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Cessioni post superbonus: i non esaustivi chiarimenti dal Fisco (parte seconda)

di Giuseppe Rebecca
commercialistatelematico.com - 26 giugno 2024

Continuiamo la disamina dei chiarimenti offerti dal Fisco sulla tassazione in caso di cessione dei fabbricati ristrutturati con Superbonus: la Circolare del Fisco chiarisce troppo poco.

Nella prima parte ci siamo occupati delle modifiche all'art. 67 del TUIR (Redditi diversi), qui delle modifiche all'art. 68 in tema di plusvalenze...

Punto 1.2 Modifiche all'articolo 68 del TUIR - 

a) Calcolo plusvalore

La circolare specifica le modalità di calcolo del plusvalore, in presenza di lavori che hanno goduto del superbonus, al 110% o meno Così precisa la circolare:

"la norma in questione prevede due diverse ipotesi di calcolo, a seconda che tra la data di conclusione degli interventi agevolati di cui all'articolo 119 del decreto Rilancio e la data di cessione dell'immobile siano trascorsi:

  • non più di cinque anni,
  • più di cinque anni.

Nel primo caso, la norma stabilisce che non si tiene conto delle spese relative agli interventi ammessi al Superbonus «(...) qualora si sia fruito dell'incentivo nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni di cui all'articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto-legge n. 34 del 2020 (...)».

Di conseguenza, le spese in questione non possono essere riconosciute a incremento del prezzo di acquisto (o costo di costruzione) dell'immobile qualora si verifichino, congiuntamente, le due seguenti ipotesi:

a) l'esecuzione dell'intervento agevolato abbia comportato la fruizione del Superbonus nella misura del 110 per cento;

b) siano state esercitate le opzioni per lo sconto in fattura praticato dal fornitore o per la cessione del credito d'imposta.

In merito all'ipotesi a), si evidenzia che l'irrilevanza delle spese in questione, ai fini del calcolo della plusvalenza, si verifica nel caso di Superbonus spettante nella misura del 110 per cento, ma non anche nel caso di fruizione dell'agevolazione nelle diverse (e inferiori) misure previste dall'articolo 119 del decreto Rilancio.

Depongono in tal senso il tenore letterale della norma, che stabilisce che non si tiene conto delle spese relative agli interventi agevolati ai sensi dell'articolo 119 del decreto Rilancio «(...) qualora si sia fruito dell'incentivo nella misura del 110 per cento (...)», e il contenuto della relazione di accompagnamento al disegno di legge di bilancio, secondo cui, "ai fini della determinazione della plusvalenza, non concorrono al computo dei costi inerenti al bene quelli relativi agli interventi che danno diritto al Superbonus agevolati nella misura del 110 per cento".

Laddove, per il medesimo immobile, si sia fruito dell'incentivo in parte nella misura del 110 per cento e in parte in una misura inferiore (a titolo di esempio 70 per cento), l'irrilevanza delle spese relative agli interventi agevolati riguarderà solo le spese che hanno dato luogo all'incentivo nella misura del 110 per cento; le altre spese, invece, potranno essere considerate - al ricorrere di tutti i requisiti previsti dalla legge - tra i costi inerenti all'immobile ceduto.." E sul punto così sintetizza, alla fine:

  • "Il novellato articolo 67 del TUIR prevede una nuova fattispecie di plusvalenza immobiliare che riguarda la cessione "infr adecennale" d'immobili che sono stati interessati dagli interventi ammessi al Superbonus, indipendentemente dal soggetto che ha eseguito gli interventi (cedente o altri aventi diritto), dalla percentuale di detrazione spettante e dalla modalità di fruizione di quest'ultima;
  • Il nuovo articolo 68, nel definire le modalità di calcolo della predetta plusvalenza per il cedente, stabilisce l'irrilevanza (totale o parziale) delle spese relative agli interventi agevolati solo qualora si sia fruito del Superbonus nella misura del 110 per cento e siano state esercitate le opzioni per lo sconto in fattura o la cessione del credito d'imposta. "

Come si vede, quindi, due fattispecie diverse, soprattutto nella determinazione della plusvalenza. Si rimanda anche a quanto precisato nel punto b) della precedente analisi dell'art.67 TUIR.

