Cessioni post superbonus. Problematiche aperte al 12 marzo 2024
di Giuseppe Rebecca
13 marzo 2024
Dall’1 gennaio 2024 tutte le cessioni di immobili, sui quali siano stati fatti interventi agevolati con il superbonus chiesto a rimborso, sono considerate operazioni speculative, produttive quindi di redditi diversi per le persone fisiche. Uniche eccezioni le provenienze successorie e le cessioni effettuate dopo oltre 10 anni dalla conclusione dei lavori.
Molti aspetti non sono ad oggi ancora ben definiti. Da parte nostra abbiamo evidenziato in precedenti interventi varie criticità che qui, per comodità del lettore, riportiamo tutte assieme. (Vedere articoli ne Commercialista Telematico del 7 febbraio 2024, 1 febbraio 2024, 15 gennaio 2024, 10 gennaio 2024 e 28 dicembre 2023 )
Cessione di immobile sul quale gli interventi che hanno goduto del superbonus sono stati pagati da altri, non dal proprietario
a) Spese sostenute da altri soggetti.
Come è noto, i lavori che danno diritto al superbonus possono essere sostenuti anche da altri soggetti, diversi dal proprietario. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17 del 26 giugno 2023 ha ben specificato nel dettaglio questo aspetto.
Innanzi tutto le persone fisiche che sostengono tali spese devono possedere o detenere l’immobile oggetto dell’intervento in base ad un titolo idoneo al momento dell’avvio dei lavori.
E qualora l’unità immobiliare sia in comproprietà fra più soggetti, il diritto alla detrazione spetta in relazione alle spese sostenute e rimaste a carico, prescindendo dalla quota di proprietà.
Riportiamo integralmente quanto espresso sul punto in tale circolare.
“Soggetti che possono fruire della detrazione.
Possono fruire della detrazione tutti i contribuenti assoggettati all’imposta sul reddito delle persone fisiche, residenti o meno nel territorio dello Stato (Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 2).
La detrazione spetta a condizione che i soggetti possiedano o detengano, sulla base di un titolo idoneo, gli immobili oggetto degli interventi e ne sostengano le relative spese. Il possesso di un titolo idoneo nonché la disponibilità dell’immobile richiesti al momento del sostenimento delle spese che danno diritto alla detrazione, non è necessario che permangano per l’intero periodo di fruizione della detrazione stessa. I soggetti legittimati sono:
- proprietari o nudi proprietari;
· titolari di un diritto reale di godimento quale usufrutto, uso, abitazione o superficie;
· soci di cooperative a proprietà divisa e indivisa;
· imprenditori individuali, per gli immobili non rientranti fra i beni strumentali o beni merce (Circolare 11.05.1998 n. 121, paragrafo 2.3);
· soggetti indicati nell’art. 5 del TUIR, che producono redditi in forma associata (società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice e soggetti a questi equiparati, imprese familiari), alle stesse condizioni previste per gli imprenditori individuali;
· detentori (locatari, comodatari) dell’immobile (Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 2);
- familiari conviventi;
· coniuge separato assegnatario dell’immobile intestato all’altro coniuge (Circolare 09.05.2013 n. 13/E, risposta 1.2);
· conviventi di fatto di cui all’art. 1, commi 36 e 37, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. legge Cirinnà);
- futuro acquirente.
Detentore
La detrazione spetta ai detentori dell’immobile, a condizione che siano in possesso del consenso all’esecuzione dei lavori da parte del proprietario e che la detenzione dell’immobile risulti da un atto (contratto di locazione, anche finanziaria, o di comodato) regolarmente registrato al momento di avvio dei lavori e sussista al momento del sostenimento delle spese ammesse alla detrazione, anche se antecedente il predetto avvio. La data di inizio dei lavori deve essere comprovata dai titoli abilitativi, se previsti, ovvero da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà effettuata nei modi e nei termini previsti dal d.P.R. n. 445 del 2000. Il consenso all’esecuzione dei lavori da parte del proprietario, invece, può essere acquisito in forma scritta anche successivamente all’inizio dei lavori a condizione, tuttavia, che sia formalizzato entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi nella quale si intende fruire della detrazione medesima.
Fino al 2011, essendo vigente l’obbligo di inviare la comunicazione al Centro operativo di Pescara, la data di inizio lavori era rilevata da tale comunicazione (Risoluzione 06.05.2002 n. 136/E).
Al fine di garantire la necessaria certezza ai rapporti tributari, la mancanza, al momento dell’inizio dei lavori, di un titolo di detenzione dell’immobile risultante da un atto registrato preclude il diritto alla detrazione, anche se si provvede alla successiva regolarizzazione.
