Cessione dello studio professionale. Aspetti Fiscali
di Giuseppe Rebecca e Carlotta Pilotto
Il Fisco, N. 45/2003
L’evoluzione del settore della consulenza vede l’intensificarsi delle operazioni di cessione degli studi individuali a realtà maggiormente strutturate. Con tale cessione si realizzano una serie di trasferimenti di beni e di diritti. Il nuovo titolare subentra gradualmente nei rapporti in essere; considerata la difficoltà del trasferimento dei rapporti, il cedente solitamente si impegna ad agevolare il subentro.
La ricerca del corretto trattamento fiscale, ai fini Iva e ai fini delle imposte dirette, da applicare alla cessione dello studio professionale, assume così un’importanza crescente, soprattutto considerando il fatto che non esiste una disciplina specifica. Infatti, la vigente normativa tributaria non disciplina la fattispecie del trasferimento di uno studio professionale, né per quanto attiene al soggetto cedente, né per quanto attiene al soggetto subentrante.
Attività professionale e avviamento
Nel caso di cessione di uno studio professionale non è possibile parlare di avviamento in senso stretto.
La peculiarità dell’attività professionale risiede nell’apporto intellettuale del professionista. Il rapporto che si viene a creare con i clienti, infatti, si basa sull’aspetto fiduciario e strettamente personale, rapporto che trova il suo fondamento nelle qualità e nella fama di cui gode il soggetto che esercita l’attività professionale.
Il concetto di azienda, che si riferisce al complesso di beni organizzati dall’imprenditore, mal si presta (e non può prestarsi) a rappresentare l’attività professionale. Di conseguenza, per quanto riguarda lo studio professionale, non si può ravvisare un’autonomia dell’organizzazione di beni, in quanto prevale, sempre e comunque, l’attività svolta dal professionista stesso.
Nel caso di cessione dello studio professionale, non può attribuirsi un valore a titolo di avviamento. Non è di norma attribuibile nemmeno un maggior valore all’organizzazione posta in essere dal professionista, in quanto non è detto che, in seguito al mutamento del professionista, permanga la stessa capacità reddituale. Concetti questi che sicuramente ben rappresentavano la realtà di qualche tempo fa, ma che, con il passare del tempo, diventano forse dai confini meno precisi. Le attività professionali, tutte le attività professionali, stanno mutando molto sotto certi aspetti, e l’organizzazione sta diventando un elemento rilevante. Si è quindi in presenza di organizzazione e di clientela; non organizzazione di beni, ma organizzazione come metodo, come coordinamento di rapporti, come prestazioni.
L’attività professionale, infatti, viene sempre più spesso esercitata nell’ambito di studi organizzati, di studi anche certificati ai fini della qualità, nei quali le dotazioni informatiche e la ripartizione dei compiti da svolgere tra i diversi soggetti fanno in modo che la struttura assuma una “certa autonomia” rispetto alla figura del professionista.
La cessione dello studio professionale comporta la cessione di una pluralità di beni e di posizioni contrattuali. In relazione a tale cessione si evidenzia un diverso componente reddituale costituito dal valore attribuito al “portafoglio clienti”. Tale valore viene anche definito con l’espressione, forse non del tutto felice, di “avviamento professionale”.
La cessione di uno studio professionale, in relazione alla cessione del “pacchetto clienti”, comporta l’assunzione, da parte del soggetto cedente, di obblighi di fare, di non fare o di permettere, riconducibili alle attività che deve porre in essere al fine di favorire il trasferimento della sua clientela verso il professionista subentrante.
Sulla base delle considerazioni appena esposte, si analizza la disciplina fiscale relativa alla cessione dello studio professionale, sotto l’aspetto Iva e sotto l’aspetto imposte dirette.
Assoggettabilità ad Iva
La cessione dello studio professionale, come precedentemente illustrato, comporta il trasferimento di una pluralità di beni e di posizioni contrattuali.
Per quanto riguarda il trasferimento dei beni, questo costituisce una normale cessione, come disposto dall’art. 2, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, imponibile Iva in relazione alla tipologia di bene che viene trasferito. Per la cessione di crediti in denaro, lo stesso art. 2, comma 3, prevede che non costituisce cessione di beni ai fini Iva e quindi non è assoggettabile a tale imposta.
Più problematico appare l’inquadramento della cessione del “pacchetto clienti”.