Quello che la circolare non tratta -

a) Spese sostenute da terzi

La circolare non tratta, se non come previsione generica, del caso delle spese sostenute da terzi.

Ricordiamo quanto abbiamo sollevato, su questo aspetto:

Come è noto, i lavori che danno diritto al superbonus possono essere sostenuti anche da altri soggetti, diversi dal proprietario. La circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 17 del 26 giugno 2023 ha ben specificato nel dettaglio questo aspetto.

Innanzi tutto, le persone fisiche che sostengono tali spese devono possedere o detenere l'immobile oggetto dell'intervento in base ad un titolo idoneo al momento dell'avvio dei lavori. E qualora l'unità immobiliare sia in comproprietà fra più soggetti, il diritto alla detrazione spetta in relazione alle spese sostenute e rimaste a carico, prescindendo dalla quota di proprietà.

Riportiamo integralmente quanto espresso sul punto in tale circolare.

"Soggetti che possono fruire della detrazione

Possono fruire della detrazione tutti i contribuenti assoggettati all'imposta sul reddito delle persone fisiche, residenti o meno nel territorio dello Stato (Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 2).

La detrazione spetta a condizione che i soggetti possiedano o detengano, sulla base di un titolo idoneo, gli immobili oggetto degli interventi e ne sostengano le relative spese. Il possesso di un titolo idoneo nonché la disponibilità dell'immobile richiesti al momento del sostenimento delle spese che danno diritto alla detrazione, non è necessario che permangano per l'intero periodo di fruizione della detrazione stessa. I soggetti legittimati sono:

  • proprietari o nudi proprietari;
  • titolari di un diritto reale di godimento quale usufrutto, uso, abitazione o superficie;
  • soci di cooperative a proprietà divisa e indivisa;
  • imprenditori individuali, per gli immobili non rientranti fra i beni strumentali o beni merce (Circolare 11.05.1998 n. 121, paragrafo 2.3);
  • soggetti indicati nell'art. 5 del TUIR, che producono redditi in forma associata (società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice e soggetti a questi equiparati, imprese familiari), alle stesse condizioni previste per gli imprenditori individuali;
  • detentori (locatari, comodatari) dell'immobile (Circolare 24.02.1998 n. 57, paragrafo 2);
  • familiari conviventi;
  • coniuge separato assegnatario dell'immobile intestato all'altro coniuge (Circolare 09.05.2013 n. 13/E, risposta 1.2);
  • conviventi di fatto di cui all'art. 1, commi 36 e 37, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (ed. legge Cirinnà);
  • futuro acquirente

Detentore

La detrazione spetta ai detentori dell'immobile, a condizione che siano in possesso del consenso all'esecuzione dei lavori da parte del proprietario e che la detenzione dell'immobile risulti da un atto (contratto di locazione, anche finanziaria, o di comodato) regolarmente registrato al momento di avvio dei lavori e sussista al momento del sostenimento delle spese ammesse alla detrazione, anche se antecedente il predetto avvio. La data di inizio dei lavori deve essere comprovata dai titoli abilitativi, se previsti, ovvero da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà effettuata nei modi e nei termini previsti dal d.P.R. n. 445 del 2000. Il consenso all'esecuzione dei lavori da parte del proprietario, invece, può essere acquisito in forma scritta anche successivamente all'inizio dei lavori a condizione, tuttavia, che sia formalizzato entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi nella quale si intende fruire della detrazione medesima.

Fino al 2011, essendo vigente l'obbligo di inviare la comunicazione al Centro operativo di Pescara, la data di inizio lavori era rilevata da tale comunicazione (Risoluzione 06.05.2002 n. 136/E).

Al fine di garantire la necessaria certezza ai rapporti tributari, la mancanza, al momento dell'inizio dei lavori, di un titolo di detenzione dell'immobile risultante da un atto registrato preclude il diritto alla detrazione, anche se si provvede alla successiva regolarizzazione.

Familiare convivente

La detrazione spetta al familiare convivente del possessore o detentore dell'immobile oggetto dell'intervento (Circolare 11.05.1998 n. 121, paragrafo 2.1). Per familiari si intendono, a norma dell'art. 5, comma 5, del TUIR, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Per fruire della detrazione non è necessario che i familiari abbiano sottoscritto un contratto di comodato essendo sufficiente che attestino, mediante una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di essere familiari conviventi (Circolare 11.05.1998 n. 121, paragrafo 2.1). Lo status di convivenza deve verificarsi già al momento in cui si attiva la procedura ovvero, come sopra detto per i detentori, alla data di inizio dei lavori

(Risoluzione 06.05.2002 n. 136/E) e sussistere al momento del sostenimento delle spese ammesse alla detrazione, anche se antecedente il predetto avvio.