Familiare convivente
La detrazione spetta al familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile oggetto dell’intervento (Circolare 11.05.1998 n. 121, paragrafo 2.1). Per familiari si intendono, a norma dell’art. 5, comma 5, del TUIR, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Per fruire della detrazione non è necessario che i familiari abbiano sottoscritto un contratto di comodato essendo sufficiente che attestino, mediante una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di essere familiari conviventi (Circolare 11.05.1998 n. 121, paragrafo 2.1). Lo status di convivenza deve verificarsi già al momento in cui si attiva la procedura ovvero, come sopra detto per i detentori, alla data di inizio dei lavori (Risoluzione 06.05.2002 n. 136/E) e sussistere al momento del sostenimento delle spese ammesse alla detrazione, anche se antecedente il predetto avvio.
Lo status di convivenza, nonché la disponibilità dell’immobile richiesti al momento del sostenimento delle spese che danno diritto alla detrazione, non è necessario che permangano per l’intero periodo di fruizione della detrazione stessa.
La detrazione spetta al familiare per i costi sostenuti per gli interventi effettuati su una qualsiasi delle abitazioni in cui si esplica la convivenza, indipendentemente dalla ubicazione della stessa, purché tale
immobile risulti a disposizione. Ai fini della detrazione, si considera a disposizione anche l’immobile oggetto di ordinanze sindacali di sgombero, in quanto inagibile totalmente o parzialmente per cause di forza maggiore (ad esempio, a causa di un evento sismico o calamitoso). La detrazione non compete, quindi, per le spese riferite ad immobili a disposizione di altri familiari (ad esempio, il marito non può fruire della detrazione per le spese di ristrutturazione di un immobile di proprietà della moglie dato in comodato alla figlia) o di terzi. Non è invece richiesto che l’immobile oggetto dell’intervento sia adibito ad abitazione principale del proprietario o del familiare convivente (Circolare 10.06.2004 n. 24/E, risposta 1.10, e Circolare 12.06.2002 n. 50/E, risposta 5.1). Ferme restando le altre condizioni, la detrazione spetta anche se le abilitazioni comunali all’esecuzione dei lavori sono intestate al proprietario dell’immobile e non al familiare che usufruisce della detrazione (Risoluzione 12.06.2002 n. 184/E).
Convivente di fatto
Per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2016, la detrazione spetta al convivente di fatto del possessore o detentore dell’immobile anche in assenza di un contratto di comodato. La disponibilità dell’immobile da parte del convivente risulta, infatti, insita nella stabile convivenza che si esplica ai sensi dell’art. 1, commi 36 e 37, della legge n. 76 del 2016.
Il convivente di fatto che sostiene le spese di recupero del patrimonio edilizio, nel rispetto delle condizioni previste dal richiamato art. 16-bis del TUIR, può, quindi, fruire della detrazione alla stregua di quanto chiarito per i familiari conviventi. Così, ad esempio, può beneficiare della detrazione anche per le spese sostenute per interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza, anche se diversa dall’abitazione principale della coppia.
Ai fini dell’accertamento della “stabile convivenza”, la legge n. 76 del 2016 richiama il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223 (Risoluzione 28.07.2016 n. 64/E); tale status può risultare dai registri anagrafici o essere oggetto di autocertificazione resa ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.”
b) La cessione
Ed ora esaminiamo la problematica che si pone in caso di vendita di tali beni.
Ovviamente la cessione è effettuata dal legittimo proprietario, e non potrebbe essere altrimenti. Ma come si dovrà comportare per la dichiarazione del reddito diverso? Dovrà dichiararlo il proprietario venditore, e detrarre le spese ammesse in detrazione? Certo non si tratta delle spese di cui al superbonus, in quanto escluse o in futuro ammesse solo al 50%, ma di tutte le altre spese, e ci riferiamo alle spese eccedenti il 110% ammesso e quelle relative agli interventi che esulano da tali contributi. Queste spese sono state sostenute da terzi, mentre la vendita è fatta dal proprietario. Forse potrebbe ipotizzarsi una ipotesi di donazione indiretta.
O addirittura si potrebbe sostenere che si esula dalla previsione di nuova operazione speculativa? Una vendita effettuata dal proprietario che ha acquisito l’immobile da oltre 5 anni, pur se con lavori di cui al superbonus sostenuti da terzi, potrebbe essere esclusa dalla nuova previsione?
Stessa identica cosa si potrebbe realizzare in presenza di una comproprietà, con spese sostenute non da tutti i comproprietari. Chi dichiarerà il reddito diverso in caso di vendita? Tutti i comproprietari con detrazione delle spese ammesse in proporzione?
