di redditi diversi, pre­cisa in ogni caso ancora una volta che in caso di recesso o esclusione si è in presenza di reddito di capitale.

Una ulteriore conferma è data infine dalla C.M.16 marzo 2005, n. 10/E, riferita peraltro alle società di capitali, ove, al punto 6.7, si riconferma che: «il costo di acquisto “rideterminato” secondo le mo­dalità contenute nell'art. 5 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 è utilizzabile esclusivamente ai fini del calcolo dei redditi diversi di natura finanziaria di cui all'art. 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del Tuir.

A differenza del recesso atipico in cui si verifica la vera e propria cessione della partecipazione, nel­l'ipotesi di recesso tipico, che comporta l'annulla­mento delle azioni o quote, le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono “utile” per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto e la sottoscrizione delle azioni o quote annullate e ciò vale anche per la parte di tali ecce­denze che derivano da riserve di capitale.

Pertanto, nel recesso tipico, trattandosi di ipotesi che danno luogo a redditi di capitale, non si può tener conto del costo “rideterminato” in luogo del prezzo pagato per le partecipazioni».

Da ultimo, abbiamo la C.M. 22 aprile 2005, n. 16/E la quale riconferma quanto già precedentemente esposto: l'affrancamento è possibile solo in pre­senza di recesso atipico, recesso effettuato median­te acquisto delle quote o delle azioni da parte di un terzo preventivamente indicato dalla società. Nel caso invece di recesso tipico, quello in cui il capitale si riduce per effetto dell'annullamento delle quote del socio receduto, «il valore rideterminato non può essere utilizzato in quanto le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono “utile” per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate e ciò vale anche per la parte di tali ecce­denze che derivano da riserve di capitale (cfr. cir­colare 26/E giugno 2004)».

Si segnala come, in ogni caso, sarà sempre pos­sibile effettuare l'affrancamento, mediante la ces­sione delle quote a terzi, e far successivamente re­cedere questo terzo dalla società. Se tutti i soci sono d’accordo, l'operazione pare possibile, anche se potrebbe rientrare nelle previsioni di cui all'art. 37-bis, D.P.R. 600/1973 (disposizioni antielusione).

Considerazioni conclusive

L’aspetto fiscale del recesso da società di persone di soci persone fisiche non imprenditori non ha tro­vato ancora una soluzione condivisa. Anche il re­centissimo intervento del legislatore (D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247) non è stato utilizzato per chiarire i problemi, ma solo confermare quanto già la dottrina aveva sostenuto. A nostro avviso, pur essendo in presenza di un reddito cosiddetto di par­tecipazione, il plusvalore percepito dal socio deve essere tassato come reddito di capitale (se parteci­pazione qualificata, sul 40 per cento, se partecipa­zione non qualificata, con aliquota secca del 12,50 per cento) a tassazione separata, salvo opzione per la tassazione ordinaria (opzione possibile solo per la partecipazione qualificata).

In assenza di precise disposizioni (assenti anche nel D.Lgs. 247/2005), facendo riferimento a ciò che era stabilito dai modelli Unico SP degli anni passa­ti, il maggior valore riconosciuto al socio, dato dal­l’insieme di plusvalenze latenti, dovrebbe costitui­re costo fiscalmente riconosciuto e deducibile per la società.

Schema riassuntivo n. 1: composizione delle somme rimborsate al socio a titolo di recesso

Componenti patrimoniali

• quota proporzionale di capitale

• quota proporzionale di riserve

• quota proporzionale di utili già tassati

Componenti reddituali

• quota utile in corso di formazione

• quota delle plusvalenze (al netto di minusvalenze) dei beni materiali e immateriali

• quota avviamento

Schema riassuntivo n. 2: trattamento in capo al socio persona fisica non imprenditore e quantificazione del reddito imponibile

Somme ricevute o valore normale dei beni -prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione della quota annullata =

Importo tassabile in caso di recesso (nuovo art. 20-bis Tuir*)

* Art. 1, D.Lgs. 247/2005, norma di carattere interpretativo che recepisce il contenuto dell'art. 6, D.P.R. 42/1988 di fatto abrogato dal

comma 4, art. 18, D.Lgs. 247/2005.