Lo status di convivenza, nonché la disponibilità dell'immobile richiesti al momento del sostenimento delle spese che danno diritto alla detrazione, non è necessario che permangano per l'intero periodo di fruizione della detrazione stessa.

La detrazione spetta al familiare per i costi sostenuti per gli interventi effettuati su una qualsiasi delle abitazioni in cui si esplica la convivenza, indipendentemente dalla ubicazione della stessa, purché tale

immobile risulti a disposizione. Ai fini della detrazione, si considera a disposizione anche l'immobile oggetto di ordinanze sindacali di sgombero, in quanto inagibile totalmente o parzialmente per cause di forza maggiore (ad esempio, a causa di un evento sismico o calamitoso).

La detrazione non compete, quindi, per le spese riferite ad immobili a disposizione di altri familiari (ad esempio, il marito non può fruire della detrazione per le spese di ristrutturazione di un immobile di proprietà della moglie dato in comodato alla figlia) o di terzi.

Non è invece richiesto che l'immobile oggetto dell'intervento sia adibito ad abitazione principale del proprietario o del familiare convivente (Circolare 10.06.2004 n. 24/E, risposta 1.10, e Circolare 12.06.2002 n. 50/E, risposta 5.1). Ferme restando le altre condizioni, la detrazione spetta anche se le abilitazioni comunali all'esecuzione dei lavori sono intestate al proprietario dell'immobile e non al familiare che usufruisce della detrazione (Risoluzione 12.06.2002 n. 184/E).

Convivente di fatto

Per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2016, la detrazione spetta al convivente di fatto del possessore o detentore dell'immobile anche in assenza di un contratto di comodato. La disponibilità dell'immobile da parte del convivente risulta, infatti, insita nella stabile convivenza che si esplica ai sensi dell'art. 1, commi 36 e 37, della legge n. 76 del 2016.

Il convivente di fatto che sostiene le spese di recupero del patrimonio edilizio, nel rispetto delle condizioni previste dal richiamato art. 16-bis del TUIR, può, quindi, fruire della detrazione alla stregua di quanto chiarito per i familiari conviventi. Così, ad esempio, può beneficiare della detrazione anche per le spese sostenute per interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza, anche se diversa dall'abitazione principale della coppia.

Ai fini dell'accertamento della "stabile convivenza", la legge n. 76 del 2016 richiama il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223 (Risoluzione 28.07.2016 n. 64/E); tale status può risultare dai registri anagrafici o essere oggetto di autocertificazione resa ai sensi dell'art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000."

Ed ora esaminiamo la problematica che si pone in caso di vendita di tali beni.

Ovviamente la cessione è effettuata dal legittimo proprietario, e non potrebbe essere altrimenti. Ma come si dovrà comportare per la dichiarazione del reddito diverso? Dovrà dichiararlo il proprietario venditore, e detrarre le spese ammesse in detrazione?

Certo non si tratta delle spese di cui al superbonus, in quanto escluse o in futuro ammesse solo al 50%, ma di tutte le altre spese, e ci riferiamo alle spese eccedenti il 110% ammesso e quelle relative agli interventi che esulano da tali contributi. Queste spese sono state sostenute da terzi, mentre la vendita è fatta dal proprietario. Forse potrebbe ipotizzarsi una ipotesi di donazione indiretta.

O addirittura si potrebbe sostenere che si esula dalla previsione di nuova operazione speculativa? Una vendita effettuata dal proprietario che ha acquisito l'immobile da oltre 5 anni, pur se con lavori di cui al superbonus sostenuti da terzi, potrebbe essere esclusa dalla nuova previsione?

Stessa identica cosa si potrebbe realizzare in presenza di una comproprietà, con spese sostenute non da tutti i comproprietari. Chi dichiarerà il reddito diverso in caso di vendita? Tutti i comproprietari con detrazione delle spese ammesse in proporzione?