La soluzione di questa problematica non ci pare semplice. Il reddito diverso, per immobili detenuti da oltre 5 anni, è collegato agli interventi di cui al superbonus; ma se il superbonus è stato riconosciuto ad un terzo, il proprietario che vende potrebbe essere escluso dalla previsione di reddito diverso. In affetti, nulla ha fatto.
Si evidenzia che la stessa cosa potrebbe realizzarsi anche per immobili detenuti da meno di 5 anni, per i quali il reddito diverso era previsto già dalle norme precedenti. Ma in questo caso si è sicuramente in presenza di una fattispecie già tassata, anche se la determinazione del plusvalore non appare comunque semplice. Chi si detrae le altre spese?
Cessione di immobili e provenienza successoria
Abbiamo già evidenziato come ci sia una incongruenza nelle nuove norme, circa la provenienza successoria. ( vedere articolo “ Cessione di immobile che ha usufruito del superbonus. Particolarità e problematiche applicative., Commercialista Telematico del 15 gennaio 2024 )
Dalla nuova previsione di reddito diverso sono esclusi “ gli immobili di provenienza successoria, anche se la fattispecie impositiva la si fa decorrere dall’ottenimento dei contributi di cui al superbonus. È di tutta evidenza l’indipendenza del presupposto. Che il bene sia pervenuto per successione o meno, è la vendita post ottenimento del superbonus a costituire operazione speculativa, a nulla appunto influendo l’origine del bene. Appare quindi evidente la disparità di trattamento per casi simili: il fatto che fa scattare la speculatività è lo stesso, anche se l’origine del bene è diversa. È benvero che anche nella situazione corrente la provenienza successoria, seguita da una vendita entro 5 anni, non è considerata operzione speculativa, ma il contribuente non aveva influito personalmente sulla origine del presupposto. Prima della vendita il contribuente nulla aveva fatto. Ora invece il contribuente, che abbia ereditato un bene, usufruisce del superbonus, e poi vende. È evidente che le due fattispecie non sono simili. Nel primo caso post successione si ha solo la vendita; nel secondo si ha l’utilizzo del superbonus ( ed è appunto questa fattispecie che si vuole colpire ) seguito dalla vendita. Eppure gli effetti sono gli stessi, nessun presupposto impositivo.”
È stata anche sostenuta la tesi dell’errore normativo, nel senso che la norma non è da intendersi letteralmente, ma che ci si voleva invece riferire al caso di vendita di immobile, su cui erano stati effettuati dei lavori con superbonus, pervenuto per successione. Ma si tratta di previsione per noi non del tutto chiara.
Cessione di immobili e provenienza donativa
Per gli immobili di provenienza donativa, in caso di vendita rientrante nei redditi diversi, la norma base prevede che si faccia riferimento alla data di acquisizione da parte del donante, per il calcolo dei 5 anni, e ai costi dallo stesso sostenuti. Ora la nuova norma, prevedendo un nuovo reddito diverso, nulla precisa al riguardo. Per immobili oggetto di superbonus da parte del donante, e ceduti poi dal donatario, si dovranno considerare i 10 anni, e non tenere conto delle spese di cui al superbonus? La norma tace, e nel silenzio dovrà essere previsto qualcosa, riteniamo non solo da circolari, ma normativamente. Altrimenti ci sarebbe un vuoto.
Cessione di immobili che hanno goduto di agevolazioni inferiori al 110%
La norma fa riferimento specifico agli interventi di cui al superbonus previsti dall’articolo 119 del Decreto Legge n. 34 del 19 maggio 2020, convertito con modificazioni nella legge n. 77 del 17 luglio 2020. Ora la norma prevede il superbonus del 110%. Poi norme successive, tra cui il DL n. 176 del 18 novembre 2022, hanno ridotto tale percentuale. Nelle specifico al 90%.
Ci si chiede, come intendere le nuove disposizioni?
Ora la previsione di operazione produttiva di redditi diversi fa riferimento all’articolo 119 sopra citato, che appunto prevedeva inizialmente il contributo al 110%, poi ridotto in casi particolari. Ci si dovrà riferire solo alle previsioni di cui al superbonus 110%, o a tutte quelle poi ridotte? A nostro avviso la questione non appare del tutto chiara.
In ogni caso si segnala come la modifica apportata all’articolo 68 del TUIR si riferisca esplicitamente solo “all’incentivo nella misura del 110%”, circa le spese non detraibili. Nella modifica all’articolo 67 si fa riferimento all’articolo 119, mentre appunto nella integrazione all’articolo 68 del TUIR il riferimento è limitato al superbonus del 110%. Parrebbe quindi, interpretando letteralmente, che nel caso di interventi con ad esempio superbonus ridotto al 90%, le spese si potrebbero detrarre. Non può essere così, ma le previsioni normative porterebbero a questo.