Il professionista cedente, in relazione alla tipologia di accordo sottoscritto, o assume l’obbligo di favorire il passaggio della propria clientela al professionista subentrante o si impegna a non esercitare attività in concorrenza con quest’ultimo o, più semplicemente, si limita a permettere il subentro nei rapporti con i suoi clienti. Di conseguenza, l’operazione deve ritenersi soggetta ad Iva in quanto, a norma dell’art. 3 del D.P.R. n. 633/1972, rappresenta il corrispettivo per la prestazione di un servizio consistente nel permettere la prosecuzione del rapporto professionale tra i suoi vecchi clienti e il soggetto subentrante, nell’impegno di non proseguire il rapporto con i clienti ceduti e nell’impegno di favorire il passaggio dei suoi vecchi clienti verso il nuovo soggetto.[1] Inoltre, la cessione dello studio professionale è effettuata da un soggetto nell’esercizio della sua professione, derivando dai rapporti che sono connessi a tale attività.
Vi è però chi ritiene che la cessione di uno studio professionale non sia soggetta ad Iva in quanto il corrispettivo non è conseguito nell’esercizio dell’attività professionale, essendo in presenza di un’attività occasionale, non abituale. Tale operazione non risulterebbe quindi imponibile in quanto gli artt. 1 e 5 del D.P.R. n. 633/1972 prevedono che le cessioni di beni e le prestazioni di sei-vizi debbano essere effettuate nell’esercizio di arti e professioni.[2] [3]
Il combinato disposto degli artt. 1 e 5 del D.P.R. n. 633/1972, inoltre, prevede la non imponibilità Iva delle operazioni che nulla hanno a che fare con l’esercizio della professione, ma lascia aperta la problematica relativa ad operazioni connesse a tali attività. [4]
La soluzione appare pertanto dubbia. Cessione di beni sicuramente imponibile, cessione di clientela di incerto assoggettamento ad Iva.
Imposte dirette - Professionista cedente
Premesso che non esiste una disciplina specifica per quanto riguarda la cessione dello studio professionale, si rileva come un’attenta analisi della disciplina fiscale, per quanto riguarda l’imponibilità ai fini delle imposte dirette, non possa prescindere dalla scomposizione del corrispettivo percepito in tre parti:
- cessione di beni;
- trasferimento dei crediti;
- cessione del “pacchetto clienti”.
Si analizzano questi aspetti separatamente.
Cessione di beni strumentali
Nella disciplina dei redditi di lavoro autonomo e cioè derivanti dall’esercizio di arti e professioni, non è attribuita alcuna rilevanza ad eventuali plusvalenze e minusvalenze. La cessione di beni strumentali risulta pertanto non essere rilevante ai fini impositivi.
Gli artt. 49 e 50 del Tuir (approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), infatti, non disciplinano in alcun modo la cessione di beni. Si ritiene quindi che il legislatore abbia voluto escludere dal calcolo dell’imponibile tutti quei proventi ai quali non possa essere riconosciuta la natura di “compensi”.
Inoltre, la previsione dell’imponibilità della plusvalenza in base all’art. 54 è riferibile solo ai redditi d’impresa e non può essere estesa ai redditi di lavoro autonomo.
Anche la Norma di comportamento n. 37 dell’Associazione dei Dottori commercialisti di Milano prevede che le plusvalenze derivanti dalla cessione di beni strumentali non costituiscono mai reddito di lavoro autonomo.
Trasferimento dei crediti
II corrispettivo percepito in relazione alla cessione dei crediti costituisce reddito da lavoro autonomo in base all’art. 6, comma 2, del Tuir, il quale prevede che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto della cessione dei crediti, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.
Cessione del “pacchetto clienti”
L’aspetto più problematico relativo alla cessione dello studio professionale è collegato alla cessione del “pacchetto clienti”. A tale proposito sono state avanzate diverse tesi che partono dall’analisi degli artt. 50 (redditi di lavoro autonomo) e 81 (redditi diversi) del Tuir.
L’art. 50 del Tuir prevede che siano imponibili tutti i compensi derivanti dall’esercizio dell’arte o della professione. Nel caso di cessione dello studio professionale, il corrispettivo percepito per il trasferimento del “pacchetto clienti” non sembra essere riconducibile alla definizione di compenso, non avendo la natura di corrispettivo derivante da una prestazione rientrante nell’esercizio di un’attività di lavoro autonomo.
Si ritiene, pertanto, che tale importo non sia rilevante ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo. Per lo stesso motivo, come precedentemente indicato, non rilevano neanche le plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni strumentali.
Nemmeno la previsione dell’art. 81, comma 1, lettera h), del Tuir può essere applicata a tale fattispecie, in quanto prevede la tassazione come reddito diverso delle plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende.
L’art. 81, comma 1, alla successiva lettera l), prevede l’imponibilità dei redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
La cessione del “pacchetto clienti” sembra essere riconducibile a tale fattispecie in quanto il professionista cedente o si impegna ad agevolare il passaggio della sua clientela al professionista subentrante o si obbliga a non effettuare attività in concorrenza o si limita a permettere che tale passaggio avvenga.
