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>> Anno 2013

Tasse, la resistenza fiscale non è la soluzione

di Giuseppe Rebecca
portale Lettera43.it, 24 dicembre 2013

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«Rifiutarsi di pagare le tasse è uno dei metodi più rapidi per sconfiggere un governo», diceva Mahatma Gandhi. In questo periodo, in cui il distacco tra governo e contribuenti è sempre più evidente, caratterizzato anche da una pressione tributaria abnorme (che ovviamente colpisce chi paga le imposte), da una spesa per la gestione pubblica senza freni e da una spending review inesistente, sempre più spesso si sente parlare di una possibile resistenza fiscale. La resistenza fiscale consiste nel rifiuto di pagare le tasse allo Stato. La motivazione può essere dovuta a una forte opposizione a determinate politiche del governo, sia da un punto di vista civile sia economico, oppure anche a una contrapposizione allo Stato in quanto istituzione in sé (è il caso dei movimenti anarchici). Questa 'tecnica' è stata spesso utilizzata da movimenti e personaggi non violenti, come ad esempio Mahatma Gandhi e Martin Luther King, e anche dai pacifisti o da particolari movimenti religiosi (i quaccheri).

I PRIMI FURONO GLI ZELOTI DI GIUDEA. Il primo caso riportato di resistenza fiscale è del I secolo a.C.: gli zeloti residenti in Giudea si rifiutarono allora di pagare le tasse imposte dall’Impero Romano. Ma i fomentatori di questa protesta fiscale non ebbero futuro: vennero torturati e uccisi, come testimoniato dalla stessa Bibbia. Venendo a tempi più recenti, tra il 1646 e il 1648 i cittadini di Londra si rifiutarono di pagare le tasse per opporsi all’occupazione del New Model Army. Ma la protesta fiscale forse più famosa della storia è quella che causò lo scoppio della rivoluzione americana e la successiva nascita degli Stati Uniti d’America. I coloni si rifiutarono di pagare le tasse alla Gran Bretagna. Proprio durante queste proteste nacque il celeberrimo motto No Taxation Without Representation. Ma le proteste fiscali continuarono negli Usa pure a indipendenza ottenuta.

I LIBERALI CONTRO CARLO X DI FRANCIA. Anche durante la rivoluzione francese vi fu una diffusa protesta fiscale, sia nei confronti della monarchia sia del governo a essa succeduto. Quando Carlo X di Francia, nel 1829, aumentò le imposte aggirando il parlamento, i liberali francesi (tra i quali Frédéric Bastiat) organizzarono la cosiddetta Breton Association, attraverso la quale praticarono e pubblicizzarono la resistenza fiscale in tutta Francia, soprattutto a Parigi. Si ricorda come, durante la Prima guerra mondiale, in tutte le nazioni partecipanti, e in special modo negli Stati Uniti, ci fu un forte sentimento contrario alla guerra, tale da portare molti a evadere le tasse per non finanziare le spese belliche.

LE PROTESTE IN EPOCA COLONIALE. Nelle Isole Samoa nel 1927, il Committee of the Samoa League organizzò una resistenza fiscale di massa per protestare contro la colonizzazione statunitense. La campagna del Mahatma Gandhi per l’indipendenza dell’India ebbe uno dei suoi punti chiave in una protesta fiscale nei confronti degli occupanti britannici, che ebbe il suo culmine nel 1930, con la famosa marcia attraverso l’India di Gandhi. Durante tutti gli Anni 30, negli Stati Uniti, durante la depressione si formarono varie associazioni di contribuenti aventi come scopo la protesta fiscale nei confronti delle elevate tasse imposte sulla proprietà. La più famosa di queste associazioni fu l’Association of Real Estate Taxpayers.

LA MOBILITAZIONE DEI CRISTIANI ANARCHICI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE. Un po’ come successe per la prima, anche durante la Seconda guerra mondiale ci fu una diffusa protesta fiscale scaturita dalla contrarietà per la guerra in atto. In particolar modo tale protesta venne molto attuata dai cosiddetti cristiani anarchici. Negli inizi del 1968, 448 editori e giornalisti scrissero una lettera sul New York Post dove esprimevano il loro aperto dissenso alla guerra in Vietnam e annunciavano la loro protesta fiscale. Nel 1970 cinque docenti della Harvard University e nove membri del Massachussets Institute of Technology, tra i quali i Nobel Salvador Luria e George Wald, annunciarono la loro protesta fiscale. Nel 1972 fu invece il senatore democratico Philip Hart a iniziare uno sciopero fiscale contro la guerra vietnamita. Tra il 1988 e il 1989, durante la prima Intifada, i palestinesi della città di Beit Sahour fecero una protesta fiscale nei confronti di Israele. Il risultato di tale protesta fu un assedio che durò per 45 giorni.

IL POTERE HA SEMPRE VINTO. Servì a qualcosa, tutta questa resistenza fiscale? Anche se molti imperi sono crollati forse anche per questo (impero egiziano, romano, spagnolo e atzeco), la rivolta fiscale non è servita quasi a nulla; il potere alla fine ha sempre avuto il sopravvento. Passando ai giorni nostri, con la pressione tributaria che ha raggiunto misure folli, accompagnata da norme che a dir poco sono capziose, inutili e complesse, tali da aggravarne ancora più l’impatto, viene sempre più spesso da pensare a questa ipotesi: la resistenza fiscale. Ma tutti hanno timore, e forse non è nemmeno il modo più giusto per cercare di cambiare le cose, se mai si potranno cambiare. Ma devono cambiare, per forza, pena l’ingovernabilità futura e il mancato sviluppo. E in questa situazione, in questo magma normativo, si muove la categoria dei Dottori Commercialisti. Da tempo si parla dello sciopero, tra la categoria stessa, la quale si sta organizzando con l’approvazione di un regolamento specifico.

SERVE UNA RIFORMA CHE DURI NEL TEMPO. Siamo tutti stufi di orpelli, di incertezze, di illogicità, di tassazione diffusa senza raziocinio, di imposizioni esagerate, a danno soprattutto della massa dei contribuenti, dei più piccoli. È fin troppo facile per lo Stato continuare a basarsi su questo sistema, con le ritenute d’acconto, con le autoliquidazioni Iva e imposte dirette, con gli acconti, talvolta anche superiori al 100%, con tutta questa massa di volontari che versano di continuo, del tutto gratuitamente. E che se si sbaglia qualcosa, inizia una lunga odissea, non sempre facile, e comunque sempre costosa. Lo Stato italiano non ha, però, bisogno di una legge fiscale; ha invece bisogno di una seria riforma, che resti ferma nel tempo. Il gioco delle tre carte fatto con l’Imu è proprio l’esemplificazione di quello che non si dovrebbe fare. Ma da un governo così, fiacco per natura, cosa ci si potrà attendere? Purtroppo nulla, nonostante Natale.

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