Cessione ante termine dei lavori
La norma che prevede la nuova fattispecie di reddito diverso (art. 1, commi da 64 a 67 della legge 213 del 30 dicembre 2023) fa decorrere il periodo di osservazione da lavori “conclusi da non più di 5 (o 10) anni all’atto della cessione “. Letteralmente proprio così è detto. Ora, la norma inserisce una nuova previsione di reddito diverso, in aggiunta a quelle già esistenti. Quindi, per restare nel campo delle vendite di immobili, oltre alla vendita di un immobile entro i 5 anni dall’acquisto o dalla costruzione, ora si ha il reddito diverso derivante dalla vendita di un immobile su cui si siano avuti i contributi 110% entro 5 o 10 anni dalla conclusione dei lavori. Il termine di decorrenza iniziale è proprio la conclusione dei lavori, che potrà essere determinata dalla Cilas o dalla Scia.
Ci si chiede: ma se si dovesse vendere prima della conclusione dei lavori, come sarà considerata, la fattispecie? Ovviamente se si dovesse rientrare nella previsione corrente, quella prima di questa novità, e cioè vendita entro 5 anni dall’acquisto, si rientrerebbe appieno nella previsione di vendita speculativa. Appare opportuno anche ricordare come, in questo ambito, la ristrutturazione non costituisca comunque elemento da cui far decorrere il periodo quinquennale di possesso ( Risposta ad interpello n. 560 del 18 novembre 2022 e, seppur indirettamente, la Circolare Ministeriale n. 11/E/2007, punto 3.1 ) e nello stesso tempo, in presenza di operazione speculativa ex art 67 TUIR, il contributo concesso non va detratto dai conteggi di cui all’art 68 TUIR ( Risposta ad interpello n. 57 del 31 gennaio 2022 e n. 204 del 24 marzo 2021 ). Come si può vedere, un atteggiamento molto permissivo, per queste cessioni, soggette alle norme preesistenti.
Ma come considerare questa operazione, sulla base della nuova norma? Letteralmente non ci si rientra, mancando il periodo di riferimento iniziale. I lavori non sono stati conclusi, e quindi non si rientrerebbe nella nuova previsione. Certo la fattispecie lascia perplessi, in quanto parrebbe troppo facile aggirare la norma. Basterebbe vendere prima del termine dei lavori. E come operazione, è ben possibile. Ricordiamo quanto è stato considerato sulla base della normativa pregressa: qualora risulti che oggetto della compravendita sia un fabbricato, ancorché allo stato rustico, ovvero non ultimato ma esistente ai sensi dell'articolo 2645-bis, comma 6, del codice civile (deve quindi esistere almeno un rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e deve essere completata la copertura), la plusvalenza derivante dalla cessione è inquadrabile nella previsione normativa di cui all'articolo 67, comma 1, lett. b), relativa agli immobili ceduti entro cinque anni dall'acquisto o dalla costruzione.
In tale ipotesi, per verificare l'esistenza del presupposto impositivo è necessario individuare il momento da cui inizia a decorre il computo del quinquennio.
In relazione a tale aspetto, considerato che l'immobile venduto è allo stato "rustico", si ritiene che occorre riferirsi al momento in cui il manufatto è stato realizzato e cioè al momento in cui è venuto ad esistenza secondo il criterio civilistico di cui all'art. 2645-bis, comma 6, c.c..
“Il concetto di ultimazione della costruzione o dell'intervento di ripristino dell'immobile, al quale si ricollega il regime impositivo dell'operazione, deve essere individuato con riferimento al momento in cui l'immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo. Pertanto, come già precisato con circolare n. 38/E del 12 agosto 2005 in materia di accertamento dei requisiti prima casa, si deve considerare ultimato l'immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l'attestazione della ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in catasto ai sensi degli articoli 23 e 24 del DPR 6 giungo 2001, n. 380. Inoltre, si deve ritenere ultimato anche il fabbricato concesso in uso a terzi, con i fisiologici contratti relativi all'utilizzo dell'immobile, poiché lo stesso, pur in assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente si presume che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche idonee a far ritenere l'opera di costruzione o di ristrutturazione completata.
Con riferimento ai fabbricati in corso di ristrutturazione si precisa che la relativa cessione si deve ritenere imponibile ad IVA a condizione che i lavori edili siano stati effettivamente realizzati anche se in misura parziale. Non è sufficiente, pertanto, la semplice richiesta delle autorizzazioni amministrative alla esecuzione dell'intervento perché il fabbricato possa considerarsi in fase di ristrutturazione. Se è stato richiesto o rilasciato il permesso a costruire o è stata presentata la denuncia di inizio attività ma non è stato dato inizio al cantiere, il fabbricato interessato non può essere considerato, ai fini fiscali, come un immobile in corso di ristrutturazione (circolare 12/E/2007 ).”