In tal senso si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 108/E del 29 marzo 2002. In relazione ad un’istanza di interpello presentata da un professionista iscritto all’Albo dei Ragionieri commercialisti che intendeva cedere ad un altro professionista la parte meramente operativa della propria attività, mantenendo quella consulenziale, l’Agenzia ha sostenuto che tra i due contraenti si viene ad instaurare un rapporto di tipo obbligatorio nel quale il cedente, a fronte del corrispettivo percepito, favorisce il subentro nei rapporti con i suoi vecchi clienti e rinuncia ad esercitare la propria attività professionale nei loro confronti. Il compenso relativo deve quindi essere fatto rientrare nell’art. 81, comma 1, lettera l), del Tuir, che qualifica espressamente come redditi diversi quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere. La somma deve quindi essere assoggettata a tassazione in capo al soggetto percipiente in base alle aliquote per scaglioni previste dall’art. 11 del Tuir.
Alcuni Autori hanno sostenuto invece la non imponibilità di tale reddito. A sostegno di tale tesi si è espressa anche la Commissione tributaria di I grado di Ravenna, Sez. I, con decisione n. 1505 dell’I 1 luglio 1988 (in banca dati “il fiscovideo”). Con tale provvedimento è stato sottolineato che “i nuovi artt. 81 e 85 contengono un’elencazione da ritenersi tassativa dei redditi che si intendono attrarre a tassazione e tra questi non figurano quelli derivanti da cessione di studi professionali”.[5]
L’assenza di una previsione normativa legata alla cessione del “pacchetto clienti” da parte del professionista genera una serie di dubbi collegati al corretto trattamento fiscale del corrispettivo percepito a tale titolo. Premesso che tale importo non risulta essere riconducibile al reddito da lavoro autonomo, si considera la disciplina relativa ai redditi diversi. Le diverse interpretazioni dell’art. 81 del Tuir portano, però, a soluzioni contrarie.
Inoltre, le tesi sostenute dalla Commissione tributaria di Ravenna e dall’Agenzia delle Entrate, non offrono certo una soluzione. La prima sostiene la non imponibilità, in quanto gli artt. 81 e 85 del Tuir non disciplinano in modo specifico tale fattispecie, mentre la seconda afferma debba essere ricondotto a tassazione, in base all’art. 81, comma 1, lettera l), in quanto il professionista assume un obbligo di fare o di non fare.
La soluzione appare pertanto ancora incerta.
La bozza della riforma tributaria (in pocket n. 7 allegato a “il fisco” n. 35/2003) non ha integrato la disciplina vigente in relazione a tale fattispecie, non prevedendola tra i redditi da lavoro autonomo, bozza dei nuovi artt. 64 e 65. Inoltre, la bozza del nuovo art. 66, comma 1, lettera l), sui redditi diversi, riporta, pari pari, l’art. 81, comma 1, lettera l), dell’attuale Tuir e non prevede alcuna interazione rispetto alla fattispecie da noi trattata.
Intero prezzo
Nel caso in cui il corrispettivo sia determinato in modo unitario, senza procedere al calcolo analitico dei singoli componenti, e si ritenesse valida la tesi prospettata dalla risoluzione n. 108/E del 2002 dell’Agenzia delle Entrate [secondo la quale il corrispettivo derivante dalla cessione del “pacchetto clienti” è imponibile in base all’art. 81, comma 1, lettera l), del Tuir], alcuni Autori sostengono che l’intero prezzo andrebbe assoggettato ad imposta come reddito diverso, quale provento derivante dall’assunzione di “obblighi di fare, di non fare e permettere”.[6]
Sembra preferibile, in ogni caso, trovare un metodo per ripartire in modo adeguato il corrispettivo percepito, anche perché non si capisce il motivo per il quale la disciplina dei redditi diversi risulti assorbente rispetto alle altre categorie di reddito. Una soluzione, ad esempio, potrebbe essere quella di assegnare ai singoli beni il valore di mercato, calcolare il valore dei crediti e considerare la parte rimanente come corrisposta per l’acquisto del “pacchetto clienti”.
Imposte dirette - Professionista subentrante
II prezzo pagato per l’acquisto dello studio professionale è interamente deducibile, per il professionista subentrante, a condizione che il costo sia stato effettivamente sostenuto, che sia documentato e che sia inerente all’esercizio della professione (art. 50, comma 1, del Tuir).
Nel caso in cui si tratti di beni strumentali, questi sono ammortizzati in base a quanto previsto dall’art. 50, comma 2, del Tuir e cioè in base all’applicazione dei coefficienti, stabiliti con decreto del Ministro delle finanze, al costo. Un’eccezione a tale principio riguarda la deducibilità del costo sostenuto per il subentro nell’utilizzo delle licenze del software, subentro che avviene previo assenso da parte del licenziante, la quale avviene in base al principio di cassa.