Schema riassuntivo n. 3: trattamento in capo al socio persona fisica non imprenditore e qualificazione del reddito e trattamento fiscale

Per la qualificazione del reddito in caso di recesso esistono due ipotesi:

a) si tratta di reddito da capitale;

b) si tratta di reddito d'impresa (o di lavoro autonomo).

a) Reddito di capitale

• Tassato per cassa

• Tassazione separata* (salvo opzione per tassazione ordinaria):

- partecipazione qualificata: 40% del reddito imponibile x aliquota Irpef personale

- partecipazione non qualificata: ritenuta secca del 12,50% sul 100% del reddito imponibile**

• La tassazione separata è applicabile allorché la società abbia almeno 5 anni ** Evidente anomalia; in realtà, tassazione con ritenuta secca

L'ipotesi di reddito di capitale è sostenuta da:

Amministrazione finanziaria: C.M. 10 dicembre 2004, n. 52/E; C.M. 16 giugno 2004, n. 26/E; C.M. 19 giugno 2002, n. 54/E; C.M. 17 maggio 2000, n. 98/E; R.M. 13 marzo 1979, n. 318; nota 13 marzo 1979, n. 9/540; nota 12 giugno 1978, n. 9/849. Dottrina: tra gli altri, G. Rebecca, «Recesso ed esclusione nelle società di persone. Problematiche fiscali», ne il fisco, n. 14/2005, fascicolo n. 1, pag. 5888; G. Rebecca, «Recesso del socio di società di persone: aspetti fiscali», in Impresa c.i., n. 10/2004, pag. 1559; G.P. Ranocchi, «Recesso del socio: tassazione dei redditi percepiti», in questa Rivista, n. 6/2004, pag. 38; M. Piazza, «La nuova disciplina dei dividendi», in AA.VV., La nuova Ires: come cambia l'imposizione dal 1°gennaio 2004, Il Sole 24 Ore, 2004; P. Mene-ghetti, «Nessuno sconto per chi monetizza», ne il Sole 24 Ore del 18 aprile 2002; Assonime, circolare 15 maggio 1989, n. 58.

b) Reddito di impresa (o di lavoro autonomo)

• Tassato per competenza (cassa se lavoro autonomo)

• Tassazione separata* (salvo opzione per ordinaria): in misura pari al 100% del reddito imponi­bile, senza distinzioni tra partecipazione qualificata e non qualificata.

• La tassazione separata è applicabile allorché la società abbia almeno 5 anni L'ipotesi di reddito di impresa (o di lavoro autonomo) è sostenuta da:

Amministrazione finanziaria: R.M. 18 aprile 2002, n. 120/E; C.M. 17 maggio 2000, n. 98/E (solo in mancanza dei presupposti per la tassazione separata).

Dottrina: tra gli altri, D. Liburdi, «Recesso, i redditi dei soci sono tassati integralmente», in Italia Oggi, 17 novembre 2005; R. Lunelli, «Recesso da società di persone. Una disciplina fiscale ancora alla ricerca di conferme», ne il fisco, n. 33/2005, fascicolo n. 1, pag. 5125; C. Vinci, L.M. Vinci, M. Vinci, M. Orlandi, P. Bagaglio, «Il recesso del socio nel nuovo diritto societario», in Finanza & Fisco, n. 20/2005; R. Lunelli, «Sul reddito da recesso vince ancora l'Irpef», ne Il Sole 24 Ore del 3 novembre 2004; G. Odetto, «La disciplina fiscale del recesso per i soci di società di persone, S.r.l. e S.p.a.», in Schede di aggiornamento Eutekne, n. 6/2004; U. Grisenti, «Recesso del socio di società di persone. Liquidazione della quota - Aspetti civilistico e fiscali», ne La Settimana fiscale, n. 7/2001, pag. 22; L. Miele, «Quota liquidata al socio receduto da una società di persone», in Corriere Tributario, n. 30/2000; M. Leo, F. Monacchi, M. Schiavo, Le imposte sui redditi nel testo unico, 1999, Milano. Successivamente al correttivo Ires si sono espressi a favore anche: G.P. Ranocchi, «Trattamento fiscale del recesso per i soci di società di persone alla luce delle novità introdotte dal correttivo Ires», in La Circolare Tributaria, n. 1 del 9 gennaio 2006; S. Cerato, G. Popolizio, «Recesso da società di persone Imponibilità delle somme attribuite per il socio e loro deducibilità per la società», ne La Settimana fiscale, n. 47/2005, pag. 25; Circolare Aristeia n. 48 del 6 dicembre 2005, «Novità in materia di reddito d'impresa, redditi di capitale e capital gain - D.L. \^203/2005 convertito e correttivo Ires»; G.P. Ranocchi, «Tassazione integrale a carico dei soci», ne Il Sole 24 Ore del 5 dicembre 2005.