Ricordiamo anche quanto precisato in merito, dalla Risoluzione ministeriale n. 23/E del 28 gennaio 2009, e cioè che la cessione di un fabbricato in corso di costruzione, ma “esistente” dal punto di vista urbanistico (ossia costituito dal rustico comprensivo di mura perimetrali delle singole unità e di copertura), genera plusvalenza tassata ai fini Irpef, quando avviene entro cinque anni dalla sua “venuta ad esistenza”.
Diversamente, qualora l’edificio non possa essere considerato “esistente” sotto il profilo urbanistico, si configura una cessione di area edificabile che genera, in ogni caso, plusvalenza imponibile ad Irpef.
La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 15850 dell’8 giugno 2021, ha precisato che, nel caso in cui la dichiarazione di fine lavori del direttore evidenzi che una porzione di fabbricato è ancora da ultimare, per verificare la data di ultimazione della costruzione o dell’intervento occorre riferirsi a quella del successivo certificato di agibilità.
Un accavallamento delle norme
Ben potrebbe verificarsi un caso in cui siano applicabili due normative diverse, non essendoci una precisa prevalenza di una norma rispetto ad un’altra. Chi deciderà quale norma applicare?
Si tratta di questo; vendita di un immobile acquisito da meno di 5 anni, ovviamente non per successione e nemmeno adibito per la maggior parte del periodo ad abitazione principale dal proprietario o da familiari, sul quale si siano effettuati lavori che hanno dato origine ai contributi superbonus, con sconto in fattura o ceduti a terzi. Si tratta di una operazione che rientra in due norme diverse, sempre come reddito diverso.
Può infatti rientrare nel testo di base dell’articolo 67 del TUIR; si tratta di operazione speculativa, che in base alle interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate più sopra riportate è tassata con la possibilità di detrarre le spese sostenute, indipendentemente dal contributo incassato. Quindi plus tassata al lordo del contributo.
Ma rientra anche nella nuova norma, e non essendo passati 5 anni dalla conclusione dei lavori, la tassazione sarà piena, senza poter detrarre le spese di cui al superbonus.
Come si può notare,una differenza rilevantissima, e assolutamente ingiustificata. Magari l’Agenzia delle Entrate riterrà prevalente la nuova norma, ma in effetti manca un preciso riferimento obbligatorio a questa. La disposizione di cui all’articolo 67 originario del TUIR è sempre in vigore, e la scelta fra le due norme pare che sia del tutto libera.
Qualche esemplificazione
Potrebbe risultare interessante esaminare qualche esemplificazione pratica di sintesi, per immobili non pervenuti per successione e non adibiti per la maggior parte del periodo ad abitazione principale del proprietario o di suoi familiari e oggetto di superbonus 110% con sconto in fattura o cessione del contributo.
Caso a): vendita di un immobile ristrutturato, con lavori terminati, acquistato da meno di 5 anni; incertezza tra applicazione dell’art.67 del TUIR (con detrazione di tutte le spese di cui al superbonus, al lordo dei contributi ) e applicazione della nuova norma, con nessuna detrazione delle spese di cui al superbonus.
Caso b ): stesso caso, con lavori non terminati. Probabilmente applicazione solo dell’articolo 67 del TUIR, e nessuna applicazione della nuova norma.
Caso c): vendita di un immobile ristrutturato, indipendentemente dalla data di acquisto, entro 5 anni dal termine dei lavori: spese di cui al superbonus non detraibili dalla plusvalenza.
Caso d): vendita di un immobile ristrutturato, indipendentemente dalla data di acquisto, tra i 5 e i dieci anni dal termine dei lavori: spese di cui al superbonus detraibili al 50%. E costo di acquisto rivalutato in base agli indici ISTAT. Incertezza circa la rivalutazione anche dei costi di costruzione.
Tre particolarità e problematiche applicative
La prima particolarità è che, pur trattandosi di una nuova previsione di fattispecie imponibile, nella relazione tecnica non si fa alcuna previsione di entrata, il che non è certamente usuale. La legge di bilancio nasce dall’esigenza di reperire coperture finanziarie per maggiori spese o per coprire minori entrate; ma in questo specifico caso si evita invece ogni previsione. Si introduce una nuova norma e non se ne stimano gli effetti. Potrebbe essere eccepita la difficoltà di una stima corretta, essendo la imposizione legata a liberi e imprevedibili comportamenti dei contribuenti, ma non è certo la prima volta che si stimano entrate, come pure uscite, basate su comportamenti dei contribuenti.