La soluzione di questa problematica non ci pare semplice. Il reddito diverso, per immobili detenuti da oltre 5 anni, è collegato agli interventi di cui al superbonus; ma se il superbonus è stato riconosciuto ad un terzo, il proprietario che vende potrebbe essere escluso dalla previsione di reddito diverso. In affetti, nulla ha fatto.

Si evidenzia che la stessa cosa potrebbe realizzarsi anche per immobili detenuti da meno di 5 anni, per i quali il reddito diverso era previsto già dalle norme precedenti. Ma in questo caso si è sicuramente in presenza di una fattispecie già tassata, anche se la determinazione del plusvalore non appare comunque semplice. Chi si detrae le altre spese?

 

b) Provenienza successoria

La circolare non tratta dei lavori sostenuti, in tutto o in parte, dall'erede. Riportiamo quanto da noi già osservato, in passato:

"Dalla nuova previsione di reddito diverso sono esclusi "gli immobili di provenienza successoria, anche se la fattispecie impositiva la si fa decorrere dall'ottenimento dei contributi di cui al superbonus. E di tutta evidenza l'indipendenza del presupposto. Che il bene sia pervenuto per successione o meno, è la vendita post ottenimento del superbonus a costituire operazione speculativa, a nulla appunto influendo l'origine del bene.

Appare quindi evidente la disparità di trattamento per casi simili: il fatto che fa scattare la speculatività è lo stesso, anche se l'origine del bene è diversa. È ben vero che anche nella situazione corrente la provenienza successoria, seguita da una vendita entro 5 anni, non è considerata operazione speculativa, ma il contribuente non aveva influito personalmente sulla origine del presupposto.

Prima della vendita il contribuente nulla aveva fatto. Ora invece il contribuente, che abbia ereditato un bene, usufruisce del superbonus, e poi vende. È evidente che le due fattispecie non sono simili.

Nel primo caso post successione si ha solo la vendita; nel secondo si ha l'utilizzo del superbonus (ed è appunto questa fattispecie che si vuole colpire) seguito dalla vendita. Eppure, gli effetti sono gli stessi, nessun presupposto impositivo."

È stata anche sostenuta la tesi dell'errore normativo, nel senso che la norma non è da intendersi letteralmente, ma che ci si voleva invece riferire al caso di vendita di immobile, su cui erano stati effettuati dei lavori con superbonus, pervenuto per successione. Ma si tratta di previsione per noi non del tutto chiara."

 

c) Cessione di Immobili e provenienza donativa

Per gli immobili di provenienza donativa, in caso di vendita rientrante nei redditi diversi, la norma base prevede che si faccia riferimento alla data di acquisizione da parte del donante, per il calcolo dei 5 anni, e ai costi dallo stesso sostenuti. Ora la nuova norma, prevedendo un nuovo reddito diverso, nulla precisa al riguardo.

Per immobili oggetto di superbonus da parte del donante, e ceduti poi dal donatario, si dovranno considerare i 10 anni, e non tenere conto delle spese di cui al superbonus?

La norma tace, e nel silenzio dovrà essere previsto qualcosa, riteniamo non solo da circolari, ma normativamente. Altrimenti ci sarebbe un vuoto.

In ogni caso la circolare n 15/2024 conferma soltanto che per gli immobili acquisiti per donazione si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante.

 

d) Oneri finanziari

Nulla dice la circolare di come considerare gli oneri finanziari derivanti dalla cessione del credito Potranno essere considerati come oneri detraibili? Non ne saremmo sicuri.

 

e) Cessione ante termine dei lavori

Nulla vien detto in merito a questa ipotesi. La norma che prevede la nuova fattispecie di

reddito diverso (art. 1, commi da 64 a 67 della legge 213 del 30 dicembre 2023) fa decorrere il periodo di osservazione da lavori "conclusi da non più di 5( o 10) anni all'atto della cessione".

Letteralmente proprio così è detto. Ora, la norma inserisce una nuova previsione di reddito diverso, in aggiunta a quelle già esistenti. Quindi, per restare nel campo delle vendite di immobili, oltre alla vendita di un immobile entro i 5 anni dall'acquisto o dalla costruzione, ora si ha il reddito diverso derivante dalla vendita di un immobile su cui si siano avuti i contributi 110% entro 5 o 10 anni dalla conclusione dei lavori. Il termine di decorrenza iniziale è proprio la conclusione dei lavori, che potrà essere determinata dalla Cilas o dalla Scia.