Per quanto concerne, invece, la quota relativa all’acquisto della clientela, questa risulta essere deducibile nell’esercizio in cui avviene effettivamente l’esborso.[7]
Tra le eccezioni previste dall’art. 50, nei commi successivi al secondo, infatti, non si può ravvisare alcuna fattispecie a cui poter ricondurre il corrispettivo relativo all’acquisto del pacchetto clienti.
La bozza della riforma tributaria, allo stato attuale, non comporta alcuna modifica della fattispecie (bozza del nuovo art. 65).
Conclusioni
La disciplina Iva, in relazione ad un’operazione di cessione di studio professionale, per quanto riguarda il cedente, prevede quanto segue:
- imponibilità dei beni strumentali in relazione alla natura degli stessi (art. 2, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972);
- non imponibilità delle somme percepite a fronte dei crediti ceduti;
- dubbi sul trattamento del valore del “pacchetto clienti”:
- imponibile, se considerato connesso all’attività professionale;
- non imponibile, nel caso opposto.
Anche per quanto attiene alla rilevanza ai fini delle imposte dirette del corrispettivo percepito dal professionista cedente, si deve suddividerlo in tre parti.
L’eventuale plusvalenza sui beni non risulta essere imponibile in quanto non rientra nella definizione di reddito di lavoro autonomo.
Per quanto attiene alla cessione dei crediti, questi risultano imponibili, come redditi di lavoro autonomo, in base all’art. 6, comma 2, del Tuir.
Come avviene per l’imponibilità ai fini Iva, anche ai fini delle imposte dirette si pone il problema della corretta individuazione della fattispecie “cessione clienti”. Tale importo, a seconda della tesi che si intende sposare, si ritiene imponibile come reddito diverso ai sensi dell’art. 81, comma 1, lettera l), del Tuir oppure non imponibile in quanto non espressamente disciplinato dagli artt. 81 e 85 del Tuir.
Più lineare appare la situazione per quanto riguarda la deducibilità in capo al professionista subentrante. I costi sostenuti devono ritenersi, per intero, inerenti alla sua attività e, in quanto tali, sono deducibili in relazione a quanto disposto dall’art. 50 del Tuir.
Ultima osservazione, che può essere interessante fare, riguarda l’imponibilità (per il professionista cedente, nel caso in cui si ritenesse valida la tesi prospettata dalla risoluzione n. 108/E del 2002 dell’Agenzia delle Entrate) e la deducibilità (per il professionista subentrante) del prezzo pagato per il “pacchetto clienti”. In entrambi i casi si deve applicare il principio di cassa.[8] Ciò comporterebbe degli squilibri sulla determinazione del reddito. Tale problema potrebbe essere risolto prevedendo un pagamento rateizzato in più esercizi.
TABELLA RIASSUNTIVA IMPONIBILITÀ E DEDUCIBILITÀDELLE COMPONENTI DEL PREZZO DI CESSIONE
Iva
|
Cedente
|
Subentrante
|
|
Beni strumentali |
Imponibili
|
Plusvalenze
|
Costo deducibile con l’ammortamento (art. 50, comma 2);
|
Crediti |
Non imponibile
|
Imponibili
|
Deducibili (art. 50) |
“Pacchetto clienti” |
AgenziaEntrate, risoluzione n. 108/E del 2002:
Comm. trib. reg. del
Veneto,
sentenza n. 17/1998:
|
Agenzia. Entrate,
risoluzione n. 108/E del 2002:
Comm. trib. di I grado di Ravenna,
decisione n. 1505/1988:
|
Deducibile (art. 50) |
[1] In tal senso si veda anche la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 108/E del 29 marzo 2002, in “il fisco” n. 15/2002, fascicolo n. 2, pag. 2160.
[2] Si veda I. Macellari e S. Siniscalchi, Cessione di studio professionale, in “Contabilità finanza e controllo - II Sole-24 Ore” n. 8/2001.
[3] Sentenza della Commissione tributaria della regione Veneto, n. 17 del 18 febbraio 1998 (in banca dati “ilfiscovideo”). Il provvedimento nega l’esistenza dei presupposti oggettivo e soggettivo (artt. 1 e 5 del D.P.R. n. 633/1972).
[4] (4) Cfr. M. e G. Mandò, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, 1998, Ipsoa, pag. 95
[5] Si veda anche M. Macellari, Non imponibilità del corrispettivo per la cessione dello studio professionale, in banca dati “I Quattro Codici della Riforma Tributaria Big Premium”, Ipsoa.
[6] Si veda S. Siniscalchi e I. Macellari, op. cit., pag. 867.
[7] Cfr. La cessione dello studio professionale e l’interpretazione ministeriale, “Informativa Fiscale SEAC” n. 253 del 30 ottobre 2002.
[8] Cfr. E. Zanetti e A. Zappi, Profili fiscali della cessione dello studio professionale, in “il fisco” n.. 31/2003, fascicolo n. 1, pag. 4895.