Esaminiamo ora le problematiche applicative.
Seconda problematica: si escludono anche gli immobili utilizzati come abitazione principale del contribuente o dei propri familiari per la maggior parte del periodo. E il periodo è indicato in dieci anni antecedenti la cessione, o “qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo. “
In pratica viene ripreso quanto previsto dallìarticolo 67 del TUIR, con la sola differenza del termine, 10 anni in luogo di 5. Non ci si è probabilmente resi conto che nel caso di utilizzo del superbonus si fa riferimento, come termine iniziale per la decorrenza della operazione speculativa, al termine dei lavori, non all’acquisizione del bene. Qualcosa a nostro aviso pare non quadrare.
In ogni caso si fa anche riferimento alla “data di acquisto o di costruzione”.La congiunzione utilizzata “ o “ sta a significare che si tratta di due diverse ipotesi, contrapposte. Il caso dell’acquisto appare chiaro, anche se poi l’inizio della decorrenza del periodo decennale decorre da altra diversa data, successiva, quella del termine della costruzione. Si è quindi è in presenza di due decorrenze diverse, difficilmente conciliabili. Ma c’è dell’altro. Dopo il termine acquisto si utilizza l’espressione, per due volte “ o di costruzione “. E qui sorgono nuovi dubbi. Innanzitutto la congiunzione o sta a significare che si tratta di due casi diversi, la costruzione o l’acquisto. Ma l’espressione “ costruzione “ cosa significherà? Termine dei lavori? Ed allora, se la decorrenza è quella, basterà che per la maggior parte del periodo intercorrente tra il termine dei lavori e la vendita l’immobile sia stato abibito ad abitazione principale del contribuente o di un suo familiare. E questo periodo potrà anche essere brevissimo, non essendo determinato un periodo minimo, ma solo una percentuale ( maggior parte ) .
Che con “ costruzione “ci si volesse riferire al caso in cui si trattasse di completa demolizione del bene e successiva ricostruzione, con il superbonus, appunto? Parrebbe che poco cambiasse, comunque.
Infine una terza problematica la riscontriamo nella previsione di speculatività solo nel caso in cui si sia goduto dello sconto in fattura o della cession del credito derivante dal superbonus. Chi avesse invece detratto il contributo annualmente nella dichiarazione dei redditi è infatti escluso da questa previsione. Non se ne ravvedono valide ragioni per un così diverso trattamento. In fin dei conti la fattispecie è la stessa, e cambiano solo le modalità di utilizzo del beneficio. Con questa differenziazione in pratica si vuole appunto colpire chi ha utilizzato una particolare modalità applicativa proposta dalla norma, un utilizzo immediate piuttosto che dilazionato nel tempo; quale ne sia la differenza, ai fini della speculatività, ci appare del tutto ignoto.
Aspetti da approfondire
Decorrenza
La decorrenza temporale iniziale delle nuove operazioni imponibili è stata fissata dalla conclusione dei lavori. Quindi non più acquisizione del bene, ma conclusione dei lavori. Ma di quale conclusione si tratterà? Della chiusura della CILAS ( che appunto riguarda gli interventi di cui al superbonus ) oppure, se richiesta, della SCIA, che riguarda l’intervento nel suo complesso. Tenuto conto dei riferimenti normativi, preponderemmo per la chiusura della CILAS, specifica appunto del superbonus.
Entità
Non si tiene conto, tra i costi dell’intervento, di quelli che hanno dato origine al superbonus. Nel silenzio della norma si deve intendere che eventuali eccedenze di spesa, rispetto al limite massimo consentito, devono comunque poter essere considerate, non avendo appunto dato origine ad alcun contributo. Una lettura diversa non sarebbe sostenibile.
Rivalutazione
Per i beni “acquisiti o costruiti “ da oltre 5 anni rispetto al momento della cessione, è ammesso il 50% delle spese sostenute in detrazione, rivalutate in base agli indici Istat. Al di là della difficoltà di vedere in pratica la applicazione della fattispecie acquisizione, in presenza di Superbonus, le spese sostenute andranno rivalutate, ancorchè ridotte alla metà. Si ritiene in base al mese di sostentamento della spesa stessa.
“o “
La congiunzione “ o “ utilizzata dalla norma tra acquisizione e costruzione parrebbe non avere alcuna logica; in presenza di superbonus non si comprende a cosa si possa riferire la fattispecie acquisizione. Il superbonus è stato dato per determinati lavori; non si comprende quindi di che acquisizione si possa trattare.