Ci si chiede: ma se si dovesse vendere prima della conclusione dei lavori, come sarà considerata, la fattispecie?

Ovviamente se si dovesse rientrare nella previsione corrente, quella prima di questa novità, e cioè vendita entro 5 anni dall'acquisto, si rientrerebbe appieno nella previsione di vendita speculativa.

Appare opportuno anche ricordare come, in questo ambito, la ristrutturazione non costituisca comunque elemento da cui far decorrere il periodo quinquennale di possesso (Risposta ad interpello n. 560 del 18 novembre 2022 e, seppur indirettamente, la Circolare Ministeriale n. ll/E/2007, punto 3.1) e nello stesso tempo, in presenza di operazione speculativa ex art. 67 TUIR, il contributo concesso non va detratto dai conteggi di cui all'art 68 TUIR (Risposta ad interpello n. 57 del 31 gennaio 2022 e n. 204 del 24 marzo 2021).

Come si può vedere, un atteggiamento molto permissivo, per queste cessioni, soggette alle norme preesistenti.

Ma come considerare questa operazione, sulla base della nuova norma? Letteralmente non ci si rientra, mancando il periodo di riferimento iniziale. I lavori non sono stati conclusi, e quindi non si rientrerebbe nella nuova previsione.

Certo la fattispecie lascia perplessi, in quanto parrebbe troppo facile aggirare la norma. Basterebbe vendere prima del termine dei lavori. E come operazione, è ben possibile.

Ricordiamo quanto è stato considerato sulla base della normativa pregressa: qualora risulti che oggetto della compravendita sia un fabbricato, ancorché allo stato rustico, ovvero non ultimato ma esistente ai sensi dell'articolo 2645-bis, comma 6, del codice civile (deve quindi esistere almeno un rustico comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e deve essere completata la copertura), la plusvalenza derivante dalla cessione è inquadrabile nella previsione normativa di cui all'articolo 67, comma 1, lett. b), relativa agli immobili ceduti entro cinque anni dall'acquisto o dalla costruzione.

In tale ipotesi, per verificare l'esistenza del presupposto impositivo è necessario individuare il momento da cui inizia a decorre il computo del quinquennio.

In relazione a tale aspetto, considerato che l'immobile venduto è allo stato "rustico", si ritiene che occorre riferirsi al momento in cui il manufatto è stato realizzato e cioè al momento in cui è venuto ad esistenza secondo il criterio civilistico di cui all'art. 2645-bis, comma 6, ce.

"Il concetto di ultimazione della costruzione o dell'intervento di ripristino dell'immobile, al quale si ricollega il regime impositivo dell'operazione, deve essere individuato con riferimento al momento in cui l'immobile sia idoneo ad espletare la sua funzione ovvero sia idoneo ad essere destinato al consumo.  Pertanto, come già precisato con circolare n. 38/E del 12 agosto 2005 in materia di accertamento dei requisiti prima casa, si deve considerare ultimato l'immobile per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l'attestazione della ultimazione degli stessi, che di norma coincide con la dichiarazione da rendere in catasto ai sensi degli articoli 23 e 24 del DPR 6 giungo 2001, n. 380. Inoltre, si deve ritenere ultimato anche il fabbricato concesso in uso a terzi, con i fisiologici contratti relativi all'utilizzo dell'immobile, poiché lo stesso, pur in assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente si presume che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche idonee a far ritenere l'opera di costruzione o di ristrutturazione completata.  Con riferimento ai fabbricati in corso di ristrutturazione si precisa che la relativa cessione si deve ritenere imponibile ad IVA a condizione che i lavori edili siano stati effettivamente realizzati anche se in misura parziale.  Non è sufficiente, pertanto, la semplice richiesta delle autorizzazioni amministrative alla esecuzione dell'intervento perché il fabbricato possa considerarsi in fase di ristrutturazione.  Se è stato richiesto o rilasciato il permesso a costruire o è stata presentata la denuncia di inizio attività ma non è stato dato inizio al cantiere, il fabbricato interessato non può essere considerato, ai fini fiscali, come un immobile in corso di ristrutturazione (circolare 12/E/2007)".