Schema riassuntivo n. 4: trattamento in capo alla società

I componenti patrimoniali vanno a diminuire, in modo proporzionale, il capitale e le riserve. I componenti reddituali hanno il seguente trattamento:

• quota di utile in corso di formazione riconosciuto come costo d'esercizio;

• per la contabilizzazione dei «plusvalori latenti» (quota plusvalenze, al netto di minusvalenze, e quota avviamento) esistono due ipotesi:

Ipotesi 1 : costo di esercizio fiscalmente riconosciuto: in base ai principi di simmetria e divieto di doppia imposizione (come confermato da istruzioni Unico SP 2000 e Unico SP 2001, Risposta interpello Dre Campania, ottobre 2003, riportata da L. Lovecchio, «Recesso al buio per le società di persone», ne /l Sole 24 Ore del 24 ottobre 2005; C.M. 17 maggio 2000, n. 98/E; C.M. 21 settembre 1999, n. 189/E; R.M. 24 maggio 1995, n. 127/E);

Ipotesi 2: riduzione di riserve: in base alla classificazione del recesso nelle operazioni che

coinvolgono il capitale e che non hanno riflessi sui valori del conto economico (come confermato da risposta interpello Dre Lombardia, maggio 2005, riportata da L. Lovecchio, «Recesso al buio per le società di persone», ne /l Sole 24 Ore del 24 ottobre 2005).


[1] Tra gli altri, A. Ribatti e D. Ceccarelli, «Affitto d'azienda: quali novità dopo la riforma», in Amministrazione & Finanza, n. 12/2004, pag. 30 e L. Miele e G.P. Ranocchi, «Deducibilità e valutazione della partecipazione: i riflessi sul piano fiscale dell'esercizio del recesso», in Guida alla riforma fiscale, n. 5/2004, Il Sole 24 Ore, pag. 34. Tali autori affermano inoltre che l'opzione è per la tassazione separata, mentre invece è proprio il contrario; l'eventuale opzione è per la tassazione ordinaria. Sul punto è intervenuto anche Carlo Oneto («Innovazioni Ires da coordinare», ne Il Sole 24 Ore del 30 giugno 2004) il quale ha definito che le disposizioni dettate dal D.P.R. 42/1988 restano valide, al verificarsi di due condizioni: «1) che la nuova norma disponga in maniera identica rispetto alla precedente; 2) che la nuova norma non abbia già recepito il cambiamento normativo».

[2] Si vedano: Rebecca G., «Recesso ed esclusione nelle società di persone. Problematiche fiscali», ne il fisco, n. 14/ 2005, fascicolo n. 1, pag. 5888; Rebecca G., «Recesso del socio di società di persone: aspetti fiscali», in Impresa c.i., n. 10/2004, pag. 1559; Ranocchi G.P., «Recesso del socio: tassazione dei redditi percepiti», in Forum Fiscale, n. 6/ 2004, pag. 38; Piazza M. (2004), «La nuova disciplina dei dividendi», in AA.VV., La nuova Ires: come cambia l'impo­sizione dal 1° gennaio 2004, Il Sole 24 Ore; Meneghetti P., «Nessuno sconto per chi monetizza», ne Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2002; Assonime, circolare 15 maggio 1989, n. 58.

[3] R.M. 13 marzo 1979, n. 318; nota 13 marzo 1979, n. 9/540; nota 12 giugno 1978, n. 9/849.