La retroattività
La nuova previsione di speculatività decorre dall’1 gennaio 2024, quindi da vendite poste in essere da quella data. Ma in pratica ricomprende fatti sorti in assenza di questa nuova previsione; di fatto si ha una applicazione retroattiva della norma. Nel momento in cui il contribuente ha deciso di effettuare i lavori non aveva certamente previsto questa nuova imposizione, allora del tutto sconosciuta, e ovviamente nemmeno poteva aver previsto che dalle modalità di diverso utilizzo del superbonus ne sarebbero derivate conseguenze del tutto differenti. In caso di riporto del credito in quote annuali, in detrazione nella dichiarazione dei redditi, infatti, nessuna imposizione, applicata invece nel caso dello sconto in fattura o della cessione. Da una libera scelta, fatta al momento dell’utilizzo del superbonus, del tutto ininfluente al momento in cui è stata fratta, ed ignari delle conseguenze future, si fanno derivare effetti del tutto differenti. È evidente che così di fatto si applica una imposta in via retroattiva, il che non è ammesso.
Disparità di trattamento
Si riscontrano varie disparità di trattamento, nella norma, più o meno rilevanti.
La prima riguarda la esclusione, dalla presunzione di speculatività, per i beni di acquisizione successoria. Il che contrasterebbe con il fattore che fa decorrere il periodo caretterizzante la speculatività, la conclusione dei lavori. La esclusione della provenienza successoria ha un senso per la norma del TUIR, in quanto manca il fattore speculativo inziale, essendo solo due i fatti, la acquisizione successoria e poi la vendita. Ma nella fattispecie qui esaminata oltre alla acquisizione si hanno i lavori, e da questi si fa derivare la ritenuta speculatività. La provenienza parrebbe non avere una valenza particolare. È dal momento del termine dei lavori che inizia a decorrere il periodo di osservazione per determinare la speculatività. In questa fattispecie si hanno tre momenti, la provenienza successoria, l’effettuazione dei lavori di cui al superbonus e poi la vendita. E la effettuazione dei lavori è una libera scelta, del tutto scollegata dal tipo di provenienza. Che questa sia successoria, non cambia la natura delle cose.
La seconda è l’esclusione, da questa presunzione di speculatività, dei soggetti che abbiano ritenuto di detrarre il contributo in quote annuali dalla propria dichiarazione dei redditi. Evidentemente è stato ritenuto caratterizzante la speculatività l’aver richiesto lo sconto in fattura o la cessione del contributo. Pare difficile trovare una giustificazione, a tutto ciò.
La terza è l’ evidente la disparità di trattamento, ai fini della rivalutazione in base agli indici ISTAT, anche se solo per metà delle spese, con l’altra fattispecie, quella di una vendita prima dei 5 anni, nel qual caso non si ha nessuna detrazione, tantomeno rivalutata. Ulteriore penalizzazione per quest’ultimo caso, ove appunto le spese proprio non sono ammesse, e il costo di acquisto non è rivalutato. Tra l’altro questo aspetto della rivalutazione per le costruzioni è una novità di questa norma, essendo prevista in altre fattispecie di redditi diversi, se non andiamo errati, solo per i terreni, non per le costruzioni. Ma ci chiediamo, che senso ha ammettere la rivalutazione Istat, ma solo su metà dell’importo? Qualcosa stride.
Incentivi inferiori al 110%
Per quanto concerne gli incentivi inferiori al 110% ( quindi incentivi diversi dall’efficientamento energetico, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica per veicoli elettrici ) non dovrebbero esistere incertezze, ma ne trattiamo lo stesso. Ora, la nuova norma circa la indeducibilità delle spese e la previsione della nuova fattispecie speculativa fa esplicito riferimento all’articolo 119 della legge 77/2020. Quindi solo ai lavori che hanno dato origine all’incentivo al 110%. Gli altri bonus non sono citati, e quindi dovrebbe valere la interpretazione data dalla stessa Amministrazione finanziaria. La ristrutturazione, oltre a non costituire elemento da cui far decorrere il periodo quinquennale di possesso ( Risposta ad interpello n. 560 del 18 novembre 2022 e, seppur indirettamente, con la Circolare Ministeriale n. 11/E/2007, punto 3.1 ), in presenza di operazione speculativa ex art 67 TUIR, il contributo concesso non andava detratto dai conteggi di cui all’art 68 TUIR ( Risposta ad interpello n. 57 del 31 gennaio 2022 e n. 204 del 24 marzo 2021 ). Come si può vedere, un atteggiamento molto permissivo. Pertanto per tutti quei lavori non compresi nel 110% ( si pensi ad esempio alle facciate, al 90% ) non vale la nuova presunzione della speculatività, e in presenza di operazione speculativa, vecchia o nuova, le spese sono ammesse in detrazione, ancorchè oggetto di incentivo.