Ricordiamo anche quanto precisato in merito, dalla Risoluzione ministeriale n. 23/E del 28 gennaio 2009, e cioè che la cessione di un fabbricato in corso di costruzione, ma "esistente" dal punto di vista urbanistico (ossia costituito dal rustico comprensivo di mura perimetrali delle singole unità e di copertura), genera plusvalenza tassata ai fini Irpef, quando avviene entro cinque anni dalla sua "venuta ad esistenza".

Diversamente, qualora l'edificio non possa essere considerato "esistente" sotto il profilo urbanistico, si configura una cessione di area edificabile che genera, in ogni caso, plusvalenza imponibile ad Irpef.

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 15850 dell'8 giugno 2021. ha precisato che, nel

caso in cui la dichiarazione di fine lavori del direttore evidenzi che una porzione di fabbricato è ancora da ultimare, per verificare la data di ultimazione della costruzione o dell'intervento occorre riferirsi a quella del successivo certificato di agibilità.

 

f) Entità

Non si tiene conto, tra i costi dell'intervento, di quelli che hanno dato origine al superbonus. Nel silenzio della norma si deve intendere che eventuali eccedenze di spesa, rispetto al limite massimo consentito, devono comunque poter essere considerate, non avendo appunto dato origine ad alcun contributo. Una lettura diversa non sarebbe sostenibile.

 

g) Rivalutazione

Per i beni "acquisiti o costruiti" da oltre 5 anni rispetto al momento della cessione, è ammesso il 50% delle spese sostenute in detrazione, rivalutate in base agli indici Istat.

Al di là della difficoltà di vedere in pratica la applicazione della fattispecie acquisizione, in presenza di Superbonus, le spese sostenute andranno rivalutate, ancorché ridotte alla metà. Si ritiene in base al mese di sostentamento della spesa stessa.

 

h) "o "

La congiunzione "o" utilizzata dalla norma tra acquisizione e costruzione parrebbe non avere alcuna logica; in presenza di superbonus non si comprende a cosa si possa riferire la fattispecie acquisizione. Il superbonus è stato dato per determinati lavori; non si comprende quindi di che acquisizione si possa trattare.

 

i) La retroattività

La nuova previsione di speculatività decorre dal 1° gennaio 2024, quindi da vendite poste in essere da quella data. Ma in pratica ricomprende fatti sorti in assenza di questa nuova previsione; di fatto si ha una applicazione retroattiva della norma.

Nel momento in cui il contribuente ha deciso di effettuare i lavori non aveva certamente previsto questa nuova imposizione, allora del tutto sconosciuta, e ovviamente nemmeno poteva aver previsto che dalle modalità di diverso utilizzo del superbonus ne sarebbero derivate conseguenze del tutto differenti. In caso di riporto del credito in quote annuali, in detrazione nella dichiarazione dei redditi, infatti, nessuna imposizione, applicata invece nel caso dello sconto in fattura o della cessione.

Da una libera scelta, fatta al momento dell'utilizzo del superbonus, del tutto ininfluente al momento in cui è stata fratta, ed ignari delle conseguenze future, si fanno derivare effetti del tutto differenti. E' evidente che così di fatto si applica una imposta in via retroattiva, il che non è ammesso.

I) Disparità di trattamento

Si riscontrano varie disparità di trattamento, nella norma, più o meno rilevanti.

La prima riguarda la esclusione, dalla presunzione di speculatività, per i beni di acquisizione successoria. Il che contrasterebbe con il fattore che fa decorrere il periodo caratterizzante la speculatività, la conclusione dei lavori.

La esclusione della provenienza successoria ha un senso per la norma del TUIR, in quanto manca il fattore speculativo inziale, essendo solo due i fatti, la acquisizione successoria e poi la vendita. Ma nella fattispecie qui esaminata oltre alla acquisizione si hanno i lavori, e da questi si fa derivare la ritenuta speculatività.

La provenienza parrebbe non avere una valenza particolare. È dal momento del termine dei lavori che inizia a decorrere il periodo di osservazione per determinare la speculatività.

In questa fattispecie si hanno tre momenti, la provenienza successoria, l'effettuazione dei lavori di cui al superbonus e poi la vendita. E la effettuazione dei lavori è una libera scelta, del tutto scollegata dal tipo di provenienza. Che questa sia successoria, non cambia la natura delle cose.