[4] Si vedano C.M. 10 dicembre 2004, n. 52/E; C.M. 16 giugno 2004, n. 26/E; C.M. 19 giugno 2002, n. 54/E. Inoltre la C.M. 17 maggio 2000, n. 98/E aveva invece specificato che, in carenza di presupposti temporali per la tassazione separata, la natura del reddito era la stessa di quella prodotta dalla società, o di impresa o di lavoro autonomo.

[5] Tra gli altri, Lunelli R., «Recesso da società di persone. Una disciplina fiscale ancora alla ricerca di conferme», ne il fisco, n. 33/2005, fascicolo n. 1, pag. 5125; Vinci C., Vinci L.M., Vinci M., Orlandi M., Bagaglio P., «Il recesso del socio nel nuovo diritto societario», in Finanza & Fisco, n. 20/2005; Lunelli R., «Sul reddito da recesso vince ancora l'Irpef», ne Il Sole 24 Ore del 3 novembre 2004; Odetto G., «La disciplina fiscale del recesso per i soci di società di persone, S.r.l. e S.p.a.», in Schede di aggiornamento Eutekne, n. 6/2004; Grisenti U., «Recesso del socio di società di persone. Liquidazione della quota - Aspetti civilistico e fiscali», ne La Settimana fiscale, n. 7/2001, pag. 22; Miele L., «Quota liquidata al socio receduto da una società di persone», in Corriere tributario, n. 30/2000; Leo M., Monacchi F., Schiavo M. (1999), Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano. Nello stesso senso, probabilmente, anche Duilio Liburdi, «Recesso, i redditi dei soci sono tassati integralmente», Italia Oggi, 17 novembre 2005.

[6] Si vedano: R.M. 18 aprile 2002, n. 120/E. Inoltre la già citata C.M. 98/E/2000, pur ammettendo la natura di reddito da capitale, specifica che il «reddito da partecipazione» in questione costituisce reddito d'impresa se non sussistono le condizioni temporali per la tassazione separata.

[7] In particolare Lunelli R., op. cit.

[8] L'intervento del Legislatore sul Tuir riguarda principalmente l'introduzione dell'Ires, imposta estranea alle società di persone.

[9] G.P. Ranocchi, «Trattamento fiscale del recesso per i soci di società di persone alla luce delle novità introdotte dal correttivo Ires», in La Circolare Tributaria, n. 1 del 9 gennaio 2006; S. Cerato, G. Popolizio, «Recesso da società di persone Imponibilità delle somme attribuite per il socio e loro deducibilità per la società», ne La Settimana fiscale, n. 47/2005, pag. 25; Circolare Aristeia n. 48 del 6 dicembre 2005, «Novità in materia di reddito d'impresa, redditi di capitale e capital gain - D.L. 203/2005 convertito e correttivo Ires»; G.P. Ranocchi, «Tassazione integrale a carico dei soci», ne Il Sole 24 Ore del 5 dicembre 2005.

[10] Si evidenzia un'incongruenza, essendo prevista la tassazione separata per una fattispecie che potrebbe essere tassata applicando la ritenuta secca del 12,50 per cento. Si tratta di un'anomalia al momento non ancora evidenziata dalla dottrina.

[11] Non si tratta di una cessione di quote. La conseguenza del recesso «tipico» è l'annullamento delle quote relative al socio receduto.

[12] Le risposte agli interpelli citati sono riportate nell'articolo di Lovecchio L., «Recesso al buio per le società di persone», ne Il Sole 24 Ore del 24 ottobre 2005.

[13] Nello stesso senso, C.M. 17 maggio 2000, n. 98/E, C.M. 21 settembre 1999, n. 189/E, R.M. 24 maggio 1995, n. 127/ E. In dottrina, si veda Miele L. e Ranocchi G.P., «Sul recesso differenza a deducibilità incerta», ne Il Sole 24 Ore del 15 ottobre 2005.

[14] Per le stesse ragioni di simmetria, a livello fiscale, nelle ipotesi in cui si dovesse ritenere che il reddito conseguito dal socio sia reddito di capitale, e quindi tassato nella misura del 40 per cento per partecipazioni qualificate, la deduzione spettante alla società potrebbe essere ritenuta limitata anch'essa al 40 per cento.

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