Successiva vendita
È stato rilevato che, da come è stata scritta la norma, lo stesso regime dovrebbe valere anche per eventuali successive cessioni, cessioni fatte dal nuovo acquirente. Quindi chi dovesse rivendere un immobili acquistato post utilizzo del superbonus da parte del primo venditore sarebbe assoggettato allo stesso regime. Appare del tutto ovvio che così non potrà essere, e pertanto ci saranno sicuramente interpretazioni ufficiali in questo senso.
Casi “ibridi “
Ovviamente ci possono essere casi ibridi, in cui i costi di un SAL siano stati ceduti, ed altri costi no ( detratti o trasferiti. La fattispecie dovrebbe rientrare nella nuova previsione di speculatività, ma quanto agli importi, non potranno essere detratti solo quelli di cui alla cessione.
Le criticità della nuova norma. Possibile incostituzionalità
La nuova norma ha delle evidenti criticità, a nostro avviso.
Poteva benissimo affermare che, in presenza di operazione speculativa, e quindi tassabile di per sé stessa ( immobile acquistato da meno di 5 anni oppure non utilizzato in proprio o da familiari per la maggior parte del periodo), le spese oggetto di superbonus non potevano essere detratte. Questa poteva essere una indicazione corretta,e sicuramente del tutto condivisibile. Ma il legislatore non si è limitato a questo, e si è allargato. Intanto ha esteso il periodo di osservazione da 5 anni a 10 anni, seppure in questo caso con un trattamento in parte differenziato, e poi ha fatto decorrere il periodo di osservazione non dall’acquisto, come è sempre stato, e come parrebbe del tutto logico che fosse, ma dal termine dei lavori.
Potrebbe quindi verificarsi che la cessione di un bene, posseduto da decenni, solo per effetto della effettuata ristrutturazione con superbonus, faccia diventare la vendita operazione speculativa, e questo con una durata del tutto inusuale.
Quasi che la speculatività sia vista nella concessione ai lavori o meglio nell’utilizzo del superbonus, non nei lavori. Nel contempo, e non se ne comprende la ragione, invero, vengono escluse le provenienze successorie. Ma se si ritiene di trovare la speculatività nel termine dei lavori, appare del tutto ininfluente la modalità di acquisizione, come pure i relativi tempi, dovendo ora solo guardare al termine dei lavori.
Non si comprende poi perché ci si riferisca ai soli casi della cessione del credito e sconto in fattura, e non in presenza di credito indicato nei modelli Unico. Le fattispecie ci paiono strutturalmente identiche, lavori con il beneficio del superbonus. Quasi che la speculatività a questo punto fosse vista nella cessione del credito ! È di tutta evidenza come una costruzione di questo tipo presti il fianco a facili contestazioni per disparità di trattamento.
Si osservano poi altre evidenti disparità di trattamento. Le cessioni effettuate nel 2023 sono soggette alle norme precedenti; con il solo passare di un giorno, dall’1 gennaio 2024 la stessa operazione diventa operazione speculativa. La cosa non ci convince.
A nostro avviso la norma potrebbe essere dichiarata incostituzionale, trattando in modo differenziato soggetti che hanno compiuto operazioni similari, al solo verificarsi di una modalità di ottenimento del superbonus. E in ogni caso, si potrebbe ritenere che la speculatività possa essere considerata solo in presenza di determinati presupposti temporali. Se al momento in cui è stato ottenuto il superbonus la speculatività non esisteva, come fa a verificarsi in presenza di una vendita, e con decorrenza dal termine dei lavori? Qualcosa pare non essere del tutto coerente.
Si tratta di una norma molto penalizzante, dettata probabilmente per far rimpiangere, a chi abbia ceduto il credito derivante da superbonus, il richiesto beneficio. Ma invero non se ne comprende la ragione. I lavori di cui al superbonus non possono costituire elemento costitutivo iniziale di una operazione speculativa, tantopiù nel caso di proprietà acquisita nel passato; ne manca ogni presupposto logico. In ogni caso si tratta di una norma di fatto con applicazione retroattiva, il che in campo tributario non dovrebbe essere ammesso.
Per quanto concerne i lavori condominiali, poi, la presunzione di speculatività non regge.
Ci paiono esistere plurimi motivi di disparità di trattamento, e ci attendiamo plurime eccezioni di incostituzionalità.
Conclusione
Come risulta evidente da quanto sopra riportato, innumerevoli sono le problematiche poste dalla nuova norma, ancora in attesa di interpretazioni ufficiali. Restano comunque evidenti le criticità proprio alla stessa base del provvedimento normativo.