La seconda è l'esclusione, da questa presunzione di speculatività, dei soggetti che abbiano ritenuto di detrarre il contributo in quote annuali dalla propria dichiarazione dei redditi. Evidentemente è stato ritenuto caratterizzante la speculatività l'aver richiesto lo sconto in fattura o la cessione del contributo. Pare difficile trovare una giustificazione, a tutto ciò.

La terza è l'evidente la disparità di trattamento, ai fini della rivalutazione in base agli indici ISTAT, anche se solo per metà delle spese, con l'altra fattispecie, quella di una vendita prima dei 5 anni, nel qual caso non si ha nessuna detrazione, tantomeno rivalutata.

Ulteriore penalizzazione per quest'ultimo caso, ove appunto le spese proprio non sono ammesse, e il costo di acquisto non è rivalutato.

Tra l'altro questo aspetto della rivalutazione per le costruzioni è una novità di questa norma, essendo prevista in altre fattispecie di redditi diversi, se non andiamo errati, solo per i terreni, non per le costruzioni.

Ma ci chiediamo, che senso ha ammettere la rivalutazione Istat, ma solo su metà dell'importo? Qualcosa stride.

 

Tre particolarità e problematiche applicative

Evidenziamo tre problematiche applicative.

La prima particolarità è che, pur trattandosi di una nuova previsione di fattispecie imponibile, nella relazione tecnica non si fa alcuna previsione di entrata, il che non è certamente usuale.

La legge di bilancio nasce dall'esigenza di reperire coperture finanziarie per maggiori spese o per coprire minori entrate; ma in questo specifico caso si evita invece ogni previsione. Si introduce una nuova norma e non se ne stimano gli effetti.  Potrebbe essere eccepita la difficoltà di una stima corretta, essendo la imposizione legata a liberi e imprevedibili comportamenti dei contribuenti, ma non è certo la prima volta che si stimano entrate, come pure uscite, basate su comportamenti dei contribuenti.

Esaminiamo ora le problematiche applicative.

Seconda problematica: si escludono anche gli immobili utilizzati come abitazione principale del contribuente o dei propri familiari per la maggior parte del periodo. E il periodo è indicato in dieci anni antecedenti la cessione, o "qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo".

In pratica viene ripreso quanto previsto dall'articolo 67 del TUIR, con la sola differenza del termine, 10 anni in luogo di 5. Non ci si è probabilmente resi conto che nel caso di utilizzo del superbonus si fa riferimento, come termine iniziale per la decorrenza della operazione speculativa, al termine dei lavori, non all'acquisizione del bene. Qualcosa a nostro avviso pare non quadrare.

In ogni caso si fa anche riferimento alla "data di acquisto o di costruzione". La congiunzione utilizzata "o" sta a significare che si tratta di due diverse ipotesi, contrapposte. Il caso dell'acquisto appare chiaro, anche se poi l'inizio della decorrenza del periodo decennale decorre da altra diversa data, successiva, quella del termine della costruzione.

Si è quindi è in presenza di due decorrenze diverse, difficilmente conciliabili. Ma c'è dell'altro. Dopo il termine acquisto si utilizza l'espressione, per due volte "o di costruzione".  E qui sorgono nuovi dubbi. Innanzitutto, la congiunzione o sta a significare che si tratta di due casi diversi, la costruzione o l'acquisto. Ma l'espressione "costruzione" cosa significherà? Termine dei lavori? 

Ed allora, se la decorrenza è quella, basterà che per la maggior parte del periodo intercorrente tra il termine dei lavori e la vendita l'immobile sia stato adibito ad abitazione principale del contribuente o di un suo familiare. E questo periodo potrà anche essere brevissimo, non essendo determinato un periodo minimo, ma solo una percentuale (maggior parte).  Che con "costruzione" ci si volesse riferire al caso in cui si trattasse di completa demolizione del bene e successiva ricostruzione, con il superbonus, appunto? Parrebbe che poco cambiasse, comunque.

Infine, una terza problematica la riscontriamo nella previsione di speculatività solo nel caso in cui si sia goduto dello sconto in fattura o della cessione del credito derivante dal superbonus.

Chi avesse invece detratto il contributo annualmente nella dichiarazione dei redditi è infatti escluso da questa previsione. Non se ne ravvedono valide ragioni per un così diverso trattamento. In fin dei conti la fattispecie è la stessa, e cambiano solo le modalità di utilizzo del beneficio.  Con questa differenziazione in pratica si vuole appunto colpire chi ha utilizzato una particolare modalità applicativa proposta dalla norma, un utilizzo immediate piuttosto che dilazionato nel tempo; quale ne sia la differenza, ai fini della speculatività, ci appare del tutto ignoto.

 

Le criticità della nuova norma. Possibile incostituzionalità

La nuova norma ha delle evidenti criticità, a nostro avviso, come già anticipato in altri interventi.  Poteva benissimo affermare che, in presenza di operazione speculativa, e quindi tassabile di per sé stessa (immobile acquistato da meno di 5 anni oppure non utilizzato in proprio o da familiari per la maggior parte del periodo), le spese oggetto di superbonus non potevano essere detratte.

Questa poteva essere una indicazione corretta, e sicuramente del tutto condivisibile. Ma il legislatore non si è limitato a questo, e si è allargato.  Intanto ha esteso il periodo di osservazione da 5 anni a 10 anni, seppure in questo caso con un trattamento in parte differenziato, e poi ha fatto decorrere il periodo di osservazione non dall'acquisto, come è sempre stato, e come parrebbe del tutto logico che fosse, ma dal termine dei lavori.

Potrebbe quindi verificarsi che la cessione di un bene, posseduto da decenni, solo per effetto della effettuata ristrutturazione con superbonus, faccia diventare la vendita operazione speculativa, e questo con una durata del tutto inusuale.  Quasi che la speculatività sia vista nella concessione ai lavori o meglio nell'utilizzo del superbonus, non nei lavori. Nel contempo, e non se ne comprende la ragione, invero, vengono escluse le provenienze successorie. Ma se si ritiene di trovare la speculatività nel termine dei lavori, appare del tutto ininfluente la modalità di acquisizione, come pure i relativi tempi, dovendo ora solo guardare al termine dei lavori.

Non si comprende poi perché ci si riferisca ai soli casi della cessione del credito e sconto in fattura, e non in presenza di credito indicato nei modelli Unico. Le fattispecie ci paiono strutturalmente identiche, lavori con il beneficio del superbonus. Quasi che la speculatività a questo punto fosse vista nella cessione del credito! È di tutta evidenza come una costruzione di questo tipo presti il fianco a facili contestazioni per disparità di trattamento.

Si osservano poi altre evidenti disparità di trattamento. Le cessioni effettuate nel 2023 sono soggette alle norme precedenti; con il solo passare di un giorno, dal 1° gennaio 2024 la stessa operazione diventa operazione speculativa. La cosa non ci convince.

A nostro avviso la norma potrebbe essere dichiarata incostituzionale, trattando in modo differenziato soggetti che hanno compiuto operazioni similari, al solo verificarsi di una modalità di ottenimento del superbonus. E in ogni caso, si potrebbe ritenere che la speculatività possa essere considerata solo in presenza di determinati presupposti temporali.

Se al momento in cui è stato ottenuto il superbonus la speculatività non esisteva, come fa a verificarsi in presenza di una vendita, e con decorrenza dal termine dei lavori?  Qualcosa pare non essere del tutto coerente.

Si tratta di una norma molto penalizzante, dettata probabilmente per far rimpiangere, a chi abbia ceduto il credito derivante da superbonus, il richiesto beneficio. Ma invero non se ne comprende la ragione.  I lavori di cui al superbonus non possono costituire elemento costitutivo iniziale di una operazione speculativa, tanto più nel caso di proprietà acquisita nel passato; ne manca ogni presupposto logico. In ogni caso si tratta di una norma di fatto con applicazione retroattiva, il che in campo tributario non dovrebbe essere ammesso.

Per quanto concerne i lavori condominiali, poi, la presunzione di speculatività non regge. Ci paiono esistere plurimi motivi di disparità di trattamento, e ci attendiamo plurime eccezioni di incostituzionalità.

 

Conclusione

La recente circolare dell'Agenzia delle Entrate ha analizzato qualche aspetto della norma, ed in taluni casi con una interpretazione che non trova tutti concordi. Ma mancano ancora molti altri aspetti, non trattati, pur essendo da tempo stati sollevati dalla dottrina.

Sicuramente servirà una ulteriore circolare.

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